LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE Ha emesso la seguente ordinanza sull'appello r. g. appelli n. 6089/1996 depositato l'8 giugno 1996, avverso la sentenza n. 182/01/1987, emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Tempio Pausania da Coni Luigi, residente a Olbia (Sassari), in localita' Pleri; controparti: Ufficio delle entrate di Tempio Pausania (reg. di Tempio Pausania); atti impugnati: avv. di accert. n. scad. 63119 - reg. + I.N.V.I.M.; La Commissione tributaria regionale di Cagliari, sezione IX, ha emesso la seguente ordinanza sull'appello prodotto da Coni Luigi, residente a Olbia (Sassari), via Palladio, 22, avverso la decisione della Commissione tributaria di 1o grado di Tempio Pausania n. 182 dell'8 maggio 1987; R i t e n u t o Con atto registrato in data 3 febbraio 1983, il sig. Coni Luigi alienava alla sig.ra Corrias Giannetta un tratto di terreno sito in comune di Olbia, localita' Plebbi, dell'estensione di mq 5000 per il corrispettivo di L. 600.000. L'ufficio del registro di Tempio Pausania rettificava in L. 74.000.000 il valore finale della predetta compravendita assoggettando a valutazione anche i fabbricati insistenti sul terreno alienato al momento del sopralluogo effettuato dall'ufficio tecnico erariale di Sassari il 26 novembre 1984, cioe' circa un anno e nove mesi dopo il trasferimento del terreno. Avverso il predetto accertamento, si opponevano le parti contraenti e la Commissione tributaria di 1o grado adita, con decisione n. 182 dell'8 febbraio 1987, accoglieva parzialmente il ricorso stabilendo il valore finale in L. 55.600.000. Con l'appello in esame, il venditore Coni Luigi impugnava la predetta decisione, eccependo: 1) la carenza di motivazione dell'accertamento; 2) l'illegittimita' della valutazione anche dei fabbricati perche' edificati dopo l'alienazione del terreno. L'ufficio si costituiva in giudizio producendo controdeduzioni nelle quali, in via pregiudiziale, veniva chiesta la dichiarazione di inammissibilita' dell'impugnazione in quanto proposta oltre i termini previsti dall'art. 22 del previgente decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 636, e, nel merito, la reiezione dell'appello. Agli atti del fascicolo risulta che il dispositivo della decisione di primo grado, depositata l'8 maggio 1987, e' stato comunicato a cura della segreteria con atto notificato al Coni il 26 settembre 1988, mentre l'appello e' stato presentato il 24 novembre 1988, quindi nei termini di cui all'art. 22 del decreto del Presidente della Repubblica n. 636 citato, ma, si deve soggiungere, abbondantemente dopo il termine di cui all'art. 327 del c.p.c. In via preliminare si deve rilevare che l'appello in esame risulta prodotto abbondantemente oltre il termine dell'art. 327 del c.p.c. che la Corte di cassazione, con consolidata giurisprudenza, costituente ormai "diritto vivente", ha ritenuto applicabile anche nel processo tributario con la conseguenza che questa commissione e' tenuta a giudicare sulla questione di ammissibilita' dell'appello proposto anche in base al diritto vivente cosi' introdotto. La Corte di cassazione si e' ripetutamente dovuta occupare della questione dell'applicabilita' dell'art. n. 327 del codice di procedura civile, dichiarando ogni volta, con qualche eccezione, che le disposizioni del decreto Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, sulle impugnazioni delle pronunce delle commissioni tributarie, quando fissano il termine di sessanta giorni, dalla loro notificazione o dalla comunicazione del dispositivo (articoli 22, 25 e 38), devono essere integrate con la regola dell'art. n. 327, comma 1, del codice di procedura civile, nel senso che, indipendentemente da detti adempimenti e dall'eventuale pendenza di quel termine breve, la facolta' di proporre l'impugnazione viene meno a seguito del decorso di un anno dalla pubblicazione (mediane deposito) delle pronunce medesime. Al riguardo, sin dalla sentenza delle Sezioni unite della Corte di cassazione n. 668 del 20 gennaio 1992, si e' formato un solido indirizzo con formazione, in adesione ad esso, mediante le altre pronunce della Cassazione (Cassazione n. 6724 del 14 giugno 1995; sezioni unite, n. 202 del 10 gennaio 1992; n. 7311 del 12 gennaio 1993; n. 7155 del 26 aprile 1994; n. 5162 dell'11 maggio 1995; sez. prima, n. 5661 del 19 gennaio 1996) del principio sopra illustrato, cui hanno fatto seguito numerose pronunce, oltre che di diverse commissioni di primo e secondo grado, della Commissione tributaria centrale (n. 1589 del 15 dicembre 1992; n. 648 del 26 gennaio 1993; Sezioni unite n. 3778 del 15 novembre 1995). Senonche', sembra a questa Commissione che il diritto vivente cosi' creato dalla suprema Corte di cassazione con la consolidata sua giurisprudenza cosi' come introdotto nel processo tributario nella disciplina del d.P.R. n. 636 citato, appare in contrasto con l'art. 24 della Costituzione nel quale si sostanzia la tutela del diritto alla difesa. Invero, il sistema del contenzioso tributario cosi' come delineato dal d.P.R. n. 636 si presenta caratterizzato da un complesso di semplificazioni procedurali e da regole volte a renderlo accessibile anche al semplice contribuente pur sprovvisto di cognizioni specifiche. In particolare, in esso: 1) non vi e' obbligo di difesa tecnica, neanche per le controversie di valore elevato, diversamente da come e' stato disposto nel sistema del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, entrato in vigore nel 1996; 2) l'art. 30 esplicitamente ammette il contribuente ad accedere direttamente e senza particolari formalita' alle Commissioni ed a rappresentarsi anche tecnicamente davanti ad esse; 3) il sistema delle nullita' degli atti di parte appare ispirato al principio della conservazione e dell'economia dei procedimenti. Esso e' sicuramente piu' ridotto rispetto a quello del codice di procedura civile e ristretto al minimo indispensabile; 4) l'art. 38 prevede l'obbligo di comunicazione al contribuente del dispositivo della decisione a cura della segreteria della Commissione; 5) l'art. 39-bis prevede la non applicabilita' di sanzioni quando la violazione di leggi tributarie e' giustificata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull'ambito di applicazione delle disposizioni. In particolare, la mancanza di un obbligo alla difesa tecnica del contribuente, peraltro in perfetto accordo con tutta l'architettura del contenzioso cosi' disciplinato, trova giustificazione solamente se inserita in un quadro interpretativa del sistema processuale tributario fondato sulla semplicita' delle procedure ed imperniato su di essa. Ed in realta', il predetto sistema appare profondamente intriso da regole semplici tali da consentire l'accessibilita' diretta del contribuente alla difesa delle proprie ragioni e delle proprie situazioni giuridiche. La predetta rappresentazione del sistema processuale tributario si rivela maggiormente fondata ove si abbia riguardo all'art. 72 del gia' citato decreto legislativo n. 546 del 1992, relativo al nuovo processo tributario, che, modificato dal decreto-legge 22 giugno 1996, n. 329, ha avuto una operativita' durata fino al 26 giugno 1996. Tale norma, con riferimento alle controversie pendenti alla data d'insediamento delle nuove Commissioni tributarie, espressamente confermava, come unica tegola esistente, la semplice regola dell'appello entro il termine breve di sessanta giorni dalla notifica del dispositivo della decisione, escludendo testualmente l'applicabilita' dell'art. 327 c.p.c. La stessa formula adoperata dal legislatore e' tale da ingenerare il convincimento dell'estraneita' della norma processuale di cui si tratta all'ispirazione di tutta l'architettura del processo tributario, almeno fino all'avvio del nuovo processo regolato dal predetto decreto legislativo n. 546 avvenuto nell'aprile 1996. In effetti, l'art. 327 appare in netto contrasto con le caratteristiche del contenzioso regolato dal d.P.R. n. 636, come detto, improntato alla massima semplicita' degli atti e delle procedure. Inoltre, non puo' non considerarsi che la conoscenza o persino la semplice conoscibilita' di una disposizione come quella contenuta nell'art. 327 del c.p.c. richiede sicuramente una competenza tecnica qualificata che puo' demandarsi soltanto agli operatori o ai cultori del diritto che la possiedono, talvolta non senza incertezze come documentato dal dibattito sorto intorno alla questione, per ragioni professionali. Di certo non puo' richiedersi a soggetto, com'e' il semplice contribuente, privo in via ordinaria di preparazione specifica ed anzi ordinariamente privo di qualsiasi conoscenza della norma, a maggiore ragione quindi della sua applicabilita' o meno al processo tributario e delle gravi implicazioni connesse alla sua mancata applicazione. Non puo' altresi' non considerarsi le difficolta' alle quali il contribuente va incontro per la conoscenza delle norme tributarie e della loro applicazione alla propria posizione, difficolta' che richiedono ordinariamente, come ormai riconosciuto unanimamente, l'assistenza qualificata di tecnici e di esperti. Gia' nel diritto penale si tende a giustificare la mancata conoscenza di norme che, per il loro radicamento nella coscienza popolare, dovrebbero essere note e quindi costantemente applicate. Le stesse considerazioni certamente ed a maggiore ragione, si debbono e si possono fare rispetto a norme squisitamente tecniche riguardanti comportamenti procedurali davanti agli organi di giustizia, in particolare rispetto a norme, come sono quelle tributarie, modellate opportunamente per corrispondere alle particolari esigenze rappresentate dalle necessita' finanziarie dello Stato che impongono adempimenti e comportamenti dettagliati rivelatisi di straordinaria complessita'. Le difficolta' di conoscenza della norma procedurale di cui trattasi, nonche' della conoscenza della complessa questione della sua applicabilita' al processo tributario appaiono realmente fuori dalla portata del semplice contribuente. Esse impongono invece, come appare evidente e come dimostrato dalle complesse discussioni sorte intorno all'argomento, letture ed interpretazioni sistematiche che, in considerazione del rapidissimo succedersi di leggi e di abrogazioni, espresse o tacite, richiedono a loro volta la mediazione di tecnici, quanto piu' possibile qualificati. Le stesse difficolta' appaiono peraltro in tutta la loro evidenza ed ulteriormente accresciute se si considera il gia' richiamato art. 72 del decreto legislativo n. 546 del 1992, per la sua idoneita' manifesta a ulteriormente disorientare nella ricerca ed individuazione della norma applicabile. L'introduzione di tale norma ha certamente avuto l'effetto di produrre ulteriore turbamento dell'assetto del contenzioso, spargendo ulteriore incertezza, in pregiudizio della stessa certezza della legge. Ogni cittadino deve essere messo in grado di conoscere quali sono le norme giuridiche che si applicano alle singole fattispecie; quale e' il loro esatto contenuto di significato; quali le conseguenze giuridiche delle proprie azioni. Tale situazione giuridica, nella quale si sostanzia il diritto alla "certezza del diritto", pur designando una situazione soltanto ideale, un obiettivo cui tendere, e' pur sempre una situazione della quale non puo' prescindersi e che non puo' essere compromessa fino al punto da vanificare o mettere in dubbio la stessa concreta possibilita' di difesa del cittadino. Le stesse vicende dell'art. 72 citato, che ha dispiegato, per il periodo di sua vigenza, effetti difformi rispetto a situazioni analoghe del precedente periodo ed ha introdotto un sicuro ulteriore turbamento dell'operativita' dell'art. 327 c.p.c., nel processo tributario, costituiscono una prova evidente ed una rappresentazione delle incertezze, persino dello stesso legislatore, sulla norma concretamente applicabile, incertezze che, per la loro notevole complessita' e difficolta', non sembrano di grado facilmente superabile particolarmente da soggetto privo delle necessarie conoscenze tecniche, con la conseguenza di una compromissione della certezza del diritto e soprattutto della ulteriore vulnerazione del diritto garantito dal precetto costituzionale dell'art. 24. L'art. 327 c.p.c., piu' volte citato, quindi, applicato al processo tributario come regolato dal d.P.R. N. 636, si rivela in aperto contrasto con tutta l'impalcatura del contenzioso tributario. Cio' appare ancora piu' evidente per la sua stessa extrapolazione da un testo normativo la cui articolazione e la cui complessita', congiunte alla ricchezza delle difficolta' interpretative, richiedono specifico studio ed applicazione di conoscenze tecniche adeguate normalmente non possedute da chi non abbia seguito un percorso culturale formativo pertinente ed appropriato, acquisibile mediante applicazione specifica e professionale. In definitiva, la normativa degli artt. 22, 25 e 38 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, integrata, dall'art. 327 del c.p.c., si rivela tale da vanificare l'esigenza della tutela della difesa di cui all'art. 24 della Costituzione non corrispondendo la disciplina di quel processo ad una previsione di difesa tecnica, l'unica ad apparire in grado di percepire la consapevolezza dell'estensione operativa della norma e delle sue implicazioni applicative. La questione di legittimita' costituzionale, come sopra esposta, e' da ritenersi non manifestamente infondata, esistendo seri dubbi sulla conformita' ai principi costituzionali sopra richiamati delle disposizioni di cui agli artt. 22, 25 e 38 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, laddove consentono di essere integrate con la regola dell'art. 327, comma 1, del codice di procedura civile. Per cui, attesa la sua rilevanza ai fini della decisione del ricorso in trattazione, va ordinata la sospensione del procedimento in corso e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.