IL CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE Ha pronunciato la seguente ordinanza; Visto il ricorso n. 140/1997 r.g. proposto dal dott. Vincenzo Locane, rappresentato e difeso dall'avv. Vincenzo Falcucci, avverso la decisione in data 9 maggio 1997, con la quale il consiglio dell'ordine degli avvocati di Lucca rigettava la sua istanza di iscrizione all'albo degli avvocati per incompatibilita'; Visto il ncorso con i relativi allegati; Visti gli atti di causa; Sentito il relatore alla pubblica udienza del 23 settembre 1999 consigliere Vincenzo Panuccio e udito il sostituto procuratore generale presso la Corte di cassazione, dott. Domenico Iannelli; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue; F a t t o Con ricorso del 7 giugno 1997 depositato presso il consiglio dell'ordine di Lucca il dott. Vincenzo Locane impugna la delibera del consiglio dell'ordine lucchese del 9 maggio 1997 (notificatagli il 22 maggio 1997) di diniego dell'iscrizione all'albo, per violazione e falsa applicazione dell'art. 1, comma 56 della legge n. 662/1996 e comma 56-bis introdotto dal decreto legge n. 79/1997, convertito con modificazioni nella legge n. 140/1997. Premette l'istante che in data 1o aprile 1997 aveva rivolto istanza di iscrizione all'ordine forense di Lucca, trovandosi nelle condizioni previste dall'art. 1, comma 56 della legge 23 dicembre 1996, n. 662 e art. 6 d.-l. 28 marzo 1997, n.79, convertito nella legge 28 maggio 1997, n. 140. Con delibera 9 maggio 1997 il consiglio negava l'iscrizione, motivando con riferimento al parere del CNF dell'11 aprile 1997, n. 1/C/1997, secondo cui la normativa sopra richiamata non avrebbe abrogato il divieto di iscrizione agli albi per i dipendenti pubblici a tempo parziale con prestazione di lavoro non superiore aI 50% di quella a tempo pieno. Secondo tale parere la normativa avrebbe inciso solamente sul regime della incompatibilita' dei pubblici dipendenti. Lamenta il ricorrente che una simile interpretazione e' restrittiva immotivatamente, forzata ed intesa a tutelare esclusivamente, di contro a una legge molto chiara, gli interessi della categoria forense. Resterebbe dunque in vigore l'art. 3 della legge professionale, secondo il parere del CNF, il cui intento e' quello della tutela dell'avvocatura, non gia' del pubblico impiego a salvaguardia di quel valore fondamentale che e' l'indipendenza, che si pone in contrasto con un rapporto di subordinazione, quale e' quello di qualunque dipendente, sia pubblico, sia privato. Sostiene il ricorrente che le disposizioni di legge sopra richiamate non solo hanno riguardo al profilo interno della p.a., disponendo espressamente la disapplicazione dell'art. 58 del d.lgs. n. 29/1993, ma rendono inapplicabili aI pubblico dipendente part-time le disposizioni di legge che vietano l'iscrizione ad albi professionali. Cio resta vieppiu' confermato dal comma 56-bis introdotto dall'art. 6 della legge n. 140 del 28 maggio 1997. Il legislatore nel comma 56 usa l'espressione "nonche'", riferendosi sia all'art. 58 del d.lgs. n. 29/1993, sia a tutte le disposizioni di legge e di regolamento che disciplinano le professioni, tant'e' che nel ripubblicare il citato comma 56 corredato delle relative note, si provvede a riportare il testo dell'art. 58 che non poteva essere inserito per evidenti motivi di spazio e di tecnica legislativa nel testo del comma 56, come non potevano essere citate per gli stessi motivi tutte le leggi professionali che sono diverse decine. Tuttavia usando la espressione "nonche'" il legislatore ha evidentemente inteso comprendere tutte le professioni. Lo stesso CNF nel parere ricordato, citando l'eccezione degli avvocati degli enti pubblici, conferma che anche nella legge professionale esistono eccezioni e deroghe, come quella di cui si discute, che, per evitare commistioni fra interessi pubblici e privati, riduce la presenza del dipendente-professionista e pone limiti pena la decadenza dall'impiego, prescrivendo anche verifiche ispettive in proposito. D'altronde, anche prima delle leggi sopra ricordate la S.C.C., SS.UU., sent. 23 settembre 1994, n. 7845, aveva riconosciuto il diritto del pubblico dipendente ad iscriversi agli albi e ad esercitare la attivita' professionale, in applicazione della legge 29 dicembre 1988, n. 554 e del P.C.M. 17 marzo 1989, n. 117, addirittura piu' restrittivi rispetto alla nuova normativa. La trasparente deroga sarebbe in linea coi tempi, anche con riguardo ad altre professioni (medica ad es.), e va ricordato che esistono altre deroghe, si pensi agli insegnanti di diritto, i dipendenti di casse di risparmio addetti ad uffici legali. il parere del CNF dell'11 aprile 1997 non tiene conto, perche' anteriore, delle modificazioni introdotte dalla legge n. 140/1997, che, peraltro, inibendo il patrocinio in controversie in cui e' parte la p.a., mostra di far riferimento inequivocabile alla professione forense. Si aggiunge che il parere del CNF e' in stridente contrasto con la relazione della proposta di legge n. 3274 depositata alla Camera dei deputati il 25 febbraio 1997, nella quale esplicitamente si afferma che l'art. 1, comma 56, legge n. 662/1996 ha abrogato il divieto di iscrizione all'albo degli avvocati per i soggetti coi requisiti di legge. Il ricorrente chiede quindi il riconoscimento del diritto di iscrizione all'albo medesimo con decorrenza 1o aprile 1997, giorno in cui si sono verificate le condizioni legali per la iscrizione, o comunque con immediata decorrenza. Con istanza 28 agosto 1997 il ricorrente chiede al presidente del CNF la definizione urgente del ricorso, sussistendo ragioni di necessita', e con successive istanze del 25 settembre 1997 e del 10 ottobre 1997 reitera l'istanza di fissazione urgente del ricorso, richiamandosi alla legge n. 117/1988. In data 14 gennaio 1998, essendo fissata la udienza del 29 gennaio 1998 per la trattazione del ricorso, il dott. Locane produceva una memoria difensiva, cui allegava alcuni documenti; ribadiva l'interpretazione della normativa a lui favorevole riconosciuta anche dalle circolari del ministro della funzione pubblica n. 3/1997 e 6/1997 rispettivamente del 19 febbraio e 18 luglio 1997 e dalla circolare Inpdap n. 61 del 27 novembre 1997, nonche' dall'art. 39 della legge 1997, n. 449. La violazione di legge da parte dell'organo forense e' palese, come risulta dalla ripetuta proposta di legge n. 3247 presentata alla Camera, fondata su una pretesa violazione, scrive il ricorrente, dell'art. 24 della Costituzione, opinione contraddetta dalla Commissione affari costituzionali della Camera, che pur ha dato parere favorevole alla proposta, esprimendo tuttavia perplessita' circa la costituzionalita' della proposta di legge predetta con riguardo all'art. 3 della Costituzione. Tale articolo, secondo il Locane, sarebbe stato gia' violato in quanto qualche ordine (Camerino e Monza) avrebbe gia' iscritto alcuni dipendenti pubblici part-time, cosi' mostrando come anche nell'ambito della categoria forense la posizione non sia unanime. La mancata iscrizione produce danni al Locane, e violazione di altri diritti costituzionali, (artt. 4, 35 e 41 della Costituzione oltre gli artt. 30, 31 e 36 per il mantenimento della famiglia). La mancata iscrizione travolge anche il principio dell'affidamento nella legge sulla cui base il ricorrente avrebbe dismesso gli incarichi all'interno della amministrazione, assumendo impegni. Ribadisce il ricorrente che lo stesso proponente alla Camera della proposta di legge n. 3274 riconosce degne di tutela le posizioni di questi soggetti. Il ricorrente ricorda anche i limiti alla attivita' dei pubblici dipendenti part-time, e in particolare quello secondo cui detto personale, per l'art. 22 della legge 724/1994, non puo' eccedere la quota del 25% (risulterebbe che solo l'1,50% dei dipendenti pubblici avrebbe chiesto la trasformazione del rapporto di lavoro in tempo parziale, ed effettuando le dovute proporzioni risulterebbe che in un anno di entrata in vigore della legge solo una ventina di unita' avrebbero chiesto la iscrizione all'albo, di fronte ai 100.000 avvocati attualmente iscritti; percentuale dunque infinitesimale). Queste considerazioni debbono indurre ad una rimeditazione, non dovendosi temere una invasione degli albi, ne' d'altra parte e' giustificato un atteggiamento di chiusura anche di fronte a certe linee evolutive comunitarie e nazionali. Dunque la motivazione del diniego non e' sorretta dal dettato normativo e in definitiva si fonda su un parere sconfessato anche dall'organismo unitario che ha proclamato per il 20 gennaio 1998 una giornata di sciopero perche' venga approvata la legge che vieti l'iscrizione agli albi dei dipendenti pubblici part-time, cosi' riconoscendo che, attualmente, la iscrizione e' consentita. Il difensore del ricorrente ha discusso alla udienza fissata. Il p.g. ha concluso per l'accoglimento del ricorso. Questo consiglio, con ordinanza del 29 gennaio 1998 sospendeva il procedimento e deliberava di sollevare dinanzi alla Corte costituzionale la questione di costituzionalita' delle norme invocate dal ricorrente per violazione degli articoli 3, 24, 54, 70, 97, 98, 101 e 104 della Costituzione. La Corte costituzionale, con ordinanza n. 183 del 20 maggio 1999, ha ritenuto la questione manifestamente inammissibile. Pertanto, non essendosi la Corte costituzionale pronunziata in merito, il consigi'io nazionale forense, nella sua qualita' di giudice speciale ai sensi dell'art. 111 Cost., e della VI disp. trans. Cost., non potendo decidere la questione senza fare applicazione delle norme di cui ai commi 56 e 56-bis dell'art. 1, legge 23 dicembre, n. 662, solleva la questione di legittimita' costituzionale delle norme stesse, ex art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, per le seguenti argomentazioni in D i r i t t o 1. La Corte costituzionale, con ordinanza n. 183 del 20 maggio 1999, riteneva la questione manifestamente inammissibile, per mancata integrazione del contraddittorio nel giudizio dinanzi al Consiglio nazionale forense (CNF), con riferimento ai consigli dell'ordine degli avvocati (C.O.A.) i cui provvedimenti sono stati impugnati. 1.1. La Corte ha infatti ritenuto, coerentemente con i principi generali in forza dei quali i Consigli dell'ordine degli avvocati (C.O.A.) agiscono in qualita' di autorita' amministrative i cui atti possono essere impugnati di fronte aI giudice competente (appunto il CNF), che i C.O.A. stessi siano parte necessaria nel giudizio dinanzi aI CNF. 1.2. La Corte ha inoltre rilevato: che non sarebbero stati osservati gli adempimenti che la legge impone al Consiglio nazionale forense (CNF) per consentire ai Consigli dell'ordine di "... prender parte aI giudizio, almeno mediante l'esecuzione degli adempimenti di cui agli artt. 60 e 61 del r.d. 22 gennaio 1934, n. 37 (Norme integrative e d'attuazione del r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578 sull'ordinamento della professione d'avvocato)"; "che il mancato compimento dell'attivita' minima necessaria a porre le parti in rapporto fra loro (e con il giudice) determina un'abnormita' del procedimento rilevabile ictu oculi" e "che la suddetta abnormita' comporta la manifesta inammissibilita' della questione...". 2. In merito alla questione dell'integrazione del contraddittorio, si osserva che il Consiglio nazionale forense (CNF) ha regolarmente comunicato aI C.O.A. di Lucca, autore del provvedimento impugnato, l'avvenuta ricezione degli atti relativi aI deposito del ricorso, effettuato presso lo stesso C.O.A. (art. 59, r.d. 22 gennaio 1934, n. 37), con raccomandata r.r. 21 giugno 1997 ricevuta il 15 ottobre 1997 (che si allega in copia), nonche' inviato regolarmente comunicazione dell'avvenuta fissazione dell'udienza ai sensi del richiamato art. 61, con raccomandata r.r. 12 dicembre 1997 ricevuta il 20 dicembre 1997 (che si allega in copia); 2.1. Sulla base delle considerazioni espresse sub 2, il Consiglio nazionale forense ritiene che siano state adempiute le prescrizioni che la legge impone ai fini della corretta instaurazione del contraddittorio, e che la questione di costituzionalita', sollevata non sia pertanto manifestamente inammissibile. Il seguito del testo dell'ordinanza e' perfettamente uguale a quello dell'ordinanza pubblicata in precedenza (Reg. ord. n. 348/2000). 00C0553