ha pronunciato la seguente


                              Ordinanza

nei  giudizi  di legittimita' costituzionale dell'articolo 303, comma
4,  del  codice di procedura penale, promossi con ordinanze emesse il
23  novembre  1998  (n. 2 ordinanze), il 15 marzo 1999, il 23 e il 13
novembre  1998,  il  5  e  il  15  marzo 1999 (n. 2 ordinanze), il 25
novembre  1998  e  il 15 marzo 1999 (n. 2 ordinanze) dal Tribunale di
Napoli,   sezione   per   il  riesame,  rispettivamente  iscritte  ai
numeri 547,  548,  549,  551,  585, 608, 680, 681, 696, 697 e 698 del
registro  ordinanze  1999 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica  numeri 41,  43,  44,  51  e  52,  prima  serie  speciale,
dell'anno 1999;
    Visti  gli  atti  di  intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 10 maggio 2000 il giudice
relatore Carlo Mezzanotte;
    Ritenuto  che  il  Tribunale  di  Napoli, con undici ordinanze di
contenuto   pressoche'   identico,   ha   sollevato,  in  riferimento
all'articolo   3   della   Costituzione,  questione  di  legittimita'
costituzionale  dell'articolo  303,  comma 4, del codice di procedura
penale,  nella  parte  in  cui  non prevede che, oltre al superamento
complessivo  della  durata  massima  della  custodia cautelare, possa
essere  causa  di  scarcerazione  anche il superamento del doppio del
termine  di  fase, allorche' si verifichi la situazione descritta dal
comma  2  dello  stesso  art. 303, e cioe' nel caso in cui, a seguito
dell'annullamento con rinvio da parte della Corte di cassazione o per
altra  causa,  il  procedimento regredisca a una fase o a un grado di
giudizio diversi ovvero sia rinviato ad altro giudice;
        che il giudice remittente, non condividendo le argomentazioni
con  le  quali  questa  Corte,  nella  sentenza  n. 292  del 1998, ha
dichiarato  non  fondata "nei sensi di cui in motivazione" l'identica
questione  a  suo tempo sollevata dal Tribunale di Reggio Calabria, e
affermando  di aderire alla giurisprudenza delle Sezioni Unite penali
della  Corte  di  cassazione  in ordine all'efficacia delle decisioni
interpretative    di    rigetto,    ripropone    la    questione   di
costituzionalita' negli stessi termini;
        che   nei  giudizi  relativi  alle  ordinanze  di  remissione
numeri 547,  548, 549, 551, 585, 680, 681, 696, 697 e 698 del 1999 e'
intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e
difeso   dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  che  la
questione sia dichiarata non fondata o manifestamente infondata;
    Considerato  che  tutte  le  ordinanze di remissione, provenienti
dallo   stesso   giudice,  sollevano  un'identica  questione  e  che,
pertanto,   i  relativi  giudizi  vanno  riuniti  per  essere  decisi
unitariamente;
        che  l'interpretazione  alla  quale e' pervenuta questa Corte
nella  sentenza  n. 292  del 1998 e' contrastata dal remittente sulla
base  del  rilievo  che la norma secondo cui la durata della custodia
cautelare  non  puo' comunque superare il doppio dei termini previsti
dai  commi  1, 2 e 3 dell'articolo 303 del codice di procedura penale
e'  contenuta nel comma 6 dell'art. 304 sotto la rubrica "Sospensione
dei termini di durata massima della custodia cautelare", sicche' solo
nelle  ipotesi  di  sospensione  dei  termini  essa  dovrebbe trovare
applicazione;
        che  una  siffatta  delimitazione della sfera di operativita'
dell'art. 304,  comma  6, risponderebbe per di piu' alla razionalita'
intrinseca del sistema;
        che  identica  questione  di costituzionalita', sollevata con
numerose  ordinanze negli stessi termini, e' gia' stata dichiarata da
questa  Corte  manifestamente  infondata  con  l'ordinanza n. 429 del
1999,  nella  quale  si  e' rilevato come la soluzione interpretativa
prospettata  dai giudici remittenti non intaccasse la validita' degli
argomenti svolti nella sentenza n. 292 del 1998;
        che   deve   essere  qui  ulteriormente  ribadito  che  l'uso
dell'avverbio   "comunque"   nell'art. 304,   comma   6,  cod.  proc.
pen. esprime  in tutta la sua pregnanza l'idea del carattere assoluto
e  non  condizionato  della  imposizione  di  un  termine finale alla
custodia  cautelare,  con  la  conseguenza  che  deve essere ritenuta
costituzionalmente   obbligata,   in   forza   del   valore  espresso
dall'art. 13  della  Costituzione,  l'interpretazione  secondo cui la
custodia  cautelare  perde  efficacia allorquando la sua durata abbia
superato  un periodo pari al doppio del termine stabilito per la fase
presa  in  considerazione,  anche  se quel termine sia stato sospeso,
prorogato  o  sia  cominciato  a decorrere nuovamente a seguito della
regressione del processo;
        che a una diversa considerazione della questione non inducono
orientamenti  tra loro contrastanti, anche della Corte di cassazione,
antecedenti e successivi alle citate pronunce di questa Corte;
        che,  pertanto,  la  questione di legittimita' costituzionale
deve essere dichiarata manifestamente infondata;
    Visti  gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.