LA CORTE D'ASSISE Nel procedimento penale n. 550/1996 R.G.N.R. Procura della Repubblica di Biella e 2/2000 Corte di Assise di Novara a carico di Branca Domenico imputato del reato: Art. 110-575-577 3o comma e 112 n. 2) c.p. perche' in concorso con T. L., all'epoca dei fatti minore, e con Cilione Filippo, deceduto, cagionava la morte di Tripepi Leopoldo Giuseppe, colpendolo materialmente con numerosi colpi di arma da fuoco, prima a bordo della vettura (una Fiat 128 di colore rosso amaranto) sulla quale viaggiavano tutti e quattro, e successivamente mentre era steso in terra agonizzante, dopo essersi fermati per finirlo, provvedendo il Cilione alla guida della vettura e il T., tra l'altro, ad aiutarlo nel portare fuori dell'automobile il Tripedi ormai privo di conoscenza. Con l'aggravante di avere commesso il fatto con premeditazione e di avere diretto l'attivita' delle persone che sono concorse nel reato medesimo, in Benna il 28 maggio 1980. Con decreto del g.u.p. presso il tribunale di Biella in data 12 ottobre 1999 Branca Domenico era rinviato a giudizio avanti questa Corte di Assise per rispondere del reato di cui sopra. All'udienza dibattimentale del 13 aprile 2000 preliminarmente il predetto imputato chiedeva di essere giudicato con il rito abbreviato ai sensi dell'art. 223 d.lgs. 51/1998. Tale norma prevede che l'imputato possa chiedere il giudizio abbreviato, prima dell'inizio dell'istruzione dibattimentale, "nei giudizi di primo grado in corso alla data di efficacia del presente decreto". Due sono quindi i parametri per individuare a quali procedimenti si applichi detta disposizione: il primo e' costituito dalla pendenza di un giudizio di primo grado nel quale ancora non sia iniziata l'istruttoria dibattimentale; il secondo dalla circostanza temporale relativa al "corso" del giudizio alla data di efficacia del d.lgs. n. 51/1998. Per quanto riguarda il significato del primo riferimento operato dal legislatore, non v'e' ragione per dubitare che il termine "giudizio" sia stato usato nell'accezione che gli e' propria, e cioe' quella che individua la fase processuale disciplinata dal libro settimo del codice di rito, che inizia con l'emissione del decreto che dispone il giudizio. Quanto alla delimitazione temporale della pendenza di tale fase, essa e' stata riferita alla data di efficacia del d.lgs. 51/98; in altri termini, la fase del giudizio deve aver avuto inizio, id est il decreto disposiuvo del giudizio deve essere stato emesso, prima della data di efficacia del decreto in questione. La data di efficacia del d.lgs. 51/1998 e' stabilita in via generale al 2 giuguo 1999 dall'art. 247 del decreto stesso; solo per alcune disposizioni, tra le quali non e' ricompreso l'art. 223, essa e' stata prorogata al 2 gennaio 2000 dall'art. 3 della legge 22 luglio 1999, n. 234 (che ha convertito, con modificazioni, il d.l. n. 145/1999). Proprio questa espressa e limitata deroga conferma che la data di efficacia del decreto in questione e' fissata al 2 giugno 1999. Dunque, il tenore letterale della disposizione in esame e' talmente chiaro ed univoco da non poter essere disatteso facendo ricorso a differenti criteri ermeneutici. D'altra parte l'unica modifica introdotta dalla legge n. 479/1999 riguarda l'eliminazione del consenso del p.m. che non ha alcuna rilevanza ai fini dell'individuazione dei processi ai quali si applica l'art. 223. Cio' posto, resta preclusa la possibilita' di richiedere il giudizio abbreviato i sensi, della disciplina transitoria per coloro i quali siano stati rinviati a giudizio in periodo compreso fra il 2 giugno 1999 ed il 2 gennaio 2000, data di entrata in vigore di parte delle norme del d.lgs. 51/1998 e della legge 479/1999. Ritiene la Corte che tale preclusione dia luogo a dubbi di costituzionalita' e pertanto appare necessario sollevare d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 223, d.lgs. 51/1998 nella parte in cui non consente la richiesta di giudizio abbreviato a chi e' stato rinviato a giudizio successivamente al 2 giugno 1999, ma prima del 2 gennaio 2000. La questione e' rilevante perche', secondo la norma transitoria interpretata nell'unico modo che alla Corte appare consentito, la richiesta di giudizio abbreviato dovrebbe essere dichiarata inammissibile. Quanto alla non manifesta infondatezza della questione, appare ravvisabile una disparita' di trattamento rilevante ai sensi dell'art. 3 della Costituzione. Infatti la norma transitoria dell'art. 223 ha significativamente innovato la disciplina precedente, sia escludendo il presupposto della decidibilita' allo stato degli atti, sia ammettendo il giudizio abbreviato davanti al giudice del dibattimento. Con la prima modifica si e' anticipata la normativa introdotta dalla legge 479/1999, con la seconda si e' consentito di fruire del rito alternativo nella sua nuova configurazione in una fase in cui ne' la disciplina previgente ne' quella attuale lo contemplano, e cio' evidentemente al fine di equiparare le posizioni di coloro che non sarebbero rientrati nell'ambito temporale di efficacia della nuova normativa a quelle che invece ricadono sotto la vigenza della nuova disciplina. Peraltro, il mancato adeguamento dell'art. 223 in relazione al parziale differimento delle norme processuali del d.lgs. n. 51/1998 ed allo slittamento - rispetto ai tempi originariamente previsti - dell'approvazione e dell'entrata in vigore della legge 479/1999, ha dato luogo ad uno iato temporale nella sfera di efficacia della norma transitoria. Infatti, coloro che sono stati rinviati a giudizio prima del 2 giugno 1999 possono ottenere il giudizio abbreviato ai sensi dell'art. 223 e quindi senza che sia richiesta la decidibilita' allo stato degli atti; gli imputati che si trovano in udienza preliminare successivamente al 2 gennaio 2000 possono avvalersi del rito abbreviato nelle forme del tutto analoghe introdotte dalla legge n. 479/1999. Al contrario, gli imputati rinviati a giudizio tra il 2 giugno 1999 ed il 2 gennaio 2000 hanno avuto la sola possibilita' di riprendere il giudizio abbreviato ai sensi della precedente normativa e quindi con il vincolo derivante dalla definibilita' allo stato degli atti. Tale situazione appare del tutto ingiustificata e non e' riconducibile ad una mera successione di norme, in quanto dipende da una lacuna della norma transitoria di cui all'art. 223 che avrebbe dovuto realizzare un trattamento di sostanziale uniformita' e che, invece, per le ragioni sopra evidenziate, ha determinato una disparita' di trattamento che, ad avviso della Corte, contrasta con l'art. 3 della Costituzione.