LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE Ha emesso la seguente ordinanza sul ricorso n. 53/1999 depositata il 22 gennaio 1999, avverso avviso di liquidazione n. 932V14361-2Luogo, contro Registro di Milano 1 privati, proposto da: Brugola Carla, residente a Abbiategrasso (Milano), in via Cairoli n. 6; difeso dall'avv. Donato B. Quagliarella, residente a Milano, in via Enrico Toti n. 4; Brugola Ercole, residente a Vimercate (Milano), in via Banfi n. 13; difeso dall'avv. Donato B. Quagliarella, residente a Milano, in via Enrico Toti n. 4; Brugola Igino, residente ad Abbiategrasso (Milano), in via S. Pellico n. 31; difeso dall'avv. Donato B. Quagliarella, residente a Milano, in via Enrico Toti n. 4; Brugola Maria, residente ad Abbiategrasso (Milano), in via T. Grossi n. 27; difeso dall'avv. Donato B. Quagliarella, residente a Milano, in via Enrico Toti n. 4; Brugola Stefania, residente ad Abbiategrasso (Milano), in via Ticino n. 94; difeso dall'avv. Donato B. Quagliarella, residente a Milano, in via Enrico Toti n. 4; Sul ricorso ricorso n. 54/1999 depositato il 22 gennaio 1999, avverso avviso di liquidazione n. 932V14361 I Luogo, contro registro di Milano 1 privati, proposto da: Brugola Ercole, residente a Vimercate (Milano), in via Banfi n. 13; difeso dall'avv. Donato B. Quagliarella, residente a Milano, in via Enrico Toti n. 4; Brugola Igino, residente ad Abbiategrasso (Milano), in via S. Pellico n. 31; difeso dall'avv. Donato B. Quagliarella, residente a Milano, in via Enrico Toti n. 4; Brugola Maria, residente ad Abbiategrasso (Milano), in via T. Grossi n. 27; difeso dall'avv. Donato B. Quagliarella, residente a Milano, in via Enrico Toti n. 4. 1. - Con ricorso notificato il 22 gennaio 1999 all'ufficio del registro, e depositato il 22 gennaio 1999 presso la commissione i ricorrenti hanno impugnato gli avvisi di liquidazione, atto n. 932V14361/1o Ufficio del registro 1o atti privati, sull'atto del 27 maggio 1993, rep. 160178, notaio dott. E. Lainati, registrato il 16 giugno 1993 al n. 14361, avvisi notificati in data 23, 24 e 28 novembre 1998, (a seguito della decisione della commissione tributaria provinciale assunta nella seduta del 24 marzo 1998) chiedendo la sospensione degli avvisi di liquidazione; la remissione degli atti alla Corte costituzionale per palese fondatezza dell'eccezione di costituzionalita'; nel merito per la modifica ed annullamento dei provvedimenti notificati. Con provvedimento in data 30 marzo 1999 questa commissione ha accolto l'istanza di sospensione dei provvedimenti impugnati e fissato l'udienza di discussione al 30 giugno 1999. Si costituiva in giudizio l'ufficio del registro, assumendo che spetta a questa commissione valutare se rimettere gli atti alla Corte costituzionale. I ricorrenti depositavano in data 8 giugno 1999 memoria ex art. 32 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 e, il 3 giugno 1999, istanza di discussione in pubblica udienza. Interveniva in udienza il difensore dei ricorrenti, che sviluppava oralmente i profili gia' evidenziati in atti. La commissione si riservava di decidere. 2. - I ricorrenti sostengono che, nel caso di specie, le norme che entrano in discussione siano: A) art. 2 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643 ("L'imposta si applica all'incremento del valore degli immobili relativamente ai quali si verificano il trasferimento o il conferimento del diritto di proprieta' o la costituzione, il trasferimento o il conferimento di altro diritto reale, con esclusione della servitu', a titolo gratuito o a titolo oneroso, per atto tra vivi ovvero a causa di morte"), nell'ambito del provvedimento istitutivo dell'imposta sull'incremento del valore degli immobili, il quale ha costruito un istituto unitario con un fine specifico: quello di colpire tutti i trasferimenti che non facevano emergere un elemento di ricchezza che il tempo con altri fenomeni aveva realizzato. Quando il legislatore ha pensato alla soppressione di questo sistema, sostituendolo con quello di graduale e costante prelievo (I.C.I.) non ha integralmente rinunciato al tributo, e questo potrebbe essere costituzionalmente corretto, ma dubbi sulla correttezza sorgono quando si procede a dividere l'istituto distinguendo un tipo di trasferimento dall'altro, come il legislatore ha fallo in seguito. I ricorrenti sostengono che il mero fatto materiale, che determina il realizzarsi del presupposto, era gia' stato unitariamente considerato dal legislatore ("per atto tra vivi ovvero a causa di morte") e che non ha rilevanza ex se', mentre ha rilevanza la fenditura al sistema che equivale a non colpire con la medesima consistenza e con due regimi quella vicenda (trasferimento del bene) che prescinde dalla causa; B) l'art. 17, commi 6 e 7, d.-l. 30 dicembre 1992, n. 504, e l'art. 4, comma 17 della legge 23 ottobre 1992, n. 421 (-6- "Con effetto dal 1o gennaio 1993 e' soppressa l'imposta comunale sull'incremento di valore degli immobili. Tuttavia l'imposta continua ad essere dovuta nel caso in cui il presupposto di applicazione di essa si e' verificato anteriormente alla predetta data". -7- "L'imposta comunale sull'incremento di valore degli immobili continua ad essere dovuta con le aliquote massime e l'integrale acquisizione del relativo gettito al bilancio dello Stato, anche nel caso in cui il presupposto di applicazione di essa si verifica dal 1o gennaio 1993 fino al 1o gennaio 2003 limitatamente all'incremento di valore maturato fino al 31 dicembre 1992"), istitutiva della imposta comunale immobiliare, che ha soppresso l'I.N.V.I.M. L'introduzione dell'imposta comunale sugli immobili ha prodotto la sopressione (o piu' esattamente la sostituzione) dell'imposta sull'incremento di valore degli immobili. Per la fase intermedia, cioe' sino al 1o gennaio 2003, l'imposta continua ad applicarsi nel caso di privati che operino dei trasferimenti sino a quel termine di beni gia' in loro proprieta' antecedentemente al 31 dicembre 1992. Cio' comporta che, a tributo soppresso, alcuni pagano ancora l'I.N.V.I.M. ed altri non pagano solo perche' differiscono l'operazione dispositiva del bene a data successiva alla scadenza del termine di efficacia delle vecchie disposizioni. Inoltre, il bene disposto, che era oggetto del tributo I.C.I., resta oggetto di tributo I.C.I. per il nuovo acquirente. I proprietari di beni acquisiti antecedentemente il 31 dicembre 1992, invece, pagano I.C.I. e I.N.V.I.M., se dispongono del bene nel periodo. All'apparenza l'arresto dell'I.N.V.I.M. alla data del 31 dicembre 1992 parificherebbe l'effetto sui contribuenti possessori di beni immobili, ma cio' non avviene nella sostanza. Chi, infatti, ha differito la disposizione a data successiva alla scadenza del termine di efficacia differita del 1o gennaio 2003 non paga l'I.N.V.I.M. ed avra' pagato il decennio di I.C.I. I.N.V.I.M. ed I.C.I. differiscono, oltre che per il modo di quantificare la base imponibile, anche per i criteri e gli effetti dell'applicazione dell'imposizione, pur sostituendo la seconda il primo tributo. Non e' quindi l'arresto al 31 dicembre 1992, per quantificare l'I.N.V.I.M., che sana i profili di incostituzionalita' del prelievo. La norma di raccordo alla soppressione del tributo e' rappresentata da un duplice limite: il 31 dicembre 1992, come termine entro il quale avere acquisita la proprieta' di un bene; il 1o gennaio 2003, come momento di disposizione del bene. Come detto, attualmente per non pagare l'I.N.V.I.M. bisogna vendere un bene immobile posseduto prima del 31 dicembre 1992 dopo il 1o gennaio 2003; chi lo vende prima paga l'I.N.V.I.M. con riferimento al valore al 31 dicembre 1992. In sintesi, chi vendera' un immobile, acquisito in proprieta' prima del 1992, tra il 31 dicembre 1992 e il 1o gennaio 2003 e' "sfavorito" in confronto a chi vende dopo tale ultimo termine, avendo il primo pagato anche un'imposta I.C.I., che ha sostituito l'I.N.V.I.M. Il fatto che l'I.N.V.I.M. per il calcolo si arresti al "valore finale ..." che "... e' assunto in misura pari a quello dell'immobile alla data del 31 dicembre 1992 non sana tale disparita' di trattamento". Ancora, il problema non e' diverso dalla soppressione in genere di un tributo: normalmente accade che un tributo esiste sino ad una certa data, viene poi soppresso e sino alla data di vigenza il precedente tributo dispiega efficacia a regime ordinario. Fatti, che accadano successivamente, non possono alternativamente comportare ancora l'applicazione o non del tributo per il mero fatto che accadano in tempi diversi e non puo' avere efficacia sanante la volontarieta' o non della scelta del comportamento. C) art. 11, comma 3, d.-l. 28 marzo 1997, n. 79, convertito dalla legge il 28 maggio 1997, n. 140 ("In deroga a quanto stabilito dal decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 643, per gli immobili caduti in successione, acquistati dal defunto prima del 31 dicembre 1992, e' dovuta solidalmente dai soggetti che hanno acquistato il diritto di proprieta', oppure diritti reali di godimento sugli immobili medesimi un imposta, sostitutiva di quella comunale sull'incremento di valore degli immobili pari all'uno per cento del loro valore complessivo alla data dell'apertura della successione, se detto valore supera 250 milioni di lire". L'imposta sostitutiva si applica alle successioni apertesi fino alla data del 1o gennaio 2003"), istitutivo della c.d. imposta "sostitutiva di quella comunale sull'incremento di valore degli immobili". Il legislatore ha pensato ai trasferimenti che avvengono in sede di successione, distinguendo durante lo stesso periodo quando l'accadimento, che attualizza l'applicazione dell'imposta, non dipende da fatti volontari, e ha regolato l'imposta in un modo diverso, introducendo la c.d. imposta "sostitutiva di quella comunale sull'incremento di valore degli immobili"; pari all'uno per cento del loro valore complessivo alla data dell'apertura della successione. Questa norma non sana il regime, ma accentua la caratteristica di incostituzionalita' del regime prorogato per effetto dell'art. 17 d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504 e dell'art. 4, comma 17 della legge 23 ottobre 1992, n. 421. La c.d. "imposta sostitutiva" e' introdotta in sede successoria per regolare in modo autonomo gli effetti di un trasferimento del bene, che sarebbe oggetto del regime ordinario richiamato; ma l'affermazione e' scorretta in quanto non e' "eccezione", bensi' e' "sostituzione": la norma tiene conto dell'entrata in vigore a recime dell'I.C.I., che realizza un cumulo di tributi sui medesimi soggetti, situazione non diversa da quella accaduta in genere ai soggetti a quei presupposti, che non derivino dall'evento morte. Il regime ordinario successivo dell'I.N.V.I.M. avrebbe dovuto avere una disposizione non di ultrattivita', ma una regolazione autonoma della fattispecie, possibilmente allineata a quella data in sede successoria per non realizzare la disparita' di trattamento, che non si evidenzia da quella sede. Pensare, tornando a considerare l'elemento volontario in luogo dell'evento morte, che la differenza giustifichi un diverso trattamento e' assolutamente impossibile per contrasto con la natura dell'istituto, come creato dall'art. 2 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643. Anche la relazione Reale (Atti Camera, legislatura, stampato n. 1639, pag. 1806 e seguenti, sulla legge 9 ottobre 1971, n. 825) conferma la non arbitrarieta' dell'affermazione, infatti, a pag. 1836/17 si legge: "La norma prevede l'applicazione dell'imposta anche nel caso di donazioni o successioni a causa di morte. Altra soluzione poteva essere quella di non considerare le successioni a causa di mode e le donazioni e di assoggettare all'imposta, in caso di alienazione da parte dell'erede o del donatario, l'intero incremento dell'immobile in confronto al valore che esso aveva alla data di acquisto da parte del de cuius o del donante. Ma questa soluzione comporterebbe gravi difficolta' pratiche e, a causa della progressivita' delle aliquote, un maggiore aggravio per i contribuenti perche' in molti casi si dovrebbe risalire ad acquisti effettuati molti decenni prima. Altra soluzione ancora poteva essere di non assoggettare al tributo le plusvalenze degli immobili trasferiti per successione a causa di morte o per donazione, e di fare riferimento, nel caso di successiva alienazione, al valore di essi alla data della successione o della donazione. Ma questa soluzione sottrarrebbe al tributo una parte dell'incremento del valore dell'immobile (quello formatosi dalla data di acquisto da parte del de cuius o del donante alla data in cui i beni pervengono all'erede, al legatario o al donatario) ed inoltre, attraverso le donazioni, consentirebbe l'elusione dell'imposta, soprattutto nell'ambito familiare, simulando come donazioni le vendite quando l'onere dell'imposta sulle donazioni sia meno elevato dell'onere fiscale derivante dall'imposta comunale sugli incrementi di valore e dell'imposta del registro". Il legislatore della riforma aveva gia' escluso che la differenza della causa del trasferimento potesse distinguere il regime fiscale susseguente ed esplicitamente lo aveva escluso nelle successioni e donazioni in confronto alle vendite, per i motivi richiamati. Prosegue infatti: "Per i motivi esposti, si ritiene indispensabile stabilire il principio che l'imposta e' dovuta anche sugli incrementi inerenti ai beni trasmessi a titolo gratuito. Tuttavia, ad evitare il contemporaneo concorso di due oneri tributari in relazione al medesimo atto e allo scopo quindi di ridurre l'onere fiscale a carico dei contribuenti, l'articolo 9, n. 7 dispone che l'imposta sull'incremento di valore degli immobili viene detratta dall'imposta sulle donazioni o sulle successioni imputabile ai singoll immobili compresi nella liberalita' o nella successione. In questo modo l'imposta comunale sull'incremento di valore degli immobili sara' in ogni caso dovuta - e si eviteranno cosi' i pericoli di elusione dell'imposta dei quali si e' detto precedentemente - e l'imposta erariale sulle successioni e donazioni sara' dovuta soltanto se l'ammontare supera l'imposta sull'incremento di valore degli immobili e, anche in questo caso, sara' dovuta soltanto per l'eccedenza". E' chiaro che l'imposta sostitutiva rappresenti un beneficio ed anche un'anomalia, se comparata al regime dell'art. 17 d.lgs. 30 ottobre 1992, n. 504 e dell'art. 4, comma 17 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, ma tale regime non e' eccezione in quanto rientra nei presupposti dell'atto dispositivo dell'introdotta disposizione sull'I.N.V.I.M. in generale. La sottrazione dell'una figura (per successione) e la conservazione degli altri trasferimenti inter vivos costituiscono un regime di eccezione, ma di modificazione dell'istituto. L'I.N.V.I.M., in sostanza, dopo il 31 dicembre 1992 e per atto dispositivo entro il 1o gennaio 2003, e' la medesima imposta introdotta dalla riforma originaria, mentre diventa imposta diversa in sede accessoria. Infatti, cade sul valore dei beni immobili alla "data di apertura della successione", quindi in un diverso momento, che non e' il 31 dicembre 1992, ed ha una diversa quantificazione d'imposta (1% su tutto il valore): mentre l'una e' imposta progressiva, l'altra e' proporzionale. Si e' efficacemente detto che "diversa e' la funzione e la costituzione teorica; oggetto di tassazione non e' piu' un incremento di valore, ma un valore in se', riferito ad un dato momento. Fra l'altro, mentre il valore finale dell'I.N.V.I.M. e' fermo al 31 dicembre 1992, il valore ai fini dell'imposta sostitutiva prescinde da tale limite temporale". Ma imposta diversa diviene anche l'I.N.V.I.M. ordinaria per atto di trasferimento inter vivos nel momento nel quale e' stata "sostituita" dall'I.C.I. Si imponeva, quindi, un intervento normativo autonomo e sistematico sull'imposta, che non vi e' stato, realizzandosi in tal modo la denunciata disparita'. Il legislatore, conscio di questo elemento, ha regolato in modo autonomo la vicenda di trasferimento in sede successoria, la' dove si e' astenuto dal provvedere nei trasferimenti inter vivos, con cio' realizzando una disparita' di trattamento (art. 3 Cost.) di chiara illegittimita' costituzionale (dalla quale si salverebbe se fosse stata introdotta la disposizione con una opzione, come sostenuto in dottrina da Napolitano-Militerno "Imposta ipotecaria, catastale e sostitutiva dell'I.N.V.I.M.: applicazione alle successioni", in Corriere Tributario 1998, n. 1, pag. 29 e segg.). Se si pensasse di salvare dalla censura col ricorso ad una pretesa ultrattivita' dell'imposta, peggioreremmo le conclusioni per l'illiceita' del ricorso stesso (la cui benevola considerazione trova applicazione in sede penale per le disposizioni piu' favorevoli al reo) e per la sostanziale elusione del principio di parita', che rappresenta un limite al potere legislativo in materia tributaria nella considerazione di fattispecie di riferimento identiche (trasferimento di proprieta' o di diritti reali immobiliari). Non senza rilievo e' poi il periodo di convivenza dell'I.C.I. con l'I.N.V.I.M., per definizione soppresso, ma applicato, per il quale valgono i rilievi di costituzionalita', formulati nell'ottica di prelievo locale che si aggiunge a quello erariale, che deve giustificarsi secondo "canoni di razionalita' e ragionevolezza" sulla base del fatto che il presupposto "manifesti di per se' idoneita' economica alla contribuzione" sul piano della rilevanza dell'art. 53 della Costituzione (Della Valle "I limiti costituzionali alla sovrapposizione di tributo erariale e tributo locale: capacita' contributiva e coordinamento finanziario" in Riv. Dir. Fin. e Scienza e Finanze, 1994, 1/2 8). Appare evidente, inoltre, la violazione in materia di imposte indirette e, sulla medesima fattispecie, dei principi di cui all'art. 53 della Costituzione per la diversa rilevanza del tributo, che si modifica anche nel meccanismo impositivo, passando da imposta progressiva a scaglioni in proporzionale. 3. - Queste disposizioni interagiscono tra di loro nella fase successiva alla soppressione del tributo, integrando gli estremi di profili di illegittimita' costituzionale per contrarieta' agli artt. 3 e 53 della Costituzione. Individuato il contenuto della disciplina vigente, appare non manifestamente infondata, e deve quindi essere sollevata la questione di costituzionalita' degli artt. 2 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 17 d.l. 30 dicembre 1992, n. 54 e l'art. 4, comma 17 della legge 23 ottobre 1992, n. 421 e art. 11, comma 3 d.l. 28 marzo 1997, n. 79, convertito dalla legge 28 maggio 1997, n. 140 in relazione agli artt. 3 e 53 della Carta costituzionale. Il sistema delle norme esaminate appare determinare una violazione dell'art. 3 della Costituzione per i profili evidenziati, come anche dell'art. 53 Cost., dai quali contrasti scaturisce una ingiustificata disparita' di trattamento e una violazione dei principi di trattamento conseguente a concorrenza di analoga capacita' contributiva, dal momento che non e' sufficiente che i singoli prelievi colpiscano un indice di capacita' contributiva, rilevatore di ricchezza, ma e' necessario che il sistema delle singole parti del sistema tributario, costruito dalle singole imposte, si coordini in modo da riempire le lacune e non mandare esenti i soggetti che realizzano i presupposti impositivi, senza sovrapposizioni, ove la capacita' contributiva venga presa in considerazione a presupposto analogo in modo sostanzialmente diverso.