ha pronunciato la seguente
                              Sentenza
nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 13, comma 8,
del  decreto  legislativo  25  luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle
disposizioni  concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e norme
sulla  condizione  dello straniero), promosso con ordinanza emessa il
26  novembre  1998  dal Pretore di Modena nel procedimento civile tra
Igbinobaro  Grace  Igbiniken  e  il  Prefetto  di Modena, iscritta al
n. 104  del  registro  ordinanze  1999  e  pubblicata  nella Gazzetta
Ufficiale  della  Repubblica  n. 10,  prima serie speciale, dell'anno
1999;
    Visto  l'atto  d'intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
Ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 5 aprile 2000 il giudice
relatore Francesco Guizzi.

                          Ritenuto in fatto


    1.   -   Una   cittadina  extracomunitaria  proponeva,  ai  sensi
dell'art. 13  del  decreto  legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo
unico  delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione
e norme sulla condizione dello straniero), un reclamo tardivo avverso
il  decreto  prefettizio  di  espulsione,  sostenendo  che  la  copia
notificatale,  contrariamente a quanto previsto da tale disposizione,
non  era  accompagnata  dalla  traduzione  in  una lingua a lei nota.
Circostanza,  questa,  che  le  aveva  impedito  di conoscere nel suo
esatto  contenuto il provvedimento, e di proporre tempestivo reclamo.
L'opponente  chiedeva  quindi  di  essere  rimessa  in  termini, e il
Pretore  di  Modena  ha sollevato, in riferimento agli artt. 24 e 113
della  Costituzione,  questione  di  legittimita' del citato art. 13,
nella  parte  in  cui  non  consente il reclamo tardivo, allorche' il
destinatario non abbia potuto rispettare il termine di legge per caso
fortuito,   forza   maggiore  o,  come  nella  specie,  per  l'omessa
traduzione  del  provvedimento  stesso  in  una lingua conosciuta dal
destinatario.
    In proposito il giudice a quo osserva che i termini perentori, ai
sensi   dell'art. 153  del  codice  di  procedura  civile,  non  sono
prorogabili  e  che  nella  vicenda  al suo esame non e' possibile la
rimessione  in  termini, poiche' nel sistema del processo civile essa
e'  prevista  dall'art. 184-bis  del  codice  di rito soltanto per le
decadenze  incolpevoli  che  si  verificano all'interno della singola
fase processuale.
    Nel   motivare   sulla   rilevanza,   il  Pretore  riconosce  che
l'opponente  aveva  diritto alla notifica del provvedimento espulsivo
corredato  dalla traduzione in lingua inglese e sostiene che la norma
oggetto  di censura violerebbe gli artt. 24 e 113 della Costituzione,
poiche'  rende  eccessivamente difficoltosa la tutela dei diritti del
cittadino   extracomunitario,   precludendogli  la  possibilita'  del
reclamo  anche  quando  il  mancato rispetto del termine non implichi
colpa.

    2.  -  Si e' costituito il Presidente del Consiglio dei Ministri,
con  il  patrocinio dell'Avvocatura dello Stato, la quale ha concluso
per  l'infondatezza  della  questione,  affermando  che il rimettente
avrebbe   potuto   superare   in   via   interpretativa  i  dubbi  di
costituzionalita'. La difesa del Governo ricorda che la remissione in
termini  per errore scusabile costituisce "principio generalissimo" e
soggiunge  che  la  decadenza  non  si verifica quando l'atto non sia
compiuto  legittimamente:  nel  caso di specie, la mancata traduzione
avrebbe pertanto impedito il decorso del termine per l'impugnativa.
    Considerato in diritto

    1.   -   Il   Pretore   di   Modena   dubita  della  legittimita'
costituzionale  dell'art. 13, comma 8, del decreto legislativo n. 286
del  1998, nella parte in cui non consentirebbe l'opposizione tardiva
avverso  il  decreto prefettizio di espulsione dello straniero quando
questi  non  abbia  avuto  conoscenza,  senza  colpa,  del suo esatto
contenuto.

    2. - La questione non e' fondata.
    In  base alla prospettazione del rimettente, il termine di cinque
giorni,  fissato  per  il  reclamo  dal  citato  art. 13, comma 8, si
consumerebbe  anche  nel caso in cui il decreto di espulsione non sia
portato  a  conoscenza  dell'interessato ovvero gli sia comunicato in
modo  non  intelligibile, perche' - come si verifica nella vicenda de
qua - privo di traduzione.
    Cosi'   interpretata,   la   norma   lederebbe   l'art. 24  della
Costituzione.  Ma  questa lettura della disciplina, dalla quale muove
il rimettente, non e' l'unica consentita.
    Al riguardo si deve premettere che l'art. 2, comma 1, del decreto
legislativo n. 286 dispone che "allo straniero comunque presente alla
frontiera  o  nel  territorio dello Stato sono riconosciuti i diritti
fondamentali  della  persona  umana  previsti  dalle norme di diritto
interno, dalle convenzioni internazionali in vigore e dai principi di
diritto   internazionale   generalmente   riconosciuti".  Anche  allo
straniero  deve  quindi  essere  riconosciuto  il pieno esercizio del
diritto di difesa, sancito dall'art. 24 della Costituzione e tutelato
altresi'  dal  Patto  internazionale  sui  diritti  civili e politici
stipulato a New York il 19 dicembre 1966, ratificato e reso esecutivo
con  la  legge  25 ottobre 1977,n. 881, ove all'art. 13 si stabilisce
che  "uno  straniero  che  si  trovi legalmente nel territorio di uno
Stato  parte  del  presente  Patto non puo' esserne espulso se non in
base a una decisione presa in conformita' della legge e, salvo che vi
si  oppongano  imperiosi motivi di sicurezza nazionale, deve avere la
possibilita'   di  far  valere  le  proprie  ragioni  contro  la  sua
espulsione,  di  sottoporre  il proprio caso all'esame dell'autorita'
competente, o di una o piu' persone specificamente designate da detta
autorita',  e  di  farsi  rappresentare  innanzi ad esse a tal fine".
Principio  analogo  e'  poi  ribadito nell'art. 1 del Protocollo n. 7
alla  convenzione  per  la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta'  fondamentali,  adottato  a  Strasburgo il 22 novembre 1984,
ratificato e reso esecutivo con la legge 9 aprile 1990, n. 98.
    E'  da  considerare,  altresi',  che  il diritto a un riesame del
provvedimento  di  espulsione,  con  piena  garanzia  del  diritto di
difesa,   spetta   non   soltanto   agli  stranieri  che  soggiornano
legittimamente  in  Italia,  ma  anche  a  coloro  che  sono presenti
illegittimamente sul territorio nazionale, come testimonia la lettera
dell'art. 13, comma 8, del decreto legislativo n. 286 del 1998, ov'e'
ripresa  la  formula, contenuta nell'art. 2, comma 1, dello straniero
"comunque presente [...] nel territorio dello Stato".
    Il pieno esercizio del diritto di difesa da parte dello straniero
presuppone,  dunque,  che  qualsiasi  atto proveniente dalla pubblica
amministrazione,  diretto  a  incidere sulla sua sfera giuridica, sia
concretamente  conoscibile. Cio' vuol dire, con specifico riferimento
al  decreto di espulsione, che questo deve essere redatto anche nella
lingua  del  destinatario  ovvero,  se  non  sia possibile, in una di
quelle  lingue che - per essere le piu' diffuse - si possano ritenere
probabilmente  piu'  accessibili dal destinatario. A tali principi si
e' del resto conformato il legislatore, statuendo, all'art. 13, comma
7,  che  "il  decreto  di  espulsione  [...]  nonche' ogni altro atto
concernente  l'ingresso, il soggiorno e l'espulsione, sono comunicati
all'interessato   unitamente   all'indicazione   delle  modalita'  di
impugnazione  e  ad  una  traduzione in una lingua da lui conosciuta,
ovvero,  ove  non  sia  possibile,  in  lingua  francese,  inglese  o
spagnola".

    3.  -  Lo  straniero  (anche irregolarmente soggiornante) gode di
tutti  i diritti fondamentali della persona umana, fra i quali quello
di  difesa, il cui esercizio effettivo implica che il destinatario di
un   provvedimento,   variamente   restrittivo   della   liberta'  di
autodeterminazione, sia messo in grado di comprenderne il contenuto e
il significato.
    Ora,  va  ricordato  il principio - che si rinviene nel sistema e
ispira le singole disposizioni positive - secondo cui ogni qual volta
la  legge fissa un termine perentorio, prevedendone la decorrenza dal
compimento di un determinato atto, e' necessario che quest'ultimo sia
effettivamente compiuto, non contenga vizi e sia portato a conoscenza
di colui che e' onerato dal rispetto di esso.
    La  traduzione del decreto di espulsione e' dunque preordinata ad
assicurare  la  sua effettiva conoscibilita'; e questa e' presupposto
essenziale  per  l'esercizio del diritto di difesa, di cui gode anche
lo straniero irregolarmente presente sul territorio nazionale.

    4.  -  Cio' premesso, e' devoluta alla giurisdizione di merito la
valutazione  se  nella vicenda in esame possa considerarsi conseguito
lo  scopo  dell'atto,  che e' quello di consentire al destinatario il
pieno   esercizio   del  diritto  di  difesa:  cio'  postula  che  il
provvedimento  di  espulsione  sia materialmente portato a conoscenza
dell'interessato,   o   gli  sia  comunicato  con  modalita'  che  ne
garantiscano in concreto la conoscibilita'. Sara' il giudice a quo in
particolare,  a  valutare  se l'omessa traduzione impedisca, ai sensi
dell'art. 13,  comma  7,  il decorso del termine perentorio di cinque
giorni per l'impugnazione, o se l'espellendo, malgrado la mancanza di
traduzione,   abbia   comunque   avuto   tempestiva   conoscenza  del
provvedimento,  secondo quanto dimostrato, in ipotesi, dalla pubblica
amministrazione.
    Risulta  chiaro da quanto si e' detto che l'art. 13, comma 8, non
deve  essere letto necessariamente nel senso proposto dal rimettente.
Infatti,  l'esigenza  primaria di non vanificare il diritto di azione
fa si' che nell'ipotesi di ignoranza senza colpa del provvedimento di
espulsione  -  in  particolare  per  l'inosservanza  dell'obbligo  di
traduzione  dell'atto  -  debba  ritenersi  non  decorso  il termine:
possibilita'  interpretativa,  questa,  che non e' esclusa dal tenore
letterale  della  disposizione in esame. Onde non vi e' lesione degli
artt. 24 e 113 della Costituzione.