ha pronunciato la seguente
Sentenza
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'articolo 36 del
codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il
18 novembre 1997 dal Tribunale di Sondrio, iscritta al n. 253 del
registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 16, prima serie speciale, dell'anno 1998.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nella camera di consiglio del 23 febbraio 2000 il giudice
relatore Carlo Mezzanotte.
Ritenuto in fatto
1. - Con ordinanza in data 18 novembre 1997, il Tribunale di
Sondrio ha sollevato, in riferimento agli articoli 3 e 24 della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'articolo
36 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede tra
le cause di astensione l'avere il giudice precedentemente pronunciato
sentenza di applicazione della pena su richiesta ai sensi
dell'art. 444 cod. proc. pen. nei confronti di uno o piu' concorrenti
nel reato.
Il remittente premette di avere pronunciato - nel corso di un
procedimento a carico di numerosi imputati dei reati di cui agli
artt. 2621, numero 1, cod. civ., 81, 110, 640, primo comma, e 640-bis
cod. pen. - sentenza di applicazione della pena su richiesta nei
confronti di alcuni degli imputati, disponendo la separazione delle
posizioni degli imputati "non patteggianti" che ora si trova a
giudicare per gli stessi fatti.
Il giudice a quo richiama la sentenza n. 371 del 1996 di questa
Corte, che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 34, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui non
prevede che non possa partecipare al giudizio nei confronti di un
imputato il giudice che abbia pronunciato o concorso a pronunciare
una precedente sentenza nei confronti di altri soggetti, nella quale
la posizione di quello stesso imputato in ordine alla sua
responsabilita' penale sia gia' stata comunque valutata, e rileva che
le successive sentenze nn. 306, 307 e 308 del 1997 hanno precisato
che l'istituto dell'incompatibilita' e' limitato a salvaguardare
l'imparzialita' del giudice in relazione ai soli atti compiuti
all'interno del procedimento, escludendo (con l'eccezione della
particolare ipotesi prevista, appunto, dalla sentenza n. 371 del
1996) la sussistenza di ipotesi di incompatibilita' in relazione ad
atti compiuti in altri procedimenti.
Secondo il remittente, la situazione prospettata non potrebbe
dirsi risolta dalla citata sentenza n. 371 del 1996 per un duplice
ordine di ragioni: quella sentenza riguarderebbe l'ipotesi in cui il
giudice si sia espresso, nella precedente sentenza, sulla posizione
di un concorrente necessario nel reato, mentre il giudizio a quo
riguarda imputati ai quali sono contestati reati a concorso
eventuale; nella fattispecie in esame, inoltre, la valutazione
dell'insussistenza dei presupposti per pronunciare sentenza ex
art. 129 cod. proc. pen. e' stata compiuta in altro, separato
procedimento.
Tuttavia - osserva ancora il remittente - nella sentenza di
applicazione della pena su richiesta resa per i concorrenti nel
reato, egli avrebbe compiuto una valutazione in ordine alla
insussistenza dei presupposti di fatto e di diritto per pronunciare
sentenza ai sensi dell'art. 129 cod. proc. pen. che non potrebbe non
pregiudicare la sua imparzialita' nei confronti dei residui imputati
"non patteggianti", per la "forza della prevenzione" che spinge a
mantenere un giudizio gia' espresso o un atteggiamento gia' assunto
in altri momenti decisionali.
Ad avviso del Tribunale di Sondrio, "la descritta situazione
processuale dovrebbe normativamente concretizzare un obbligo di
astensione in ossequio ai principi desumibili dagli artt. 3 e 24
Cost.", ma l'art. 36 cod. proc. pen., "come attualmente vigente", non
prevederebbe questa ipotesi di astensione e le norme sull'astensione
e sulla ricusazione del giudice non sarebbero suscettibili di
applicazione analogica. In particolare, la fattispecie in esame non
potrebbe essere ricompresa in quella prevista dalla lettera h) del
citato art. 36, poiche', "per giurisprudenza pacifica, siffatta causa
di astensione attiene esclusivamente a ragioni di convenienza
extraprocessuali".
Poiche' questa Corte, nelle citate sentenze del 1997, ha
affermato che "qualora una situazione carente dal punto di vista
dell'imparzialita' non potesse trovare soluzione alla stregua degli
articoli 36 e 37 cod. proc. pen., quali attualmente vigenti, potrebbe
aprirsi la via per un'ulteriore, ma diversamente impostata, questione
di legittimita' costituzionale" (sentenza n. 306 del 1997), il
remittente ritiene non manifestamente infondata la prospettata
questione di legittimita' costituzionale, la cui rilevanza
discenderebbe dal fatto che il suo eventuale accoglimento
comporterebbe l'obbligo per il collegio di astenersi dal celebrare il
dibattimento nei confronti degli imputati "non patteggianti", mentre
il suo rigetto lo obbligherebbe al giudizio.
2. - E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile e, in
subordine, infondata.
Secondo l'Avvocatura, dalla lettura della sentenza n. 371 del
1996 emergerebbe che questa Corte non ha limitato - come, invece,
ritiene il remittente - la sfera di applicazione di quella pronuncia
alle sole ipotesi di concorso necessario nel reato. Conseguentemente
la questione prospettata avrebbe dovuto investire l'art. 34 cod.
proc. pen., e non il censurato art. 36 dello stesso codice. Anche
cosi' rettificata, comunque, la questione non sarebbe riconducibile
alle indicazioni contenute in quella sentenza, in quanto non
muoverebbe "da una valutazione espressa in sede di giudizio
dibattimentale (cosi', nella sentenza n. 371 del 1996), bensi' da una
valutazione (che si asserisce) espressa in sede di applicazione della
pena su richiesta, ai sensi dell'art. 444 ss. cod. proc. pen.". La
questione sarebbe in ogni caso infondata per i motivi enunciati da
questa Corte nell'ordinanza n. 340 del 1997, con cui e' stata
dichiarata la manifesta infondatezza di analoga questione di
legittimita' costituzionale, posto che non risulterebbe che, nella
sentenza resa ai sensi dell'art. 444 cod. proc. pen. nei confronti
dei concorrenti, il giudice a quo abbia espresso una valutazione,
neppure superficiale o sommaria, circa la responsabilita' degli
ulteriori concorrenti estranei al processo, la posizione dei quali
sarebbe rimasta impregiudicata.
Considerato in diritto
1. - L'ordinanza di remissione ha ad oggetto l'articolo 36 del
codice di procedura penale, del quale viene denunciata
l'illegittimita' costituzionale nella parte in cui non prevede tra le
cause di astensione l'avere il giudice precedentemente pronunciato
sentenza di applicazione della pena su richiesta ai sensi
dell'art. 444 cod. proc. pen. nei confronti di uno o piu' concorrenti
nel reato.
Secondo il remittente, nell'accertare l'insussistenza dei
presupposti di fatto e di diritto per pronunciare sentenza di
assoluzione ex art. 129 cod. proc. pen., egli avrebbe compiuto
valutazioni pregiudicanti per gli imputati non patteggianti.
Richiamata la giurisprudenza di questa Corte nella quale si
invita ad avere riguardo agli istituti dell'astensione e della
ricusazione nei casi in cui un pregiudizio provenga dall'esercizio di
funzioni compiute in un diverso procedimento (sentenze nn. 306, 307 e
308 del 1997), il giudice a quo rileva che nell'art. 36 del codice di
procedura penale non vi sarebbe alcuna disposizione che preveda in
simili ipotesi l'obbligo di astenersi, posto che, a suo avviso, le
"gravi ragioni di convenienza", di cui parla il comma 1 alla lettera
h), sarebbero esclusivamente extraprocessuali.
2. - La questione e' infondata nei sensi di cui appresso si
dira'.
Nelle sentenze nn. 306, 307 e 308 del 1997, richiamate dal
remittente, e' tratteggiato il diverso ambito di operativita' delle
incompatibilita' di cui all'art. 34 cod. proc. pen., da un lato, e
dell'astensione e della ricusazione, regolate dagli artt. 36 e 37
cod. proc. pen., dall'altro. Le prime postulano un onere di
organizzare preventivamente la terzieta' del giudice, onere
esigibile, in linea di massima e salvo i casi estremi che hanno dato
luogo alla sentenza n. 371 del 1996 (e alla successiva sentenza
n. 241 del 1999), allorche' il pregiudizio all'imparzialita' consegua
da funzioni esercitate dal giudice in un medesimo procedimento
penale. Quando il pregiudizio derivi invece dall'esercizio di
funzioni in un procedimento diverso, lo strumento di garanzia della
terzieta' deve attenersi, di regola, all'area degli istituti
dell'astensione e della ricusazione, poiche' la tutela preventiva,
alla quale e' ordinato l'istituto dell'incompatibilita', finirebbe
col disperdere in una normazione casistica indefinita e in una
imprevedibile molteplicita' di fattispecie applicative la tematica
della possibile menomazione dell'imparzialita' del giudice, e cio' a
causa della estrema varieta' di contenuto che gli atti di
giurisdizione possono assumere nei diversi procedimenti.
3. - Il remittente, intendendo seguire le indicazioni contenute
nelle tre consecutive sentenze del 1997 appena citate, ritiene,
tuttavia, che l'art. 36 cod. proc. pen., concernente l'astensione del
giudice, nella sua attuale formulazione, non contenga alcuna
disposizione idonea a scongiurare il pericolo di menomazione
dell'imparzialita' nei casi in cui il pregiudizio provenga
dall'avvenuto esercizio di funzioni in un procedimento diverso. A suo
avviso, infatti, la proposizione di cui al comma 1, lettera h),
dell'art. 36 ("altre gravi ragioni di convenienza") non riguarderebbe
il compimento di attivita' giurisdizionale ma si riferirebbe solo a
situazioni che investirebbero il giudice uti privatus.
Ma il valore deontico del principio del giusto processo si
esprime, in questo caso, sul piano interpretativo ed impedisce di
attribuire alla locuzione "altre gravi ragioni di convenienza" un
significato cosi' ristretto da escludervi l'esercizio di funzioni in
un diverso procedimento che abbia avuto, in concreto, un contenuto
pregiudicante. La disposizione in oggetto pone una norma di chiusura
a cui devono essere ricondotte tutte le ipotesi non ricadenti nelle
precedenti lettere e nelle quali tuttavia l'imparzialita' del giudice
sia da ritenere compromessa.
Il termine "convenienza", che nel linguaggio comune allude a
regole non giuridiche di comportamento sociale, sembrerebbe invero
orientare nel senso che i presupposti di questa figura di astensione
abbiano natura extraprocessuale, sicche' il giudice che sia chiamato
a farne applicazione sia investito di facolta' discrezionali assai
ampie. Tale rilievo, meramente lessicale, perde il suo carattere di
decisivita' se la proposizione normativa viene letta in connessione
logico-sistematica con le altre previsioni del medesimo art. 36. In
esso, alla lettera h) si parla di "altre" gravi ragioni di
convenienza. Non importa se "altre" stia qui per "diverse" o per
"ulteriori"; rileva unicamente il fatto che grazie all'uso di questo
termine tutte le cause di astensione elencate nelle precedenti
lettere dello stesso comma 1 dell'art. 36, nel linguaggio del
legislatore, sono da considerare, a loro volta, "altre" e, quindi,
"ragioni di convenienza" anch'esse. Sono tali, ad esempio, quelle di
cui alla lettera g), molte delle quali hanno sicuramente origine
processuale. Quale logico corollario se ne desume che, nella lettera
h), la parola "convenienza" assume un valore prescrittivo tale da
imporre l'osservanza di un obbligo giuridico che non riguarda
soltanto situazioni private del giudice, ma include l'attivita'
giurisdizionale che egli abbia svolto, legittimamente, in altri
procedimenti.
Eventuali residue incertezze di lettura sono del resto destinate
a dissolversi una volta che si sia adottato, quale canone ermeneutico
preminente, il principio di supremazia costituzionale. Questo impone
infatti all'interprete di optare, tra piu' soluzioni astrattamente
possibili, per quella che renda la disposizione conforme alla
Costituzione: nella specie conforme al principio del giusto processo,
secondo le indicazioni gia' contenute nelle sentenze nn. 306, 307 e
308 del 1997.
4. - Chiarito il significato della locuzione "altre gravi ragioni
di convenienza", si rende necessaria una precisazione con riguardo
alla vicenda di cui si tratta nel giudizio principale.
La presente sentenza interpretativa non procede affatto dall'idea
che esista un obbligo di astensione generalizzato nelle ipotesi in
cui un medesimo giudice, che abbia pronunciato sentenza nei confronti
di alcuni concorrenti, si trovi a giudicare separatamente altri
concorrenti.
Questa Corte ha avuto modo di chiarire che, nelle ipotesi di
concorso di persone nel medesimo reato, l'aver pronunciato sentenza
(nella specie, di applicazione della pena su richiesta) nei confronti
di alcuno dei concorrenti non rende per cio' stesso il giudice
incompatibile al successivo giudizio nei confronti degli altri. E'
infatti ferma, nella giurisprudenza costituzionale in materia, la
massima enunciata nelle sentenze nn. 186 del 1992 e 439 del 1993, e
ribadita nella sentenza n. 371 del 1996, secondo cui, nella naturale
unitarieta' delle figure di concorso, alla comunanza dell'imputazione
fa riscontro una pluralita' di condotte distintamente ascrivibili a
ciascuno dei concorrenti, le quali, ai fini del giudizio di
responsabilita', devono formare oggetto di autonome valutazioni,
suscettibili di sfociare in un accertamento positivo nell'un caso e
negativo nell'altro.
Non puo', pero', escludersi che, per il peculiare atteggiarsi
delle singole fattispecie, l'accertamento che il giudice abbia
compiuto in una precedente sentenza possa determinare un pregiudizio
alla sua imparzialita' nel successivo procedimento a carico di altro
o di altri concorrenti. In simili casi, al di la' delle ipotesi
estreme che hanno dato luogo alle sentenze nn. 371 del 1996 e 241 del
1999, nelle quali il turbamento della posizione di terzieta' del
giudice e' stato inquadrato tra le cause di incompatibilita' ex
art. 34, soccorre l'art. 36, comma 1, lettera h), del codice di
procedura penale, nell'interpretazione non restrittiva alla quale
vincola il principio del giusto processo.
La formula "altre gravi ragioni di convenienza" impone in
definitiva una valutazione caso per caso, e si deve percio' escludere
che il pregiudizio, nelle ipotesi di assoggettamento dei concorrenti
a procedimenti distinti dinanzi allo stesso giudice, sussista sempre
e necessariamente, sicche' alla fattispecie plurisoggettiva del
concorso di persone nel reato debba corrispondere sul piano
processuale l'onere di realizzare il simultaneus processus nei
confronti di tutti i concorrenti, ovvero, in caso di processi
separati, un automatico dovere di astensione del giudice nel
successivo giudizio.
5. - L'aver chiarito che la formulazione dell'art. 36, comma 1,
lettera h) del codice di procedura penale ha una sfera di
applicazione sufficientemente ampia da comprendere anche le ipotesi
in cui il pregiudizio alla terzieta' del giudice derivi da funzioni
esercitate in un diverso procedimento costituisce svolgimento di
quanto prefigurato da questa Corte nelle sentenze nn. 306, 307 e 308
del 1997, nelle quali si e' indicato, per la realizzazione del
principio del giusto processo, in simili evenienze, il piu' duttile
strumento dell'astensione e della ricusazione, che consente
valutazioni in concreto e caso per caso, e che non postula oneri
preventivi di organizzazione.