ha pronunciato la seguente


                              Ordinanza

nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 24 del decreto
legislativo  31  ottobre  1990,  n. 346 (Approvazione del testo unico
delle   disposizioni   concernenti   l'imposta  sulle  successioni  e
donazioni)  e  degli  artt. 1,  comma  2,  del decreto legislativo 28
dicembre  1993,  n. 568  (Modifiche  alle  tariffe  d'estimo  a norma
dell'articolo  2  della  legge  24  marzo  1993, n. 75) e 2, comma 1,
quarto   periodo,   del   decreto-legge   23   gennaio   1993,  n. 16
(Disposizioni in materia di imposte sui redditi, sui trasferimenti di
immobili   di  civile  abitazione,  di  termini  per  la  definizione
agevolata delle situazioni e pendenze tributarie, per la soppressione
della  ritenuta  sugli  interessi, premi ed altri frutti derivanti da
depositi  e  conti  correnti interbancari, nonche' altre disposizioni
tributarie),  convertito,  con  modificazioni,  nella  legge 24 marzo
1993,  n. 75,  promosso con ordinanza emessa il 13 gennaio 1998 dalla
Commissione  tributaria  provinciale di Firenze, sul ricorso proposto
da  Marconi  Pierfilippo  contro  l'Ufficio  del registro di Firenze,
iscritta  al  n. 887  del  registro ordinanze 1998 e pubblicata nella
Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n. 51,  prima serie speciale,
dell'anno 1998.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
Ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 12 aprile 2000 il giudice
relatore Massimo Vari;
    Ritenuto  che, con ordinanza del 13 gennaio 1998 (R.O. n. 887 del
1998), la Commissione tributaria provinciale di Firenze, nel corso di
un  giudizio  promosso  da  un  contribuente  avverso  un  avviso  di
liquidazione  di  imposta  di  successione  ha sollevato questione di
legittimita' costituzionale:
        dell'art. 24  del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346
(Approvazione   del   testo   unico  delle  disposizioni  concernenti
l'imposta  sulle  successioni  e  donazioni), "nella parte in cui non
prevede la deducibilita' delle spese di ultima malattia sostenute dal
coerede il quale abbia rinunciato all'eredita'";
        dell'art. 1,  comma  2,  del  decreto legislativo 28 dicembre
1993,  n. 568  (Modifiche  alle  tariffe d'estimo a norma dell'art. 2
della  legge  24  marzo  1993,  n. 75) e dell'art. 2, comma 1, quarto
periodo,  del  decreto-legge  23 gennaio 1993, n. 16 (Disposizioni in
materia  di  imposte  sui  redditi,  sui trasferimenti di immobili di
civile  abitazione,  di  termini  per  la definizione agevolata delle
situazioni  e pendenze tributarie, per la soppressione della ritenuta
sugli  interessi, premi ed altri frutti derivanti da depositi e conti
correnti   interbancari,   nonche'  altre  disposizioni  tributarie),
convertito, con modificazioni, nella legge 24 marzo 1993, n. 75 nella
parte in cui consentono l'applicazione, a partire dal 1 gennaio 1992,
delle  tariffe d'estimo rideterminate ai sensi del menzionato decreto
legislativo n. 568 del 1993 limitatamente alle imposte dirette;
        che, quanto alla prima questione, il giudice rimettente - nel
premettere  che, nella specie, la rinunzia all'eredita', da parte del
coerede  che aveva sostenuto le spese di malattia, era avvenuta prima
della  presentazione  della  denuncia di successione - ritiene che il
menzionato  art. 24  del decreto legislativo n. 346 del 1990 si ponga
in contrasto con:
          l'art. 3  della Costituzione, a causa della discriminazione
fra  l'ipotesi in cui la rinuncia all'eredita', da parte del coerede,
avvenga prima della presentazione della dichiarazione di successione,
con  conseguente  indeducibilita'  delle spese per ultima malattia, e
quella  in  cui  tale  rinuncia  avvenga  dopo,  nel  quale  caso  la
deducibilita'  sussiste,  come  pure  tra  la  situazione  oggetto di
giudizio  e  quella  attinente  alle  spese  sostenute  dal  chiamato
all'eredita'  ex  art. 460  del  codice  civile che "restano a carico
dell'eredita'  (e  sono  ovviamente deducibili quali elementi passivi
della  stessa)  anche  nell'ipotesi  di  rinuncia  del  chiamato alla
qualita' di erede (art. 461)";
          l'art. 31,  primo  comma,  della  Costituzione, a causa del
trattamento  ingiustificatamente  pregiudizievole  e discriminatorio,
posto  in essere proprio in danno di familiari impegnati a far fronte
ad onerosi obblighi di assistenza verso un congiunto;
          l'art. 53,  primo  comma,  della Costituzione, per l'omessa
valutazione  della  capacita'  contributiva dei cittadini in punto di
deduzioni fiscali;

        che,  quanto alla seconda questione, il rimettente rileva che
l'Ufficio  tributario  nel determinare il valore dei beni relitti, in
base  agli estimi catastali, cosi' come richiesto dal contribuente ha
fatto  riferimento,  in  applicazione di quanto previsto dall'art. 2,
comma  1,  quarto  periodo, del decreto-legge 23 gennaio 1993, n. 16,
convertito,  con  modificazioni,  nella  legge 24 marzo 1993, n. 75 e
dall'art. 1,  comma  2,  del  decreto  legislativo  28 dicembre 1993,
n. 568,  alle  rendite  catastali vigenti alla data di apertura della
successione   e  non  a  quelle  discendenti  dalle  piu'  favorevoli
previsioni di detto ultimo decreto;
        che, tuttavia, ad avviso del giudice a quo le disposizioni di
cui  sopra  - nel prevedere che le tariffe rideterminate ai sensi del
menzionato  decreto legislativo n. 568 del 1993, ove piu' favorevoli,
si applichino, dal 1o gennaio 1992, solo per le imposte dirette e non
anche  per  tutti  gli  altri  settori  impositivi,  per  i  quali la
decorrenza  di  tali  tariffe  risulta  fissata  al 1o gennaio 1994 -
porrebbero  in  essere  una ingiustificata penalizzazione del settore
dell'imposizione   indiretta   rispetto   a  quello  dell'imposizione
diretta,  in  contrasto,  oltre  che con l'art. 3 della Costituzione,
anche  con il principio di capacita' contributiva posto dall'art. 53,
primo comma, della Costituzione;
        che  e'  intervenuto,  con  memoria  dell'8  gennaio 1999, il
Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,  il  quale  ha chiesto che
entrambe le questioni siano dichiarate manifestamente infondate.

    Considerato  quanto  alla  prima  delle  questioni, che la stessa
viene  prospettata  in maniera perplessa, dal momento che il giudice,
nel  sollevarla, muove da una premessa interpretativa che egli stesso
mostra   di   non  condividere,  tanto  da  affermare  espressamente,
nell'ordinanza,  che  della deducibilita' delle spese di cui trattasi
il ricorrente potrebbe avvalersi con piena legittimita', visto che le
stesse sono state sostenute dal coerede, e che le condizioni di legge
possono ritenersi rispettate;
        che,  in  ragione  di  cio',  la  questione  e'  da  reputare
manifestamente inammissibile;
        che,  quanto  all'altra  questione - e cioe' quella attinente
alle  tariffe  catastali  prese  a  riferimento  per  determinare, in
maniera  forfettaria  (c.d.  calcolo  tabellare),  il valore dei beni
relitti,  ai  fini  dell'imposta  di  successione  -  la stessa e' da
reputare  manifestamente  infondata, venendo posti a raffronto ambiti
impositivi  non  omogenei  cui  fa  riscontro anche una diversita' di
meccanismi di tassazione;
        che,  inoltre,  come  questa Corte ha gia' avuto occasione di
affermare,  il  carattere  facoltativo della valutazione forfettaria,
ovvero  automatica,  non  comporta  alcun  attentato  alla  capacita'
contributiva  del  soggetto  tassato,  considerata la non cogenza, in
fattispecie  quali quella all'esame del giudice a quo del criterio di
determinazione  del  valore  dei  beni in base agli estimi catastali,
restando,  infatti,  libero  il  contribuente di dichiarare un valore
inferiore  a  quello  tabellare, qualora ritenga questo incongruo (v.
sentenza n. 211 del 1998);
        che,  pertanto,  la  seconda  delle  prospettate  censure  e'
manifestamente infondata.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87  e  9,  secondo  comma,  delle  norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.