ha pronunciato la seguente


                              Ordinanza

nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 32 della legge
11 febbraio   1994,   n. 109  (Legge  quadro  in  materia  di  lavori
pubblici),  come  sostituito dall'art. 9-bis del d.-l. 3 aprile 1995,
n. 101,  introdotto dalla legge di conversione 2 giugno 1995, n. 216,
promosso  con  ordinanza  emessa il 10 febbraio 1999 dal tribunale di
Brindisi nel procedimento civile vertente tra Palma Rocco e il comune
di Ostuni iscritta al n. 232 del registro ordinanze 1999 e pubblicata
nella   Gazzetta   Ufficiale  della  Repubblica  n. 17,  prima  serie
speciale, dell'anno 1999.
    Visto  l'atto  d'intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
Ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 5 aprile 2000 il giudice
relatore Fernando Santosuosso.
    Ritenuto  che  nel  corso di una controversia civile promossa dal
titolare  di  un'impresa  edile nei confronti del comune di Ostuni il
giudice  unico del tribunale di Brindisi ha sollevato, in riferimento
agli  artt. 24  e  102  della Costituzione, questione di legittimita'
costituzionale  dell'art. 32  della  legge  11 febbraio  1994, n. 109
(Legge  quadro  in  materia  di  lavori  pubblici),  come  sostituito
dall'art. 9-bis  del  d.-l.  3 aprile  1995, n. 101, introdotto dalla
legge di conversione 2 giugno 1995, n. 216;
        che  il  giudice  a quo ha osservato che il comune di Ostuni,
convenuto  in  un  giudizio  di  risarcimento danni nell'ambito di un
contratto  di  appalto  stipulato in data 8 ottobre 1992, ha eccepito
preliminarmente  l'incompetenza  del  tribunale  di Brindisi, poiche'
l'art. 32 della legge n. 109 del 1994 imporrebbe il deferimento della
controversia ad un collegio arbitrale;
        che  detta  eccezione,  basata sul testo della predetta norma
introdotto  dal  citato  art. 9-bis  e' da ritenersi fondata perche',
essendo  stato  l'atto  di citazione notificato il 3 novembre 1995, a
nulla  rileva  che  l'art. 32 in questione sia stato sostituito dalla
legge  18 novembre  1998, n. 415, la quale ha trasformato l'arbitrato
da obbligatorio in facoltativo;
        che  in  base  alla  norma  impugnata,  ove  non  si  proceda
all'accordo  bonario, la definizione delle controversie e' attribuita
ad  un arbitro; simile locuzione, nonostante il formale richiamo alle
norme  del  titolo  ottavo  del  libro quarto del codice di procedura
civile,  non  puo' che intendersi nel senso che la controversia debba
essere deferita all'arbitro, il che rende obbligatorio l'arbitrato in
questione;
        che  la  giurisprudenza  di  questa  Corte,  a  partire dalla
sentenza  n. 127 del 1977, ha costantemente ribadito l'illegittimita'
costituzionale     dell'imposizione    autoritativa    del    ricorso
all'arbitrato, tanto che la successiva sentenza n. 152 del 1996, resa
proprio   nella   materia  dell'arbitrato  nei  lavori  pubblici,  ha
dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale dell'art. 16 della legge
10 dicembre   1981,  n. 741,  che  sostituiva  l'art. 47  del  d.P.R.
16 luglio  1962,  n. 1063,  "nella parte in cui non stabilisce che la
competenza  arbitrale puo' essere derogata anche con atto unilaterale
di ciascuno dei contraenti";
        che da siffatto consolidato orientamento della giurisprudenza
costituzionale  deriva,  pertanto,  che la norma impugnata si pone in
contrasto  con  gli  artt. 24 e 102 della Carta fondamentale, i quali
stabiliscono che la tutela dei diritti dev'essere attuata, di regola,
tramite  il  ricorso  alla  giurisdizione  ordinaria,  e che soltanto
eccezionalmente la medesima puo' essere devoluta agli arbitri;
        che  nel  giudizio  davanti  a questa Corte e' intervenuto il
Presidente   del  Consiglio  dei  Ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato, chiedendo che la prospettata
questione venga dichiarata inammissibile o, comunque, infondata.
    Considerato  che,  come ha rilevato il medesimo giudice a quo, la
norma  impugnata  e'  stata  successivamente  modificata dall'art. 10
della   legge   18 novembre   1998,  n. 415,  secondo  cui  tutte  le
controversie  derivanti  dall'esecuzione  del  contratto  di  appalto
"possono"  essere  deferite  ad  arbitri,  in  tal  modo individuando
un'ipotesi di arbitrato certamente non obbligatorio;
        che,  nonostante  l'art. 5 cod. proc. civ. abbia stabilito il
principio  dell'irrilevanza  dei  successivi mutamenti della legge in
ordine  alla  determinazione  della giurisdizione e della competenza,
puo'  ritenersi  ormai  acquisito  che  il  processo  deve continuare
davanti   al   giudice  adito  non  solo  nel  caso  in  cui  questi,
originariamente   competente,  cessi  di  esserlo  a  seguito  di  un
successivo  cambiamento  dello  stato di fatto o di diritto, ma anche
nel caso in cui, aditosi un giudice incompetente, il medesimo diventi
competente per una sopravvenuta modifica legislativa;
        che  tale  interpretazione  della  regola  della  perpetuatio
iurisdictionis,   avallata   piu'   volte   dalla  giurisprudenza  di
legittimita' al punto da costituire diritto vivente, trova il proprio
ragionevole  fondamento  nell'opportunita'  di  evitare  pronunce  di
incompetenza  che avrebbero come unico risultato quello di un inutile
rallentamento dell'attivita' processuale;
        che  la Corte, come puo' rilevare il difetto di giurisdizione
del  giudice  rimettente  che  appaia ictu oculi (sentenza n. 179 del
1999), analogamente puo' constatare l'eventuale pacifica infondatezza
del  presupposto  dal quale muove il medesimo giudice nel ritenere la
propria  incompetenza,  specie  quando,  come  nel  caso attuale, una
successiva  modifica  legislativa  attribuisca detta competenza senza
possibilita' di dubbio;
        che,  venendo  meno  il  presupposto logico dell'ordinanza di
rimessione,  la  prospettata questione e' priva di rilevanza, poiche'
ai  fini  della  determinazione della propria competenza il giudice a
quo non e' tenuto a fare applicazione della norma impugnata;
        che  pertanto,  mancando  il  requisito  della  rilevanza, la
presente     questione     dev'essere    dichiarata    manifestamente
inammissibile.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.