IL TRIBUNALE

    Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa promossa da:
        Calderone Carmelo, assistito dagli avv.ti Antonella Profumo e
  Piero  Franzosa,  nei  confronti di Camera di commercio, industria,
  artigianato  e  agricoltura  di Genova, assistita dall'avv. Ernesto
  Lavatelli,  e  di  regione Liguria, assistita dagli avv.ti Carlo A.
  Pedemonte e Barbara Baroli.

                      Svolgimento del processo

    Con  atto  di citazione notificato in data 6 marzo 1998 Calderone
  Carmelo  conveniva  in  giudizio  la regione Liguria e la Camera di
  commercio,  industria artigianato e agricoltura di Genova riferendo
  di  essere  stato  condannato  alla  pena di un anno e nove mesi di
  reclusione e L. 500.000 di multa per i reati di cui agli artt. 18 e
  110  c.p. e 3, n. 3, legge n. 75/1958, di aver fruito del beneficio
  della sospensione condizionale della pena, di aver peraltro subito,
  quale  conseguenza della condanna penale, il provvedimento comunale
  dichiarativo    di    decadenza   divalidita'   dell'autorizzazione
  commerciale  relativa  al  locale  bar  da  lui  gestito  da  circa
  vent'anni  e  la cancellazione dal REC da parte della C.C.I.A.A. di
  Genova.  Riferiva  il  Calderone  che  mentre  il provvedimento del
  comune era stato sospeso dal Tribunale amministrativo regionale, il
  suo  ricorso gerarchico avverso la cancellazione era stato respinto
  dal  Presidente  della  Giunta  regionale  e, in forza dell'art. 8,
  legge   n. 426/1971,  affermava  il  proprio  diritto  alla  tutela
  giurisdizionale ordinaria avverso lo stesso provvedimento.
    L'attore  sosteneva  quindi  che  la norma in base alla quale era
  stata  disposta  la cancellazione (art. 2, comma 4, lett. e), legge
  n. 287/1991) era incostituzionale per violazione degli articoli 3 e
  4  Cost.,  a  sostegno  di  tale  tesi  il  Calderone citava alcune
  sentenze  della  Corte  costituzionale  che avevano gia' dichiarato
  l'incostituzionalita'   di   varie   norme   che   prevedevano   la
  cancellazione  automatica  da  registri e albi nel caso di condanna
  per  determinati  reati. Osservava inoltre che avendo egli ottenuto
  la  sospensione condizionale della pena doveva trovare applicazione
  nei  suoi  confronti  l'art. 166 c.p.p. come riformato dall'art. 4,
  legge  n. 19/1990  secondo  cui la condanna a pena condizionalmente
  sospesa  non poteva determinare impedimento all'esercizio della sua
  abituale attivita' lavorativa.
    Sia  la  regione  Liguria che la Camera di commercio di Genova si
  costituivano in giudizio resistendo alla domanda.
    Precisate  le conclusioni trascritte all'epigrafe la causa giunge
  ora a decisione.

                       Motivi della decisione

    Il  Calderone  agisce  in giudizio per ottenere il riconoscimento
  del suo preteso diritto alla ricostituzione della propria posizione
  soggettiva  derivante  dall'iscrizione nel registro degli esercenti
  il  commercio  di  cui  all'art. 2,  n. 1  della  legge n. 287/1991
  "Aggiornamento  della  normativa sull'insediamento e sull'attivita'
  dei  pubblici  esercizi";  tale  posizione soggettiva sarebbe stata
  illegittimamente   lesa   dall'autorita'   amministrativa   con  il
  provvedimento  di  cancellazione dal predetto registro adottato dal
  Presidente della Camera di commercio del 20 agosto 1997.
    L'illegittimita'    dell'atto    amministrativo    in   questione
  deriverebbe da un duplice ordine di motivi: da un lato essa sarebbe
  conseguenza  della  incostituzionalita'  della  norma  in base alla
  quale  l'atto  stesso e' stato emanato (e a tale proposito l'attore
  prospetta   questione   di   legittimita'   costituzionale  in  via
  incidentale  dell'art. 2,  comma  4,  lett. e)  legge n. 287/1991),
  dall'altro  lato  il  provvedimento  in  questione  si  porrebbe in
  contrasto   con   l'art. 166   c.p.   come  riformato  dalla  legge
  n. 19/1990.
    Considerato  che  secondo  la  giurisprudenza  della Cassazione i
  provvedimenti  in  materia  di iscrizione e cancellazione in albi o
  elenchi  formati  a  vari  fini sono atti amministrativi diretti al
  riscontro,  senza  alcun margine di discrezionalita', dei requisiti
  di  legge,  deve  senz'altro  riconoscersi  la  natura  di  diritto
  soggettivo   della   posizione  dell'interessato  e  affermarsi  la
  giurisdizione  dell'A.G.O.  nella  relativa  controversia; cio', in
  riferimento   proprio  alle  questioni  relative  all'iscrizione  o
  cancellazione  dai  registri  degli  esercenti  il commercio e' del
  resto   confermato   dall'art. 8   della  legge  n. 426  /1971  che
  espressamente  prevede  l'azione  davanti  al  tribunale della sede
  della  Camera  di commercio competente avverso il provvedimento del
  Presidente   della   Giunta   regionale   che  rigetta  il  ricorso
  amministrativo (per tutte si veda Cass. s.u. n. 13756/1991).
    Le  stesse  considerazioni  valgono  per affermare l'infondatezza
  dell'eccezione  di  nullita'  della  domanda  per  indeterminatezza
  dell'oggetto  sollevata  dalla  Camera  di  commercio convenuta: la
  natura  vincolata  dei  provvedimenti  amministrativi in materia di
  iscrizione  e  cancellazione  dagli  albi  o  elenchi determina che
  l'eventuale  riconoscimento  da parte dell'A.G.O. della sussistenza
  dei  requisiti  di  legge per il permanere dell'iscrizione (o se si
  vuole  l'accertamento  dell'insussistenza  dei  presupposti  per la
  cancellazione)  determinerebbe  di  per  se' l'obbligo della stessa
  amministrazione  di  ripristinare  la  situazione preesistente alla
  cancellazione.
    Nel  merito  si  osserva  che  la  censura di incostituzionalita'
  dell'art. 2  della  legge 25 agosto 1991, n. 287 e', per ragioni in
  parte diverse da quelle prospettate dall'attore, non manifestamente
  infondata.  Per  motivare tale assunto occorre prendere le mosse da
  due  sentenze  del  giudice  delle leggi che in tempi relativamente
  recenti   si   sono   occupate   di  questioni  analoghe  (sentenza
  n. 297/1993  e  sentenza n. 226/1997). In base a tali pronunce deve
  innanzitutto  affermarsi  che  il principio di "giusta proporzione"
  tra  sanzione  e  fatto sanzionato in base al quale la stessa Corte
  costituzionale  aveva in precedenza (sentenze nn. 16 e 22 del 1991,
  n. 40  del  1990  e  n. 971 del 1988) dichiarato illegittime alcune
  ipotesi  di  automatismo  della  sanzione disciplinare afferenti un
  rapporto di lavoro pubblico o privato o una attivita' professionale
  non  opera  qualora la condanna penale rilevi non quale presupposto
  della  sanzione  stessa,  ma  "al  fine del riscontro dei requisiti
  soggettivi  per  l'accesso  a  posti  di lavoro (...) ovvero per il
  rilascio   e   quindi  (...)  per  il  permanere  di  provvedimenti
  concessori o autorizzativi" (sent. n. 297/1993)".
    Nella  fattispecie  oggetto  del  presente  giudizio  ci troviamo
  proprio  in  una di tale ipotesi e a conferma di tale assunto basta
  considerare  che  la  norma  di  legge in considerazione prevede la
  cancellazione  dal registro degli esercenti il commercio in caso di
  condanna  per  i  reati elencati alla lettera c) della stessa norma
  non  quale applicazione di un potere disciplinare, peraltro neppure
  identificabile  nella  fattispecie,  ma come conseguenza del venire
  meno  di  uno  dei  requisiti soggettivi richiesti per l'iscrizione
  (analogamente   nel   caso  degli  agenti  di  commercio  preso  in
  considerazione da Corte cost. n. 226/1997).
    La  questione  di  costituzionalita'  nei termini prospettati dal
  Calderone  va dunque dichiarata infondata in quanto in tal senso si
  e' gia' pronunciata la Corte costituzionale in casi analoghi.
    Va  pero'  considerato  che  proprio in relazione alle ipotesi di
  rilevanza della condanna penale ai fini del riscontro dei requisiti
  soggettivi  per  ottenere  l'iscrizione  in albi o elenchi vale, in
  generale, il principio stabilito dall'art. 4, comma 2 della legge 7
  febbraio  1990, n. 19, modificativo dell'art. 166 c.p., secondo cui
  la  condanna a pena condizionalmente sospesa non puo' costituire di
  per  se'  sola  impedimento all'accesso di posti di lavoro ne' puo'
  determinare   il   diniego   di   concessioni,   di  licenze  o  di
  autorizzazioni  necessarie  per svolgere l'attivita' lavorativa (v.
  Corte costituzionale n. 297/1993 citata).
    Nella  fattispecie  oggetto  del presente giudizio risulta che la
  pena  inflitta  al  Calderone e' stata condizionalmente sospesa, la
  norma  generale  sopra  citata  non  ha tuttavia modo di operare in
  quanto  derogata da altra disposizione di legge successiva (art. 2,
  n. 5,  legge  25  agosto  1991,  n. 287)  che,  in  relazione  allo
  specifico settore dei pubblici esercizi commerciali, settore in cui
  lavorava  l'attore,  prevede  che  il  divieto  di  iscrizione  nei
  relativi  registri opera, in caso di sospensione condizionale della
  pena, dal giorno del passaggio in giudicato della sentenza.
    In  forza del criterio della successione delle leggi nel tempo il
  conflitto  tra  le  due  norme  va risolto in via interpretativa in
  favore della norma da ultimo citata. Il dubbio che la disparita' di
  trattamento   a   danno   degli   esercenti  di  pubblici  esercizi
  commerciali  (nei confronti dei quali, nell'ipotesi data, non trova
  applicazione  il  principio  della  estensione  degli effetti della
  sospensione   condizionale   della   pena)   che  consegue  a  tale
  interpretazione  non  sia  giustificata  e'  fondato e non potrebbe
  dirsi  fugato in riferimento al fatto che la norma generale prevede
  espressamente  delle  deroghe  allo stesso principio (tranne i casi
  specificamente  previsti dalla legge); infatti, a parte l'ulteriore
  problema  interpretativo  della riferibilita' dell'inciso riportato
  anche  alle  ipotesi ad esso non sintatticamente correlate, tra cui
  e'  compresa  quella  oggetto  del presente giudizio, tale espressa
  previsione  puo' valere solo ad escludere una antinomia formale tra
  le  due  norme,  ma  non  costituisce  di  per  se' giustificazione
  sufficiente,  in  riferimento  al  canone della ragionevolezza alla
  stregua  del  quale  va  valutata  la  conformita'  della  legge ai
  principi  di eguaglianza di cui al secondo comma dell'art. 3 Cost.,
  delle singole deroghe di volta in volta disposte dal legislatore.
    La  rilevanza  della questione, che nei termini prospettati viene
  sollevata   d'ufficio,   in  riferimento  anche  all'art. 35  della
  Costituzione  (essendo  evidenti i riflessi negativi sul diritto al
  lavoro   conseguenti  alla  sospettata  disparita'  di  trattamento
  determinata  dalla  norma  in  oggetto)  consegue  al fatto che dal
  provvedimento  amministrativo  da cui la presente causa trae spunto
  risulta  che  la  cancellazione  dell'attore  dal  R.E.C.  e' stata
  disposta  esclusivamente  in  considerazione della condanna penale,
  condizionalmente  sospesa,  da lui riportata si' che il venire meno
  della   norma   sospettata  di  incostituzionalita'  determinerebbe
  l'accoglimento della domanda.