LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE

    Ha  emesso  la seguente ordinanza in merito al ricorso presentato
  da  Cecconi  Ezio,  residente  a  Carate Urio (Como), in via Regina
  n. 77,  codice  fiscale  CCCZEI54Sl0C933O, abilitato a comparire in
  proprio  nel  procedimento senza assistenza del difensore delegato,
  avverso il silenzio rifiuto della direzione regionale delle entrate
  Lombardia,  sezione  staccata  di  Como al rimborso dell'acconto di
  I.R.A.P.  per  l'anno  1998,  richiesto con istanza del 23 dicembre
  1998.

                              F a t t o

    Il  ricorrente  ha  versato  in  data  19 giugno 1998 la somma di
  L. 3.258.000 quale primo acconto dell'I.R.A.P. dovuta per il 1998 e
  in  data  30 novembre  1998  la somma di L. 3.258.000 quale secondo
  acconto della stessa imposta per lo stesso anno.
    Con  istanza  del  23 dicembre  1998  il ricorrente ha chiesto il
  rimborso  delle  somme  versate,  oltre  agli  interessi  di legge,
  ritenendo  che  l'imposta  non  sia  dovuta  in  quanto  il  d.lgs.
  n. 446/1997  sarebbe  in  contrasto  con  i  principi  di  cui agli
  articoli 3, 53, 76, 35 e 23 della Costituzione.
    Essendo  trascorso  inutilmente  il  termine  di  novanta  giorni
  previsto   dall'art. 21,   comma  2,  del  d.lgs.  n. 546/1992,  il
  ricorrente  ha  presentato  ricorso  a  questo  giudice  contro  il
  silenzio   rifiuto   dell'amministrazione  finanziaria,  variamente
  argomentando  in merito alla asserita illegittimita' costituzionale
  del  decreto  istitutivo  dell'I.R.A.P.  rispetto alle citate norme
  della Costituzione.
    La  parte ricorrente conclude chiedendo alla commissione adita di
  pronunciarsi  sulla  non  manifesta infondatezza delle questioni di
  illegittimita'  costituzionale  sollevate  nel  ricorso,  di  voler
  disporre la trasmissione degli atti alla Corte cotituzionale per le
  relative  pronunzie  e di dichiarare dovuto il rimborso delle somme
  versate  a  titolo  di  acconto  dell'I.R.A.P. per l'anno 1998, con
  vittoria delle spese di giudizio.
    La  direzione  regionale delle entrate per la Lombardia - sezione
  staccata  di Como - costituitasi in giudizio, ha chiesto il rigetto
  del ricorso, con vittoria di spese, trattandosi di imposta prevista
  da   una  legge  dello  Stato  e  pertanto  legittimamente  dovuta.
  L'eventuale  incostituzionalita' della normativa sull'I.R.A.P. deve
  essere sollevata davanti alla Corte costituzionale.
    Non  si  e'  svolta la pubblica udienza e il collegio, riunito in
  camera di consiglio, si e' riservato di deliberare.

                            D i r i t t o

    Osserva   in  primo  luogo  questo  collegio,  in  risposta  alla
  direzione  regionale delle entrate - sezione staccata di Como - che
  e'  vero  che  le  questioni di incostituzionalita' della normativa
  dell'I.R.A.P.   devono   essere   sollevate   davanti   alla  Corte
  costituzionale,  ma e' anche vero che compete a questo collegio, in
  prima  istanza,  pronunciarsi  sulla  rilevanza  delle questioni di
  incostituzionalita' sollevate, rispetto alla materia del contendere
  in  questo  procedimento, sulla eventuale manifesta o non manifesta
  infondatezza  delle questioni sollevate e, se del caso, ordinare la
  trasmissione  degli atti alla Corte per il relativo giudizio. Detto
  questo,  ritenuta la sicura rilevanza delle questioni sollevate, si
  puo'  passare  alla disamina per paragrafi delle singole questioni,
  appunto  per  rilevarne  la  manifesta o non manifesta infondatezza
  sotto i diversi profili di legittimita' costituzionale.
ce=3;  A)  Questione  di  illegittimita'  costituzionale  del decreto
  istitutivo  dell'I.R.A.P. (D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 3,
  comma  1,  lett.  c), articoli 4 e 8) rispetto agli articoli 3 e 53
  della Costituzione.
    L'art. 3  della  Costituzione stabilisce la pari dignita' sociale
  di  tutti  i cittadini e la loro uguaglianza davanti alla legge. E'
  stata  sollevata  la questione di illegittimita' costituzionale del
  decreto   istitutivo   dell'I.R.A.P.   rispetto   a   questa  norma
  costituzionale,   in   combinato   disposto   con  l'art. 53  della
  Costituzione,  che  impone  l'obbligo  di  contribuzione in ragione
  della  capacita' contributiva. E' stata sollevata anche l'eccezione
  di  incostituzionalita'  con  riferimento  specifico  ed  esclusivo
  all'art. 53, che sara' esaminata in un successivo paragrafo. Qui ci
  si   deve   limitare   ad   esaminare  questa  prima  eccezione  di
  incostituzionalita',  basata  sull'assunto  che  la  determinazione
  dell'imponibile    assuma    elementi   indicatori   di   capacita'
  contributiva per una o piu' categorie di cittadini e che gli stessi
  elementi   non  si  possano  considerare  indicatori  di  capacita'
  contributiva  per altra o altre categorie di cittadini. L'ulteriore
  questione  della  compatibilita' dell'imponibile ad I.R.A.P. con il
  concetto   di   capacita'   contributiva  genericamente  inteso  e'
  argomento della accennata eccezione successiva.
    La questione non e' manifestamente infondata.
    La  disamina  della questione deve partire dal presupposto stesso
  dell'imposta,  che  e'  definito dall'art. 2 del d.lgs. 15 dicembre
  1997,   n. 446,   come   "l'esercizio  abituale  di  una  attivita'
  autonomamente organizzata diretta alla produzione e allo scambio di
  beni ovvero alla prestazione di servizi".
    L'art. 3  dello  stesso  decreto,  nel  definire soggetti passivi
  dell'imposta  coloro  che  esercitano una o piu' delle attivita' di
  cui  all'art. 2, elenca sei categorie di soggetti, riconducibili in
  sintesi a tre gruppi:
        1) gli imprenditori, siano essi persone fisiche o societa' di
  persone o di capitali;
        2) le persone fisiche e le societa' semplici esercenti arti e
  professioni;
        3) gli enti pubblici e privati.
    La  base  imponibile  e'  definita  dall'art. 4 del decreto, come
  valore  della produzione netta derivante dall'attivita' esercitata.
  La  struttura  della base imponibile non e' sostanzialmente diversa
  per  i  primi  due  gruppi  dei  tre sopra elencati e risponde allo
  schema  seguente:  ammontare  del  fatturato,  al  netto  dei costi
  inerenti,  esclusi  alcuni,  tra i quali gli interessi passivi e le
  spese  per  il  personale  dipendente.  Nell'art. 8,  appositamente
  dedicato  ai  soggetti  che  esercitano  le  arti e professioni, il
  caposaldo  della  base imponibile e' costituito dall' ammontare dei
  compensi percepiti.
    La  questione di illegittimita' costituzionale e' stata sollevata
  in   quanto   la   strutturazione   dell'I.R.A.P.   attuerebbe  una
  discriminazione   a   danno  degli  esercenti  il  lavoro  autonomo
  derivante dall'esercizio di arti e professioni, in violazione degli
  articoli  3 e 53 della Costituzione. Le argomentazioni addotte sono
  le seguenti:
        1)  La  normativa dell'I.R.A.P. ha introdotto una illegittima
  equiparazione dell'esercizio di arti e professioni all'esercizio di
  impresa,  mentre  tali attivita' sono distinte nella loro essenza e
  nella disciplina di ogni tributo.
    L'argomento  e'  pregevole  ai  fini della sollevata questione di
  illegittimita'  costituzionale  ed  e'  sostenuto  da un precedente
  importante  nella  giurisprudenza della stessa Corte costituzionale
  che  e'  la sentenza n. 42 del 26 marzo 1980, con la quale e' stata
  dichiarata  l'incostituzionalita'  dell'imposizione ad I.L.O.R. dei
  redditi  di  lavoro autonomo. Tale pronuncia di incostituzionalita'
  si fondava proprio sull'essenza del lavoro autonomo, radicalmente e
  intrinsecamente  differenziato  dall'attivita' d'impresa, in quanto
  basato sull'attivita' lavorativa personale, ancorche' autonoma, del
  professionista  e  dell'artista  e  non  sulla  combinazione di una
  attivita'  imprenditoriale  con gli altri fattori produttivi tipici
  dell'impresa.   L'assoggettamento  ad  I.R.A.P.  dell'attivita'  di
  lavoro   autonomo,  come  conseguenza  dell'equiparazione  di  tale
  attivita'  all'attivita'  d'impresa nell'"esercizio abituale di una
  attivita'  autonomamente organizzata diretta alla produzione e allo
  scambio  di  beni  ovvero  alla prestazione di servizi", secondo la
  definizione   dell'art. 2  del  d.lgs.  15 dicembre  1997,  n. 446,
  ripristina    l'equiparazione    illegittima   sotto   il   profilo
  costituzionale,  a  suo  tempo  censurata dalla Corte con la citata
  sentenza n. 42/1980.
        2)  Un  ulteriore  elemento illegittimamente discriminante e'
  reperibile all'interno dell'area delle attivita' di lavoro, laddove
  non  e'  colpito  dall'I.R.A.P.  non soltanto il lavoro dipendente,
  beninteso in capo ai percettori dei redditi relativi, ma neppure il
  lavoro  autonomo occasionale o continuativo, esercitato al di fuori
  dell'ambito  legislativo,  fiscale  e  regolamentare dell'attivita'
  professionale  e  artistica,  la  quale  risulta dunque doppiamente
  penalizzata, in violazione dell'art. 3 della Costituzione.
        3)  La  normativa  dell'I.R.A.P.  con  riguardo ai redditi di
  lavoro  autonomo,  ha illegittimamente assunto l'esercizio abituale
  di  una attivita' autonomamente organizzata diretta alla produzione
  e  allo  scambio  di beni ovvero alla prestazione di servizi, quale
  indice di capacita' contributiva. Pur con la gia' formulata riserva
  di  discutere  piu'  avanti il concetto con riferimento all'art. 53
  Cost.,  per  il  momento si deve rilevare che, nell'esercizio delle
  arti  e  professioni,  la  struttura organizzativa non costituisce,
  nella  normalita'  dei  casi,  un elemento rilevante e qualificante
  rispetto   all'attivita'   personale   sulla  quale  e'  incentrata
  l'attivita' artistica e professionale.
    Il "valore netto della produzione" che la norma assume come testa
  di  ponte  nella  determinazione  dell'imponibile  ad I.R.A.P., non
  costituisce un indice idoneo ad esprimere la capacita' contributiva
  collegata  all'esercizio  dell'attivita' professionale. Il concetto
  stesso  di "valore della produzione", o addirittura di "produzione"
  non  puo'  essere adottato con lo stesso significato nell'attivita'
  d'impresa    e   nell'attivita'   di   lavoro   autonomo,   essendo
  profondamente  diverse  le  radici ontologiche e causali del valore
  prodotto.  Risulta  pertanto  violato  il  principio di eguaglianza
  tributaria  piu'  volte  affermato  dalla  stessa Corte, secondo il
  quale  ad  uguali  situazioni  di  fatto,  economiche e giuridiche,
  devono corrispondere regimi impositivi uguali.
        4)  Un  altro  argomento rafforza la tesi dell'illegittimita'
  costituzionale dell'I.R.A.P. all'art. 3 della Costituzione. Uno dei
  tributi  soppressi  e  sostituiti dall'I.R.A.P. e' il contributo al
  servizio  sanitario  nazionale. La sostituzione di tale contributo,
  che  in  precedenza gravava su tutti i contribuenti, con il tributo
  di  nuova  istituzione,  che  colpisce soltanto alcune categorie di
  cittadini,  fa  si'  che  il  costo  di  un  servizio  di cui tutti
  usufruiscono  sia  invece  sopportato  solo  dalle categorie incise
  dalla nuova imposta.
    A  tal  proposito  si  ricorda che la Corte costituzionale (sent.
  3 dicembre 1987, n. 431) aveva invitato il Governo a parametrare il
  costo del servizio sanitario nazionale a un sistema sostanzialmente
  assicurativo,  auspicando "un rapporto adeguativo, certo e concreto
  fra prestazioni e contribuzioni".
B)  Questione di illegittimita' costituzionale del decreto istitutivo
dell'I.R.A.P.  (D.Lgs.  15 dicembre  1997,  n. 446,  intero  decreto)
              rispetto all'art. 53 della Costituzione.
    Una   specifica  e  preannunciata  analisi  merita  la  sollevata
  questione  di  illegittimita' costituzionale del decreto istitutivo
  dell'I.R.A.P.  rispetto all'art. 53 della Costituzione: "tutti sono
  tenuti  a  concorrere  alle  spese  pubbliche in ragione della loro
  capacita'  contributiva  (primo  comma).  Il  sistema tributario e'
  informato a criteri di progressivita' (secondo comma)".
    La   questione   appare  a  questo  collegio  non  manifestamente
  infondata.
    Il  concetto  di  capacita'  contributiva e' stato studiato dalla
  dottrina   fin  dalla  emanazione  della  Costituzione,  con  esiti
  eterogenei  piu'  o meno esaurienti, a seconda dei diversi percorsi
  esegetici,  ma  una  sola e' stata ed e' la conclusione degli studi
  dottrinari,  ancora  oggi  valida  e  consolidata,  e  cioe' che la
  capacita'  contributiva e' un requisito personale del soggetto, che
  non  puo'  essere  in  alcun modo e forma individuato in situazioni
  astratte o genericamente presunte dal legislatore tributario.
    Risulta  chiaramente  dalla  norma  costituzionale  che l'obbligo
  della   contribuzione  e'  strettamente  correlato  alla  capacita'
  contributiva ("tutti sono tenuti... in ragione della loro capacita'
  contributiva").
    Quanto alla titolarita' dell'obbligo di contribuzione, l'apertura
  dell'art. 53  della  Costituzione - "tutti sono tenuti..." - non e'
  all'evidenza  riferita  in  astratto  alla collettivita' nazionale,
  bensi'  alla totalita' dei cittadini singolarmente considerati, sui
  quali  grava l'obbligo della contribuzione in misura differenziata,
  singolarmente   e   individualmente   determinata  dalla  capacita'
  contributiva di ciascuno di essi.
    Quanto  al  concetto  di  "capacita'",  lo studio semantico della
  parola   nel   contesto  in  cui  e'  collocata  induce  ad  alcune
  conclusioni perfettamente coerenti:
        1) La  titolarita' giuridica dell'obbligo di contribuzione e'
  individuale e non collettiva, o astratta, o generica.
        2)  La  capacita'  definisce  sinteticamente l'attitudine del
  coacervo  reddituale  del singolo cittadino a contenere l'ammontare
  della   contribuzione.   In  altre  parole,  il  cittadino  diventa
  contribuente  se  ed  in  quanto  dispone  di un reddito effettivo,
  concreto,  misurabile ed in ammontare tale da contenere la quota di
  contribuzione,   senza   essere   da   quest'ultima   completamente
  assorbito.  Cio' e' tanto vero, che la normativa tributaria esonera
  esplicitamente  dalla  contribuzione  i redditi che non superano un
  certo  limite.  A  maggior  ragione,  non  sorge  alcun  obbligo di
  contribuzione   se   non  sussiste  alcun  reddito,  non  potendosi
  configurare la capacita' contributiva in un reddito inesistente.
        3)   Il   concetto  fondamentale  di  capacita'  contributiva
  determinata  e misurata dal reddito del soggetto e' compatibile con
  una  sua  estensione a manifestazioni per cosi' dire "indirette" di
  capacita'  contributiva,  quali  il  possesso di un patrimonio o il
  puro  e  semplice  consumo  di  ricchezza.  Un patrimonio e' in se'
  stesso produttivo di reddito, in forma diretta o indiretta, tant'e'
  vero  che  tutte  le  fattispecie  di imposizione patrimoniale sono
  immediatamente   riconducibili  alla  imposizione  dei  frutti  del
  patrimonio,   non   essendo   configurabile   una  imposizione  sul
  patrimonio concepita come pura e semplice spoliazione del medesimo.
  In  altre parole, la tassazione patrimoniale non puo' consistere in
  un   depauperamento   del   patrimonio  protratto  nel  tempo,  che
  porterebbe  piu'  o meno rapidamente all'azzeramento del patrimonio
  stesso,  bensi'  in  un  prelievo  sull'incremento del patrimonio e
  quindi,  in  definitiva,  sul  reddito  prodotto  dal medesimo. Per
  quanto  riguarda  il  consumo,  esso  puo'  essere  considerato  un
  indicatore di capacita' contributiva del consumatore ed e' pertanto
  legittima  l'imposizione  indiretta  dei  consumi,  concepita  come
  prelievo proporzionale al reddito speso nei consumi stessi.
    Il  secondo  comma  dell'art. 53  della Costituzione e' una norma
  imperativa,  secondo  la  quale  l'obbligo  di contribuzione non e'
  proporzionale al coacervo reddituale, ma aumenta in proporzione con
  l'aumentare  del  reddito,  in  base a criteri matematici stabiliti
  dalla  legge  con  riferimento  al  singolo reddito che contiene la
  contribuzione,  e  non  gia'  ad  una massa reddituale collettiva o
  astratta  o  generica,  donde  la  ben nota regola che a parita' di
  reddito    sussiste    parita'    quantitativa    dell'obbligo   di
  contribuzione, nel rispetto dell'art. 3 della Costituzione.
    Questa   concezione   della   capacita'   contributiva  e'  stata
  ripetutamente  affermata  dalla  stessa  Corte  costituzionale.  In
  particolare,  nella sentenza n. 120 del 1972, la Corte ha affermato
  1'"esigenza    che    ogni    prelievo   tributario   abbia   causa
  giustificatoria  in  indici concretamente rivelatori di ricchezza".
  In  altre  sentenze  (n.  103  e  n. 109 del 1967, n. 99 del 1968 e
  n. 200  del  1976)  la Corte costituzionale, sia pure allo scopo di
  delimitare  i criteri di legittimita' delle presunzioni tributarie,
  ha  affermato  che gli indici concretamente rivelatori di ricchezza
  devono  esere  "fatti reali", affinche' l'imposizione non abbia una
  "base   fittizia".   L'aggettivo   "fittizio",   secondo  qualsiasi
  dizionario,  significa  non  vero,  o  artificioso,  o immaginario.
  Dunque,  gli  indici  concretamente  rivelatori di ricchezza devono
  essere  fatti  reali, ma non basta: tali fatti reali devono indurre
  alla determinazione di una base imponibile vera, non immaginaria e,
  soprattutto per quanto riguarda l'I.R.A.P., non artificiosa.
    Cosi' delineato il concetto di capacita' contributiva, e' agevole
  constatare  che  l'I.R.A.P.  non  risponde  ad alcuno dei requisiti
  sopra   descritti   ed  e'  sufficiente  analizzare  la  formazione
  dell'imponibile, per rendersene conto.
    L'imponibile   ad   I.R.A.P.   e'   strutturato  dalla  normativa
  istitutiva   partendo   da   un   valore   lordo  della  cosiddetta
  "produzione",  che  e'  in  definitiva  l'ammontare  del  fatturato
  sommato   all'incremento   delle   rimanenze,  per  le  aziende  di
  produzione,  e  al  semplice ammontare del fatturato per le aziende
  produttrici  di  servizi e per i soggetti che esercitano una libera
  professione.
    Tale  valore  lordo  e'  ricondotto  al  valore netto imponibile,
  attraverso  il  deconto  di  alcuni  costi,  non  di  tutti, che la
  normativa  istitutiva dell'I.R.A.P. assume in relazione diretta con
  il   valore  della  produzione  e  che  le  norme  ordinarie  della
  imposizione   diretta   (I.R.P.E.F.   e  I.R.P.E.G.)  ammettono  in
  detrazione.
    Non  sono  ammessi  in detrazione, ai fini dell'I.R.A.P., i costi
  relativi  a  due  fondamentali  fattori  di produzione, che sono il
  lavoro  e  il  capitale.  In  pratica,  non  sono  rilevanti  nella
  determinazione  dell'imponibile  I.R.A.P.  i  costi del personale e
  delle  collaborazioni  indipendenti,  la  remunerazione  del lavoro
  dell'imprenditore e gli oneri finanziari. Quanto sopra determina un
  imponibile  ad  I.R.A.P.  per  molti aspetti aberrante, rispetto al
  concetto di capacita' contributiva. In particolare:
        a)  I  costi  non  imputabili come tali ai fini dell'I.R.A.P.
  condizionano  fortemente  la  formazione  del reddito effettivo del
  soggetto  e,  se tali costi superano il valore della produzione, lo
  tramutano   addirittura   in  una  perdita.  In  tal  caso  l'esito
  reddituale   negativo  (perdita)  non  esime  il  soggetto  passivo
  dall'imposizione  ad  I.R.A.P.  Senonche'  la perdita e' assenza di
  reddito   e   l'assenza   di   reddito   e'  assenza  di  capacita'
  contributiva.  Dunque, l'I.R.A.P. puo' determinare una obbligazione
  contributiva in assenza di una concreta capacita' contributiva.
        b)   Le  regole  per  la  determinazione  dell'imponibile  ad
  I.R.A.P.  non  reggono  neppure  in presenza di un esito reddituale
  positivo, rispetto al concetto di capacita' contributiva, in quanto
  tale  imposta  colpisce  una  base  imponibile  fittizia,  che  non
  rappresenta   un  indice  concretamente  rivelatore  di  ricchezza.
  Risultano  infatti brutalmente tassati, in aggiunta al valore della
  produzione,  i  costi  del personale e del lavoro in generale e gli
  oneri  finanziari,  come  se  fossero  elementi di reddito e non di
  costo per il soggetto passivo dell'I.R.A.P.
    Sussistono  altri  importanti  motivi  di  censura del meccanismo
  impositivo dell'I.R.A.P., nell'ottica della capacita' contributiva.
  I  costi  del  personale  si  possono suddividere in due componenti
  fondamentali:  una  di  esse  rappresenta l'elemento reddituale dei
  percettori  e  l'altra  e'  costituita  dalla  somma di elementi di
  contribuzione,  in  piccola parte a carico dei percettori e in gran
  parte  a  carico  dei  soggetti  che  erogano  le  retribuzioni. Il
  meccanismo impositivo dell'I.R.A.P. determina pertanto una duplice,
  anche  se diversa tassazione dell'elemento reddituale dei costi del
  personale,  per di piu' traslata sui soggetti eroganti, e determina
  anche la tassazione degli elementi di contribuzione incorporati nei
  costi  stessi.  In  sostanza,  con l'I.R.A.P. i costi del personale
  vengono   colpiti  per  la  seconda  volta,  mediante  il  semplice
  mutamento  del  soggetto passivo. La doppia imposizione colpisce il
  soggetto erogante, anziche' il soggetto percettore.
    Nessuno  dei  due  suddetti  elementi  tassati  dall'I.R.A.P.  e'
  compatibile  con  il  concetto  di  capacita'  contributiva  di cui
  all'art. 53  della  Costituzione,  riferito  al  soggetto  passivo.
  Infatti,  relativamente  ai  costi  del  personale  e del lavoro in
  generale,   la   capacita'  contributiva  dell'elemento  reddituale
  appartiene   ai  percettori  e  non  all'erogante,  mentre  non  si
  configura   alcuna   capacita'   contributiva   negli  elementi  di
  contribuzione facenti parte del costo del lavoro.
    Per  quanto  riguarda  gli  oneri  finanziari, il ragionamento di
  fondo  e'  in  parte  simile  al  precedente,  in quanto tali oneri
  rappresentano  componenti  positivi di reddito degli enti bancari e
  finanziari  percepenti  e quindi concorrono alla determinazione del
  reddito di questi ultimi, soggetto ad imposizione diretta.
    Dei   problemi  esposti  sopra  deve  essersi  reso  conto  anche
  l'estensore   (F.   Gallo)   della   relazione   alla   commissione
  ministeriale costituita per lo studio e l'istituzione dell'I.R.A.P.
  tant'e'  vero che, per giustificare l'imposta sotto l'aspetto della
  capacita'   contributiva,   e'   stata   inventata  una  "capacita'
  contributiva  impersonale,  basata  sulla  capacita' produttiva che
  deriva  dalla  combinazione di uomini, macchine, materiali ecc." e,
  quindi,  "una  capacita'  contributiva  autonoma  "reale , separata
  dalla   capacita'   contributiva  "personale  propria  dei  singoli
  individui,  in  qualita' di proprietari, di percettori di redditi o
  di  consumatori".  Il  concetto  e'  stato trasfuso nel presupposto
  dell'imposta,   definito   dall'art. 2,   d.lgs.   n. 446/1997  con
  "l'esercizio  abituale  di  una attivita' autonomamente organizzata
  diretta  alla  produzione  o  allo  scambio  di  beni  ovvero  alla
  prestazione di servizi".
    Risulta   dunque   sovvertita   la   concezione  della  capacita'
  contributiva,  configurata  dall'art. 53  della Costituzione, a tal
  punto   che  la  normativa  istitutiva  dell'I.R.A.P.  assume  come
  presupposto impositivo non gia' il conseguimento di un reddito o di
  un  valore  aggiunto, bensi' l'esercizio abituale dell'attivita' di
  produzione  di  beni o di prestazione di servizi, a prescindere dal
  risultato economico di tale attivita'. Tale concezione di capacita'
  contributiva  comporta  un  ulteriore  potenziale effetto perverso,
  nell'ipotesi  in cui, non sussistendo reddito, l'imposta incide sul
  patrimonio   del   soggetto   passivo,   provocandone   una   secca
  decurtazione,  e  lo  costringe  addirittura ad indebitarsi se quel
  patrimonio   non   esiste   o  non  e'  sufficiente  per  assolvere
  l'obbligazione tributaria, e cio' e' in contrasto con qualsiasi pur
  fantasiosa  concezione di capacita' contributiva. E' il caso dunque
  di   affermare   che   l'I.R.A.P.   colpisce  una  base  imponibile
  artificiosa  e fittizia, costruita su indici che sono rivelatori di
  ricchezza soltanto nella fantasia degli inventori dell'imposta.
    Consegue  da  quanto  sopra che l'I.R.A.P. si appalesa un'imposta
  spogliante  e  pertanto  in  contrasto con l'ordinamento tributario
  italiano,    con    particolare   riferimento   all'art. 53   della
  Costituzione.
C)  Questione di illegittimita' costituzionale del decreto istitutivo
dell'I.R.A.P.  (D.Lgs.  15 dicembre  1997,  n. 446,  art. 3, comma 1,
          lett. c) rispetto all'art. 76 della Costituzione.
    L'art. 3,  comma  143 della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (legge
  delega)  cosi'  recita: "Il Governo della Repubblica e' delegato ad
  emanare....Al  fine  di  ridurre il costo del lavoro autonomo...Nel
  rispetto   dei   principi   Costituzionali...uno   o  piu'  decreti
  legislativi....".
    E'   stata   sollevata   la   questione   di  incostituzionalita'
  dell'I.R.A.P.  per  eccesso  di' delega, in violazione dell'art. 76
  della Costituzione, in quanto l'I.R.A.P. stessa avrebbe aggravato e
  non  ridotto  il costo del lavoro autonomo, sostenendosi l'evidenza
  che  la  struttura del tributo, cosi' come articolata nel d.lgs. di
  attuazione,  viola  clamorosamente il contenuto della legge delega,
  esponendosi cosi' alla predetta censura di incostituzionalita'.
    L'eccezione non e' manifestamente infondata.
    Invero   il   carico   tributario   derivante   dall'I.R.A.P.  e'
  notevolmente  aumentato  per  i  professionisti,  sostituendo  tale
  imposta,  a  gettito  programmato  come invariato, alcune imposte a
  gettito  significativo,  come l'I.L.O.R. e l'imposta sul patrimonio
  netto delle imprese, che non gravavano sui lavoratori autonomi, per
  cui,  per  realizzare  l'invarianza del gettito e' stato necessario
  aumentare    (e   non   diminuire)   la   pressione   fiscale   sui
  professionisti.
    Si  aggiunga  che  alcuni  tributi,  imposte  e  tasse sostituiti
  dall'I.R.A.P.  (contributo  al  S.S.N., tassa sulla partita I.V.A.,
  I.C.I.A.P.)   erano   deducibili  dal  reddito  imponibile,  mentre
  l'I.R.A.P.  e'  del tutto indeducibile. Si e' pertanto determinato,
  per  effetto di tale indeducibilita', un ulteriore aggravio fiscale
  a  carico  dei  soggetti  passivi  ad  I.R.A.P.  e quindi anche dei
  lavoratori  autonomi,  per  i  quali  invece la legge delega voleva
  alleggerire i costi con lo strumento fiscale.
D)  Questione di illegittimita' costituzionale del decreto istitutivo
dell'I.R.A.P.  (D.Lgs. l5 dicembre 1997, n. 446) rispetto all'art. 35
                         della Costituzione.
    L'art. 35  della Costituzione recita testualmente: "La Repubblica
  tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni".
    E'    stata    sollevata   l'eccezione   di   incostituzionalita'
  dell'I.R.A.P.  riguardo  alla  suddetta  norma  costituzionale,  in
  dipendenza della non esclusione dalla base imponibile del costo del
  lavoro    dipendente    e    para-subordinato.    Tale   forma   di
  "penalizzazione"   fiscale   del   costo   del  lavoro  favorirebbe
  pesantemente   l'opzione  di  investimenti  in  fattori  produttivi
  diversi dal lavoro.
    Questa eccezione e' manifestamente infondata.
    L'imponibilita'  secca  ad  I.R.A.P. del costo del lavoro e' gia'
  stata  criticata in precedenza, sotto il profilo della legittimita'
  costituzionale  rispetto  all'art. 53  della  Costituzione. Secondo
  questa   ulteriore  eccezione,  tale  imponibilita'  violerebbe  il
  principio   di  tutela  del  lavoro  stabilito  dall'art. 35  della
  Costituzione,   in  quanto  costituirebbe  un  elemento  fortemente
  disincentivante  per  gli  investimenti nel fattore lavoro, ovvero,
  piu' semplicemente, per l'assunzione di personale dipendente.
    E'  facile  rendersi  conto che quest'ultimo assunto non e' vero,
  cioe'  non  e' vero che l'assoggettamento ad I.R.A.P. del costo del
  lavoro ha prodotto l'effetto di aumentare quel costo, fino al punto
  da disincentivare le assunzioni di personale dipendente. Invero non
  si  puo'  escludere  che  l'impatto  dell'I.R.A.P. con il costo del
  lavoro  abbia  sortito un effetto psicologico negativo sui soggetti
  passivi  dell'imposta, ma dal punto di vista matematico, che e' poi
  quello  che  conta  in questo contesto, l'I.R.A.P. ha sostituito un
  pesante  elemento  del  costo  del lavoro, che era il contributo al
  servizio  sanitario  nazionale  che gravava sul datore di lavoro in
  ragione  del  9,60  per  cento  sulla  retribuzione  lorda,  e  sul
  lavoratore dipendente in ragione dell'1 per cento.
    L'aliquota  ordinaria  dell'I.R.A.P.  e'  il  4,25 per cento, che
  grava sull'intero costo del lavoro. La quota contributiva del costo
  del  lavoro e' attualmente, cioe' dopo l'istituzione dell'I.R.A.P.,
  mediamente  del  40  per  cento, mentre prima dell'I.R.A.P. era del
  50,60  per  cento.  Cio'  significa  che,  fatta  uguale a cento la
  retribuzione  soggetta  alla  quota  contributiva, in precedenza il
  costo  del  lavoro  diventava  150,60,  mentre  ora,  senza  ancora
  calcolare l'I.R.A.P., ammonta a 140. Se a questo numero applichiamo
  l'aliquota  I.R.A.P.  del  4,25  per  cento,  raggiungiamo un costo
  complessivo di 145,95, da confrontare con il precedente 150,60.
    Dal  calcolo  risulta  evidente  che  l'I.R.A.P.  non  ha affatto
  appesantito  il  costo  del  lavoro, fino al punto da costituire un
  disincentivo  alle assunzioni. Per questo la specifica questione di
  illegittimita'  costituzionale  dell'I.R.A.P.  rispetto all'art. 35
  della  Costituzione  e'  matematicamente  e  quindi  manifestamente
  infondata.
E)  Questione di illegittimita' costituzionale del decreto istitutivo
dell'I.R.A.P.  (D.Lgs.  15 dicembre  1997,  n. 446, art. 45, comma 3)
              rispetto all'art. 23 della Costituzione.
    Il  decreto legislativo n. 446/1997 istitutivo dell'I.R.A.P., con
  il  terzo comma dell'art. 45, stabilisce la cosiddetta "clausola di
  salvaguardia",  secondo  la  quale  appositi  decreti del Ministero
  delle finanze dovevano stabilire l'entita' dell'acconto d'imposta.
    E'  stata sollevata la questione di illegittimita' costituzionale
  di tale norma rispetto all'art. 23 della Costituzione, sostenendosi
  che  il  legislatore delegato, demandando a decreti ministeriali la
  misura  dell'acconto  di  imposta dovuto, avrebbe violato l'art. 23
  della  Costituzione  secondo  il  quale,  in  base  al principio di
  legalita',  "nessuna  prestazione  personale  e  patrimoniale  puo'
  essere  imposta  se  non  in  base  alla  legge". La violazione del
  principio  di  legalita'  consisterebbe  nel  fatto  che  la misura
  dell'acconto d'imposta e' determinata con provvedimenti - i decreti
  ministeriali - non aventi forza di legge.
    La questione e' manifestamente infondata.
    Sembra   a   questo   collegio   che  quest'ultima  eccezione  di
  illegittimita'  costituzionale  sia gravemente carente di rilevanza
  sostanziale,  basandosi  essa  esclusivamente sulla critica formale
  della "forza di legge" di un provvedimento che in effetti legge non
  e', come il decreto ministeriale.
    E'  opportuno  rammentare,  a  questo  proposito, che la dottrina
  giuridica  piu'  aggiornata,  e  la  stessa  giurisprudenza,  hanno
  superato  la  discriminazione  meramente  scolastica della forza di
  legge di un decreto del potere esecutivo, considerato in se' stesso
  e  non  con riferimento alla causa originaria del provvedimento. E'
  evidente   che  il  decreto  ministeriale  viola  il  principio  di
  legalita'  di cui all'art. 23 della Costituzione soltanto se impone
  prestazioni  personali  e  patrimoniali  che abbiano l'origine e la
  causa  nel  decreto ministeriale stesso. Soltanto in questa ipotesi
  il  decreto  ministeriale  si attribuirebbe una originaria forza di
  legge,  che per la sua stessa natura giuridica non gli compete. Ben
  diverso  e'  il  caso  del decreto ministeriale avente una funzione
  tecnica  di  computo  o  di  esplicitazione  pratica della norma di
  legge, funzione da quest'ultima esplicitamente demandata al decreto
  ministeriale.
    Il   concetto   di   acconto   d'imposta,   anche   relativamente
  all'I.R.A.P., non e' stato "inventato" con decreto ministeriale, ma
  e'  insito  nell'art. 45 del d.lgs. n. 446/1997. Ne consegue che il
  decreto ministeriale non impone da se' stesso prestazioni personali
  o  patrimoniali,  ma  si  limita  ad  esplicitare  tecnicamente una
  prestazione  prevista  da  un diverso provvedimento avente forza di
  legge.  Non risulta dunque violato, a parere di questo collegio, il
  principio di legalita' di cui all'art. 45 della Costituzione.
    In conclusione, ritenendo questo collegio che alcune questioni di
  illegittimita'  costituzionale sollevate dalla parte ricorrente non
  siano  manifestamente  infondate e che siano attinenti alla materia
  del  contendere  di  questo  procedimento, il presente procedimento
  deve   essere  sospeso  e  il  fascicolo  processuale  deve  essere
  trasmesso alla Corte costituzionele.