IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
    Nell'udienza preliminare odierna l'imputato Bartolucci Armando ha
  chiesto  la  celebrazione del giudizio col rito abbreviato ai sensi
  dell'art. 438, primo comma c.p.p.
    Il procedimento riguarda i reati di lesioni aggravate (artt. 582,
  583,  585  c.p.) e di detenzione e porto illegale di arma comune da
  sparo  (artt. 10, 12 e 14 della legge n. 497 del 1974). Esso non e'
  decidibile  allo stato degli atti. Si tratta, infatti, di un oscuro
  episodio  criminoso,  nel  quale l'agente ha attinto la vittima con
  tre  colpi  di  pistola  sparati di notte a brevissima distanza. Il
  Bartolucci  ha  negato l'addebito. Non sono note ne' le ragioni del
  fatto,   ne'  circostanze  univoche  utili  ai  fini  della  sicura
  identificazione  dell'imputato  quale  autore  dell'azione.  Vi e',
  dunque, necessita' di esperire una complessa attivita' istruttoria,
  non dissimile da quella che sarebbe compiuta nel dibattimento.
    Il  primo  comma  dell'art. 438 c.p.p. nel testo novellato sembra
  mostrare   diversi   profili  d'illegittimita'  costituzionale.  Il
  giudizio  abbreviato  si  configurava  nella  sua veste originaria,
  quale  risultava  anche  a  seguito  degli  interventi  della Corte
  costituzionale,  come  giudizio  allo  stato  degli atti imperniato
  sulla  richiesta  dell'imputato,  sul  consenso  del  p.m.  e sulla
  verifica  critica  del  giudice inerente sia alla decidibilita' del
  caso sia alla motivazione dell'eventuale dissenso dell'accusa.
    La riforma dell'art. 438 c.p.p. introdotta dalla legge n. 479 del
  1999  configura  un istituto completamente nuovo che si scompone in
  due distinte configurazioni, caratterizzate da profonde diversita'.
    Nella  sua  forma  "pura", come nel caso in esame, il giudizio e'
  automaticamente introdotto a seguito della richiesta dell'imputato.
  L'accoglimento della richiesta stessa non e' piu' ancorato ad alcun
  presupposto:  il  p.m. non e' chiamato ad esprimere il consenso; il
  giudice   non  compie  alcuna  verifica  sulla  economicita'  della
  richiesta,  sulla  decidibilita' allo stato degli atti. Nel caso in
  cui  non  vi  siano  le  condizioni per decidere, il giudice stesso
  acquisisce   le  prove  ritenute  necessarie,  assumendo  un  ruolo
  direttivo,  completamente  svincolato  dalle richieste o solo dalle
  valutazioni delle parti.
    Pur  in  tale  nuova configurazione, il rito abbreviato non perde
  del  tutto  il  suo intrinseco connotato di procedimento fondato su
  ragioni  di  economia  processuale.  Infatti, e' ancora prevista la
  riduzione di pena nella misura di un terzo. Essa, naturalmente, non
  puo'  essere  pensata  come  una  sorta  di "autoriduzione" rimessa
  all'iniziativa  dell'imputato,  ma  deve  di necessita' esser vista
  come  una  diminuente  premiale,  attinente  alla finalita' general
  preventiva di rapida e semplificata definizione dei giudizi.
    Se,   tuttavia,   si   raffronta   tale  astratta  e  logicamente
  necessitata  configurazione  deflattiva  dell'istituto  con  la sua
  concreta disciplina legislativa ci si avvede che la semplificazione
  e  speditezza  del processo rispetto all'alternativa dibattimentale
  sono meramente eventuali. Infatti, non potendo il giudice rifiutare
  in  nessun caso il giudizio, e' ben possibile che, come nel caso in
  esame,  l'abbreviato  possa  aver  luogo  anche in situazioni nelle
  quali  le  acquisizioni  probatorie  siano  carenti ed impongano di
  esperire  un  istruzione  non  dissimile nella sostanza, come si e'
  detto, da quella che sarebbe compiuta nel dibattimento.
    Tale  soluzione  normativa appare non coerente ne' ragionevole se
  rapportata  al  teorico modello deflattivo cui s'ispira; ed inoltre
  conduce   al   trattamento  uniforme  di  situazioni  profondamente
  diverse.  Essa,  pertanto,  sembra  porsi in contrasto con l'art. 3
  Cost.
    II  contrasto con la richiamata norma costituzionale emerge anche
  sotto  un  altro  profilo  afferente  al raffronto tra l'abbreviato
  "puro"  e  quello  "condizionato"  introdotto dal comma 5 dell'art.
  438.  Tale  norma  consente  che  l'imputato  possa  subordinare la
  richiesta sul rito al compimento di alcuni atti istruttori. In tale
  evenienza  il  giudice  e'  chiamato  a  valutare  se sussistano le
  condizioni   di   compatibilita'   con  le  finalita'  di  economia
  processuale proprie del rito. La formula legale non chiarisce quali
  siano  i  parametri  cui rapportare la valutazione di economicita',
  tuttavia - considerata l'intrinseca ragione d'essere dell'isituto -
  e'  possibile ritenere ragionevolmente che il sindacato del giudice
  riguardi  l'entita'  dell'indagine istruttoria richiesta. E' quindi
  compatibile  col  rito  abbreviato  un  giudizio  che  non  imponga
  un'istruttoria  particolarmente  complessa e comunque non dissimile
  da quella dibattimentale.
    Insomma,  in  tale  configurazione  condizionata  l'istituto, pur
  avendo  perso  i caratteri di patteggiamento sul rito fondato sulla
  decidibilita'  allo  stato  degli  atti,  conserva la sua natura di
  strumento  deflattivo di semplificata definizione dei giudizi. Tale
  economicita'  non  e'  meramente  astratta,  ma  e'  rapportata  al
  concreto  tenore  degli  atti  probatori da compiere ed e' affidata
  alla valutazione del giudice.
    Tale  assetto appare antitetico, a quello dell'abbreviato "puro",
  nel  quale  l'istanza  di  semplificazione  e  speditezza  e'  solo
  astratta e sottratta a qualunque strumento di verifica.
    L'antitesi  di cui si parla e' priva di razionale giustificazione
  e  conduce  al  trattamento  differenziato di situazioni identiche.
  Infatti,   nel   caso   in  cui  vi  sia  l'obiettiva  esigenza  di
  un'istruttoria complessa il rito sara' ammesso nell'abbreviato puro
  e  respinto  -  invece  -  in  quello  condizionato.  Sembra dunque
  appalesarsi  anche sotto tale riguardo contrasto della normativa di
  cui   al  primo  comma  dell'art. 438  c.p.p.  con  l'art. 3  della
  Costituzione.  Si  tratta  di  un'incoerenza  interna delle diverse
  articolazioni  del giudizio abbreviato che presenta caratteristiche
  assai   simili   a   quella  che  ha  condotto  alla  dichiarazione
  d'incostituzionalita'  dell'art. 247  del  d.lgs.  28  luglio 1989,
  n. 271  (sentenza  n. 66 del 1990) e dell'art. 452 c.p.p. (sentenza
  n. 183 del 1990).
    Naturalmente  i  plurimi,  segnalati  profili  di  contrasto  con
  l'art. 3 della Costituzione assumono una ancor maggiore evidenza se
  si  considera  che  l'opzione  verso  un rito o l'altro non ha solo
  significato  processuale  ma  anche  una forte valenza sostanziale,
  atteso  che  implica  la  riduzione  della  pena nella misura di un
  terzo.
    Proprio  la  valenza sostanziale, sotto il profilo sanzionatorio,
  del  giudizio  abbreviato  pone  in  luce  un  ulteriore profilo di
  illegittimita'   costituzionale   dell'art. 438.1   novellato,  per
  contrasto con l'art. 27.3 Cost.
    Infatti, nel nuovo assetto normativo la diminuzione di pena nella
  misura  di  un  terzo  discende in modo diretto ed automatico dalla
  volonta'  dell'imputato,  ed  e'  avulsa sia dalla negoziazione con
  l'accusa  -  sia  soprattutto - dalla verifica del giudice circa la
  deflattivita'  della richiesta, con riguardo alla complessita delle
  indagini  da  compiere. Tale meccanismo si pone in contrasto con il
  principio  di proporzione della pena e con le finalita' rieducative
  espresse dall'art. 27.3 Cost.
    La  Corte costituzionale, proprio nell'esaminare la normativa sul
  patteggiamento, ha affermato l'importante principio che la funzione
  rieducativa  della  sanzione  penale e' operante gia' nella fase di
  commisurazione;  e  che la diminuzione dovuta alla scelta del rito,
  quando  avulsa da una razionale ed obiettiva giustificazione, viola
  il  principio  di  proporzione  della  pena  e quindi ne vulnera la
  funzione rieducativa. (sentenza n. 313 del 1990).
    Una  situazione siffatta sembra delinearsi in modo conclamato nel
  rito  abbreviato  vigente. Infatti, la diminuzione di pena discende
  dalla  sola  volonta' dell'imputato ed ha luogo anche in situazioni
  nelle   quali,  a  causa  della  complessita'  dell'istruttoria  da
  compiere,  non  si concreta quella semplificazione ed accelerazione
  del   giudizio   che  costituisce  la  ragion  d'essere  intrinseca
  dell'abbreviato  e  la  giustificazione  d'ordine generalpreventivo
  della  diminuzione  di  pena che ne consegue. Insomma, ad avviso di
  questo  giudice,  la  diminuzione di pena di cui si parla, perde il
  collegamento con dati di fatto obiettivi ed oblitera quei connotati
  di   ragionevolezza   e  razionalita'  della  sanzione  penale  che
  costituiscono  il  fondamento  della  sua funzione rieducativa. Del
  resto  gia'  in  passato  la  Corte costituzionale ha avuto modo di
  affermare  che  "il consenso del pubblico ministero ed il controllo
  del  giudice  costituiscono  condizioni connaturate alla logica del
  nuovo  tipo  di  giudizio"  e  che  "l'adozione  di questo nel caso
  concreto  non potrebbe certo essere determinata dalla sola volonta'
  dell'imputato  espressa  in  funzione dell'apprezzamento dei propri
  interessi di difesa" (sentenza n. 284 del 1990).
    Le   questioni   di   costituzionalita'  esposte  hanno  evidente
  rilevanza ai fini della decisione.