ha pronunciato la seguente


                              Sentenza

nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 19 del d.-l.
30 settembre  1982,  n. 688  (Misure  urgenti  in  materia di entrate
fiscali),  convertito  nella legge 27 novembre 1982, n. 873, promossi
con  ordinanze  emesse  il  29 giugno (n. 2 ordinanze) e il 9 ottobre
1998  dalla  Corte  d'appello  di  Trieste  e  il 6 novembre 1999 dal
Tribunale  di  Brescia rispettivamente iscritte ai nn. 733, 734 e 906
del  registro ordinanze 1998 ed al n. 731 del registro ordinanze 1999
e  pubblicate  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima
serie speciale, dell'anno 1998, n. 2, prima serie speciale, dell'anno
1999 e n. 3, prima serie speciale, dell'anno 2000.
    Visti  gli  atti  di  costituzione della Ferriere G.B. Bertoli fu
Giuseppe S.p.A. e della Acciaieria Fonderia Cividale S.p.A. ed altre,
della  FAREM S.p.A. e dell'INNSE Cilindri S.r.l., nonche' gli atti di
intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
    Udito  nell'udienza pubblica del 7 marzo 2000 il giudice relatore
Annibale Marini;
    Uditi  gli avvocati Raffaele Mistura per la Ferriere G.B. Bertoli
fu  Giuseppe  S.p.A.  e  per l'Acciaieria Fonderia Cividale S.p.A. ed
altre,  Raffaele  Mistura  e  Giuseppe  Guarino  per la FAREM S.p.A.,
Raffaele Mistura per l'INNSE Cilindri S.r.l. e l'Avvocato dello Stato
Sergio Laporta per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1. -   Con  tre  ordinanze di identico contenuto, emesse le prime
due  il  29 giugno  1998  e  la  terza  il  9 ottobre  1998, la Corte
d'appello  di Trieste ha sollevato, in riferimento agli artt. 24 e 53
Cost.,  questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 19 del
decreto-legge 30 settembre 1982, n. 688 (Misure urgenti in materia di
entrate fiscali) convertito con modificazioni nella legge 27 novembre
1982, n. 873, nella parte in cui detta norma, ponendo a carico di chi
agisca  per  la  ripetizione  di  imposte  di  consumo  indebitamente
corrisposte   l'onere   di   provare   documentalmente   il   mancato
trasferimento  del  peso  di  tali  imposte  su  altri  soggetti, non
differenzia  l'onere  probatorio  a seconda della specifica attivita'
d'impresa, nel cui ambito d'esercizio le imposte siano state pagate.
    1.1.  -  In  merito  alla  rilevanza  della  questione  la  Corte
rimettente  osserva  che  i  tre  giudizi  hanno  ad  oggetto appelli
proposti   dall'amministrazione   finanziaria   avverso  sentenze  di
condanna  al rimborso di somme indebitamente dalla stessa percepite a
titolo  di  addizionale  all'imposta erariale di consumo sull'energia
elettrica  e  che  il  mancato  assolvimento  da  parte  del  solvens
dell'onere  probatorio  di  cui alla norma censurata e' stato dedotto
quale motivo di gravame.
    1.2.   -   La   non   manifesta   infondatezza   della  questione
discenderebbe  poi - ad avviso del giudice rimettente - dal fatto che
le  parti  private nei tre giudizi esercitano attivita' d'impresa nel
settore  siderurgico  ed  utilizzano pertanto l'energia elettrica nel
processo  produttivo  di  un bene il cui prezzo finale e' soggetto al
variare  dei  costi  di vari componenti base ed e' comunque stabilito
dal  mercato  internazionale.  La  prova  documentale richiesta dalla
norma si rivelerebbe pertanto, nella specie, praticamente impossibile
e  comporterebbe  la  violazione  al tempo stesso degli artt. 24 e 53
della  Costituzione  posto che l'impedimento della difesa in giudizio
del  proprio diritto renderebbe irripetibile un tributo indebitamente
pagato  e  si  tradurrebbe, in definitiva, in una imposizione fiscale
senza   il   rispetto   del  canone  costituzionale  della  capacita'
contributiva.

    2. - E'  intervenuto  nei  tre  giudizi,  con  atti  di  identico
contenuto,  il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e
difeso   dall'Avvocatura   generale   dello  Stato,  concludendo  per
l'infondatezza della questione.
    2.1.   -   Osserva  l'Avvocatura  che,  riguardo  alla  specifica
attivita'  d'impresa  svolta  dalle parti private dei tre giudizi, la
prova   documentale  richiesta  dalla  norma  censurata  puo'  bensi'
presentare maggiori  difficolta' che in altri casi, ma certamente non
e'  impossibile, potendo essere assolta attraverso l'esibizione delle
stesse scritture contabili dell'impresa. Mentre, infatti, la chiusura
dell'esercizio  in  attivo  renderebbe  palese che tutti i costi (ivi
compresi   quelli  relativi  alle  imposte  di  consumo)  sono  stati
trasferiti  sugli  acquirenti,  la chiusura dell'esercizio in passivo
ben  potrebbe  costituire  prova  della mancata traslazione di alcuni
oneri, tra cui eventualmente quello tributario.
    3. - Si sono altresi' costituite nei tre giudizi le parti private
G.B. Bertoli fu Giuseppe S.p.A., Acciaieria Fonderia Cividale S.p.A.,
FAREM-Fonderie  Acciaio  Remanzacco  S.p.A.,  Inossman S.p.A. e SAFOP
S.p.A.
    3.1.   -   La   sola  FAREM-Fonderie  Acciaio  Remanzacco  S.p.A.
eccepisce,  quanto  al  giudizio promosso con ordinanza del 9 ottobre
1998  (r.o. n. 906 del 1998) il difetto di rilevanza della questione,
in  quanto  il  giudizio  a  quo  avrebbe  ad oggetto non l'azione di
ripetizione   disciplinata   dalla   norma  censurata,  ma  un'azione
essenzialmente   diversa   e   precisamente   l'opposizione   avverso
un'ingiunzione   emessa   dall'amministrazione   finanziaria  per  la
riscossione di tributi non versati.
    3.2.  -  Nel merito le parti private concludono, in base a difese
di  identico  contenuto, per l'accoglimento della questione sollevata
dalla  Corte d'appello di Trieste con riferimento sia ai parametri di
cui  agli  artt. 24  e  53  Cost.,  espressamente evocati dalla Corte
rimettente,  sia  all'ulteriore  parametro  di  cui  all'art. 3 della
Costituzione.
    Premettono  le  parti private di non ignorare che questa Corte ha
gia'  esaminato  la  questione  di  legittimita' costituzionale della
stessa  norma,  con  riferimento ai medesimi parametri, dichiarandola
manifestamente  infondata  con le ordinanze nn. 651 e 807 del 1988 ed
altre   successive.  Le  motivazioni  di  tali  ordinanze,  tuttavia,
individuerebbero  il  fondamento  ed  il  limite  della  legittimita'
costituzionale della norma impugnata nel fatto che l'onere probatorio
imposto  dalla  stessa  norma dovrebbe riguardare tributi che, per la
loro  particolare natura e per le dinamiche dell'economia di mercato,
siano  trasferiti  dal  solvens  su altri soggetti, secondo l'id quod
plerumque accidit, e che inoltre la prova documentale richiesta possa
essere fornita mediante le scritture contabili.
    Circostanze  queste  che  non ricorrerebbero nelle fattispecie in
giudizio,  aventi  ad  oggetto  la ripetizione di imposte addizionali
all'imposta  erariale  di  consumo  sull'energia elettrica, istituite
dall'art. 6,  comma  2,  del  decreto-legge  28 novembre 1988, n. 511
(Disposizioni  urgenti  in  materia  di  finanza regionale e locale),
convertito  nella  legge 27 gennaio 1989, n. 20, e dall'art. 4, comma
1,  del  decreto-legge  30 settembre  1989,  n. 332  (Misure  fiscali
urgenti), convertito nella legge 27 novembre 1989, n. 384.
    L'onere  tributario  relativo all'energia elettrica impiegata nel
processo  produttivo non avrebbe infatti - secondo le parti private -
caratteristiche  tali  da renderne agevole la diretta traslazione sul
prezzo  del  prodotto,  sia  perche' sarebbe praticamente impossibile
determinare  l'incidenza dell'imposta su ciascuna unita' di prodotto,
sia  perche'  il prezzo dei prodotti siderurgici sarebbe indipendente
dalla  volonta'  dell'imprenditore,  in  quanto  fissato  dal mercato
internazionale  sulla  base dell'andamento della curva della domanda.
Poiche'  in  tale  mercato  operano  non  soltanto  gli  imprenditori
italiani  (tutti  assoggettati ad identici oneri tributari), ma anche
imprenditori stranieri, la possibilita' di trasferire sull'acquirente
un  aumento  dell'imposizione  fiscale  sarebbe preclusa dalle regole
della   concorrenza,   cosi'   da   rendere  non  ragionevole  quella
presunzione  di  traslazione  che  parrebbe costituire la ratio della
norma di cui all'art. 19 del decreto-legge n. 688 del 1982.
    Il  particolare  tipo di imposizione tributaria di cui si tratta,
gravante   sull'energia  elettrica  usata  nel  processo  produttivo,
renderebbe  in  ogni  caso del tutto impossibile la prova documentale
richiesta  dalla  norma  stessa,  non  essendo a tal fine sufficiente
l'esame della documentazione contabile dell'imprenditore, dalla quale
non  sarebbe  dato in alcun modo evincere l'incidenza dell'imposta su
ciascuna unita' di prodotto.
    Ne  deriverebbe,  percio',  in  primo  luogo,  una  disparita' di
trattamento,  contrastante con l'art. 3 Cost., tra i contribuenti che
abbiano   indebitamente   pagato  l'addizionale  in  questione  ed  i
contribuenti   che   abbiano   indebitamente  pagato  altre  imposte,
parimenti  non  caratterizzate  da presunzione di traslazione, per la
cui  ripetizione  non e' richiesta la prova documentale di non averne
riversato su altri il peso economico. Risulterebbe, altresi', leso il
diritto di difesa dei contribuenti, assoggettati all'onere di provare
documentalmente  un  fatto  negativo,  nonche' lo stesso principio di
capacita'   contributiva,   di   cui  all'art. 53  Cost.,  in  quanto
l'impossibilita'  di assolvere l'onere probatorio imposto dalla norma
renderebbe  irripetibile  una  prestazione  tributaria  non  dovuta e
percio'  non  ricollegabile  alla capacita' contributiva del soggetto
colpito.

    4. - Con  ordinanza  emessa  il  6 novembre  1999 il Tribunale di
Brescia  ha  sollevato questione di legittimita' costituzionale della
stessa norma, in riferimento ai medesimi parametri costituzionali.
    4.1.  -  Anche  in questo caso il giudizio a quo risulta promosso
nei   confronti  dell'amministrazione  finanziaria  da  una  societa'
esercente  attivita' industriale siderurgica al fine di ottenere, sul
presupposto dell'indebito pagamento, la restituzione di quanto pagato
a  titolo  di  imposte  addizionali  sul consumo di energia elettrica
istituite dai decreti-legge n. 511 del 1988 e n. 332 del 1989.
    La fondatezza della domanda in punto di diritto e' ammessa - come
rileva  il  rimettente - dalla stessa amministrazione convenuta, alla
luce  della  norma interpretativa, sopravvenuta in corso di causa, di
cui all'art. 4 del decreto-legge 28 giugno 1995, n. 250 (Differimento
di  taluni  termini  ed  altre  disposizioni  in materia tributaria),
convertito  in  legge  dall'art. 1 della legge 8 agosto 1995, n. 349,
che   ha   escluso   l'assoggettamento   alle   predette  addizionali
dell'energia  elettrica  utilizzata  come  materia prima nei processi
industriali  elettrochimici  ed  elettrometallurgici, ivi comprese le
lavorazioni  siderurgiche  e  delle fonderie. Cionondimeno la domanda
stessa    dovrebbe    essere    respinta,   su   conforme   eccezione
dell'amministrazione   convenuta,  non  avendo  la  societa'  attrice
fornito    la   prova   documentale,   richiesta   dall'art. 19   del
decreto-legge  n. 688  del  1982,  del mancato trasferimento su altri
soggetti del peso economico di tali imposte.
    E' ben vero - aggiunge il rimettente - che secondo l'orientamento
di  una  parte  della  giurisprudenza  di merito il detto art. 19, in
quanto disposizione di carattere eccezionale, non sarebbe applicabile
analogicamente   alle   imposte   addizionali,   da  tale  norma  non
espressamente  contemplate.  Tale  assunto,  tuttavia,  non appare al
medesimo  rimettente  condivisibile,  in quanto l'imposta addizionale
sul  consumo di energia elettrica, avendo per definizione il medesimo
presupposto  dell'imposta base, non puo' che considerarsi una species
del   genus   imposte  di  consumo  e,  in  quanto  tale,  ricompresa
nell'ambito applicativo della norma censurata.
    4.2.  -  Cosi'  chiarita  la rilevanza della questione, la norma,
secondo il rimettente, gravando il contribuente dell'onere di fornire
una  prova  praticamente impossibile, sarebbe lesiva sia dell'art. 24
Cost.,  per  la  violazione  del  diritto  di  agire in giudizio, sia
dell'art. 53  Cost.,  per  i riflessi, gia' evidenziati, di carattere
sostanziale  che  deriverebbero,  nella specie, dall'impedimento alla
difesa del proprio diritto.
    Non  ignora il rimettente che la medesima questione e' gia' stata
risolta  in senso negativo da questa Corte con l'ordinanza n. 651 del
1988:  ritiene  tuttavia  che  essa  meriti  di essere riproposta con
ulteriori  argomenti,  anche in considerazione della diversita' della
fattispecie  sottoposta  al suo giudizio, rispetto a quella che aveva
dato origine al precedente giudizio di legittimita' costituzionale.
    Nella  predetta ordinanza e', infatti, affermato che "presunzione
ispiratrice  della  norma"  e'  quella  "secondo la quale l'operatore
economico percosso da alcuni tipi di imposta, normalmente, la riversa
sui  soggetti  che  da  lui  acquistano  beni  o servizi" e che "tale
presunzione  ... non appare irragionevole"; ed a riprova e' citata la
fattispecie   oggetto   del  giudizio  a  quo,  in  cui  il  comitato
provinciale  prezzi  aveva  consentito la maggiorazione per una certa
aliquota   del   prezzo   del   prodotto,  fino  al  totale  recupero
dell'imposta di cui si chiedeva il rimborso.
    Nel  caso  sottoposto  al giudizio del rimettente, invece, i beni
prodotti   dalla   societa'   attrice  non  sono  soggetti  a  prezzi
amministrati  o  controllati ne' risulta che siano stati aumentati in
conseguenza dell'introduzione delle addizionali.
    Cio'  basterebbe  -  secondo il giudice a quo - a giustificare un
nuovo esame della questione. Vi e' peraltro da aggiungere - ad avviso
ancora  del  rimettente - che l'ordinanza n. 651 del 1988 esprime una
concezione  "semplicistica  ed  autarchica"  dei  fenomeni economici,
prescindendo  totalmente  da  qualsiasi considerazione delle leggi di
mercato.  E'  noto  infatti  che  ogni aumento di prezzo determina di
regola,   come   conseguenza,  una  diminuzione  della  domanda  (con
possibile  contrazione  dei profitti) ed espone inoltre il produttore
alla concorrenza di chi riesca a vendere ad un prezzo piu' basso. Per
tale  motivo,  in  un mercato internazionale, non sempre e' possibile
per  il  produttore  aumentare il prezzo in conseguenza di un aumento
degli oneri fiscali, in quanto tali oneri non gravano in egual misura
sui  concorrenti  stranieri.  E' insomma il mercato, e non il singolo
produttore,  a  stabilire il prezzo, spesso imponendo, in luogo della
traslazione di un nuovo onere fiscale, una contrazione dei profitti.
    L'ordinanza  non  potrebbe  nemmeno  essere  condivisa  -  sempre
secondo  il  rimettente - laddove assume che la lamentata difficolta'
probatoria  sarebbe esclusa dall'obbligo di conservazione dei libri e
delle  scritture contabili: la mera lettura delle scritture contabili
non  consentirebbe infatti di discernere le componenti economiche dei
prezzi  praticati ne' di effettuare dei validi raffronti tra i prezzi
praticati  prima  e quelli praticati dopo un determinato evento, data
la  molteplicita'  delle possibili variabili suscettibili di incidere
sui  costi. La prova richiesta dalla norma denunciata potrebbe semmai
trarsi,  a  tutto  concedere,  da  una  consulenza  tecnica d'ufficio
fondata  sui  dati  contabili,  ma in tal caso le scritture contabili
sarebbero assunte - diversamente da quanto la norma stessa richiede -
non  come prove documentali, ma come meri elementi indiziari. In ogni
caso,  anche  a  voler  ritenere  ammissibile  un simile strumento di
indagine,  il  diritto  del  contribuente rimarrebbe comunque esposto
all'alea  propria  di  una  valutazione  -  quella appunto peritale -
avente una indiscutibile componente soggettiva.

    5. - E'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio dei
Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, concludendo per l'infondatezza della questione.
    L'Avvocatura  contesta, in primo luogo, che la soluzione negativa
cui  la  Corte  e'  pervenuta  nell'ordinanza  n. 651  del  1988  sia
collegata  alla  circostanza  che,  in  quel  caso, il prodotto fosse
sottoposto  a  prezzi amministrati e comunque ricorda che la medesima
questione e' stata dichiarata manifestamente infondata, con ordinanza
n. 807  del 1988, anche in riferimento ad una fattispecie nella quale
non si trattava di prezzi amministrati.
    Quanto   agli   argomenti   riferiti   alle   leggi  di  mercato,
l'Avvocatura   osserva  che  essi  sono  stati  gia'  necessariamente
esaminati  e  disattesi  dalla  Corte  nelle  ricordate  ordinanze di
manifesta   infondatezza,  mentre,  per  quanto  concerne  l'asserita
impossibilita'  di  fornire  la  prova  richiesta  in  ragione  della
specifica attivita' produttiva esercitata dall'impresa avente diritto
al rimborso, deduce che la valutazione dell'incidenza del tributo sul
costo   di   produzione,   nell'ipotesi   di   produzione   di   beni
ontologicamente  diversi da quelli utilizzati per ottenerli (come nel
caso    delle   imprese   siderurgiche),   puo'   presentare maggiore
difficolta'  rispetto  ad  altre  ipotesi  ma  non puo' mai risultare
materialmente  impossibile,  tanto piu' che nell'ordinanza n. 651 del
1988  la  Corte  ha  chiarito  che  l'onere  probatorio  puo'  essere
soddisfatto mediante scritture "dalle quali il fatto da provare possa
dedursi anche indirettamente".

    6. - Si  e'  costituita  in  giudizio  la  INNSE Cilindri S.r.l.,
deducendo  in  via principale l'irrilevanza della questione sollevata
dal Tribunale di Brescia.
    Osserva  infatti  la  parte  privata  che  tra  le imposte la cui
ripetizione  e' subordinata all'eccezionale onere probatorio previsto
dall'art. 19  del  d.-l.  n. 688  del  1982  non  sono  espressamente
indicate   le   addizionali   all'imposta   di  consumo  sull'energia
elettrica,  cosicche'  taluni  giudici  di  merito hanno ritenuto che
l'azione  di ripetizione delle suddette addizionali sia soggetta agli
ordinari principi sull'onere della prova.
    Nel  merito  la  parte  privata conclude per l'accoglimento della
questione  con riferimento sia ai parametri di cui agli artt. 24 e 53
Cost.,   espressamente  evocati  dal  rimettente,  sia  all'ulteriore
parametro di cui all'art. 3 Cost., sulla scorta di argomentazioni del
tutto  analoghe  a quelle svolte dalle altre parti private costituite
negli altri tre giudizi.

    7. - Nell'imminenza  dell'udienza  pubblica le parti private G.B.
Bertoli  fu  Giuseppe  S.p.A.,  Acciaieria  Fonderia Cividale S.p.A.,
FAREM-Fonderie  Acciaio  Remanzacco  S.p.A.,  Inossman S.p.A. e SAFOP
S.p.A.  hanno  depositato memorie illustrative di identico contenuto,
ribadendo  le  difese  di  merito  gia'  svolte  ed eccependo, in via
preliminare,   l'inammissibilita'  della  questione  per  difetto  di
rilevanza.
    Deducono le parti che successivamente all'ordinanza di rimessione
taluni  giudici  di merito hanno escluso l'applicabilita' della norma
denunciata  alle domande di ripetizione di addizionali all'imposta di
consumo  sull'energia elettrica. Sulla scorta di tale giurisprudenza,
le  parti  private  osservano  che  dette  addizionali  non sarebbero
comprese  tra  i  tributi  espressamente indicati nella norma stessa,
avente  carattere  sicuramente  eccezionale,  e  che  il  rapporto di
accessorieta'  esistente  tra  l'addizionale  e l'imposta di consumo,
consistendo  "solamente  in  un  rapporto tra le due imposte relativo
alla coincidente base imponibile", non potrebbe di per se' consentire
-  in  mancanza  di  un  espresso rinvio - l'applicazione della norma
anche  alla  fattispecie  di  ripetizione dell'addizionale. Lo stesso
legislatore  del  resto  avrebbe  ritenuto  necessario  - nelle norme
istitutive  delle  addizionali in questione - rinviare espressamente,
quanto   alla   liquidazione  e  alla  riscossione,  alla  disciplina
dell'imposta  erariale  di consumo sull'energia elettrica (v. art. 6,
comma  5,  del  d.-l.  n. 511  del  1988 e art. 4, comma 6, del d.-l.
n. 332   del   1989),   con   cio'   implicitamente   escludendo  una
generalizzata applicabilita' delle disposizioni dettate per l'imposta
base.
    Non  ignorano  le  parti  private  che  tale  orientamento non e'
condiviso da altri giudici di merito, ma proprio le conclusioni a cui
costoro   pervengono   renderebbero   palese   -   a  loro  avviso  -
l'illegittimita'  costituzionale  della  norma in quanto interpretata
nel  senso  della  sua applicabilita' all'azione di ripetizione delle
addizionali  de quibus. E cio' in quanto mentre si e' ritenuto che la
traslazione  possa avvenire anche mediante incorporazione del tributo
pagato  nel  prezzo  di vendita del prodotto, si e' escluso per altro
verso   che   la   prova   documentale   richiesta  dall'art. 19  del
decreto-legge  n. 688  del  1982  possa  essere  fornita mediante una
consulenza   tecnica   sulle  scritture  contabili,  in  quanto  tale
consulenza tecnica avrebbe un carattere inammissibilmente esplorativo
e comunque perverrebbe alla dimostrazione del fatto da provare in via
di presunzione e non documentalmente come richiesto dalla legge.

    8. - La   sola   FAREM-Fonderie   Acciaio  Remanzacco  S.p.A.  ha
depositato  una  ulteriore  memoria integrativa, insistendo con nuovi
argomenti per la declaratoria di inammissibilita' della questione.
    Premessa la tassativita' dell'indicazione, contenuta nello stesso
art. 19,  delle  imposte cui la norma e' applicabile, la parte deduce
che  l'energia  elettrica  utilizzata  come materia prima sarebbe del
tutto  estranea - per espresso disposto legislativo (art. 4 del d.-l.
28 giugno  1995,  n. 250)  -  all'area  delle  imposte di consumo. La
citata  norma  interpretativa,  infatti,  nel  chiarire che l'energia
elettrica  utilizzata  come  materia prima "non e' assoggettata" alle
addizionali stesse, avrebbe implicitamente confermato la estraneita',
sin  dall'origine,  dell'energia  elettrica all'area delle imposte di
consumo, con la conseguente inapplicabilita', nella specie, sempre ad
avviso della parte, della disciplina di cui alla norma censurata.
    La   particolare   natura   dei   beni   prodotti  dall'industria
siderurgica,  in quanto prodotti intermedi e non destinati al consumo
di    massa,   renderebbe,   poi,   sotto   altro   aspetto,   palese
l'insussistenza  delle  condizioni  stesse  perche'  possa operare la
traslazione dell'indebito.

                       Considerato in diritto

    1.  -  La  Corte  d'appello  di Trieste, con tre ordinanze, ed il
Tribunale  di  Brescia,  con  una  ordinanza successiva, dubitano, in
riferimento agli artt. 24 e 53 della Costituzione, della legittimita'
costituzionale  dell'art. 19  del  d.-l.  30  settembre  1982, n. 688
(Misure  urgenti  in  materia  di  entrate  fiscali),  convertito con
modificazioni  nella  legge  27 novembre 1982, n. 873, nella parte in
cui detta norma, senza differenziare le singole attivita' di impresa,
pone  a  carico  del  contribuente,  che agisca per la ripetizione di
imposte  di  consumo  indebitamente  corrisposte,  l'onere di provare
documentalmente  che  il  peso economico dell'imposta non e' stato in
qualsiasi  modo  trasferito  su altri soggetti. Onere probatorio che,
secondo  quanto  ritenuto  da entrambi i rimettenti, risulterebbe nei
giudizi a quibus di impossibile assolvimento.
    I quattro giudizi, data la sostanziale identita' delle questioni,
vanno riuniti per essere decisi con unica sentenza.
    2. - La  FAREM-Fonderie Acciaio Remanzacco S.p.A., in riferimento
al  giudizio  promosso dalla Corte d'appello di Trieste con ordinanza
emessa  il  9 ottobre  1998 (r.o. n. 906 del 1998), eccepisce, in via
preliminare,  l'inammissibilita'  della  questione,  per  difetto  di
rilevanza,  in  quanto,  non  avendo  il  giudizio  a  quo ad oggetto
un'azione  di  ripetizione  di  indebito, risulterebbe, nella specie,
inapplicabile  proprio la norma della cui legittimita' costituzionale
il rimettente dubita.
    2.1. - L'eccezione e' fondata.
    Il  giudizio  a  quo,  infatti,  come  la  stessa  Avvocatura  ha
esplicitamente riconosciuto in udienza e come del resto risulta dagli
atti,  consiste,  diversamente  da  quanto si legge nell'ordinanza di
rimessione,  nell'opposizione  proposta  dalla FAREM Fonderie Acciaio
Remanzacco  S.p.A.  avverso l'ingiunzione emessa dall'amministrazione
finanziaria per il pagamento dell'addizionale all'imposta sul consumo
dell'energia elettrica.
    E', pertanto, evidente come la norma censurata, in quanto diretta
a  disciplinare  la  ripetizione  di  imposte  indebitamente  pagate,
risulti  del  tutto estranea al giudizio principale sopra specificato
rendendo irrilevante e, quindi, inammissibile la questione sollevata.

    3. - Va invece disattesa - con riferimento agli altri tre giudizi
- l'eccezione di inammissibilita' della questione, per difetto sempre
di  rilevanza,  sollevata  dalle  parti  private  sull'assunto che le
addizionali  istituite  dall'art. 6,  comma  2, del d.-l. 28 novembre
1988,  n. 511 (Disposizioni urgenti in materia di finanza regionale e
locale) convertito nella legge 27 gennaio 1989, n. 20, e dall'art. 4,
comma   1,  del  d.-l.  30 settembre  1989,  n. 332  (Misure  fiscali
urgenti),  convertito  nella  legge  27 novembre  1989,  n. 384,  non
avrebbero  natura  di imposte di consumo e che pertanto alla relativa
azione di rimborso non sarebbe applicabile la norma denunciata.
    In  contrario, e' sufficiente rilevare che il diverso presupposto
interpretativo  da cui muovono i rimettenti ai fini della valutazione
di rilevanza - che cioe' alle suddette addizionali debba riconoscersi
la medesima natura, di imposta di consumo, propria della imposta-base
-  e'  sicuramente  non  implausibile  e  non  puo',  percio', essere
censurato in questa sede.

    4. - Ulteriore  eccezione  di inammissibilita' della questione e'
stata  sollevata dalla difesa della FAREM Fonderie Acciaio Remanzacco
S.p.A.,  secondo  cui  -  pur ammesso che le addizionali in questione
siano  assimilabili alle imposte di consumo - l'irrilevanza, rispetto
ai  giudizi  a quibus, della questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 19  del  decreto-legge  n. 688  del  1982 discenderebbe dal
fatto che la norma interpretativa di cui all'art. 4 del decreto-legge
28 giugno  1995,  n. 250  (Differimento  di  taluni  termini ed altre
disposizioni  in  materia tributaria) convertito in legge dall'art. 1
della  legge 8 agosto 1995, n. 349, chiarendo che l'energia elettrica
utilizzata  come  materia prima nelle lavorazioni siderurgiche non e'
assoggettata  alle  addizionali  stesse,  avrebbe  sancito l'assoluta
estraneita'   di   quel  bene  all'area  delle  imposte  di  consumo.
Estraneita'  alla  quale conseguirebbe, sempre ad avviso della stessa
parte  privata,  l'inapplicabilita'  all'azione  di ripetizione delle
addizionali   sull'energia  elettrica  di  una  norma,  quale  quella
denunciata,  specificamente  riguardante la ripetizione delle imposte
di consumo.
    Anche  tale  eccezione va disattesa. L'insussistenza dell'obbligo
tributario,  quali che siano le ragioni che conducano ad escludere la
debenza  dell'imposta,  costituisce, infatti, presupposto applicativo
dell'art. 19 del d.-l. n. 688 del 1982 e non certamente limite al suo
ambito  di  operativita'.  L'indicazione  dei diversi tipi di imposta
contenuta  nella norma denunciata va evidentemente riferita al titolo
della pretesa, indebita, esercitata dall'amministrazione finanziaria,
con  la  conseguenza  che  la norma stessa deve ritenersi applicabile
(per  quanto  qui  rileva)  ad  ogni  azione  di ripetizione di somme
indebitamente  percepite  dall'amministrazione a titolo di imposta di
consumo.
    5. - Nel   merito   i  rimettenti  ritengono  che  la  norma  sia
innanzitutto in contrasto con l'art. 24 della Costituzione in quanto,
subordinando  la ripetizione dell'indebito alla prova documentale che
l'onere  economico  dell'imposta  non  e'  stato  trasferito su altri
soggetti,   renderebbe   in   molti   casi   impossibile  o  comunque
eccessivamente difficile l'esercizio del diritto.
    La questione e' fondata, nei limiti di seguito precisati.
    5.1.   -   Va   premesso   che   la   questione  di  legittimita'
costituzionale  dell'art. 19  del  d.-l.  30 settembre  1982, n. 688,
sollevata  in  riferimento  al  medesimo  parametro, e' gia' stata in
passato  esaminata  da  questa  Corte,  che  e'  pervenuta a ripetute
declaratorie  di  manifesta infondatezza (ordinanze nn. 651 e 807 del
1988 e nn. 172 e 197 del 1989).
    Si  afferma  in  buona  sostanza  in  tali pronunce che la deroga
apportata  dalla  norma  in  esame  alla  generale  disciplina  della
ripetizione  di indebito stabilita dall'art. 2033 del codice civile -
consistente  nel  porre  appunto  a carico del solvens la prova della
mancata  traslazione  dell'onere economico dell'imposta - non sarebbe
di per se' lesiva del diritto di agire in giudizio e che tale diritto
non  sarebbe  vanificato  o  illegittimamente compresso nemmeno dalla
previsione della sola prova documentale.
    Conclusioni  che  devono essere parzialmente riconsiderate, anche
alla   luce   dei  mutamenti  del  quadro  normativo  successivamente
intervenuti.
    5.2.  -  Giova  ricordare, al riguardo, che la Corte di giustizia
delle  Comunita'  europee,  in  sede  del  ricorso  pregiudiziale  ex
art. 177  del  trattato  CEE,  ebbe  a  suo  tempo  a  ritenere - con
esclusivo  riferimento ai tributi nazionali riscossi in contrasto con
quanto   disposto   dal   diritto  comunitario  -  l'incompatibilita'
dell'art. 19  del  d.-l.  30 settembre 1982, n. 688, con gli obblighi
che il trattato CEE impone agli Stati membri in base all'assunto che,
pur  essendo consentito al sistema giuridico nazionale di subordinare
il  rimborso  di  tali tributi alla loro mancata traslazione, doveva,
invece,   escludersi   la   legittimita',  in  sede  processuale,  di
qualsivoglia  disciplina  probatoria  che,  come quella sancita dalla
citata  norma, avesse l'effetto di rendere praticamente impossibile o
eccessivamente difficile l'esercizio del diritto (sentenza 9 novembre
1983, in causa 199/1982).
    La  medesima Corte, con successiva sentenza del 24 marzo 1988 (in
causa   104/1986),   ha   ribadito   il   giudizio   di  contrarieta'
all'ordinamento  comunitario  della  norma  e  ha  dichiarato  che la
Repubblica  italiana,  mantenendola  in  vigore,  e' venuta meno agli
obblighi ad essa imposti dal trattato.
    In conseguenza di tali pronunce il legislatore e' intervenuto con
l'art. 29  della  legge  29 dicembre  1990,  n. 428 (Disposizioni per
l'adempimento  di  obblighi  derivanti  dall'appartenenza dell'Italia
alle   Comunita'  europee).  Diversificando  il  regime  della  prova
nell'azione  di  ripetizione dell'indebito tributario a seconda che i
tributi  di  cui  si  chiede il rimborso abbiano o meno rilevanza per
l'ordinamento comunitario. Mentre per i secondi si e' mantenuta ferma
(art. 29,    terzo    comma)    l'applicabilita'   dell'art. 19   del
decreto-legge  n. 688  del 1982, per quelli riscossi in violazione di
norme  comunitarie  (art. 29,  secondo comma) l'eventuale traslazione
dell'imposta e' stata configurata come fatto estintivo del diritto al
rimborso,   la   cui   prova   spetta   -   secondo   i   principi  -
all'amministrazione convenuta.
    Premesso  che il sindacato della Corte e' in questa sede limitato
ai  parametri costituzionali evocati dai rimettenti - tra i quali non
figura l'art. 3 Cost., richiamato dalle sole parti private - la nuova
disciplina dettata per il rimborso dei tributi riscossi in violazione
di  norme  comunitarie,  necessitata  dalle  pronunce  della Corte di
giustizia,  risulta  espressiva  della  necessita'  di  garantire  il
diritto   di  agire  in  giudizio,  per  la  ripetizione  di  imposte
indebitamente  corrisposte, in termini piu' ampi di quelli risultanti
dall'art. 19 del d.-l. n. 688 del 1982.
    E  se da un lato puo' ribadirsi che la mera inversione dell'onere
della  prova  non  e'  di  per  se' in contrasto con l'art. 24 Cost.,
trattandosi  di  materia  indubbiamente rimessa alla discrezionalita'
del  legislatore, deve per altro verso ritenersi che il prevedere che
tale  onere  possa  essere  assolto  solamente  per mezzo della prova
documentale  -  intesa  evidentemente in senso tecnico - comporti una
sicura lesione del diritto di agire in giudizio del solvens. Siffatta
previsione  viene  infatti a subordinare la tutela giurisdizionale ad
una  prova che, secondo criteri di normalita', si palesa impossibile,
non  potendo  in  via  generale  essere  ipotizzata l'esistenza di un
documento  contenente  la diretta rappresentazione del fatto negativo
costituito   dalla   mancata   traslazione   del  peso  economico  di
un'imposta.

    Va percio' dichiarata l'illegittimita' costituzionale della norma
denunciata,  nella  parte  in  cui  prevede  che la prova del mancato
trasferimento  su  altri  soggetti  dell'onere economico dell'imposta
possa  essere  fornita  solo  documentalmente, restando assorbita, in
tale   pronuncia,   ogni   altra  e  diversa  censura  formulata  dai
rimettenti.