ha pronunciato la seguente


                              Ordinanza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 228 del regio
decreto  16  marzo  1942,  n. 267  (Disciplina  del  fallimento,  del
concordato   preventivo,  dell'amministrazione  controllata  e  della
liquidazione  coatta amministrativa), e dell'art. 1 del decreto-legge
30  gennaio  1979, n. 26 (Provvedimenti urgenti per l'amministrazione
straordinaria   delle  grandi  imprese  in  crisi),  convertito,  con
modificazioni,  nella  legge  3  aprile  1979,  n. 95,  promosso  con
ordinanza emessa il 18 novembre 1998 dalla Corte di appello di Napoli
nel procedimento penale a carico di De Luca Flavio ed altri, iscritta
al  n. 402  del  registro  ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale  della  Repubblica  n. 29,  prima serie speciale, dell'anno
1999;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
Ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 22 marzo 2000 il giudice
relatore Annibale Marini;
    Ritenuto  che la Corte di appello di Napoli, con ordinanza del 18
novembre   1998,   ha  sollevato,  in  riferimento  all'art. 3  della
Costituzione,  questione di legittimita' costituzionale dell'art. 228
del  regio  decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento,
del  concordato  preventivo, dell'amministrazione controllata e della
liquidazione  coatta amministrativa), e dell'art. 1 del decreto-legge
30  gennaio  1979, n. 26 (Provvedimenti urgenti per l'amministrazione
straordinaria   delle  grandi  imprese  in  crisi),  convertito,  con
modificazioni, nella legge 3 aprile 1979 n. 95;
        che,   ad   avviso   del   giudice   rimettente,   la   norma
incriminatrice  di  cui all'art. 228 della legge fallimentare sarebbe
fonte di una ingiustificata disparita' di trattamento tra il curatore
fallimentare  ed  i  soggetti  ad  esso  equiparati e tutti gli altri
pubblici  ufficiali,  in  quanto  solamente i primi continuerebbero a
rispondere  di  qualsivoglia  presa  di interesse in un atto del loro
ufficio,   mentre  i  secondi  risponderebbero  di  abuso,  ai  sensi
dell'art. 323  del  codice  penale, come modificato dall'art. 1 della
legge  16  luglio  1997,  n. 234,  "solo  in  caso  di  una ingerenza
profittatrice  che  si  concretizzi  in  una violazione di legge o di
regolamento  ovvero  nell'inosservanza di un obbligo di astensione in
presenza  di  un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli
altri  casi prescritti e sia intenzionalmente volta a procurare a se'
o  ad  altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero ad arrecare ad
altri un danno ingiusto";
        che   l'Avvocatura   generale  dello  Stato,  intervenuta  in
giudizio  per  conto  del  Presidente  del Consiglio dei Ministri, ha
concluso   per   la  declaratoria  di  manifesta  infondatezza  della
questione,  in  quanto gia' dichiarata non fondata con sentenza n. 69
del 1999.
    Considerato  che  la  Corte  di  appello  di  Napoli dubita della
legittimita'  costituzionale  delle norme denunciate, con riferimento
all'art. 3   della   Costituzione,   in   quanto   esse   -   secondo
l'interpretazione    datane   dalla   stessa   Corte   rimettente   -
comporterebbero  l'assoggettamento  a sanzione penale del commissario
governativo  nell'amministrazione  straordinaria delle grandi imprese
in   crisi  (in  quanto  equiparato,  ai  fini  penali,  al  curatore
fallimentare)  per  qualsiasi  presa  di interesse in un atto del suo
ufficio, diversamente da quanto previsto per tutti gli altri pubblici
ufficiali  dall'art. 323 cod. pen., che sanziona le condotte di abuso
solo  se  commesse  mediante la violazione di una norma di legge o di
regolamento  ovvero  l'inosservanza  di  un  obbligo  di astensione e
sempre che ne sia derivato un ingiusto vantaggio patrimoniale per se'
o per altri ovvero un danno altrui;
        che la disposizione di cui all'art. 1 del decreto-legge n. 26
del  1979,  abrogata  dal  decreto  legislativo 8 luglio 1999, n. 270
(Nuova  disciplina  dell'amministrazione  straordinaria  delle grandi
imprese  in  stato  di insolvenza, a norma dell'art. 1 della legge 30
luglio  1998,  n. 274), nella parte censurata dal rimettente e' stata
sostanzialmente    riprodotta   nell'art. 96   del   citato   decreto
legislativo;
        che identica questione, sollevata anche dallo stesso giudice,
e' stata dichiarata non fondata, con sentenza n. 69 del 1999, in base
alla  considerazione  che  l'art. 228  della  legge fallimentare deve
essere  interpretato nel senso che la presa di interesse del curatore
fallimentare   (e   degli  altri  soggetti  ad  esso  equiparati)  e'
sanzionata  penalmente  solamente  in quanto sia contrastante con gli
interessi  tutelati dalla procedura, restando estranee all'area della
rilevanza  penale  tutte  quelle  ipotesi in cui si realizzi una mera
coincidenza  tra i vantaggi privati e gli interessi dell'ufficio o in
cui  comunque l'interesse privato del pubblico ufficiale non risulti,
in concreto, rivolto a perseguire un vantaggio personale che si ponga
in   contrasto   con  le  finalita'  delle  procedure  concorsuali  o
dell'amministrazione straordinaria;
        che  nell'ordinanza  di  rimessione  non  vengono prospettati
profili  nuovi  o  diversi  che  possano  indurre  questa Corte ad un
riesame  della  questione,  che pertanto va dichiarata manifestamente
infondata.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
innanzi alla Corte costituzionale.