ha pronunciato la seguente


                              Ordinanza

nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 516 del codice
di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 6 novembre 1998
dal  pretore  di  Monza  nel  procedimento  penale  a carico di S.M.,
iscritta  al  n. 6  del  registro  ordinanze  1999 e pubblicata nella
Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n. 4,  prima  serie speciale,
dell'anno 1999.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
Ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 22 marzo 2000 il giudice
relatore Guido Neppi Modona.
    Ritenuto che nel corso di un procedimento penale nei confronti di
un imputato tratto a giudizio per il reato previsto dall'art. 1 della
legge   15   dicembre   1990,  n. 386  (emissione  di  assegno  senza
autorizzazione),  il  pretore  di  Monza ha sollevato, in riferimento
agli  artt. 3  e  24  della  Costituzione,  questione di legittimita'
dell'art. 516  del codice di procedura penale, nella parte in cui non
consente  all'imputato  di  richiedere  l'applicazione  della pena ai
sensi  dell'art. 444  cod.  proc. pen. relativamente al fatto diverso
contestato in dibattimento, "allorche' esso non concerna un fatto che
risultava   dagli   atti   di   indagine  al  momento  dell'esercizio
dell'azione penale o l'imputato non abbia tempestivamente proposto la
richiesta in ordine alle originarie imputazioni";
        che,  al  riguardo, il rimettente espone che, all'esito degli
accertamenti  disposti  ai  sensi  dell'art. 507  cod. proc. pen., il
pubblico   ministero,  modificando  l'originaria  imputazione,  aveva
contestato  il  reato  di  cui all'art. 2 della legge n. 386 del 1990
(emissione di assegno senza provvista), in ordine al quale l'imputato
aveva formulato richiesta di applicazione della pena;
        che,  a  giudizio  del rimettente, sarebbero violati l'art. 3
Cost.,   per  l'ingiustificato  diverso  trattamento  riservato  agli
imputati  che  nel  corso del dibattimento si trovino a rispondere di
fatti  e  reati  diversi  da  quelli  di  cui  all'originario capo di
imputazione, e l'art. 24 Cost., perche' all'imputato sarebbe impedito
di  esercitare  il  diritto di difesa e, specificamente, di avvalersi
della facolta' di accedere al rito semplificato;
        che  il  rimettente  e'  consapevole che analoga questione di
legittimita'  costituzionale  e' stata ritenuta infondata dalla Corte
costituzionale  con  ordinanza  n. 213  del  1992,  ma  ritiene che i
successivi  interventi  della Corte in materia (vengono espressamente
richiamate  le  sentenze  n. 98  del  1996 e n. 530 del 1995) rendano
necessario un nuovo scrutinio di costituzionalita';
        che  nel  giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio
dei  Ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,   chiedendo  che  la  Corte  dichiari  la  questione  proposta
inammissibile  e  comunque  non  fondata  in  base  al  rilievo  che,
contrariamente  a  quanto affermato dal giudice a quo, l'orientamento
espresso  dalla  Corte  nell'ordinanza  n. 213 del 1992 sarebbe stato
ribadito   nella   piu'  recente  sentenza  n. 265  del  1994  e  non
contraddetto dalle successive pronunce.
    Considerato  che  successivamente  all'ordinanza di rimessione la
fattispecie oggetto di contestazione suppletiva nel giudizio a quo e'
stata trasformata in illecito amministrativo dall'art. 29 del decreto
legislativo  30  dicembre  1999,  n. 507  (Depenalizzazione dei reati
minori  e  riforma  del  sistema  sanzionatorio), in attuazione degli
artt. 1 e 8 della legge 25 giugno 1999, n. 205 (Delega al Governo per
la  depenalizzazione dei reati minori e modifiche al sistema penale e
tributario);
        che   pertanto   occorre   restituire  gli  atti  al  giudice
rimettente affinche' verifichi se la questione sia tuttora rilevante.