IL TRIBUNALE Ha pronunziato la seguente ordinanza nella causa civile iscritta in data 21 settembre 1998 col n. 1528/98 al ruolo generale e vertente tra Ministero dell'interno, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall'avvocatura distrettuale dello Stato di Potenza presso i cui uffici ope legis domicilia ricorrente; e Benevento Filomena, rappresenta e difesa dall'avv. Pancrazio Marsilio del foro di Matera, come da mandato a margine della comparsa di costituzione e risposta, ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell'avv. Rosaura De Paola, in Potenza alla via Mazzini n. 143, resistente; oggetto: reclamo ex art. 669-terdicies c.p.c. Premesso: che con ricorso depositato il 21 settembre 1998 il Ministero dell'interno, in persona del Ministro in carica, proponeva reclamo avverso l'ordinanza ex art. 700 c.p.c. del 4 settembre 1998 con la quale il pretore di Matera ha accolto il ricorso della sig.ra Benevento volto a sospendere il prelievo di L. 200.000 mensili dalla pensione d'invalidita'. Il suddetto prelievo era stato disposto dalla perfettura di Matera al fine di recuperare la somma che la controparte avrebbe indebitamente percepito, fino al mese di dicembre 1997, a titolo di indennita' di accompagnamento, nonostante la revoca della stessa intervenuta in data 18 luglio 1986; che secondo il ricorrente l'ordinanza pretorile e' ingiusta in quanto ha riconosciuto l'irripetibilita' dell'indebito applicando in via analogica alla materia assistenziale la disciplina prevista dall'art. 1, comma 260 della legge n. 662 del 1996 e dall'art. 52 della legge n. 88 del 1989. Le suddette norme, a parere del ricorrente, non sono invece suscettibili di applicazione analogica in quanto costituiscono eccezione al principio generale della ripetizione dell'indebito previsto dall'art. 2033 c.c. Pertanto, la loro estensione oltre i casi espressamente previsti integra palese violazione dell'art. 14 disp. prel. c.c. O s s e r v a Il comma 260 dell'art. 1 della legge n. 662 del 1996 disciplina i versamenti indebiti, avvenuti entro il mese di gennaio 1996, di "prestazioni pensionistiche o quote di prestazioni pensionistiche, o trattamenti di famiglia, nonche' rendite" e prescrive 1'irripetibilita' dell'indebito qualora l'accipiens abbia goduto di un reddito personale imponibile I.R.P.E.F. per l'anno 1995 di importo pari o inferiore L. 16.000.000. La suddetta norma sostituisce, nel periodo temporale predetto, la disposizione del comma 2 dell'art. 52 della legge n. 88 del 1989, la quale ha posto il principio della generale irripetibilita' delle somme indebitamente percepite a titolo di pensione dagli assicurati in conseguenza di un qualsiasi errore dell'amministrazione, tranne il caso in cui vi sia stato un comportamento doloso dell'interessato. Tali disposizioni configurando, con riferimento alle prestazioni pensionistiche, un'ipotesi di irripetibilita' in deroga alla disciplina generale dettata dall'art. 2033 c.c. in materia di indebito oggettivo, devono considerarsi eccezionali per cui esse non si applicano oltre i casi espressamente considerati (art. 14 preleggi). Non puo', pertanto, ritenersi che le norme predette abbiano introdotto nella legislazione sociale e quindi anche in materia assistenziale il principio generale della irripetibilita' delle somme indebitamente percepite per errore dell'amministrazione. Infatti, il legislatore ha analiticamente e tassativamente indicato le materie alle quali si applica l'irripetibilita' dell'indebito. L'uso della tecnica legislativa della indicazione analitica non permette, pertanto, all'interprete di ritenere esistente l'irripetibilita' anche nel settore assistenziale se non in violazione dell'art. 14 disp. prel. c.c. Esclusa, dunque, la possibilita' dell'applicazione analogica a parere di questo tribunale la normativa in esame non si sottrae da fondati dubbi di costituzionalita' che impongono, quindi, la remissione della questione al vaglio del giudice delle leggi. Per quanto riguarda il profilo della rilevanza della suddetta questione nel presente giudizio, si e' gia' ampiamente argomentato in precedenza sottolineando il fatto che nel procedimento de quo si controverte proprio sulla applicabilita' dell'art. 52, comma 2 della legge n. 88/1989 e dall'art. 1 comma 260 della legge n. 662 del 1996 anche al caso in esame (e quindi anche all'indennita' di accompagnamento). Infatti la resistente, percependo solo la pensione di invalidita', si trova ben al di sotto del limite di reddito fissato nel citato comma 260, per il periodo ivi previsto. Per il periodo residuo (gennaio 1996-dicembre 1997) si invoca l'applicazione dell'art. 52, comma 2 della legge n. 88 del 1989 che prevede la generale irripetibilita' delle somme indebitamente percepite, non sussistendo, nel caso de quo il dolo dell'accipiens. Quanto poi alla non manifesta infondatezza, essa risulta dai rilievi che seguono: 1) preliminarmente va osservato che la razio delle norme che dispongono la irripetibilita' delle somme indebitamente percepite a titolo di pensione, risiede nell'esigenza di tutelare la posizione di quei pensionati chiamati a restituire somme spesso consistenti che, sebbene indebite, sono state destinate al soddisfacimento di primarie esigenze di vita, e tra queste non puo' ritenersi esclusa il bisogno di assistenza; 2) sia la normativa previdenziale che quella assistenziale sono branche della legislazione sociale dettate a sostegno di categorie che abbisognano di pari tutela; 3) entrambe le discipline traggono origine dal medesimo articolo costituzionale (art. 38 Cost.) e si inquadrano nel piu' ampio obiettivo perseguito dal nostro ordinamento e cioe' quello della promozione, dello sviluppo e difesa della persona previsto dall'art. 3 primo e secondo comma della Cost.; 4) ove fosse negata l'applicazione delle disposizioni in esame anche alla materia assistenziale (come nel caso specifico), si verificherebbe una palese ingiustizia in violazione dell'art. 3 Costituzione e del principio di ragionevolezza, in relazione, altresi', all'art. 38, primo comma della Costituzione. Infatti, verrebbero ingiustamente discriminate intere categorie di persone ancora piu' bisognose di quelle tutelate dalla legislazione previdenziale, tenuto anche conto dell'essenza giuridica della c.d. indennita' di accompagnamento. Difatti, secondo la giurisprudenza (Cass. sez. lavoro sent. n. 1780 del 18 febbraio 1987) tale indennita' e' giustificata da un estremo stato di necessita' e non da una convenzionale situazione di bisogno considerata come evento protetto dal sistema previdenziale ordinario, ed e' espressione minima, dovuta, della garanzia di sopravvivenza offerta dalla sicurezza sociale (art. 38 primo comma Cost.) nella sua funzione di mera assistenza; 5) a sostegno delle argomentazioni sin qui svolte, si richiama la sentenza della Corte costituzionale n. 196 del 1993, con la quale e' stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 442 c.p.c., per violazione degli artt. 3 e 38 Cost., nella parte in cui non prevede, quando il giudice pronuncia sentenza di condanna al pagamento di somme di denaro per crediti relativi a prestazioni di assistenza sociale obbligatoria, il medesimo trattamento dei crediti relativi a prestazioni di previdenza sociale in ordine agli interessi legali e al risarcimento del maggior danno sofferto dal titolare per la diminuzione del valore del suo credito. La Corte ha ritenuto che "una volta estesa ai crediti previdenziali una regola analoga a quella dell'art. 429, terzo comma c.p.c., interviene a favore dei crediti assistenziali il principio di razionalita'". Sotto questo profilo "il dispositivo della sentenza n. 156/1991 (che ha esteso ai crediti previdenziali la regola contenuta nell'art. 429, terzo comma) diventa, in materia assistenziale, a sua volta ratio decidendi nella forma di un argomento a fortiori: se ai crediti previdenziali di qualsiasi entita', si attribuisce al titolare una tutela speciale contro i danni cagionati da mora debendi, a maggior ragione la medesima tutela deve essere concessa ai crediti per le prestazioni assistenziali previste dal primo comma dell'art. 38 Cost. Esse hanno lo scopo di garantire ai cittadini inabili e bisognosi il minimo esistenziale ed i mezzi necessari per vivere ...". La Corte nella citata sentenza ha in tal modo proceduto "a coordinare, col principio di razionalita' anche il parametro costituzionale dell'art. 38, primo comma Cost.", sottolineando il fatto che il predetto parametro "puo' essere appropriatamente invocato con l'argomento di meritevolezza "a maggior ragione" da parte dei titolari di prestazioni assistenziali della medesima tutela attribuita ai crediti previdenziali conto i danni da ritardo dell'adempimento". Tali considerazioni inducono il collegio a ritenere non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' relativa al comma 2 dell'art. 52 della legge n. 88 del 1989 nonche' dell'art. 1 comma 260 della legge n. 662 del 1996 sotto il profilo della violazione degli artt. 3 e 38, primo comma della Costituzione e, conseguentemente, a sollevarla di ufficio.