LA CORTE D'APPELLO Nel procedimento di reclamo avverso il provvedimento emesso dal tribunale per i minori di Genova che affidava la minore I. M. A. al comune di Davagna, revocando il precedente affido al comune di Genova, affinche' ne curasse il rientro presso il nucleo familiare del nonno materno, reclamo proposto da: Ruani Sergio e Gualco Loredana, residenti in Genova ed ivi elettivamente domiciliati in via Corsica 2/3 presso l'avvocato Enrico Bet che li rappresenta e difende per mandato in atti, reclamati; e con l'intervento del procuratore generale presso questa Corte. La Corte cosi' osserva: con ricorso per reclamo, depositato in data 27 agosto 1979, Ruani Sergio e Gualco Loredana, gia' collocatari della minore I. M. A. , impugnavano il provvedimento emesso dal tribunale per i minori di Genova 16-18 agosto 1999, che aveva disposto l'affidamento della predetta minore al comune di Davagna, perche' ne curasse il rientro presso il nucleo familiare del nonno materno. Lamentavano i reclamanti che il primo giudice non aveva tenuto conto delle risultanze della consulenza tecnica espletata, la' dove si dubitava fortemente dell'idoneita' educativa del gruppo familiare del nonno, sottolineando, tra l'altro, la situazione di grave e protratta violenza fisica e psicologica (e forse sessuale) attuata da un componente della famiglia su due fratelli della minore, che aveva giustificato il loro allontanamento. Costituitosi il contraddittorio nell'ambito della procedura in camera di consiglio ex art. 739 ss. c.p.c., B. R. (nonno materno della minore) e C. S. (moglie dello stesso) eccepivano la carenza di legittimazione dei reclamanti e, sostenevano la piena adeguatezza del proprio nucleo familiare, chiedevano, nel merito, respingersi il reclamo avversario. All'odierna udienza, chiedeva di intervenire in adesione alle conclusioni dei reclamanti, l'A.N.F.A.A. Associazione Nazionale Famiglie Adottive e Affidatarie, sostenendo che essi avevano agito nell'esclusivo interesse della bambina, che appariva molto preoccupante il ritorno di questa presso il nonno, che sembrava auspicabile la nomina di un curatore speciale della minore, quale "soggetto indifeso", anche dal punto di vista processuale. Precisava infine l'A.N.F.A.A., di voler essere presente nel procedimento perche' la minore fosse, nei modi meglio dati, adeguatamente tutelata. Dopo ampia discussione presenti i procuratori delle parti e il P.G. ritualmente intervenuto, la Corte riservava la decisione. Ritiene questa Corte di sollevare questione di legittimita' costituzionale sulla base dei seguenti M o t i v i E' da alcuni anni ampiamente consolidata, nelle analisi della dottrina e della giurisprudenza piu' attente, una rinnovata considerazione della posizione del minore, quale soggetto titolare di diritti soggettivi perfetti, autonomi ed azionabili, membro a tutti gli effetti della comunita' sociale, colto nel suo progressivo inserimento in essa. E tale considerazione viene genericamente ricollegata ad un'approfondita lettura dei principi costituzionali, secondo una coerente linea di tendenza che dagli artt. 2 e 3 conduce agli artt. 29, 30, 31 della Cost. tutela dei diritti fondamentali, anche nelle formazioni sociali in cui si svolge la personalita', e impegno pubblico a rimuovere ogni ostacolo allo sviluppo della personalita' stessa, sono previsioni che costituiscono la chiave di volta di tutto l'edificio costituzionale e si indirizzano sicuramente anche al minore, come ad ogni cittadino. Su tali basi vanno pertanto interpretate le norme che piu' specificamente attengono alla problematica familiare e minorile: l'art. 30, impone ai genitori l'obbligo di mantenere, educare, istruire la prole indipendentemente dallo status filiationis, assicura ogni tutela giuridico sociale ai figli nati fuori del matrimonio, cura che siano comunque adempiuti i compiti educativi, in caso di incapacita' dei genitori; l'art. 31, protegge maternita', infanzia e gioventu', prefigurando un incisivo programma di aiuto e sostegno alla famiglia, nella prospettiva, ancor piu' ampia, della creazione di un moderno ed adeguato sistema di sicurezza sociale. Viene infine talora sottolineato che, se termini come "minore", "minore eta'" (o anche "capacita'", "incapacita'"), non acquistano una posizione centrale nel contesto costituzionale, cio' non significa certamente scarsa considerazione verso il fanciullo, ma al contrario indica una chiara inversione di tendenza: di fronte ad un ordinamento precostituzionale ricco (fin troppo) di riferimenti alla "particolarita'" e "specificita'" della condizione minorile, emerge una scelta a favore del fanciullo, non piu' oggetto di una assoluta ed incondizionata volonta' degli adulti, ma sicuramente "persona" alla pari di ogni altro individuo. E si parla, in tal senso, della Carta costituzionale come del nucleo fondamentale di un vero e proprio statuto dei diritti del minore. Tali orientamenti costituiscono presupposto per una ricostruzione sistematica del c.d. diritto minorile, di tutto il complesso di norme cioe' che attengono direttamente o indirettamente alla posizione del fanciullo, nella prospettiva di una tutela preminente del suo interesse al fine di una compiuta realizzazione dei suoi diritti. Del resto interpretazioni siffatte trovano ampie ed esplicite conferme del dato normativo: soprattutto dopo la riforma del diritto familiare del 1975, numerose sono le previsioni che richiamano alla "preminente tutela dell'interesse del minore". Si pensi alla disciplina dell'affidamento dei figli nella separazione e nel divorzio, ma pure in relazione alle ipotesi previste dagli artt. 330 e 333, c.c. (decadenza dalla potesta' e provvedimenti limitativi di essa) il criterio esclusivo di riferimento e' proprio l'interesse del minore e l'incidenza nociva del comportamento genitoriale sullo sviluppo della sua personalita'. Tuttavia queste enunciazioni rischiano di tramutarsi in vuote clausole di stile, prive di contenuto concreto, ove non trovino precisi riscontri in sede processuale. Nel procedimento ex artt. 333 e 336 c.c. nel quale il giudice assume ogni opportuno e conveniente provvedimento per la prole (ivi compreso l'eventuale allontanamento dalla residenza familiare) e che ha quindi effetti assai rilevanti sull'avvenire del fanciullo e sull'ulteriore sviluppo della sua personalita', al minore non e' dato di stare in giudizio a mezzo di un curatore speciale per la tutela dei suoi interessi e neppure e' previsto che egli sia obbligatoriamente sentito. Nessuno potrebbe contestare che il minore sia titolare di interessi specifici, morali e patrimoniali in relazione alle pronunce che lo riguardano, ma questi non sono certo adeguatamente protetti dalla presenza dei genitori o parenti in giudizio, potenziali destinatari di provvedimenti, come nella specie, limitativi dalla potesta'. Ne' l'interesse dei minori pare sufficientemente protetto dall'intervento obbligatorio del p.m. E' vero che tale organo, ai sensi dell'art. 72, c.p.c. e 6, legge n. 1 dicembre 1970, n. 898, puo' produrre documenti, dedurre prove, concludere, nonche' impugnare la sentenza (ma limitatamente agli interessi "patrimoniali" dei figli minori; e ci si chiede se la previsione sia tassativa o debba intendersi anche con riferimento agli interessi morali). In ogni caso, com'e' evidente, il p.m. non sta' in giudizio come sostituto processuale dei minori (al contrario talvolta, ma solo in casi tassativi, agisce in tale veste: si pensi ad es. alla facolta' di esercitare l'azione civile nel procedimento penale, nell'interesse del danneggiato incapace). I poteri del p.m. non si ricollegano quindi ad un interesse specifico e particolare, egli opera nel processo per l'attuazione della legge, per assicurare la legalita' nella risoluzione della controversia; in tale veste si preoccupa bensi' della tutela dell'interesse del minore, ma non sicuramente in modo esclusivo; e in ogni caso la difesa del fanciullo non offrirebbe le medesime garanzie di quella esercitata da un rappresentante privato direttamente impegnato in tale ufficio. Analogamente non potrebbe costituire valida alternativa alla nomina di un curatore, il potere, pur largamente officioso, del collegio (nella specie un organo specializzato composto da giudici di carriera e da esperti del settore). Il giudice dispone indagini e mezzi di prova, richiede informazioni e purtuttavia, ancora una volta, tali poteri non possono sostituire la presenza in giudizio su un piano di parita' con le altre parti di un rappresentante del minore, che adeguatamente tuteli l'interesse di questo in ordine all'affidamento e agli altri conseguenziali provvedimenti. (Anzi, talora, nella prassi, la confusione dei ruoli: un tribunale che e' "giudice" e ad un tempo "difensore" del minore, privilegiando un rapporto immediato con lui, che esclude o limita la posizione di altre professionalita' presenti nel processo, difensori, consulenti tecnici, personale dei servizi, ha dato luogo a comportamenti fuorvianti, scelte di "supplenza" ecc. Del resto, com'e' noto, la nomina di un curatore in rappresentanza del minore non e' certo sconosciuta al nostro ordinamento. Si pensi alla situazione di conflitto di interessi tra genitori e figli (art. 370, u.c. c.c.) ovvero, in ambito piu' specificamente processuale, alle azioni di status e alle procedure di opposizione a decreto di adottabilita'. E' evidente che i procedimenti volti alla limitazione della potesta' ex art. 333, c.c. presuppongono un conflitto di interessi tra il minore, che vede leso il suo diritto all'educazione e allo sviluppo della personalita', e i genitori ai quali si attribuiscono comportamenti pregiudizievoli verso i figli (ma talora addirittura i provvedimenti "convenienti" hanno finito per regolare situazioni di vero e proprio conflitto tra genitori e figli adolescenti sui metodi e contenuti educativi, imposti dai genitori stessi (vedi ad es. tribunale minorile di Bologna, 23 ottobre 1973, 26 ottobre 1973, in giur. it. 1974, 1, 2, 5126). D'altra parte, se e' vero che in un provvedimento come quello in esame non vi sono questioni di status che giustificherebbero la nomina di un curatore del minore in giudizio, va ribadito che possono assumersi provvedimenti talmente rilevanti cosi' profondamente incidenti sullo sviluppo psico-fisico del minore stesso, come l'allontanamento dalla famiglia di origine, l'istituzionalizzazione o il collocamento presso altra famiglia, da richiedere, necessariamente, la rappresentanza del minore in giudizio. Ma oggi tale rappresentanza sembra presupposta e piu' efficacemente garantita da alcuni importanti documenti internazionali. La convenzione sui diritti del fanciullo di New York 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176, che introduce un vero e proprio statuto dei diritti del fanciullo e, almeno potenzialmente, dovrebbe avere profonda incidenza sugli ordinamenti degli Stati contraenti (anche se purtroppo, a distanza di alcuni anni, leggi interne, pronunce giurisdizionali, prassi amministrative sembrano ancora largamente prescindere) ha sentito la necessita' di ancorare le ampie enunciazioni dei diritti del fanciullo in ogni settore in cui si trovi ad operare, a concreti riscontri processuali: si precisa cosi', all'art. 3, che in tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza dei tribunali i di autorita' amministrative, l'interesse superiore di essi deve costituire una considerazione preminente, e a tale principio, ancora generale astratto, si collega operativamente la previsione dell'art. 12, per cui al fanciullo deve essere data la possibilita' di essere ascoltato in ogni procedura che lo riguardi sia direttamente sia tramite un rappresentante. Ancor piu' innanzi, nella garanzia specifica e concreta dei diritti del minore, si spinge la convenzione europea sull'esercizio dei diritti dei minori, Strasburgo 25 gennaio 1996: all'art. 1, essa prevede la necessita' di garantire "i diritti processuali" dei fanciulli e agevolarne l'esercizio, assumendo che essi siano direttamente o tramite altre persone od organizzazioni informati ed autorizzati a partecipare ai procedimenti giudiziari che li riguardano; agli artt. 4 e 9 aggiunge che il minore ha diritto di chiedere personalmente o tramite altre persone ed organizzazioni (e l'autorita' giudiziaria ha diritto di provvedere anche d'ufficio per) la nomina di un rappresentante nei procedimenti giurisdizionali che lo riguardano, quando la legge nazionale priva i detentori della facolta' di rappresentarlo, a causa di un conflitto di interessi; ma la possibilita' di nomina viene intesa al di la' dell'ipotesi ora accennata. Infatti l'art. 5 prevede in ogni caso la possibilita' di un riconoscimento al minore di "diritti processuali supplementari" che lo riguardano, e in particolare il diritto di chiedere la nomina di un terzo rappresentante, e nei casi che lo richiedano, un avvocato. Sono previsioni assai concrete ed operative, tanto che da talora si e' ritenuto che gia' oggi l'autorita' giudiziaria italiana possa nominare un rappresentante del minore nei giudizi che lo riguardano. Ritiene invece la Corte, stante l'incertezza dell'esistenza di un tale potere in capo all'autorita' giudiziaria sulla base della vigente legislazione, di sollevare questione di legittimita' costituzionale degli artt. 336, 333, c.c. , 738, 739, c.p.c. E' consapevole che questo collegio che gia' la Corte costituzionale, in una pronuncia ormai abbastanza risalente dichiaro' non fondata la questione di legittimita' sollevata, con riferimento alla procedura di divorzio e separazione per i provvedimenti di affidamento della prole (ma, al di la' dell'indubbia differenza delle fattispecie, potrebbe venire oggi in considerazione un'accresciuta sensibilita' della problematica del minore e dei suoi diritti, direttamente garantiti, proprio in campo processuale, dei rilevantissimi documenti internazionali cui si e' sopra accennato). Appare dunque non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 333 c.c. (si tratta nella specie, di un procedimento di limitazione o regolamentazione della potesta'), 336, c.c. (disposizione che regola tale procedimento) nonche' artt. 738, 739 c.p.c. (norme che disciplinano, in generale, le procedure di volontaria giurisdizione, cui pure appartiene quella in esame; in particolare l'art. 733, c.p.c. si riferisce alla fase del reclamo) la' dove non e' prevista la nomina di un curatore in rappresentanza del minore. Cio' in relazione agli artt. 24, comma 2, (diritto alla difesa del soggetto), 2; 3, comma 2; 30; 31 della Costituzione, (Tali disposizioni potrebbero ritenersi indirettamente violate, in quanto la mancata considerazione del minore, come parte del giudizio, inciderebbe negativamente sulla tutela dei suoi diritti ed in particolare di quello ad uno sviluppo compiuto ed armonico della personalita', sicuramente, seppur implicitamente, garantito dalle disposizioni stesse, come sopra indicato). Quanto alla rilevanza della questione, il collegio potrebbe limitarsi a sottolineare che nella presente causa, esso si deve pronunciare sulla collocazione della minore, senza avere chiara consapevolezza dell'interesse di questa, non adeguatamente rappresentata in giudizio. Ma il collegio preferisce fornire qualche maggiore dettaglio in una fattispecie, per molti versi assai significativa, cosi' da evidenziare il grave pregiudizio che potrebbe subire la bambina. Nella specie, infatti, il collegio si troverebbe nella necessita' di dichiarare la carenza di legittimazione processuale di collocatari della minore, che non hanno alcun potere di rappresentanza dei suoi interessi. Ma neppure potrebbe avere un siffatto potere, allo stato della nostra legislazione, con riferimento al singolo minore, un'associazione, l'A.N.F.A.A., che pur svolge da molti anni un'attivita' proficua e benemerita nel settore (e si dovrebbe dunque escludere l'ammissibilita' del suo intervento). La conseguenza sarebbe l'automatica conferma del provvedimento impugnato, che, pure, potrebbe essere stato assunto, in contrasto con l'interesse del minore, ove fosse accertata l'inidoneita' del nucleo familiare originario (non si e' esaminato ovviamente in questa sede il merito della controversia). La presenza di un rappresentante del minore, con facolta' di impugnare, potrebbe portare all'esame di questa Corte di merito la complessa e delicata vicenda. Si ritiene che dall'eventuale accoglimento della questione discenderebbe la necessita', anche nel presente procedimento, di nomina di un rappresentante del minore, nei confronti del quale si dovrebbe disporre l'integrazione del contraddittorio (ovvero, dalla pronuncia positiva della Corte costituzionale, potrebbe forse conseguire la riapertura del termine per impugnare, facolta' che il rappresentante potrebbe esercitare). In ogni caso la nomina di un curatore speciale, che fin dall'inizio del procedimento rappresenti il minore, presenti istanze, produca, deduca, solleciti l'attivita' del giudice e dello stesso p.m., sicuramente orienterebbe in misura ben maggiore la pronuncia, nella prospettiva di una piu' sicura ed adeguata tutela dell'interesse del f+anciullo. Si ritiene pertanto di sospendere il giudizio e rimettere gli atti alla Corte costituzionale.