IL TRIBUNALE

    Letti  gli  atti  del proc. n. 719/99 RLPA sciogliendo la riserva
  formulata  in  via  preliminare visto l'art. 151 disp. att. c.p.c.,
  dispone  la riunione alla presente causa delle nn. 720/99 e 842/99,
  per identita' delle questioni di diritto da risolvere ai fini della
  decisione;
    Premesso:
        che  i  ricorrenti Irde Salvatore, Ghiani Eliana Maria, Orru'
  Vanda,  rappresentati  e  difesi  dall'avv. Cesare Tola per procura
  alle   liti  a  margine  dei  ricorsi  introduttivi  del  giudizio,
  convenivano  in  giudizio  davanti l'intestato ufficio il Ministero
  degli interni, in persona del Ministro pro-tempore, rappresentato e
  difeso   per   legge  dall'Avvocatura  dello  Stato,  e  l'Istituto
  nazionale  della  previdenza  sociale, sede di Oristano, in persona
  del legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso dagli
  avv.ti  Salvatore  Bonesu  e  Maria  Francesca  Lallai  in forza di
  procure  generali  alle  liti rogate dal notaio F. Lupo in Roma, in
  data 7 ottobre 1993 e 3 gennaio 1994;
        che i ricorrenti chiedevano la corresponsione degli interessi
  legali   sulle   somme   percepite   a   titolo  di  indennita'  di
  accompagnamento, corrisposte per effetto delle sentenze del pretore
  di  Oristano  indicate nei rispettivi ricorsi, e allegate agli atti
  in copia;
        che  il  Ministero  degli  interni si costituiva in giudizio,
  eccependo il difetto di mora nell'erogazione della prestazione (per
  Irde  e  Orru')  e  il  difetto  di legittimazione passiva, a norma
  dell'art. 130   decreto   legislativo  31 marzo  1998  n. 112  (per
  Ghiani);
        che  l'INPS  si  costituiva  in giudizio eccependo il proprio
  difetto di legittimazione passiva e l'illegittimita' costituzionale
  dell'art. 112  decreto del Presidente della Repubblica n. 112/1998,
  per i motivi di cui alle note depositate in data 2 dicembre 1999;
    Rilevato:
        che  l'art. 130,  decreto  legislativo 31 marzo 1998, n. 112,
  nonche' gli artt. 11, legge 24 dicembre 1993, n. 537, 3, comma 5, e
  6,  comma  4,  decreto del Presidente della Repubblica 21 settembre
  1994, n. 698, appaiono contrastare, per i motivi che ci si appresta
  ad esporre, con gli artt. 3, 38, 76, 97 della Costituzione;
    Letti  e  applicati  gli artt. 134 Cost., 295 codice di procedura
  civile,  23,  secondo  comma,  legge  11 marzo 1953, n. 87, solleva
  questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  130 decreto
  legislativo  31 marzo  1998 n. 112, dell'art. 11, legge 24 dicembre
  1993,  n. 537,  degli  artt.  3, comma 5, e 6, comma 4, decreto del
  Presidente  della  Repubblica  21 settembre  1994,  n. 698,  per  i
  seguenti  motivi, rilevanza della questione ai fini della decisione
  sul merito.
    Le   norme   in   esame   individuano   il  soggetto  legittimato
  all'erogazione  delle  prestazioni economiche previste a favore dei
  minorati  e  degli  invalidi civili. Soggetto, che, a seguito della
  riforma introdotta dall'art. 11 legge 24 dicembre 1993, n. 537, dal
  decreto del Presidente della Repubblica 21 settembre 1994, n. 698 e
  quindi,  a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 156
  del   1996,   dalla  legge  15 marzo  1997,  n. 59  e  dal  decreto
  legislativo  31 marzo  1998,  n. 112,  non coincide piu' con quello
  competente per l'accertamento dei requisiti sanitari.
     L'art. 130,   decreto  legislativo  n. 112/1998  individua  tale
  soggetto  nell'INPS,  che  peraltro nel presente giudizio contesta,
  almeno  in  relazione  a  provvedimenti  aventi  effetti  economici
  anteriori al 3 settembre 1998 (data di entrata in vigore del citato
  decreto  legislativo) tale legittimazione; legittimazione parimenti
  disconosciuta  dal  Ministero  degli  interni,  sul presupposto che
  l'art. 130  ha  trasferito  in  toto  la  funzione  erogativa delle
  prestazioni economiche all'INPS e alle regioni.
    Appare pertanto evidente la rilevanza della questione ai fini del
  giudizio,  essendo  ovvio  che la legittimita' costituzionale delle
  norme  censurate  e'  questione  logicamente  antecedente  la  loro
  interpretazione  ai  fini della determinazione della legittimazione
  passiva  nei procedimenti in questione; soprattutto alla luce della
  contestazione,  per  i  motivi  che si vedranno, della legittimita'
  costituzionale  del  meccanismo  di  ripartizione di competenze tra
  ente accertatore e ente erogatore dei benefici in questione.
             Non manifesta infondatezza della questione
    Le  norme  calendate appaiono violare, in modo non manifestamente
  destituito  di  fondamento, le norme della Costituzione relative al
  trasferimento  della  funzione  normativa  primaria  al Governo, al
  principio di eguaglianza e ragionevolezza, al principio di garanzia
  ai  minorati  civili  dei  mezzi  necessari per le loro esigenze di
  vita,    al    principio    di    efficienza   e   buon   andamento
  dell'organizzazione amministrativa.
    Premesso che i capi che seguono, eccetto quello A, si riferiscono
  al  combinato  disposto delle norme richiamate, i motivi di censura
  sono i seguenti:
        A) Eccesso   di   delega  dell'art. 130  decreto  legislativo
  n. 112/1998 (art. 76 della Costituzione).
    L'art. 130  decreto  legislativo n. 112/1998 attribuisce all'INPS
  la funzione di erogazione delle prestazioni economiche previste per
  gli  invalidi  civili,  istituendo presso l'ente un fondo apposito,
  nonche'  la  legittimazione  nei  "procedimenti  giurisdizionali ed
  esecutivi"  aventi ad oggetto le prestazioni medesime. Cio' laddove
  dette  prestazioni  non  vengano previste e concesse dalle regioni.
  Tale  attribuzione  trova espressa conferma nell'art. 131, comma 1,
  del medesimo decreto.
    Detta  attribuzione  di  funzioni e' pero' viziata, ad avviso del
  tribunale remittente, da evidente carenza di potere del Governo per
  eccesso  di  delega:  gli  artt. 1-10 della legge delega n. 59/1997
  contemplano difatti la possibilita' del conferimento delle funzioni
  in questione esclusivamente ad enti locali, e segnatamente regioni,
  provincie,  comuni,  comunita'  montane  (e  altri enti locali). Da
  nessuna   delle   disposizioni   richiamate   puo'   evincersi   la
  possibilita'  del  conferimento di tali funzioni ad enti diversi, e
  tantomeno  all'INPS.  Che  poi  l'lNPS  non  abbia  natura di "ente
  locale" e' rilievo talmente evidente da rendere ogni argomentazione
  in merito offensiva del prestigio della Corte adita.
    Poiche',  a  mente  dell'art. 76 della Costituzione, "l'esercizio
  della  funzione  legislativa non puo' essere delegato al governo se
  non  con determinazione di principi e criteri direttivi, e soltanto
  per tempi limitati e per oggetti definiti", appare evidente come il
  conferimento    delle    funzioni    in    esame    all'INPS    sia
  costituzionalmente  illegittimo, difettando nella legge delega ogni
  previsione in tal senso.
    La  questione  e'  stata peraltro gia' sollevata dal "giudice del
  lavoro  e  della previdenza sociale di primo grado del tribunale di
  Prato",  nel  corso  del  procedimento n. 1397/1998 tra Magni Ada e
  l'lNPS,  con  ordinanza  resa  in  data  23 novembre  1999  e  gia'
  trasmessa  alla Corte costituzionale, e della quale si confermano i
  rilievi;
        B) Violazione dei principi di eguaglianza e di ragionevolezza
  (art. 3 della Costituzione).
    Il meccanismo di separazione, previsto dalle norme censurate, tra
  fase  di  accertamento dei requisiti sanitari e fase di concessione
  dei benefici economici, di competenza di enti diversi e comportanti
  distinti  procedimenti  amministrativi, e, spesso, giurisdizionali,
  appare violare il principio di eguaglianza, in quanto determina una
  grave  disparita'  di  trattamento  tra  soggetti  beneficianti  di
  prestazioni  accertate  e  liquidate dal medesimo ente (come quelli
  erogati  direttamente  dall'INPS: assegno di invalidita' e pensione
  di  inabilita')  e  i  minorati  ed invalidi civili, ai quali viene
  imposta  una procedura molto piu' complessa ed onerosa, comportante
  oneri, costi, disagi, tempi di attesa ben superiori.
    E  cio'  senza alcuna accettabile ragione giustificativa, essendo
  identiche  le  finalita'  attribuite  alle  prestazioni erogate (il
  provvedere alle esigenze di vita connesse ad uno stato di bisogno).
    Invero,  non  e'  dato  rinvenire  nelle norme in questione alcun
  apprezzabile  vantaggio  del  sistema  bipartito  rispetto a quello
  unificato  vigente nel periodo anteriore alla legge n. 537/1993: la
  superfetazione procedimentale imposta dalla bipartizione, lungi dal
  rappresentare  una  razionalizzazione del sistema di erogazione dei
  benefici,  si  e'  di  fato  tradotta  (e cio', si osserva, era ben
  prevedibile  sin  dai  primordi)  in  un aggravio di tempi, costi e
  procedure tanto per la pubblica amministrazione, oberata del carico
  di   lavoro   conseguente,  quanto  per  gli  aventi  diritto  alle
  prestazioni, per i motivi visti.
    Ne'   appare   possibile   sostenere,  ad  avviso  del  tribunale
  remittente,  che  si  e'  in  presenza  di  una  scelta prettamente
  politica del legislatore, come tale insindacabile.
    La  disciplina  della  bipartizione  appare  difatti  violare  il
  principio  di  ragionevolezza,  in  quanto  viziata  da un'evidente
  contraddittorieta'   tra   la   prescrizione  di  razionalizzazione
  contenuta    nell'art. 11    legge   n. 537/1993,   che   prevedeva
  espressamente,  alla lettera A del primo comma, la "semplificazione
  dei procedimenti" in subiecta materia, e la successiva prescrizione
  in  ordine  alla  "distinzione  del  procedimento  di  accertamento
  sanitario   dal  procedimento  di  concessione  delle  provvidenze"
  (lettera B), come successivamente tradottasi nelle richiamate norme
  del decreto del Presidente della Repubblica n. 698/1994, cui rinvia
  l'art. 130 del decreto legislativo n. 112/1998.
    La   separazione   tra   fasi  di  accertamento  e  liquidazione,
  comportando una notevole complessificazione della procedura, appare
  del   tutto   contraddittoria   con   la  menzionata  direttiva  di
  semplificazione, e dunque irragionevole e in contrasto con l'art. 3
  della Costituzione;
        C) Violazione  del  principio di garanzia dei mezzi necessari
  per  le  esigenze di vita degli invalidi e minorati civili (art. 38
  della Costituzione).
    Le   norme   censurate   appaiono   lesive   dell'art. 38   della
  Costituzione  in  quanto, determinando una notevole dilatazione dei
  tempi   necessari  per  il  conseguimento  delle  provvidenze  agli
  invalidi  civili,  ne  vanificano  la  funzione, costituzionalmente
  sancita,  di rimedio allo stato di necessita' determinato da motivi
  di  salute.  Le  provvidenze agli invalidi difatti, con particolare
  riferimento  all'indennita' di accompagnamento, vengono concesse in
  presenza  di gravi situazioni di bisogno, nelle quali e' necessario
  che  la  prestazione,  per assolvere ai suoi compiti, venga erogata
  senza ritardo.
    La  normativa  sulla bipartizione invece, comportando un notevole
  aumento dei tempi necessari per il conseguimento della prestazione,
  si  pone  in  insanabile  contrasto col precetto costituzionale, in
  quanto  svilisce  la  funzione  della provvidenza, che viene non di
  rado erogata dopo il decesso dell'avente diritto.
    Orbene,  la  Corte costituzionale ha avuto modo di precisare, con
  la  sentenza  n. 33  del  1974,  che  l'art. 38  della Costituzione
  "attiene  all'adeguamento dei mezzi di carattere previdenziale alle
  esigenze  di  vita  dell'infortunato,  piuttosto che alle modalita'
  necessarie   a   conseguirli,   a  meno  che  esse  siano  tali  da
  comprometterne  il conseguimento"; e nel caso di specie si verifica
  l'evento   paventato  dalla  Corte  stessa:  la  prestazione  viene
  concessa   dopo   un   tale   intervallo   di   tempo  da  renderla
  sostanzialmente inutile;
        C)  Violazione  del  principio di efficienza e buon andamento
  dei pubblici uffici (art. 97 della Costituzione).
    L'irrazionale  e  farraginosa  disciplina  della  concessione dei
  benefici  agli invalidi appare lesiva del principio di efficienza e
  buon    andamento    dei    pubblici   uffici,   che   impone   una
  razionalizzazione   dei   procedimenti   amministrativi   tale   da
  consentirne  una  sollecita  definizione.  Le  norme  censurate  si
  collocano   agli  antipodi  di  tale  finalita',  polverizzando  le
  competenze  in  materia  tra  diversi  enti,  che  non  sono  posti
  efficacemente  in  grado  di  coordinare  le  rispettive attivita';
  l'ente  erogatore,  ad esempio, non ha titolo per agire e resistere
  nei  procedimenti  in  cui  e' parte l'ente accertatore, sebbene le
  decisioni  assunte nei confronti di quest'ultimo si riverberino nei
  suoi confronti.
    L'ente  accertatore  non  e'  a sua volta in grado di intervenire
  sulle  procedure  di  liquidazione,  nel  corso delle quali possono
  essere  sollevate questioni (ad esempio, sui requisiti di carattere
  reddituale,  o  contributivo)  che  non  potevano  essere esaminate
  anteriormente   (vertendo   la   fase  di  accertamento,  che  vede
  legittimato  il Ministero del tesoro, sui soli requisiti sanitari),
  e  che  si  traducono  in  un  ulteriore  dilatazione  dei tempi di
  procedura,   quando  non  in  vero  e  proprio  spreco  di  risorse
  pubbliche:  si  pensi  al  caso,  tutt'altro  che  accademico,  del
  soggetto  cui vengano riconosciuti i requisiti sanitari, e a cui in
  seguito  non  venga  corrisposta  la  prestazione  per  carenza dei
  requisiti contributivi o reddituali. In simili casi appare evidente
  come  la fase relativa agli accertamenti sanitari sia risultata del
  tutto  inutile,  traducendosi in un irrazionale dispendio di tempi,
  mezzi  e  risorse.  Risultato,  questo,  che  evidentemente  non si
  produrrebbe  qualora  le  funzioni  di  accertamento  ed erogazione
  fossero accentrate in un unico ente.
    Appare  dunque  evidente  come  la  normativa censurata confligga
  nella  sua  irrazionalita',  anche  per  i  motivi  di  cui ai capi
  precedenti,  col  principio  di buon andamento dei pubblici uffici:
  non  perche',  come  sovente  accade, si tratti di norme valide non
  correttamente  interpretate  o  applicate,  ma perche' e' la stessa
  irrazionalita'  delle norme che conduce fatalmente alle conseguenze
  lamentate.