IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza di rimessione degli atti alla Corte costituzionale nel procedimento penale in epigrafe a carico di M. E., B. E., C. C., S. S., G. A., B. T., S. F. e V. P., imputati: M., B., B., C., G., S., del reato di cui agli artt. 110, 81 capoverso, 648 codice penale perche', in concorso tra loro; M. M., S., B., C. e S., quali ideatori del complessivo disegno criminoso; B., quale materiale percettrice di n. 1 titolo (capo b); M. e S., quali materiali percettori di n. 454 titoli; S., quale materiale percettore di n. 4 titoli; B., M., G. e S., quali intermediari con compiti relativi alla successiva negoziazione dei titoli, acquistavano, ricevevano, si intromettevano nel ricevere ed acquistare n. 1.300 "certificati di deposito al portatore" di nominali L. 500.000.000 ciascuno e quindi per complessive nominali lire 650 miliardi, (di questi 1.300 titoli: n. 4 negoziati il 29 novembre 1996 presso la Comit di Milano ed ora in sequestro, n. 137 negoziati in Spagna nel novembre-dicembre 1996, n. 1 negoziato in Treviso il 16 dicembre 1996, n . 454 sequestrati in Milano il 5 febbraio 1997, n. 17 negoziati nell'aprile - maggio 1997 in Germania, n. 179 sequestrati in Londra il 10 aprile 1997 apparentemente rilasciati dall'Istituto Bancario S. Paolo di Torino, sedi Milano e Firenze, provento del reato di falso in scrittura privata. Fatti commessi in Milano in data anteriore e prossima al 29 novembre 1996; accertati in Milano il 5 febbraio 1997 e successivamente all'estero fino al maggio 1997. V., S.: del reato di cui agli artt. 110, 648 codice penale perche', in concorso tra loro e con B. E. quale fornitrice del titolo, acquistavano, ricevevano, si intromettevano nel ricevere ed acquistare n. 1 "certificato di deposito al portatore" n. 20730338 di nominali L. 500.000.000., apparentemente rilasciato dall'Istituto Bancario S. Paolo di Torino, sede di Firenze, provente del reato di falso in scrittura privata. Commesso in Milano in data anteriore e prossima al 29 novembre 1996, accertato in Treviso il 16 dicembre 1996. M., C.: del reato di cui agli artt. 56, 110, 640, primo e terzo comma, 61 n. 7, 61 n. 11 codice penale perche', in concorso tra loro, non riuscendo nell'intento per cause indipendenti dalla propria volonta', compivano atti idonei diretti in modo non equivoco a procurarsi un ingiusto profitto di L. 2.000.000.000 pari al controvalore di n. 4 certificati di deposito dell'Istituto San Paolo di Torino sedi di Milano e Firenze del valore di L. 500.000.000 ciascuno (n.20146.338, n. 20147.338, n. 20148.338, n. 20149.338) con corrispondente danno della Banca Commerciale Italiana, agenzia di Milano c.so di P.ta Nuova n. 7, inducendo in errore i funzionari della banca suddetta circa la genuinita' ed il legittimo possesso dei titoli, con i seguenti artifizi e raggiri: M., M., C., S. e S., fornendo i titoli ed ideando l'illecito, S., fornendo a C. P., procuratore della soc. GE.FIN S.A. di S. Marino, documentazione contabile della soc. Gervi Holding di.Vienna relativa alla disponibilita' dei citati titoli e consegnandogli materialmente i titoli, S., incaricando il C. di agire, nella citata qualita', quale fiduciario della stessa Gervi al fine di aprire linee di credito in favore delle societa' Ferderfin, Verdengo AG, Intogofin, tutte riferibili al S., costituendo in garanzia i titoli medesimi, S., gia' noto quale cliente, fornendo assicurazioni alla Banca circa la serieta' dell'operazione e della affidabilita' del C. e della societa' dallo stesso rappresentata, S., sollecitando C. ad esigere dalla Banca l'apertura della linea di credito a fronte dei titoli consegnati. In Milano in data 29 novembre 1996. M.: del reato di cui all'art. 482/477 codice penale perche' falsificava il tesserino n. 0387 apparentemente rilasciato al Cpt. E. M. da "Allied officers' club - Afsouth post - Naples, Italy" facente parte del Comando N.A.T.O. di Bagnoli, costituente certificazione amministrativa utile per accedere ad area militare. Accertato in Bologna il 20 marzo 1997, con la recidiva per B., C., V., S., G., B.. Premesse in fatto Con decreto di citazione in data 2 gennaio 1998 i suddetti imputati venivano tratti a giudizio davanti a questo pretore (ora Giudice) per rispondere dei reati di cui sopra. Nell'ambito del giudizio penale di primo grado si procedeva, in accoglimento delle richieste istruttorie formulate in data 12 marzo 1998 dal p.m. e dalle difese degli imputati M., C. e B., all'audizione dei coimputati S., M. e M. nei cui confronti si era proceduto con il rito del patteggimento stralciandone la relativa posizione alla medesima udienza. In particolare, all'udienza del 6 luglio 1998, mentre S. si sottoponeva all'esame, M. si avvaleva della facolta' di non rispondere. In tale udienza veniva disposto lo stralcio della posizione del S. le cui gravi condizioni di salute avrebbero comportato lunghi rinvii del processo incompatibili con la necessita' di speditezza dello stesso. All'udienza del 14 ottobre 1998 anche il M. si avvaleva della facolta' di non rispondere. All'udienza del 24 novembre 1998, essendo nelle more intervenuta la sentenza 361/1998 della Corte costituzionale, il p.m. chiedeva, a fronte della nuova formulazione dell'art. 513 codice penale, di essere autorizzato a ricitare gli imputati - nella specie M. e M. - che si erano avvalsi della facolta' di non rispondere, al fine di consentire l'eventuale introduzione nel dibattimento delle dichiarazioni da loro rese in istruttoria attraverso l'applicazione del disposto dell'art. 500, commi 2 bis e 4 codice procedura penale richiamato dall'art. 513 codice prcedura penale. Il pretore rigettava tale istanza con ordinanza pronunciata nella medesima udienza. In data 14 dicembre 1998 si procedeva all'esame del coimputato S. il quale si avvaleva della facolta' di non rispondere e le cui dichiarazioni rese in istruttoria gli venivano contestate ai sensi del nuovo assetto dell'art. 513 codice procedura penale nelle forme di cui all'art. 500, commi 2-bis e 4 codice prcedura penale. Nella stessa udienza il p.m. formulava istanza di revoca dell'ordinanza 24 novembre 1998 - di rigetto dell'istanza di riaudizione di M. e M. - sulla quale questo giudice si riservava, decidendo poi, con ordinanza pronunciata fuori udienza e comunicata alle parti, dopo una piu' attenta riflessione, per il suo accoglimento. Ne seguiva, all'udienza del 18 maggio 1999, la ricitazione del coimputato M. che si avvaleva nuovamente della facolta' di non rispondere con le conseguenze di cui all'art. 513, secondo comma, ultima parte. Quanto al coimputato M., resosi nel frattempo irreperibile, con apposita ordinanza veniva disposta la lettura, ex art. 512 codice procedura penale, delle dichiarazioni dallo stesso rese al p.m. in sede di indagini preliminari. L'esame delle dichiarazioni rese al p.m. dai coimputati sopra nominati e che si sono avvalsi in dibattimento della facolta' di non rispondere, evidenziano chiamate in correita' a carico di alcuni degli odierni imputati. All'udienza del 12 gennaio 2000, il difensore dell'imputato S., seguito dai difensori di tutti gli altri imputati, a fronte dell'intervenuta modifica dell'art. 111 della Costituzione di cui alla legge costituzionale 23 novembre 1999 n. 2, ha sollevato eccezione di illegittimita' costituzionale dell'art. 1 del decreto-legge emesso dal Consiglio dei Ministri il 5 gennaio 2000 ed entrato in vigore il 7 gennaio 2000, per contrasto con gli articoli 3, 24 comma secondo, 111 quarto comma, parte seconda, della Costituzione perche', anziche' regolare l'applicazione dei principi contenuti nella legge Costituzionale 23 novembre 1999 n. 2, ne prevede la non applicazione ai procedimenti penali in corso nei quali, alla data di entrata in vigore del decreto, sia stato aperto il dibattimento. Considerato in diritto I. - La rilevanza. In tale contesto processuale non puo' porsi in dubbio che la dedotta questione di legittimita' costituzionale appaia rilevante sia in fatto che in diritto: in fatto perche', essendo state acquisite al fascicolo del dibattimento, con le modalita' di cui all'art. 500 commi 2-bis e 4 codice procedura penale, le dichiarazioni rese al p.m. in istruttoria dai computati M. e M. - entrambi avvalsisi della facolta' di non rispondere in sede dibattimentale - esse fanno ormai parte del materiale probatorio a disposizione delle parti e, contenendo chiamate in correita' a carico di alcuni degli odierni imputati, afferiscono sicuramente all'oggetto del processo ed al suo possibile esito; in diritto perche' la norma di cui si eccepisce l'incostituzionalita', l'art. 1 del decreto-legge emesso dal Consiglio dei Ministri il 5 gennaio 2000, e' certamente applicabile al presente processo nel quale, alla data di entrata in vigore del suddetto decreto, era gia' stato ampiamente dichiarato aperto il dibattimento. II. - La non manifesta infondatezza. La questione di legittimita' costituzionale e' stata sollevata per contrasto con gli artt. 3, 24 comma secondo e 111 comma quarto, parte seconda, della Costituzione. A parere di questo giudice la questione e' manifestamente infondata con riferimento agli artt. 3 e 24, comma secondo, mentre deve essere ritenuta non manifestamente infondata con riferimento all'art. 111, comma quarto, parte seconda. A. - Quanto al primo profilo di illegittimita', deve osservarsi che non appare corretto quanto affermato dalle difese secondo cui il decreto-legge regolerebbe in maniera contraria ai principi Costituzionali situazioni identiche sol perche' riguardano, in generale, la categoria degli imputati. Invero la stessa legge costituzionale 23 novembre 1999 n. 2, all'art. 2, ha stabilito di demandare alla legge ordinaria l'applicazione dei principi contenuti nell'art. 1 con riguardo ai procedimenti penali in corso alla data della sua entrata in vigore. Ha, cioe', espresso in una norma costituzionale e, quindi, di rango superiore alla legge ordinaria, la necessita' di sottoporre a regolamentazione i principi introdotti nell'art. 111 della Costituzione con riferimento ad una particolare situazione: i processi penali in corso alla data di entrata in vigore della legge costituzionale. Con legge costituzionale e' stata quindi affermata la necessita' di regolare situazioni diverse: i processi penali in corso rispetto agli altri. La deroga all'immediata applicazione dei principi costituzionali a tutte, indifferentemente, le situazioni processuali e' stata, pertanto, prevista dalla stessa legge costituzionale - ne avrebbe potuto essere diversamente proprio per un principio di gerarchia delle fonti legislative - giacche', in difetto, tali principi sarebbero stati immediatamente operativi senza la necessita' di alcuna precisazione, salva la conseguente, ed inevitabile, sequela di impugnazioni dinanzi la Corte Costituzionale di tutte le norme in evidente contrasto con il principio secondo il quale non puo' essere provata la colpevolezza dell'imputato (bensi', deve ritenersi, solo la sua innocenza) sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si e' sempre volontariamente sottratto all'interrogatorio da parte dell'imputato (si dovra' poi spiegare a quale istituto processuale ci si riferisce!) o del suo difensore. E' chiaro lo scrupolo e la preoccupazione espressa dal legislatore costituzionale di "evitare che l'impatto dei nuovi principi sugli assetti processuali preesistenti determini la paralisi dei processi in corso, anche per effetto delle varie questioni di legittimita' costituzionali prospettabili" (Relazione al disegno di legge per la conversione del decreto-legge 5 gennaio 2000 recante: "Disposizioni urgenti per l'attuazione dell'art. 2 della legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2 in materia di giusto processo") scrupolo che ha giustificato, ai suoi stessi occhi, la necessita' di una diversita' di trattamento. Orbene a meno di sostenere che la legge costituzionale sia anch'essa incostituzionale, il che appare sinceramente inaccettabile, deve giungersi alla conclusione che non sono trattate in modo ingiustificatamente diverso situazioni identiche ma che sono state regolate in modo diverso situazioni diverse. Orbene, nell'ambito di questa direttiva, il decreto-legge 5 gennaio 2000 - dopo avere, al primo comma dell'art. 1, fatto una affermazione perfettamente inutile in quanto non vi e' alcuna necessita', ne' possibilita', visto che la legge costituzionale nulla dice in tal senso, di attendere che la legge disciplini l'applicazione dei principi al processo penale, in quanto essi sono immediatamente operativi - individua nella dichiarazione di apertura del dibattimento il limite processuale, all'interno dei processi penali in corso, superato il quale il principio costituzionale di cui all'art. 111, 4o comma, seconda parte della Costituzione, trova applicazione nei termini di cui all'art. 1, comma 2 del decreto-legge. Ne' tale termine appare arbitrario, bensi' risulta correlato al fatto che se non e' stato ancora dichiarato aperto il dibattimento, ovviamente, non sono state ancora compiute attivita' istruttorie che possano venire influenzate dalla nuova norma Costituzionale con l'eventuale risultato di investirne la portata e la valenza probatoria. A questo punto, accertato che il discrimine non solo e' motivato ma trova la sua fonte in una legge costituzionale, occorre verificare se il legislatore d'urgenza ha applicato i principi di cui al nuovo art. 111 della Costituzione ai processi in corso nei quali il dibattimento fosse stato gia' dichiarato aperto. B. - Vengono allora in esame le altre due questioni di illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 2 del decreto-legge emesso dal Consiglio dei Ministri il 5 gennaio 2000 con riguardo all'art. 24, secondo comma della Costituzione e 111, secondo comma della Costituzione. Quanto alla prima questione ritiene questo giudice che essa sia manifestamente infondata. Infatti, la norma dell'art. 1 comma secondo su richiamata non pone limitazioni al diritto di difesa in quanto si preoccupa di fornire una disciplina transitoria solo alla seconda parte del quarto comma dell'art. 111 della Costituzione e nulla dice, ne' avrebbe potuto, sul principio del contraddittorio nell'assunzione della prova il quale e', ovviamente, immediatamente operativo. Il diritto di difesa, pertanto, con riferimento a questo profilo non e' in alcun modo compromesso. Resta da chiedersi se tale diritto possa ritenersi compromesso dalla facolta', lasciata al p.m. dalla disciplina transitoria, di introdurre, ai fini della dichiarazione di colpevolezza dell'imputato, altri elementi di prova unitamente alle dichiarazioni rese (in istruttoria) da chi si e' poi sottratto all'interrogatorio da parte della difesa di colui che da queste dichiarazioni e' danneggiato. La risposta, a parere del Giudicante, allo stato attuale della legislazione, non puo' che essere negativa. Infatti, la disposizione dell'art. 1, comma 2 del decreto legge 5 gennaio 2000 - dimenticando per un momento che e' norma destinata all'applicazione di un principio costituzionale, ancorche' in via transitoria - ha una portata che in nulla differisce rispetto ad altre norme processuali in tema di formazione della prova in dibattimento. D'altra parte, in forza del disposto dell'art. 495 codice procedura penale, l'imputato ha diritto all'ammissione delle prove indicate a discarico sui fatti oggetto delle prove a carico. Ne consegue che, essendo a conoscenza del contenuto del fascicolo del p.m., potra' predisporre una adeguata linea difensiva non solo in ordine alle dichiarazioni rese in istruttoria da soggetti che poi al dibattimento potrebbero avvalersi della facolta' di non rispondere ma, soprattutto, in ordine agli ulteriori elementi di prova che il p.m. dovra' introdurre immediatamente, in sede di richieste istruttorie, a supporto delle dichiarazioni di coloro che potrebbero, in dibattimento, sottrarsi all'interrogatorio da parte del difensore. Infatti, se il p.m. non disporra' di ulteriori elementi di supporto non potra' neppure chiedere al giudice di provare la colpevolezza attraverso le dichiarazioni rese da chi si sottrae all'esame da parte del difensore e se, invece, ne disperra' essi saranno confutabili dalla difesa. C. - Deve, invece, ritenersi non manifestamente infondata la questione di legittimita' con riferimento all'art. 111, comma 4, seconda parte. Invero, la norma costituzionale e' chiara nell'affermare che la colpevolezza dell'imputato non puo' essere provata (e, quindi, affermata) sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si e' sempre volontariamente sottratto all'interrogatorio da parte dell'imputato o del suo difensore. Tale principio non soffre eccezioni se non per consenso dell'imputato stesso o in casi patologici, cosi' come stabilisce il quinto comma dell'articolo citato. A parere del giudicante, la norma, che per avere un significato compiuto deve essere letta come diretta alla figura del pubblico ministero, vieta a quest'ultimo di "provare" la colpevolezza dell'imputato attraverso le dichiarazioni a lui rese in istruttoria da soggetti che, legittimati a farlo, si sono sottratti in sede dibattimentale all'interrogatorio da parte della difesa (resta aperto il problema di quale soluzione adottare in caso di rifiuto a sottoporsi ad interrogatorio ma di rilascio di dichiarazioni spontanee confermative) . Essa, cioe', pone un limite tassativo alla acquisibilita' e, quindi, utilizzabilita', di tali dichiarazioni. Qualora, chiamata a deporre o rendere interrogatorio, la persona si avvalga della facolta' di non rispondere al difensore (e se volesse rispondere solo al p.m., quid juris ?) nulla potra' fare l'accusa se non accontentarsi delle altre prove a carico. Orbene, se questa e' la portata del principio costituzionale, occorre verificare se l'art. 1, comma secondo del decreto-legge 5 gennaio 2000 nell'applicare il suddetto principio ai procedimenti penali in corso, cio' delegato dall'art. 2 della legge costituzionale 2/1999, sia incorso in violazione dell'art. 111 quarto comma seconda parte della Costituzione. A parere di questo giudice il decreto-legge quando recita: "la colpevolezza dell'imputato non puo' essere provata esclusivamente sulla base di dichiarazioni ...", afferma un principio totalmente opposto a quello espresso nella citata norma costituzionale. Quest'ultima, infatti, e' perentoria nel dichiarare che in nessun caso si puo' provare la colpevolezza dell'imputato se l'accusatore si sottrae al vaglio del contraddittorio, mentre l'art. 1 comma 2 del decreto-legge pone un principio esattamente opposto. Esso afferma, cioe', che purche' vi siano ulteriori elementi (deve intendersi "di prova" giacche' il regime di valutazione delle dichiarazioni dei coimputati o degli imputati di reato connesso resta quello dettato dall'art. 192, terzo comma, codice procedura penale), tale colpevolezza puo' essere provata sulla base delle dichiarazioni suddette. Appare evidente come il principio espresso dal dettato costituzionale sia stato totalmente sovvertito e come, pur rimanendo valide ed apprezzabili le ragioni di salvaguardia dei processi gia' in corso, la strada percorsa dal legislatore d'urgenza si sia discostata troppo dalla delega conferitagli dall'art. 2 della legge costituzionale piu' volte citata sino a giungere ad una sua aperta violazione.