ha pronunciato la seguente


                              Sentenza

nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale  degli  artt. 2, primo
comma,  lettera  d)  e 22, primo comma, lettera e), della legge della
Regione    Lombardia    5    dicembre    1983,    n. 91   (Disciplina
dell'assegnazione   e   della  gestione  degli  alloggi  di  edilizia
residenziale  pubblica),  promossi con ordinanze emesse il 20 ottobre
1998,  il  17  e  23  febbraio  e  il  23  marzo  1999 dal Tar per la
Lombardia,  rispettivamente  iscritte  ai  nn. 80, 329, 427 e 452 del
registro  ordinanze  1999 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica nn. 9, 23, 36 e 37, prima serie speciale, dell'anno 1999.
    Visto l'atto di intervento della Regione Lombardia;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 22 marzo 2000 il giudice
relatore Piero Alberto Capotosti.

                          Ritenuto in fatto


    1.  -  Il  Tribunale  amministrativo  regionale  della Lombardia,
sezione  I,  con  tre  ordinanze emesse rispettivamente il 20 ottobre
1998, il 23 febbraio 1999 ed il 23 marzo 1999, in altrettanti giudizi
aventi  ad  oggetto  l'impugnazione  di  provvedimenti  di  decadenza
dall'assegnazione  di  alloggi  di edilizia residenziale pubblica, ha
sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, primo
comma,  lettera  d),  e  dell'art. 22, primo comma, lettera e), della
legge  della  Regione  Lombardia  5  dicembre 1983, n. 91 (Disciplina
dell'assegnazione   e   della  gestione  degli  alloggi  di  edilizia
residenziale  pubblica), in riferimento agli artt. 3, 117 e 118 della
Costituzione.
    1.1.  -  Premette  il  giudice  a  quo  che, con ordinanze emesse
rispettivamente  il  29  novembre  1996 ed il 3 luglio 1997, e' stata
sollevata,  in  due  dei  predetti giudizi, questione di legittimita'
costituzionale  delle  norme  censurate, nonche' dell'art. 2, secondo
comma,  della  legge  5  agosto  1978,  n. 457,  in  riferimento agli
artt. 3,  115,  117 e 118 della Costituzione. La questione, peraltro,
e'   stata   dichiarata   manifestamente  inammissibile  dalla  Corte
costituzionale,  con ordinanze n. 402 del 1997 e n. 183 del 1998, per
difetto  di  motivazione in ordine alla rilevanza della delibera Cipe
del  13  marzo  1995,  con  cui  e'  stata parzialmente modificata la
disciplina dei requisiti per l'assegnazione degli alloggi di edilizia
residenziale pubblica e dei casi di annullamento e revoca.
    1.2.  -  Riesaminata la questione alla luce di detta delibera, il
giudice  rimettente  ritiene  di  doverla  riproporre in termini piu'
limitati,  osservando  che  le norme censurate prevedono la decadenza
dall'assegnazione  per  coloro  che,  indipendentemente  dal  reddito
complessivo di cui godono, siano titolari, in qualsiasi localita' del
territorio  nazionale  esterna  all'ambito  territoriale  al quale si
riferisce  il bando di concorso, di immobili che producano un reddito
pari  al  canone  di  locazione  di  un  alloggio  adeguato alle loro
esigenze  abitative.  Tale  disciplina,  oltre  a  contrastare  con i
criteri  direttivi  dettati  dalla delibera Cipe, i quali prendono in
considerazione  soltanto  la  titolarita'  di  diritti di proprieta',
usufrutto,  uso e abitazione su di un alloggio adeguato alle esigenze
del  nucleo familiare, determinerebbe un'ingiustificata disparita' di
trattamento  tra  i soggetti titolari di redditi immobiliari e quelli
titolari   di   redditi  aventi  diversa  natura  e  fonte;  siffatta
discriminazione rappresenterebbe un ulteriore motivo di contrasto con
la  delibera  Cipe, la quale, nell'individuare i requisiti reddituali
per  l'assegnazione  degli alloggi, equipara tutti i tipi di reddito,
ad  eccezione di quelli da lavoro dipendente, per i quali prevede una
riduzione;     la     legge    regionale,    infine,    continuerebbe
irragionevolmente  a  rinviare,  ai  fini  della  determinazione  del
reddito    immobiliare    sufficiente   ad   assicurare   un'adeguata
sistemazione  abitativa,  alla  legge  27  luglio 1978, n. 392, ormai
superata  dalla  disciplina  dei  c.d.  patti  in  deroga, introdotta
dall'art. 11 del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333.
    2. - Con altra ordinanza emessa il 17 febbraio 1999, il Tribunale
amministrativo  regionale  della Lombardia, sezione II, ha sollevato,
in  un giudizio avente il medesimo oggetto, questione di legittimita'
delle  stesse  disposizioni di legge, in riferimento all'art. 3 della
Costituzione,  sulla base di argomenti analoghi a quelli svolti nelle
precedenti ordinanze.

    3.  - Nel giudizio promosso con ordinanza del 20 ottobre 1998, e'
intervenuta    la   Regione   Lombardia,   la   quale   ha   eccepito
l'inammissibilita'  e  l'infondatezza della questione di legittimita'
costituzionale.

    4.  -  Non  si  sono  invece  costituite  le  parti  dei  giudizi
principali.

    5.  -  In  prossimita'  della  data fissata per la trattazione in
camera  di  consiglio,  la  Regione  ha depositato una memoria, nella
quale  ribadisce  la  razionalita'  della  disciplina  censurata, che
a'ncora   l'accesso   all'edilizia   residenziale   pubblica  ad  una
situazione   patrimoniale,   specificamente   riferita   ai   redditi
immobiliari,  tale da precludere all'interessato il ricorso al libero
mercato  per la soddisfazione delle sue esigenze abitative; lo stesso
superamento della legge sull'equo canone, al quale le norme regionali
rinviano,   non  ne  comporterebbe  l'illegittimita'  costituzionale,
determinando  al  piu' un problema di coordinamento con la disciplina
sopravvenuta;  il  riferimento  al  canone  di locazione, d'altronde,
introdurrebbe un limite al requisito della mancanza di titolarita' di
un  alloggio adeguato, compensando la mancata previsione di un ambito
territoriale.

                       Considerato in diritto


    1. -   La  questione di legittimita' costituzionale, promossa con
le  ordinanze  indicate  in  epigrafe,  ha ad oggetto l'art. 2, primo
comma,  lettera  d)  della  legge  della Regione Lombardia 5 dicembre
1983,  n. 91, nonche' l'art. 22, primo comma, lettera e) della stessa
legge,  nella  parte in cui disciplina la decadenza dall'assegnazione
degli  alloggi  di  edilizia residenziale pubblica per la perdita del
requisito  previsto dalla prima norma. Tali disposizioni, che appunto
prevedono la decadenza nei confronti dell'assegnatario che ha perduto
i  requisiti  prescritti,  tra cui quello di non essere "titolare del
diritto  di proprieta' o di altri diritti reali di godimento su uno o
piu'   alloggi,  ovvero  su  altri  immobili,  ubicati  in  qualsiasi
localita',  che  consentano  un reddito almeno pari all'ammontare del
canone  di locazione determinato ai sensi della legge 27 luglio 1978,
n. 392,   (...)   di   un  alloggio  adeguato  con  condizioni  medie
abitative",  sarebbero  in  contrasto,  per i giudici rimettenti, con
l'art. 3  ed  anche  con  gli  artt. 117 e 118 della Costituzione. Ed
infatti,  secondo  le  ordinanze di rinvio, le disposizioni impugnate
discriminerebbero   ingiustificatamente   i   titolari   di   redditi
immobiliari,  in  quanto introducono, ai fini della partecipazione al
bando  di  concorso, un ulteriore requisito costituito dal reddito di
immobili,  ubicati  anche  all'esterno  dell'ambito  territoriale del
bando    di    concorso,   per   la   cui   determinazione   rinviano
irragionevolmente  alla  disciplina  dell'equo canone, peraltro ormai
inidonea   ad   individuare  il  reddito  sufficiente  ad  assicurare
un'adeguata sistemazione abitativa.

    2. - In  via  preliminare  va  disposta  la  riunione dei giudizi
promossi  dalle  ordinanze indicate, che sostanzialmente sollevano la
medesima  questione di legittimita' costituzionale sia in ordine alle
norme  di  legge censurate, sia in ordine ai parametri costituzionali
invocati.
    Inoltre  va dichiarata l'ammissibilita', in quanto contengono una
motivazione   plausibile  (cfr.  sentenza  n. 273  del  1997),  delle
ordinanze  del Tar per la Lombardia 29 novembre 1996 e 3 luglio 1997,
che   ripropongono   questioni  di  legittimita'  costituzionale,  in
precedenza  dichiarate  manifestamente  inammissibili da questa Corte
con  le  ordinanze  n. 402  del 1997 e n. 183 del 1998 per difetto di
motivazione sulla rilevanza in ordine alla deliberazione del Cipe del
13 marzo 1995.

    3. - Nel merito, la questione e' fondata.
    La  fissazione  di  limiti reddituali ai fini dell'assegnazione e
del  godimento  degli  alloggi  di  edilizia residenziale pubblica ha
rappresentato,  a  partire dal regio decreto 28 aprile 1938, n. 1165,
che costituisce il primo complesso normativo organico nel settore, un
elemento  costante della disciplina (cfr., in particolare, art. 2 del
d.P.R.  30 dicembre 1972, n. 1035; art. 22 della legge 8 agosto 1977,
n. 513),  in  quanto  connaturato  alle  finalita' sociali proprie di
questo   tipo   di   intervento   pubblico,   il  quale,  secondo  la
giurisprudenza  di  questa  Corte,  costituisce  un servizio pubblico
deputato  alla  "provvista  di alloggi per i lavoratori e le famiglie
meno  abbienti"  (cfr.  sentenze  n. 417  del  1994, n. 347 del 1993,
n. 486  del  1992). Il riconoscimento del diritto di tali soggetti ad
un'abitazione,   il  quale  rappresenta  "un  connotato  della  forma
costituzionale  di  Stato  sociale"  (sentenza  n. 559  del 1989), e'
tuttavia  assoggettato  ad  una  serie  di  condizioni  relative, tra
l'altro,  ai  requisiti  degli  assegnatari  di  alloggi  di edilizia
residenziale  pubblica,  quali,  come gia' rilevato, il basso reddito
familiare   (sentenza   n. 121   del   1996),   ma  anche  l'assenza,
indipendentemente  dal  reddito goduto, di titolarita' del diritto di
proprieta' o di diritti reali di godimento su di un immobile adeguato
alle   esigenze  abitative  del  nucleo  familiare  dell'assegnatario
stesso.

    4. - In  questa  ottica la Regione Lombardia, con la citata legge
n. 91 del 1983, ha stabilito che per partecipare al bando di concorso
per  l'assegnazione di un alloggio di edilizia residenziale pubblica,
tra  l'altro, occorre non essere titolare del diritto di proprieta' o
di  altri  diritti  reali  di  godimento  su  alloggio  adeguato alle
esigenze  del  nucleo  familiare,  situato  nella  provincia  cui  si
riferisce  il  bando  di  concorso  (art. 2, lettera c), ne' su altro
alloggio,   ubicato  in  qualsiasi  altra  localita'  del  territorio
nazionale,  il  quale  sia  fonte  di un reddito almeno pari all'equo
canone  necessario  per  la  locazione di un'abitazione adeguata, con
medie condizioni abitative (lettera d).
    Nel   contesto   della   disciplina   sull'edilizia  residenziale
pubblica,   che   mira   a   garantire   un'abitazione   a   soggetti
economicamente deboli nel luogo ove e' la sede dei loro interessi, e'
evidente  che  la  titolarita'  di  diritti  reali  immobiliari  puo'
ragionevolmente   dispiegare   efficacia   preclusiva  nei  confronti
dell'aspirante  assegnatario,  quando  la  titolarita'  in  questione
riguardi   un   immobile  situato  nell'ambito  territoriale  cui  si
riferisce  il  bando  di  concorso.  Ma  non  e' irragionevole che la
medesima   preclusione  operi  anche  nei  confronti  di  chi  aspira
all'assegnazione  di  un  alloggio  di edilizia popolare, pur essendo
titolare di un bene della stessa natura, anche se situato al di fuori
del predetto ambito territoriale.
    Ed  invero  quella  preclusione  vuole  impedire che possa essere
ammesso, in modo incongruo rispetto alle finalita' della legislazione
sull'edilizia  pubblica,  a  richiedere  l'adempimento  del "dovere",
gravante sulla collettivita', di agevolare l'accesso all'abitazione a
categorie  di  cittadini  meno  abbienti, a canoni inferiori a quelli
correnti  sul  mercato  (sentenza  n. 419  del 1991), proprio chi sia
titolare  di un bene immobiliare avente la stessa natura di quello al
quale  aspira,  anche  se  ubicato  al  di fuori della sede di lavoro
dell'interessato.  Ne'  si puo' dire che questa circostanza impedisca
il  godimento  del  bene  stesso, giacche', in ogni caso, il titolare
puo'  comunque da esso ricavare utilita' comparabili con quelle di un
alloggio situato in luogo adeguato.
    Sotto  questo profilo appare pertanto giustificata la preclusione
all'assegnazione   di  alloggi  di  edilizia  pubblica  stabilita  al
riguardo  dalla  norma  impugnata.  Appare invece incongruo, rispetto
alla  finalita'  perseguita,  il  criterio  adottato  dal legislatore
regionale  e  cioe' l'assunzione del canone di locazione, determinato
ai  sensi  della legge n. 392 del 1978, come parametro di valutazione
dell'alloggio ubicato in altra localita', in quanto l'impostazione di
fondo  della  disciplina  dell'equo  canone  e'  ormai da considerare
superata.
    Le  vigenti  disposizioni  in  materia,  infatti,  rimettendo  ai
variabili  equilibri  del mercato degli affitti la determinazione dei
canoni  di  locazione,  superano  i precedenti indici convenzionali e
coefficienti  di valutazione utilizzati nella citata legge n. 392 del
1978,  che  davano  luogo ad un parametro del valore locativo, che si
poteva  considerare  oggettivo  ed  uniforme  su  tutto il territorio
nazionale,  anche se ritenuto gia' allora scarsamente rappresentativo
del  reddito  immobiliare  (cfr.  sentenze n. 21 del 1996, n. 263 del
1994).  Tale  difetto  di  rappresentativita' del reddito e' divenuto
tanto  piu'  evidente  dopo  l'introduzione  dei cosiddetti "patti in
deroga"  ad  opera  del  decreto-legge  11 luglio 1992, n. 333 e dopo
l'entrata  in  vigore  della  legge  9  dicembre 1998, n. 431, che ha
incentrato  la  disciplina  della materia sulla libera contrattazione
delle  parti,  suscettibile  pertanto  di  essere  influenzata  dalle
particolari   situazioni  di  mercato,  oltre  che  dalle  soggettive
valutazioni economiche delle parti, cosi' da rendere ben possibili, a
parita'  di  condizioni,  sensibili  variazioni d'importo del canone,
anche in relazione alla localita' in cui e' situato l'immobile.
    Le norme impugnate fondano dunque la preclusione all'assegnazione
dell'alloggio  di  edilizia  pubblica  non  su un indice oggettivo di
valutazione  del  cespite immobiliare in questione, quanto piuttosto,
in  modo  irragionevole,  sul  presupposto  di un tipo di reddito (il
valore locativo previsto dalla legge n. 392 del 1978), che, peraltro,
non  puo'  essere,  per  le ragioni gia' dette, rivelatore del valore
effettivo  del  bene  stesso.  Risulta cosi' evidente l'arbitrarieta'
della scelta legislativa regionale, tanto piu' se si considera che la
delibera  del  Cipe  del  13  marzo  1995,  in  materia  di  edilizia
residenziale pubblica, ha modificato sul punto la precedente delibera
del  19  novembre  1981,  eliminando  il criterio del valore locativo
dalla  previsione  del  requisito  della  mancanza  di titolarita' di
diritti  reali di godimento su un alloggio adeguato alle esigenze del
nucleo familiare.
    L'accoglimento  della  questione  sotto  il  profilo  prospettato
comporta  l'assorbimento  delle  altre  censure  proposte dai giudici
rimettenti nei confronti delle medesime norme.