IL TRIBUNALE

    Pronunciato   sull'eccezione   di   leggittimita'  costituzionale
  dell'art. 513  comma  primo,  del  codice  di  procedura penale per
  violazione degli articoli 3, 24, e 111 della Costituzione, proposta
  dalla  difesa  nel  procedimento  suindicato nei confronti di Citro
  Pietro piu' altri.

                            O s s e r v a

    Nel  corso  dell'udienza  preliminare  il  pubblico  ministero ha
  chiesto  di  procedere,  con le forme dell'incidente probatorio, ad
  esame  degli  imputati  Zerilli,  Mirabile,  Giuffrida,  Calzaruso,
  Mazzola  e  Noto  su  fatti concernenti la responsabilita' di altri
  soggetti  imputati  nel medesimo procedimento (articoli 392 lettera
  c) e 393 del codice di procedura penale).
    Ammesso  il  predetto  mezzo  istruttorio,  l'imputata Zerilli si
  avvaleva  della  facolta'  di non rispondere e, di conseguenza, non
  essendovi  accordo  tra  le  parti  per  procedere alla lettura dei
  verbali  delle  dichiarazioni  rese  dall'imputata  nel corsi delle
  indagini  preliminari,  il pubblico ministero chiedeva di procedere
  alla  contestazione  delle  stesse,  a  norma  dell'art. 513, comma
  secondo  del  codice  di  procedura  penale,  come modificato dalla
  sentenza della Corte costituzionale n. 361 del 2 novembre 1998.
    In  relazione  a tale richiesta del pubblico ministero, la difesa
  sollevava la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 513
  primo  comma  del  codice  di procedura penale, assumendo che detta
  disposizione  sarebbe  in contrasto con i principi scaturenti dagli
  articoli  3,  24  e  111 della Costituzione, alla luce dei principi
  introdotti  di recente dalla legge costituzionale 23 novembre 1999,
  n. 2,  direttamente  applicabili all'odierno procedimento in virtu'
  dell'art. 1 comma 1 del decreto-legge 2/2000.
    L'anzidetta  norma processuale, infatti, sarebbe in contrasto con
  la  costituzionalizzazione  del principio del contraddittorio nella
  formazione  della  prova, atteso che nella sua attuale formulazione
  consente,    attraverso    il   meccanismo   delle   contestazioni,
  l'inserimento  nel  fascicolo  per il dibattimento di dichiarazioni
  rese  da  un  soggetto  che  volontariamente ha deciso di sottrarsi
  all'esame nel contraddittorio tra le parti.
    Tanto premesso, corre l'obbligo di rilevare che la questione, nei
  termini in cui e' stata proposta, pare irrilevante e manifestamente
  infondata.
    Ed  infatti, la norma della cui costituzionalita' si dubita e' il
  primo  comma  dell'art. 513  del codice di procedura penale, ove si
  prevede   che   il   giudice,  in  caso  di  contumacia  o  assenza
  dell'imputato o di rifiuto di sottoporsi all'esame, possa disporre,
  a  richiesta di parte, la lettura dei verbali di dichiarazioni rese
  nel corso delle indagini preliminari.
    La  medesima  norma  prevede  che  tali dichiarazioni non possano
  comunque  essere  utilizzate nei confronti di altri, a meno che non
  vi sia il loro consenso.
    Orbene,   a   seguito   della   dichiarazione  di  illegittimita'
  costituzionale  dell'art. 210 del codice di procedura penale, nella
  parte  in  cui  non  ne  e' prevista l'applicazione anche all'esame
  dell'imputato  nel  medesimo  procedimento  su fatti concernenti la
  responsabilita'   di  altri,  gia'  oggetto  delle  sue  precedenti
  dichiarazioni   rese   all'autorita'  giudiziaria  o  alla  polizia
  giudiziaria  su delega del pubblico ministero (Corte costituzionale
  sentenza    n. 361/1998),   le   anzidette   disposizioni   trovano
  applicazione  nel  solo  caso  dell'imputato  esaminato  sul  fatto
  proprio (art. 208 del codice di procedura penale).
    Di  conseguenza,  quando,  come  nel  caso  di specie, si procede
  all'esame  dell'imputato su fatti concernenti la responsabilita' di
  altri,  si  realizza  una  equiparazione  tra imputato nel medesimo
  procedimento  e  imputato  in  procedimento  connesso,  per  cui la
  disciplina  dei  casi  di rifiuto del dichiarante di rispondere sul
  fatto  altrui  si  deve  trarre dal secondo comma dell'art. 513 del
  codice  di  procedura civile, ove si prevede che in tale evenienza,
  in mancanza di accordo delle parti alla lettura, si possa procedere
  alle   contestazioni   in   applicazione   dei   commi  2-bis  e  4
  dell'art. 500 (Corte costituzionale sentenza n. 361/1998).
    Ne  deriva  che  la  questione  di costituzionalita', formalmente
  sollevata  nei  confronti  dell'art. 513  comma  1  del  codice  di
  procedura  penale,  si  appalesa irrilevante nel giudizio in corso,
  ove l'anzidetta norma non ha ancora trovato applicazione.
    In  ogni  caso,  corre  l'obbligo  di  sottolineare  la manifesta
  infondatezza   della   questione,   posto   che   il   primo  comma
  dell'art. 513  del  codice  di  procedura  civile, nel prevedere la
  possibilita' di dare lettura delle dichiarazioni rese in precedenza
  dall'imputato  che  non  abbia  reso l'esame, dispone che le stesse
  possano  essere  utilizzate  nei confronti di altri soltanto con il
  loro consenso.
    Ed  e'  evidente  come  un meccanismo di acquisizione di fonti di
  prova   subordinato   al   consenso  delle  parti,  non  possa  per
  definizione contrastare con il principio del contraddittorio.
    Tuttavia,   indipendentemente   dalla  formulazione  dell'istanza
  difensiva,  non  si  puo'  ignorare che la sostanza della questione
  sollevata  riguarda proprio la disciplina posta dall'art. 513 comma
  secondo  del codice di procedura penale, cosi' come integrato dalla
  sentenza n. 361/1998 della Corte costituzionale, nella parte in cui
  prevede  che nel caso di rifiuto del dichiarante (sia esso imputato
  nel   medesimo  procedimento  o  imputato  di  reato  connesso)  di
  rispondere  sul  fatto  altrui, in mancanza di accordo tra le parti
  sulla   lettura   delle  sue  precedenti  dichiarazioni,  si  possa
  procedere  a  contestazione  delle  stesse  mediante l'applicazione
  dell'art. 500 commi 2-bis e 4 del codice di procedura penale.
    Infatti,  nell'odierno  procedimento  il  pubblico  ministero,  a
  fronte del rifiuto di rispondere da parte dell'imputata, ha chiesto
  di   procedere   a  contestazione  delle  dichiarazioni  da  questa
  precedentemente  rese  proprio  in  applicazione  del comma secondo
  dell'art. 513 del codice di procedura penale.
    Se  cio'  e'  vero,  tenuto  conto della sostanza delle doglianze
  difensive,  corre  l'obbligo di verificare d'ufficio si l'anzidetta
  disciplina  contrasti con i principi del giusto processo di recente
  introdotti  nell'art. 111  della Costituzione ed in particolare con
  il  penultimo  periodo  del  secondo  comma  ove si prevede che "il
  processo   e'  regolato  dal  principio  del  contradditorio  nella
  formazione della prova".
    In  primo  luogo,  pare  evidente la rilevanza della questione ai
  fini della definizione del procedimento in corso.
    Infatti,  posto  che  la  finalita'  dell'incidente probatorio e'
  quella  della formazione anticipata di una prova destinata a valere
  al  dibattimento,  va  rilevato  che dall'esito di uno scrutinio di
  costituzionalita'  sull'anzidetta  disciplina  posta  dall'art. 513
  comma   secondo   del   codice  di  procedura  penale,  dipende  la
  possibilita'  di  contestare  all'imputata  che si e' avvalsa della
  facolta'  di  non  rispondere  il  contenuto  delle  sue precedenti
  dichiarazioni,  con  l'effetto  di  determinare l'inserimento delle
  stesse nel fascicolo per il dibattimento.
    D'altro  canto,  le  recenti  modifiche integrative dell'art.'111
  della Costituzione, ed in particolare la costituzionalizzazione del
  principio   del   contradditorio   nella  formazione  della  prova,
  autorizzano  a dubitare fondatamente della legittima costituzionale
  di  una  norma  come  l'art. 513,  secondo  comma,  del  codice  di
  procedura   penale  nella  parte  in  cui  prevede,  attraverso  il
  meccanismo  delle  costituzioni,  la possibilita' di introdurre nel
  corredo probatorio utile per la decisione (ovvero nel fascicolo per
  il  dibattimento)  delle dichiarazioni formatesi senza possibilita'
  di confronto con la difesa.
    Vero  e'  che  e' stata proprio la Corte costituzionale (sentenza
  n. 361/1998) a ritenere costituzionalmente illegittima l'originaria
  formulazione   del   secondo  comma  dell'art. 513  del  codice  di
  procedura penale per violazione del principio di ragionevolezza, in
  riferimento   agli   articoli 3   e  24  della  Costituzione  e  ad
  introdurre,   di   conseguenza,   la   facolta'   di   procedere  a
  contestazione attraverso l'applicazione dell'art. 500 commi 2-bis e
  4  del codice di procedura penale nel caso in cui il dichiarante si
  rifiuti di rispondere.
    Ed  e'  anche  vero  che  la Corte costituzionale, nella medesima
  pronuncia,  ha  ritenuto l'anzidetta soluzione non contrastante con
  il    diritto    di   difesa   dell'imputato   distinatario   delle
  dichiarazioni,   rilevando   che  "il  diritto  al  contraddittorio
  dell'accusato  non  puo'  intendersi  con  il potere di veto, ma va
  correttamente  inteso  come diritto a contestare tali dichiarazioni
  in  contraddittorio  con  le  altre  parti  e  davanti  al giudice,
  adottando  il  meccanismo  gia' previsto dal legislatore in caso di
  rifiuto totale o parziale di rispondere del testimone".
    Tuttavia,  l'attenta valutazione dei principi del giusto processo
  introdotti    nell'art. 111    della   Costituzione   dalla   legge
  costituzionale  n. 2/1999  evidenzia  che l'intento del legislatore
  costituzionale   e'   stato   quello  di  rafforzare  espressamente
  l'efficacia  del  principio  del  contradditorio, da intendersi non
  solo  come  possibilita'  per  l'imputato  di  spiegare  le proprie
  ragioni  davanti  al  giudice  e  di  contestare  la  conducenza  e
  l'attendibilita'  del  materiale probatorio, ma anche come concreta
  possibilita'  di  partecipare  direttamente  alla  formazione delle
  prove che potranno essere utilizzate per la decisione.
    Infatti, non puo' intendersi diversamente la disposizione secondo
  cui   "il   processo   penale   e'   regolato   dal  principio  del
  contraddittorio  nella  formazione della prova" (art. 111, comma 2,
  della Costituzione).
    Dunque,  il  veicolo esclusivo di formazione della prova non puo'
  che  individuarsi nel dibattimento o, comunque, in quegli strumenti
  processuali  (come  l'incidente  probatorio)  che garantiscono alla
  difesa la possibilita' di partecipazione attiva.
    A  fronte  di tale argomento letterale, si potrebbe razionalmente
  rilevare  che  si  tratta  di  un principio generale che, in quanto
  tale,  deve  essere  necessariamente  contemperato  con  gli  altri
  principi  posti  dalla  stessa  Carta  costituzionale,  fra  cui ad
  esempio   quello   di  ragionevolezza  coniugato  con  la  funzione
  conoscitiva  tipica  del  processo  penale  che  e'  strumento  non
  disponibile  alle  parti, destinato all'accertamento giudiziale dei
  fatti di reato e delle relative responsabilita'.
    In  tale  prospettiva,  infatti, lo stesso codice di rito prevede
  delle   deroghe   ai  principi  dell'oralita'  e  dell'immediatezza
  dibattimentale,  come  si  evince  da  tutti  quegli  istituti  che
  recuperano   al   fascicolo   del   dibattimento,   e  quindi  alla
  utilizzazione  probatoria,  atti compiuti nella fase delle indagini
  preliminari  e  non suscettibili di essere riprodotti in una da una
  prova  dibattimentale: in tal senso depongono le disposizioni sugli
  atti  irripetibili  (art. 431,  ove  si  dispone  l'allegazione  al
  fascicolo  dibattimentale  dei  verbali  degli  atti non ripetibili
  compiuti dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria", sulla
  lettura degli atti assunti dal pubblico ministero o dal giudice nel
  corso  dell'udienza  preliminare,  quando  per  fatti o circostanze
  imprevedibili   ne   e'   divenuta   impossibile   la   ripetizione
  (art. 512,),  sull'acquisizione  di  dichiarazioni rese da testi, o
  dall'imputato   "alle  quali  il  difensore  aveva  il  diritto  di
  assistere"   se   utilizzate   per   le   contestazioni  nell'esame
  (articoli 500, quarto comma, e 503, quinto comma).
    E del resto, tra tali deroghe si puo' annoverare le stesso regime
  dell'art. 513 comma secondo del codice di procedura penale, proprio
  nella formulazione resa dalla stessa Corte costituzionale.
    Tuttavia,   non  si  puo'  fare  a  meno  di  rilevare  che  tali
  considerazioni  - e con esse gli argomenti posti a gonfamento della
  sentenza  n. 361/1998  - debbono essere ulteriormente vagliate alla
  luce  del  fatto  che  il legislatore costituzionale, nell'evidente
  intento   di  limitare  la  possibilita'  di  derogare  alla  piena
  applicazione  del principio del contraddittorio, al terzo comma del
  nuovo art. 111 della Costituzione ha delineato espressamente i casi
  in cui la formazione della prova non avviene in contraddittorio.
    Infatti,  e'  stato  previsto,  in  linea  generale, che cio' sia
  possibile  soltanto  quando  vi  sia  il  consenso dell'imputato, o
  quando  la  necessita'  di  derogare  al contraddittorio sia dovuta
  all'accertata  impossibilita'  di natura oggettiva o all'effetto di
  una   provata   condotta   illecita,  demandandosi  al  legislatore
  ordinario la disciplina e l'individuazione concreta di tali casi.
    Orbene,  mancando  ancora una disciplina analitica di tali casi e
  ritenuto   che   dal  decreto-legge  n. 2/2000  deriva  l'immediata
  applicabilita'  all'odierno  procedimento  dei principi dalla legge
  costituzionale  n. 2/1999, pare fondato dubitare della legittimita'
  costituzionale  di un regime di acquisizione probatoria che, per il
  solo  fatto  che  l'imputato  abbia  liberatamente  ritenuto di non
  rispondere  all'esame, consenta di far transitare nel fascicolo per
  il  dibattimento  -  e  dunque  di dotare di efficacia probatoria -
  delle  dichiarazioni  rese  senza  la  partecipazione della difesa,
  indipendentemente  dal  verificarsi  di  uno dei casi espressamente
  previsti dal comma terzo dell'art. 111 della Costituzione.
    Va  dunque  sollevata  questione  di leggittimita' costituzionale
  dell'art. 513  comma  secondo  del  codice di procedura penale, per
  contrasto  con  l'art. 111,  commi 2  e 3 della Costituzione, nella
  parte  in cui l'anzidetta norma processuale prevede che, qualora il
  dichiarante  rifiuti  o  comunque  ometta  in  tutto  o in parte di
  rispondere  su  fatti  concernenti la responsabilita' di altri gia'
  oggetto   delle   sue   precedenti   dichiarazioni,   in   mancanza
  dell'accordo  delle parti alla lettura, si applica l'art. 500 commi
  2-bis  e  2  del  codice di procedura penale, indipendentemente dal
  verificarsi  di  uno  dei  casi  previsti dall'art. 111 terzo comma
  della Costituzione.