ha pronunciato la seguente


                              Ordinanza

nei  giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 7 secondo comma
del    regio    decreto    30 ottobre   1933   n. 1611   (Ordinamento
dell'Avvocatura  dello  Stato),  promossi con tre ordinanze emesse il
9 marzo  1999  dal  Tribunale  di Verona, rispettivamente iscritte ai
nn. 345,  346  e  347  del registro ordinanze 1999 e pubblicate nella
Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n. 24,  prima  serie speciale
dell'anno 1999.
    Visti  gli  atti  di  intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 12 aprile 2000 il giudice
relatore Franco Bile.
    Ritenuto  che  con  le  tre ordinanze in epigrafe il Tribunale di
Verona  - con motivazioni di identico tenore - ha sollevato questione
di  costituzionalita'  dell'art. 7,  secondo comma, del regio decreto
30 ottobre  1933,  n. 1611 (Ordinamento dell'Avvocatura dello Stato),
in  relazione  agli  artt. 3  e  24 della Costituzione, giudicando in
procedimenti  di  reclamo ex art. 739 del codice di procedura civile,
proposti  nei  confronti  di  ordinanze  con cui il pretore di Verona
aveva   respinto  ricorsi  di  cittadini  stranieri  avverso  decreti
prefettizi  di espulsione, adottati ai sensi dell'art. 13 del decreto
legislativo  25 luglio  1998,  n.286  (Testo unico delle disposizioni
concernenti  la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione
dello straniero);
        che  nei procedimenti di reclamo il prefetto si e' costituito
eccependo  l'incompetenza  dell'adito tribunale ai sensi dell'art. 25
del  codice  di  procedura civile, operando in proposito il c.d. foro
erariale;
        che  le  ordinanze  di rimessione - ritenuta l'ammissibilita'
del  reclamo,  al  lume  di una decisione della Corte di cassazione -
affermano  che  l'eccezione  di  incompetenza sarebbe "rilevante", in
quanto   al   reclamo   (implicitamente  equiparato  all'appello)  si
applicherebbe  l'art. 7, secondo comma, del r.d. n. 1611 del 1933, il
quale  - nel testo vigente al momento della pronuncia delle ordinanze
-  sanciva  che, nelle ipotesi in cui il primo comma prevedeva che il
foro  erariale  in  primo  grado non operasse (fra le quali all'epoca
erano  appunto  comprese le cause di competenza pretorile), l'appello
avverso  le  sentenze  pretorili si dovesse proporre al tribunale del
luogo  ove  ha  sede  l'Avvocatura  dello Stato, nel cui distretto le
sentenze  fossero  state pronunciate, onde nella specie la competenza
sarebbe spettata al Tribunale di Venezia;
        che  le  ordinanze,  dopo  avere osservato che l'incompetenza
correlata  al  c.d.  foro erariale sarebbe rilevabile in ogni stato e
grado  del  processo,  ritengono  che  la  questione  sollevata - pur
ritenuta  infondata  dalla Cortecostituzionale con la sentenza n. 118
del   1964  -  debba  essere  riesaminata,  in  quanto  il  parametro
costituzionale  dell'art. 3 sarebbe leso per l'ingiustificato diverso
trattamento   fra  i  residenti  in  localita'  sedi  dell'avvocatura
erariale   ed  i  soggetti,  cittadini  italiani  o  non,  cola'  non
residenti, i quali sarebbero sfavoriti, avendo opportunita' difensive
minori,  anche  per  il maggior carico di spese legali che dovrebbero
sopportare  rispetto  ai  primi  per  la necessita' di dover adire il
giudice della sede erariale;
        che,  d'altro  canto, le esigenze che la Corte costituzionale
aveva addotto a sostegno della decisione di infondatezza - basate sul
minor costo del servizio e sul suo migliore svolgimento garantito dal
foro  erariale  -  si  sarebbero  ormai affievolite, in ragione della
facilita'  e  rapidita'  delle  comunicazioni, che consentirebbero la
difesa   dell'erario  in  modo  tempestivo  anche  fuori  dalla  sede
distrettuale;
        che  il parametro costituzionale dell'art. 24 sarebbe leso, a
sua volta, perche' la prospettiva di dover adire il foro distrettuale
indurrebbe  i  soggetti  interessati alla desistenza dall'opposizione
contro i provvedimenti dell'amministrazione;
    che  il  Presidente  del Consiglio dei Ministri e' intervenuto in
tutti  i  giudizi,  sostenendo  la  necessita'  che  gli  atti  siano
restituiti  al  giudice  a  quo per nuova valutazione sulla rilevanza
della   sollevata   questione,   in   ragione   della  sopravvenienza
dell'art. 4  del  decreto  legislativo  13 aprile  1999,  n. 113 - da
considerarsi  immediatamente  applicabile  nei  giudizi a quibus - il
quale  ha  escluso la reclamabilita' del provvedimento che decide sul
ricorso  avverso  il  decreto  di  espulsione  ed  ha previsto la sua
ricorribilita' in cassazione.
    Considerato   che   le   ordinanze  in  epigrafe  sollevano,  con
motivazione  identica,  questione  di  costituzionalita' della stessa
norma, onde i relativi giudizi possono essere riuniti;
        che   successivamente   alla  pronuncia  delle  ordinanze  di
rimessione - come ha dedotto il Presidente del Consiglio dei Ministri
-  e'  entrato  in  vigore l'art. 4 del d.lgs. 13 aprile 1999, n. 113
(Disposizioni   correttive   al   testo   unico   delle  disposizioni
concernenti  la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione
dello  straniero,  a norma dell'art. 47, comma 2, della legge 6 marzo
1998,  n. 40),  che  ha  inserito  nel  d.lgs.  n. 286  del  1998  un
art. 13-bis  il cui quarto comma prevede che la decisione sul ricorso
avverso  il  provvedimento  di  espulsione  sia  non  reclamabile, ma
ricorribile per cassazione;
        che  in forza della suddetta disposizione il quadro normativo
potenzialmente  disciplinante  il  giudizio  a quo, specie per quanto
concerne   l'ammissibilita'   dell'impugnazione,  e'  obbiettivamente
mutato,  in  quanto  il  mezzo  di  impugnazione  con  il quale detto
giudizio e' stato instaurato non risulta piu' previsto;
        che,  in  assenza di specifiche norme di diritto transitorio,
che  non  sono  state dettate dal legislatore a proposito dei giudizi
pendenti,   si   pone   il   problema  dell'immediata  applicabilita'
dell'indicata innovazione legislativa nei giudizi a quibus;
        che   compete   al   giudice  rimettente  valutare  se  detta
applicabilita' sussista (e quali siano le sue conseguenze sui giudizi
a  quibus),  oppure se tali giudizi continuino ad essere disciplinati
dalla   normativa   precedente,  come  interpretata  dal  giudice  di
legittimita' nella pronuncia che lo stesso rimettente ha citato;
        che  conseguentemente  tale jus novorum appare potenzialmente
incidente sulla valutazione di rilevanza della sollevata questione, e
quindi  -  competendo essa al giudice rimettente - si impone, secondo
consolidata giurisprudenza della Corte, la restituzione degli atti al
medesimo,  perche'  riesamini  la  persistenza  della rilevanza della
questione alla luce della norma sopravvenuta;
        che la restituzione degli atti appare, inoltre, giustificata,
anche   in   ragione   di   un'ulteriore   sopravvenienza  normativa,
rappresentata  dall'entrata in vigore della disciplina istitutiva del
giudice   unico  di  primo  grado,  recata  dal  decreto  legislativo
19 febbraio  1998, n. 51 (Norme in materia di istituzione del giudice
unico  di primo grado), avvenuta, per il processo civile, con effetto
dal  2 giugno  1999,  ai  sensi dell'art. 247, primo comma, nel testo
modificato  dall'art. 1  della  legge 16 giugno 1998, n. 188 (Proroga
del  termine di efficacia del d.lgs. 19 febbraio 1998, n. 51, recante
norme in materia di istituzione del giudice unico di primo grado);
        che - avendo il suddetto intervento legislativo, fra l'altro,
soppresso l'ufficio pretorile - la soppressione appare potenzialmente
incidente  sulla sollevata questione, trattandosi di stabilire le sue
conseguenze  su una norma quale quella denunciata dal rimettente, che
espressamene si riferisce a tale ufficio;
        che   compete  al  rimettente  valutare  quali  siano  queste
conseguenze  e  se  esse  incidano  sul  giudizio  di rilevanza della
questione sollevata.