IL TRIBUNALE Letti gli atti del presente procedimento penale nei confronti di Zaccagni Nicola, nato a Bari il 26 giugno 1937 e residente in Nichelino (Torino), via San Vincenzo De Paoli n. 47, contro cui si procede per il reato di cui all'art. 570 c.p.; Esaminata la richiesta di archiviazione avanzata dal Pubblico Ministero; O s s e r v a 1/2.1. - Risulta che, con dichiarazione formulata il 5 agosto 1999, la persona offesa Recrosio Bruna ha rimesso la querela precedentemente presentata nei confronti dell'indagato ed in relazione al delitto di cui all'art. 57 c.p. Non consta per contro alcuna accettazione di detta remissione da parte del querelato Zaccagni Nicola, non in forma espressa e neppure in modo tacito, nella misura in cui quest'ultima modalita' di accettazione viene ritenuta ammissibile ed efficace dalla Suprema Corte, dando ad esempio valore al comportamento del querelato che (trattasi dell'unico caso evidenziato dalla giurisprudenza di legittimita': cfr. Cass., sez. V, 17 marzo 1982, n.286, nonche' Cass., sez. VI, 22 novembre 1980, n. 12298), "venuto a conoscenza della remissione effettuata dal querelante, si astenga dall'esprimere la sua volonta' contraria". Nel caso di specie il reato per cui si procede deve pertanto, in conformita' alla richiesta avanzata dell'organo requirente, essere dichiarato estinto ai sensi dell'art. 152 c.p., posto che, anche qui in conformita' all'indirizzo giurisprudenziale di legittimita' (Cass., sez. IV, 5 dicembre 1986, n. 13699, nonche', in termini collimanti, Cass., sez. II, 21 luglio 1986, n. 7568), "per l'efficacia giuridica della remissione di querela non e' necessaria l'accettazione, essendo sufficiente che da parte del querelato non vi sia un rifiuto espresso o tacito della remissione stessa". Consequenziale alla declaratoria di avvenuta estinzione del reato per la causa dianzi evidenziata, si impone inoltre la statuizione in merito all'accollo delle spese processuali. Sotto tale profilo, attesi oltre tutto l'epoca in cui e' intervenuta detta remissione (successiva all'entrata in vigore della legge 25 giugno 1999, n. 205), l'assenza (ovvia, non essendo stata la persona sottoposta ad indagini interpellata in alcun modo) di qualsivoglia accordo contrario tra le parti, il soggetto obbligato va individuato non altrimenti che in detta persona (e cioe' nel querelato), in conformita' alla previsione dell'attuale testo dell'art. 340, comma 4, c.p.p. 1/2.2. - Nella sua originaria formulazione la norma de qua (come del resto l'art. 14, comma 4 del codice di rito previgente, nonche' l'art. 161, comma 1 del codice del 1913) prevedeva invece, quale conseguenza naturale del negozio processuale di remissione e fatta salva l'ipotesi di una diversa convenzione sul punto tra le parti, che le spese in parola gravassero sul soggetto remittente. Siffatta previsione (che, tra l'altro e come si e' sopra visto, aveva una sua tradizione storico-normativa) rinveniva la sua ratio (ed aveva altresi' una sua intrinseca ragionevolezza, come appunto gia' osservato dalla Corte costituzionale con sentenza n. 211/1995), nella valenza della remissione di querela, consistente "in una manifestazione di volonta' con la quale la persona offesa dal reato dichiara di non persistere nella richiesta di punizione del reo formulata con la querela stessa; si tratta, in sostanza, di un atto di revoca della querela che, se accettato dal querelato, fa cessare l'azione penale iniziatasi in seguito all'esercizio del diritto di querela, determinando, di riverbero, l'estinzione del diritto di punire e quindi del reato. In questi termini era "del tutto logico che, cessando l'azione penale per un atto di volonta' del querelante, il costo del processo" fosse "sopportato da chi" aveva "reso necessaria l'attivita' del giudice ed" aveva "percio' dato occasione alle spese per il suo svolgimento ... Il fondamento della responsabilita' del remittente per le spese processuali" era pertanto la conseguenza di "una libera e personale scelta della persona offesa dal reato che, rendendo inutile per la collettivita' ogni accertamento sui fatti denunciati, e pertanto ingiusto ogni onere conseguente, non" poteva "che assumere su di se' ogni responsabilita' in ordine alle spese di procedimento" (sentenza citata, in motivazione). Detto per inciso, argomentazioni sostanzialmente analoghe erano state formulate dalla suprema Corte di Cassazione: "la condanna alle spese processuali deriva dalla soccombenza ed e' un'applicazione del principio di casualita'. Per i reati perseguibili a querela, le spese del procedimento, salvo patto contrario, vanno poste a carico del remittente che, manifestando con la querela la volonta' punitiva, ha provocato l'inizio del procedimento, impedendone poi, con la remissione, la conclusione" (Cass., sez. I, 7 dicembre 1994, n. 4875). 1/2.3. - Come evidenziato nella chiusa del 1/2.1., ed in conseguenza (per effetto dell'art. 13 della legge 205/1999) dell'intervenuta novella della norma in parola, all'attualita' in caso di remissione di querela e salvo diversa convenzione tra le parti, "le spese del procedimento sono a carico del querelato". Nulla quaestio qualora alla remissione sia seguita una accettazione, espressa o tacita, da parte del querelato; in tale ipotesi puo' infatti presumersi che quest'ultimo, reso edotto dell'intenzione della controparte e ritenuto di aderirvi, abbia altresi' prestato acquiescenza alla conseguenza di carattere patrimoniale (appunto l'accollo a suo carico delle spese del procedimento) discendente ope legis, e cioe' all'imputazione soggettiva ex latere debitoris ad esso querelato (e non piu' al querelante remittente) del credito al rimborso di dette spese sostenute (in quanto anticipate) dall'erario dello Stato. Perplessita' sorgono invece nel caso (qui ravvisabile) di intervenuta remissione rispetto alla quale non consti alcuna accettazione, espressa o tacita. Aderendo al tenore testuale del primo comma dell'art. 155 c.p., nonche' all'interpretazione che di tale norma da' la giurisprudenza di legittimita' (citata sempre al 1/2.1.), il reato per cui si procede e' da reputare comunque estinto; in via consequenziale, si impone l'accollo delle spese di procedimento all'indagato-querelato. Peraltro quest'ultimo non ha (o comunque non risulta che abbia) avuto modo di venire a conoscenza dell'intervenuta remissione. L'accollo in questione si determinerebbe (e sarebbe giudizialmente disposto) a sua insaputa, senza che l'interessato sia stato messo in condizione di determinarsi in merito, eventualmente aderendo sic et simpliciter alla remissione del querelante con automatico accollo, oppure sollecitando (e se del caso raggiungendo) un diverso accordo sul punto con l'interlocutore, oppure ancora, ed in termini antitetici, ricusando la remissione de qua e cosi' impedendo sia l'estinzione del reato, sia ovviamente (seppure in modo provvisorio) ogni statuizione circa le spese. In tale prospettiva questo giudice ravvisa una violazione del disposto del secondo comma dell'art. 25 della Costituzione, per l'ipotesi che, come contemplato dall'art. 40, comma 4 c.p.p. nel suo testo attuale, al querelato vada fatto carico (in assenza di diverso accordo tra le parti) sempre e comunque l'onere delle spese processuali, in caso di intervenuta remissione di querela ed anche allorquando a quest'ultima non abbia fatto seguito la sua accettazione. Difatti, da un lato l'accollo de quo si traduce in una statuizione (sostanzialmente di condanna) avente (proprio perche' pregiudizievole per la sfera patrimoniale dell'interessato) una portata deteriore e negativa per il soggetto nei cui confronti e' indirizzata, e dall'altro, venendo tale statuizione ad incidere su di una posizione soggettiva del destinatario, preliminarmente alla stessa deve essere assicurato a quest'ultimo l'esercizio di un proprio diritto di difesa (calato nella fattispecie, altrimenti dicasi la possibilita' di determinarsi causa cognita secondo le varie alternative, come sopra evidenziato) nell'alveo del relativo iter procedimentale e (venendo messo nella condizione di interloquire nella dialettica processuale) nella formazione degli atti che determinano il successivo atteggiarsi del processo e la portata delle eventuali decisioni. Qualora cio' non accada (e, come si e' visto, puo' anche del tutto ritualmente non accadere, allo stato attuale della normativa e dell'interpretazione giurisprudenziale), fermo restando l'impregiudicato diritto dell'erario dello Stato di ripetere le spese anticipate, queste ultime vanno per forza di cose poste a carico del querelante-remittente anziche' del querelato-indagato, cosi' recuperando lo spirito informatore della legislazione previgente, esposto al 1/2.2. ed avente una sua incontestabile logicita'. Possono ancora oggi riprodursi (sia pure mutatis mutandis ed a termini processuali invertiti) le parole adoperate dalla Corte costituzionale nella parte motiva della propria sentenza 211/1995, a sostegno della costituzionalita' dell'originaria formulazione dell'art. 340, comma 4 c.p.p.: "la circostanza che la stessa disposizione impugnata consenta che la regolamentazione delle spese possa essere oggetto di privato accordo tra remittente e querelato, mette in luce ancor piu' chiaramente la sostanziale liberta'" (che nel caso di specie non puo' vedersi riconosciuta all'indagato) "del processo deliberativo dell'interessato" (all'epoca il remittente, adesso il querelato) "in ordine alla remissione o meno della querela" (ora, della accettazione tout court della remissione, oppure della ricusazione di quest'ultima), "e, nel contempo, rende paritaria" (come non e', almeno nel caso che qui viene in rilievo e nel senso dianzi prospettato), "anche su questo punto, la posizione del querelante e quella del querelato in ordine alla remissione ed alla accettazione della medesima". Viene pertanto sollevata la questione di illegittimita' costituzionale, per contrarieta' all'art. 25, comma 2 della Costituzione, dell'art. 340, comma 4 c.p.p., cosi' come novellato dall'art. 3 della legge n. 205/1999, nella parte in cui lo stesso, per l'ipotesi di mancata accettazione espressa o tacita (da intendersi come assenza di manifestazione di volonta' in tal senso, e non di ricusazione) della remissione di querela, pone le spese del procedimento a carico del querelato in vece del remittente.