Ricorso   della   regione   Veneto,  in  persona  del  presidente
  pro-tempore    della   Giunta   regionale,   autorizzato   mediante
  deliberazione  della  Giunta  stessa  n. 792 in data 10 marzo 2000,
  rappresentata  e  difesa,  per mandato a margine del presente atto,
  dagli  avv.ti  prof.  Mario  Bertolissi  del foro di Padova e Luigi
  Manzi  del foro di Roma, elettivamente domiciliata presso lo studio
  dell'avv. Luigi Manzi, in Roma, via F. Confalonieri n. 5;
    Contro  la  Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del
  Presidente in carica, per regolamento di competenza in relazione:
        all'atto  di  appello  6  aprile  1991, proposto dal pubblico
  ministero  presso  il  tribunale  di Belluno avverso la sentenza 26
  marzo  1991,  pronunciata  dal  giudice per le indagini preliminari
  presso  il  tribunale  di  Belluno,  di assoluzione del consigliere
  regionale Ettore Beggiato.

                              F a t t o

    1. - La  vicenda  di cui qui si tratta, della quale la regione e'
  venuta  solo  ora  a conoscenza, riguarda fatti risalenti, tutt'ora
  rimessi al sindacato del giudice penale.
    Infatti, con esposto-denuncia del 29 novembre 1990 il consigliere
  regionale  Ettore  Beggiato  ebbe  a  segnalare  alla procura della
  Repubblica  presso  il  tribunale  di  Belluno  il  susseguirsi  di
  occupazioni    abusive   di   edifici   da   parte   di   cittadini
  extracomunitari,  alcuni  dei quali privi di permesso di soggiorno,
  ed  ebbe  a chiedere, altresi', l'accertamento di responsabilita' a
  carico del prefetto, per non aver emesso decreto di espulsione, ove
  simile comportamento omissivo avesse costituito reato (doc. 1).

    Archiviata la notitia criminis, la procura della Repubblica apri'
  un  procedimento  penale  a  carico  del  consigliere  Beggiato per
  calunnia  nei  confronti  del  prefetto  di  Belluno,  procedimento
  definito,  con l'assoluzione del primo, dal giudice per le indagini
  preliminari con sentenza 26 marzo 1991 (doc. 2).
    Con  atto  d'appello  6 aprile  1991, la procura della Repubblica
  presso  il  tribunale  di  Belluno  interpose gravame (doc. 3), nei
  confronti del quale e' diretto l'odierno conflitto di attribuzioni.

    2. - Naturale  -  dato  un simile contesto - che la regione abbia
  ritenuto  "l'iniziativa  dell'Autorita'  giudiziaria" incidente "in
  via  diretta  sull'autonomia  di un consigliere regionale ed in via
  mediata  sulla  stessa autonomia costituzionalmente garantita della
  regione,  violando  gli  artt. 121, 122 e 123 della Costituzione e,
  piu'  in  generale. il principio secondo il quale l'esercizio delle
  funzioni  di  consigliere  regionale  non  puo' essere sindacato da
  organi   giurisdizionali"   ricorrendone   -  come  ricorrono  -  i
  presupposti  di  cui all'art. 122, quarto comma, della Costituzione
  (doc. 4).

                            D i r i t t o

    1. - Non  v'e'  dubbio  che,  ove si considerino testi e contesti
  della  vicenda  di  cui trattasi, la fattispecie poc'anzi descritta
  configura  la  piu' classica delle violazioni dell'art. 122, quarto
  comma  Cost.,  secondo  cui  "i  consiglieri  regionali non possono
  essere  chiamati  a  rispondere  delle opinioni espresse e dei voti
  dati  nell'esercizio delle loro funzioni": in analogia con cio' che
  dispone - peraltro in una piu' ampia prospettiva - l'art. 68, primo
  comma Cost., per i parlamentari nazionali.
    Infatti,  nel  caso  in questione e' stata violata "la piu' ampia
  liberta'  di  valutazione  e di decisione" (per dirla con Martines,
  Diritto costituzionale, Milano, 1994, p. 294) riservata ad un tempo
  al  membro  del  Parlamento  e  del  Consiglio  regionale:  ne'  il
  consigliere  di  cui  trattasi  ha  "commesso  un  fatto materiale"
  (op. cit., p. 294), senz'altro perseguibile in sede penale.
    E'   evidente,   altresi',  come,  attraverso  la  lesione  delle
  prerogative  stabilite  dall'art. 122,  quarto  comma,  siano state
  violate  ulteriori  disposizioni  della  Costituzione: quelle degli
  artt. 121 e 123, poiche' l'alterazione delle attribuzioni accordate
  dalla  legge  fondamentale  al  consigliere  regionale  che esprime
  opinioni  e  da'  i  voti  si  riverbera sull'intera organizzazione
  dell'ente   e  sull'esercizio  delle  relative  funzioni,  entrambi
  costituzionalmente protetti.

    2. - Per  rendersi  conto  della  fondatezza  dell'assunto, basta
  considerare,  infatti,  il contenzioso costituzionale cui ha finora
  dato   luogo  l'applicazione  dell'art. 122,  quarto  comma,  della
  Costituzione.  Stando  ad  esso, ci si avvede che, pregiudiziale ad
  ogni  pronuncia,  e'  stato il confronto di "tale norma con le piu'
  ampie  guarentigie  concesse  ai membri del Parlamento dall'art. 68
  della    Carta".    Dette    guarentigie,    "eccezionali   deroghe
  all'attuazione    della   funzione   giurisdizionale,   considerate
  necessarie  a  salvaguardia  dell'esercizio  delle funzioni sovrane
  spettanti  al  Parlamento,  risultano  legittime  in quanto sancite
  dalla Costituzione.
    Le  attribuzioni  dei  consigli  regionali si inquadrano, invece,
  nell'applicazione di autonomie costituzionalmente garantite, ma non
  si  esprimono a livello di sovranita'" (Corte cost., sent. 25 marzo
  1975, n. 81, in Giur. Cost., 1975, p. 786).
    Questa  prima significativa precisazione e' stata successivamente
  ripresa  ed  ancor  meglio  ribadita  dal  giudice dei conflitti di
  attribuzione,  la'  dove  ha  affermato che "invero la guarentigia"
  delle opinioni espresse e dei voti dati "dai consiglieri regionali,
  nel  sistema  costituzionale, trae fondamento e trova il suo ambito
  in  un  determinato  modello  di  funzioni  dei consigli regionali,
  ritenuto   meritevole   e   bisognoso   della  tutela  privilegiata
  apprestata dall'art. 122, comma 4, della Costituzione. L'esonero da
  responsabilita'   dei   componenti   dell'organo   (sulla  scia  di
  consolidate  giustificazioni  dell'immunita' parlamentare) e' vista
  funzionale   alla   tutela   delle   piu'   elevate   funzioni   di
  rappresentanza   politica,   in  primis  la  funzione  legislativa,
  volendosi  garantire  da  qualsiasi interferenza di altri poteri il
  libero processo di formazione della volonta' politica".
    E  codesta  Corte  ha  aggiunto  -  significativamente  - che "la
  giustificazione razionale della guarentigia poggia, pertanto, sulla
  corrispondenza  fra  il  livello  costituzionale  della guarentigia
  stessa,  ed  il livello costituzionale del tipo di funzioni, il cui
  esercizio  si  e'  eccezionalmente  ritenuto opportuno sottrarre al
  controllo   giudiziario.  Quello  che  la  Costituzione  ha  inteso
  proteggere,  con disposizioni derogatorie rispetto al comune regime
  di  responsabilita',  e'  un  modello funzionale che essa stessa ha
  delineato   ed   appunto  percio'  ha  potuto  valutare  meritevole
  dell'eccezionale  protezione"  (Corte  cost.,  sent. 20 marzo 1985,
  n. 69, in Giur. cost., 1985, pp. 493-494).
    Dunque   -  ha  precisato  la  Corte  -  "la  carenza  di  potere
  giurisdizionale   si  traduce  ...  in  un'alterazione  dell'ordine
  costituzionale delle competenze, posto che la pretesa di esercitare
  poteri  siffatti  comporta  l'invasione  della  sfera  di autonomia
  costituzionalmente   riservata   alla   regione   ...   alla  quale
  esclusivamente  spetta  l'esercizio delle funzioni che i magistrati
  hanno  inteso  condizionare"  (Corte  cost.,  sent.  20 marzo 1985,
  n. 70, in Giur. cost. 1985, n. 516).

    3. - A ben vedere, sono i postulati dell'eguaglianza a fondare il
  sistema  delle  guarentigie dei consiglieri regionali, postulati di
  cui  codesto  ecc.mo  Collegio  si  e'  fatto  interprete quando ha
  sottolineato   la  circostanza  che  "l'ampliamento  della  portata
  dell'immunita'  risultante  dall'ampliamento,  rispetto  al modello
  costituzionale,  delle  funzioni  riservate  al consiglio regionale
  puo'  essere  operato,  ove consentito, soltanto con la legge dello
  Stato, perche' soltanto il legislatore statale puo' assicurare come
  e'   costituzionalmente   necessario,   una  uguale  protezione  ai
  consiglieri  di  tutte  le  regioni  nell'esercizio  delle medesime
  funzioni  e  perche'  soltanto  una  sua scelta sarebbe conforme al
  principio  di  legalita' che regge compiutamente il sistema penale"
  (Corte cost., sent. n. 69/1985, cit., p. 495).
    In  buona  sostanza, la disposizione dell'art. 122, quarto comma,
  della Costituzione va interpretata tenendo conto del fatto:
        a) che essa non e' pienamente assimilabile a quella contenuta
  nell'art. 68,  primo  comma, della Costituzione, dal momento che le
  immunita'  dei  membri  del  Parlamento  ineriscono alla sovranita'
  dello Stato, di cui il Parlamento stesso e' organo;
        b) che  essa esprime, relativamente ai componenti dell'organo
  legislativo    della    Regione,    aspetti    dell'autonomia    di
  quest'ultima ...;
        c) ... la quale non soltanto tollera, ma addirittura implica,
  affinche'  sia  assicurata "una uguale protezione ai consiglieri di
  tutte  le  Regioni"  (Corte costituzionale, sent. n. 69/1985, cit.,
  p. 495),  che  ogni allargamento delle immunita' sia deliberato con
  atto normativo dello Stato.

    4. - Quanto alle fonti abilitate a disciplinare legittimamente le
  immunita'    spettanti    ai   consiglieri   regionali   ai   sensi
  dell'art. 122,  quarto  comma, della Costituzione, codesta Corte ha
  precisato  "la  ratio decidendi della pronuncia del 1975": infatti,
  "l'affermazione  della  insindacabilita'  delle opinioni e dei voti
  dei   consiglieri   regionali   nell'esercizio  della  funzione  di
  organizzazione   interna   dell'organo   non   fa   che  sviluppare
  coerentemente  il  parallelismo  con  le guarentigie dei membri del
  Parlamento, di cui all'art. 68, primo comma, della Costituzione, in
  relazione  al  nucleo  essenziale  comune  e  caratterizzante delle
  funzioni   degli  organi  "rappresentativi"  dello  Stato  e  delle
  Regioni:  accanto  alla  funzione  primaria, quella legislativa, ed
  alla  funzione di indirizzo politico e di controllo, la funzione di
  autoorganizzazione interna, pacificamente riconosciuta al Consiglio
  regionale   al   pari  che  ai  due  rami  del  Parlamento"  (Corte
  costituzionale, sent. n. 69/1985, cit., p. 493).
    Quanto  alle  predette  funzioni  -  da  determinarsi, come si e'
  accennato,  nel  rispetto  delle  esigenze di uniformita' di regime
  giuridico  imposte  dal  principio  costituzionale di eguaglianza -
  esse  debbono  trovare la loro fonte regolatrice nella Costituzione
  oppure  in  un  atto  normativo dello Stato, non dovendosi reputare
  abilitate  a  disciplinare  fattispecie  rilevanti  ai  fini  delle
  immunita'  di  cui  all'art. 122, quarto comma, della Costituzione,
  ne'  la legge regionale e neppure lo Statuto (Corte costituzionale,
  sent.  n. 69 e n. 70/1985. cit.). Ma - quanto alla fonte statutaria
  -  il  carattere  rigido  dell'esclusione  va temperato la' dove si
  consideri la funzione di autoorganizzazione interna.
    5. - Sul   piano   pratico   sono   sorti,   peraltro,   numerosi
  interrogativi  soprattutto  per  guanto riguarda le fonti in cui si
  estrinsecano  le  funzioni  di consigliere regionale, ben potendosi
  articolare, oltre che in atti legislativi, in atti amministrativi.
    In proposito, e' opportuno dare conto degli orientamenti espressi
  da  codesta ecc.ma Corte costituzionale, che rappresentano un punto
  di  arrivo imprescindibile, del quale ci si limita - normalmente ed
  autorevolmente  -  a prendere atto (v., per tutti, Paladin, Diritto
  regionale, Padova, 1992, p. 322 ss.).
    Ebbene,  se  in  un  primo  momento  il  giudice dei conflitti di
  attribuzione    ha   semplicemente   affermato   come   "la   forma
  amministrativa che connota le deliberazioni consiliari... non valga
  ad  escludere  l'irresponsabilita'  di  coloro  che  le  adottarono
  nell'esercizio   di   competenze  spettanti  al  Consiglio"  (Corte
  costituzionale   sent.   n. 81/1975,   cit.,  p. 786)  -  con  cio'
  chiarendo,  comunque,  che  pure  l'attivita' amministrativa, e non
  solo  quella legislativa, puo' essere coperta da immunita' -, in un
  secondo  momento ha precisato che una simile massima "non implicava
  una  affermazione  generale  di  insindacabilita'  in riferimento a
  qualsiasi  atto  consiliare  in  forma amministrativa, bensi', piu'
  specificamente,   l'insufficienza   della   "forma  amministrativa"
  dell'atto  ai  fini  di escludere la guarentigia per atti attinenti
  allo   stato   giuridico   dei   consiglieri,   e   in   definitiva
  all'autoorganizzazione del Consiglio stesso" (Corte costituzionale,
  sent. n. 69/1985, cit., p. 493).
    Di   piu',   e'  proprio  in  riferimento  all'adozione  di  atti
  amministrativi rilevanti ai fini dell'art. 122, quarto comma, della
  Costituzione  che  codesta  Corte  ha  avuto  modo  di precisarne i
  caratteri  relativamente  agli atti che esprimono la giurisdizione,
  essendo   indubbio   "che,  nel  sistema  costituzionale,  funzione
  amministrativa  e  funzione giurisdizionale sono concepite e devono
  svolgersi  in posizione di reciproca separazione" (art. 97, primo e
  secondo  comma,  102, primo comma, 104, primo comma, 113, u.c.). In
  particolare  - ha osservato la Corte nella sentenza n. 150 del 1981
  -  l'art. 113,  u.c.,  della  Costituzione "rinviando alla legge la
  determinazione  degli  organi giudiziari abilitati ad annullare gli
  atti  della  pubblica  amministrazione", "con cio' stesso" "esclude
  che  spetti  alle  autorita' giudiziarie ordinarie di annullare gli
  atti  amministrativi  in  mancanza di una previsione di legge; ed a
  piu'   forte  ragione  comporta  che  tali  autorita'  non  possano
  contrapporsi   o   sovrapporsi   alle   autorita'   amministrative,
  arrogandosi  poteri che per legge vadano esercitati dall'esecutivo,
  in  forme  e  con  procedimenti  prefissati.  Alla  stregua di tali
  principi   deve   (parimenti)   negarsi   che   spetti   ad  organi
  giudiziari ...   dettare  le  linee  dell'indirizzo  amministrativo
  regionale  nella  materia de qua (inquinamento delle acque ...), in
  cio'   sostituendosi   agli   organi   regionali  competenti  nella
  determinazione  sia  degli  strumenti di intervento che dei tempi e
  modi  di  attuazione  di tale indirizzo ed addirittura prescrivendo
  gli  atti  specifici che si ritiene debbano essere adottati" (Corte
  costituzionale, sent. n. 70/1985, cit., p. 516).
    6. - E'  possibile, a questo punto, formulare alcune notazioni di
  sintesi, strumentali ad una migliore rappesentazione e comprensione
  del caso di specie.
    Si   puo'  affermare,  pertanto,  che  l'ambito  di  operativita'
  dell'art. 122,   quarto  comma,  della  Costituzione  (interpretato
  secondo  i  criteri  enunciati)  e'  delimitato,  quanto  al titolo
  normativo:
        a) dalla Costituzione;
        b) dalla legge e dagli atti aventi forza di legge dello Stato
  (non  -  verosimilmente  -  da  atti normativi statali sub-primari,
  quali  i  regolamenti,  quantomeno  la'  dove  si  versi in materia
  penale:  Corte costituzionale, sent. n. 69/1985, cit., p. 495); non
  dalla legge regionale e dallo Statuto.
    Quanto alle funzioni, tale ambito di operativita' riguarda:
        a) la funzione legislativa;
        b) la funzione di indirizzo politico e di controllo;
        c) la funzione di autoorganizzazione interna.
    Le  funzioni suddette possono estrinsecarsi in atti aventi natura
  formalmente:
        a) legislativa;
        b) amministrativa.
    7. - L'ampia  ripresa della giurisprudenza di codesto Collegio ha
  come  scopo  precipuo,  da  un  lato,  di inquadrare nitidamente la
  fattispecie  e,  d'altro  lato, di evitare l'insorgere di equivoci,
  sempre  possibili  quando  rimangono  in  ombra elementi senz'altro
  qualificanti  l'istituto  delle  guarentigie  di  cui all'art. 122,
  quarto comma, della Costituzione.
    Ora,  prescindendo  da  un'indagine  incentrata  sulla  qualifica
  soggettiva dell'autorita' precedente (magistrato penale, magistrato
  investito   dei   giudizi  di  responsabilita'  amministrativa)  ed
  altresi'  dalla  minuta  analisi della tipologia piu' ricorrente di
  funzioni   svolte  dai  consiglieri  regionali,  vale  la  pena  di
  soffermarsi  un  istante  sulla funzione di indirizzo politico e di
  controllo,   cui   codesta   Corte   ha  ricondotto  -  nell'ottica
  dell'art. 122,  quarto  comma,  della  Costituzione  - le attivita'
  ispettive,  quelle  che  si  concretizzano  nella  partecipazione a
  commissioni   di   inchiesta   o   che  si  traducono  comunque  in
  comportamenti  preordinati  al controllo politico (da ultimo, Corte
  costituzionale,   sent.   n. 209/1994),   che   hanno  sicura  base
  costituzionale  (nelle  disposizioni  che  disciplinano la forma di
  governo  nei  suoi  tratti  essenziali),  quindi  svolta  a livello
  statutario  e  di regolamento d'assemblea (s'intende, in ogni caso,
  che  il  titolo normativo che radica l'immunita' e' quello di rango
  costituzionale).
    Pertanto,  vanno riferite alle funzioni de quibus, ad esempio: la
  decisione - squisitamente politica - di prendere in esame oppure no
  un  disegno  o  progetto  di  legge  regionale;  il  giudizio circa
  l'ammissibilita'  dei  referendum  proposti  si'  sulla  scorta  di
  specifiche  leggi  regionali, ma innanzi tutto in ragione di quanto
  dispone  l'art. 123,  primo comma, della Costituzione; le attivita'
  preordinate  alla  approvazione  dei  bilanci e dei piani economici
  della  Regione:  sia quando si estrinsecano in atti di legislazione
  sia  quando  si  svolgono  in forma amministrativa, dal momento che
  concretizzano senz'altro manifestazioni della funzione di indirizzo
  politico;  le  indagini  conoscitive  e le inchieste consiliari, le
  quali  ultime  esprimono  un  "potere connaturato e implicito nelle
  funzioni  spettanti  ai  Consigli  medesimi" (Corte costituzionale,
  sent.  28 aprile  1966,  n. 29,  in  Giur. cost., 1966, I, p. 300).
  Sicche',   quantomeno   in   questo   caso,   la  guarentigia  deve
  considerarsi operante pur in difetto di una clausola costituzionale
  espressa facoltizzante l'istituzione di commissioni di tal genere);
  gli    atti    di    nomina    alle    piu'    importanti   cariche
  dell'amministrazione   regionale  e  pararegionale,  poiche'  nelle
  Regioni  di  diritto  comune  l'autonomia  politica implica che "la
  competenza  consiliare  abbraccia  una  vasta  e  mutevole serie di
  provvedimenti del caso concreto", tra i quali vanno inclusi appunto
  gli  atti  di  nomina  suddetti  (Paladin, Diritto regionale, cit.,
  p. 354).
    Quanto  alla  funzione  di  controllo  attribuita  al  Consiglio,
  l'immunita' si estende ovviamente ad ogni intervento attuato in via
  legislativa  (ad  esempio:  con  legge  di  approvazione di piani e
  programmi),  e  copre  senz'altro  le  questioni  poste  attraverso
  interrogazioni,  interpellanze,  mozioni,  risoluzioni,  ordini del
  giorno  e via discorrendo, quando questi ineriscono - come nel caso
  in questione - all'esercizio di competenze spettanti alla Regione.
    8. - Quale  naturale  sviluppo  delle  puntualizzazioni  poc'anzi
  accennate,  riferite  specificamente alla condizione di consigliere
  regionale,  si  pone  la giurisprudenza di codesto Collegio, stando
  alla  quale  "sarebbe, peraltro, riduttivo ritenere che la funzione
  di  rappresentanza  politica,  garantita  dalla citata disposizione
  (dell'art. 122, quarto comma, della Costituzione), si risolva nelli
  atti   tipici.   In   tal  senso  depone  l'orientamento  espresso,
  recentemente,  da  questa  Corte in tema di immunita' parlamentare,
  evidenziando  il  nesso  funzionale  che,  in presenza di attivita'
  oggetto   di   indagine   penale,  rende  operante  la  prerogativa
  dell'art. 68  della  Costituzione  (sentenza  n. 289  del 1998)". A
  parere  della  Corte,  "tale  orientamento,  nonostante  la diversa
  posizione  dei  componenti  delle Camere rispetto ai componenti dei
  consigli  regionali,  appare  estensibile  al  caso qui in esame, a
  fronte  dell'analogo  tenore,  per  entrambe  le  categorie,  della
  disposizione  sull'irresponsabilita'  per le opinioni espresse ed i
  voti   dati   nell'esercizio   delle   funzioni.   Il   che   porta
  conclusivamente  a  ritenere che, nell'ambito dell'art. 122, quarto
  comma,  della  Costituzione,  rientrino non solo le attivita' nelle
  quali   si   estrinseca   il   diritto   di   interrogazione  o  di
  interpellanza, ma, altresi', gli elementi conoscitivi utilizzati ai
  fini  dell'esercizio di quel diritto e che si pongono in funzionale
  connessione  con  il  medesimo"  (cosi' Corte costituzionale, sent.
  n. 382/1998, cui adde sent. n. 391/1999).
    9. - Fermo  restando  quanto si e' esposto in sede di definizione
  delle  linee  generali  dell'istituto  dell'insindacabilita' di cui
  all'art. 122,  quarto  comma, della Costituzione, e ferme restando,
  altresi', le considerazioni conclusive che si prospetteranno tra un
  istante,  e'  indispensabile  chiarire  come  la fattispecie de qua
  debba  misurarsi con le piu' recenti massime rese dal giudice delle
  leggi: si allude alle sent. n. 10, n. 11 e n. 56/2000.
    Per   limitarsi  a  quest'ultima,  non  sfugge  a  questa  difesa
  l'assunto secondo cui "occorre ... che la prerogativa trovi una sua
  delimitazione   funzionale:  senza  di  essa  la  prassi  attuativa
  trasformerebbe  l'istituto  in  una  sorta di privilegio personale,
  conferendo  a  deputati e senatori (e ai consiglieri regionali) uno
  statuto  personale  di  favore  circa  l'ambito  e  i  limiti della
  liberta'  di  manifestazione del pensiero. Con evidente distorsione
  del principio di eguaglianza e di pari opportunita' fra i cittadini
  nella  dialettica politica". Ne consegue che "la semplice comunanza
  di  argomento fra la dichiarazione resa ai mezzi di comunicazione o
  in  dibattiti  pubblici e le opinioni espresse in sede parlamentare
  non  basta  a  estendere alla prima l'insindacabilita' che copre le
  seconde.  Ne'  si  puo'  invocare  a  tal  fine  l'esistenza  di un
  "contesto"  politico in cui la dichiarazione si inserisca, giacche'
  siffatto  tipo di collegamenti non vale, di per se', a conferire il
  carattere  di  attivita'  parlamentare a manifestazioni di pensiero
  oggettivamente  estranee  ad  esse".  Cio'  che  conta e' che "deve
  esservi, dunque, un preciso nesso funzionale fra la dichiarazione e
  l'attivita'   parlamentare":  nesso  funzionale  che  sussiste  (a)
  "quando   le   dichiarazioni   siano  sostanzialmente  riproduttive
  dell'opinione  sostenuta in sede parlamentare oppure (b) in ragione
  del  "contenuto storico" dell'opinione espressa, accompagnata dalla
  pubblicita'    della    medesima   (Corte   costituzionale,   sent.
  n. 56/2000).
    10. - Cosi'  predeterminati  i  confini  al  cui  interno possono
  collocarsi  le  "opinioni  espresse"  e  i  "voti  dati",  si  deve
  osservare  come,  nel caso di specie, senz'altro sussiste il "nesso
  funzionale" richiesto.
    Da   un  lato,  infatti,  ancorche'  manchino  un'interrogazione,
  un'interpellanza,  una  mozione,  una  risoluzione,  un  ordine del
  giorno  o  altro  ancora  che  radichino formalmente ex ante ad una
  espressione   tipica   della  funzione  di  indirizzo  politico  la
  manifestazione   del   pensiero   di  cui  trattasi,  nondimeno  e'
  impensabile - perche' intrinsecamente irrazionale - ritenere che la
  pura e semplice formulazione di un simile atto, tipico appunto, sia
  idonea  a  concretizzare  l'immunita'  di  cui all'art. 122, quarto
  comma,  della  Costituzione:  in  ogni caso, si dovra' esaminare il
  contenuto   della   manifestazione  del  pensiero  del  consigliere
  regionale  allo  scopo  di  determinare  la  sussistenza  del nesso
  funzionale  richiesto.  D'altra  parte,  come  si e' visto, codesta
  ecc.ma  Corte  ha  escluso  che  la garanzia "si risolva negli atti
  tipici" (sent. n. 382/1998. cit.).
    D'altro  lato, una volta che sia escluso altresi' che l'immunita'
  sia  destinata  ad  operare  puramente  e  semplicemente nella sede
  consiliare  ed  in occasione dei lavori dell'organo assembleare, va
  da  se'  che  l'art. 122,  quarto  comma,  della  Costituzione deve
  trovare  applicazione  quando  le manifestazioni del pensiero siano
  oggettivamente   correlabili   alla   posizione  istituzionale  del
  consigliere  stesso:  il quale - alla Regione appare indubitabile -
  deve  poter  esprimere, in ragione del suo status e dei compiti che
  gli  sono  assegnati  dall'ordinamento,  le  valutazioni  di ordine
  politico  sia  particolare  sia  generale  incidenti sulla concreta
  struttura e sul funzionamento dell'ente di cui fa parte.
    Ora,  alla  Regione  non  sembra  possibile revocare in dubbio la
  seguente  circostanza:  che  l'esposto-denuncia  riguarda eventi di
  rilievo regionale, interessanti appunto la Regione come ente a fini
  generali  (tale  e'  la  sua  odierna  sicura  qualificazione)  ed,
  altresi',  quale  ente  titolare  di competenze specifiche inerenti
  l'esercizio   di   funzioni   relative  agli  immigrati.  Sotto  un
  ulteriore,  ma  non  meno  significativo  profilo,  e' certo che il
  mancato rispetto della normativa nazionale invocata dal consigliere
  Beggiato  rifluisce  in  modo  negativo  sull'ordine generale delle
  competenze  della  Regione,  dal momento che l'immigrato contra ius
  incide,  con  la  sua  azione  e  la  sua  stessa  posizione, sugli
  interventi  disposti  o  da  disporre  nei  vari  settori materiali
  rimessi  alla  potesta'  legislativa,  amministrativa e finanziaria
  della    Regione   medesima   (si   pensi,   a   titolo   puramente
  esemplificativo, al turismo, all'artigianato, all'agricoltura).
    Da  cio',  con  evidenza,  la  violazione,  attuata  dall'appello
  indicato  in epigrafe, dell'art. 122, quarto comma, e, suo tramite,
  degli   artt. 121   e   123   della   Costituzione,  di  disciplina
  dell'organizzazione e delle funzioni dei supremi organi regionali.