ha pronunciato la seguente


                              Ordinanza

nei giudizi di legittimita' costituzionale degli articoli 47 e 49 del
d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario
in  attuazione  della  delega al Governo contenuta nell'art. 30 della
legge  30  dicembre  1991, n. 413), promossi con ordinanze emesse l'8
luglio  1999  (n. 2 ordinanze), il 30 agosto 1999 (n. 2 ordinanze) ed
il 4 novembre 1999 dalla Commissione tributaria regionale di Perugia,
rispettivamente  iscritte  ai numeri 564, 565, 727 e 728 del registro
ordinanze  1999  ed al n. 62 del registro ordinanze 2000 e pubblicate
nella   Gazzetta   Ufficiale  della  Repubblica  n. 42,  prima  serie
speciale,  dell'anno  1999  e  numeri 3  e  9,  prima serie speciale,
dell'anno 2000.
    Visti  gli  atti  di  intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 7 giugno 2000 il giudice
relatore Annibale Marini;
    Ritenuto  che la Commissione tributaria regionale di Perugia, con
cinque  ordinanze di identico contenuto emesse nelle date indicate in
epigrafe,  ha  sollevato,  in  riferimento agli articoli 3 e 24 della
Costituzione,   questione   di   legittimita'   costituzionale  degli
articoli 47  e  49  del  decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546
(Disposizioni  sul  processo tributario in attuazione della delega al
Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413);
        che  la  Commissione  rimettente  -  investita  di istanze di
sospensione   della   esecutivita'   di  sentenze  della  Commissione
tributaria   provinciale  di  Perugia,  ex  art. 283  del  codice  di
procedura  civile,  in pendenza di appelli ritualmente proposti dalle
parti  private  soccombenti - ritiene che la norma del codice di rito
invocata   dalle  parti  istanti  non  sia  applicabile  al  processo
tributario,   sia  perche'  l'art. 49  del  d.lgs.  n. 546  del  1992
espressamente  esclude l'applicabilita' dell'art. 337 cod. proc. civ.
e  quindi  anche  delle  norme  da  quest'ultimo  richiamate, tra cui
appunto  l'art. 283,  sia  in  quanto  l'art. 47 del medesimo decreto
legislativo   renderebbe   palese  l'intenzione  del  legislatore  di
limitare la tutela cautelare solamente al primo grado di giudizio;
        che l'esclusione di ogni possibilita' di tutela cautelare nei
confronti  della  efficacia  esecutiva  della sentenza di primo grado
rappresenterebbe  tuttavia  - ad avviso dello stesso rimettente - una
lesione   del   diritto   di  difesa,  garantito  dall'art. 24  della
Costituzione,  del  quale  l'azione  cautelare  costituirebbe  sicura
espressione;
        che   le   norme  censurate  sarebbero  altresi'  lesive  del
principio  di  eguaglianza, di cui all'art. 3 della Costituzione, per
l'ingiustificata disparita' di trattamento che esse determinerebbero,
quanto  alla  tutela  giurisdizionale offerta ai contribuenti, tra le
controversie  in  materia di imposte e tasse devolute alla cognizione
del  giudice  ordinario,  nelle  quali  troverebbero applicazione gli
articoli 283  e  373  cod.  proc.  civ.,  e  quelle  attribuite  alla
giurisdizione delle commissioni tributarie, nelle quali non e' invece
prevista  la  possibilita'  di  sospensione delle sentenze di primo e
secondo grado;
        che  e'  intervenuto  in  tutti  i  giudizi il Presidente del
Consiglio  dei  Ministri,  per  mezzo  dell'Avvocatura generale dello
Stato,  concludendo  per  la  declaratoria  di  inammissibilita' o di
infondatezza della questione;
    Considerato che i giudizi, aventi identico oggetto, vanno riuniti
per essere decisi con unica pronunzia;
        che   questione  sostanzialmente  identica,  sollevata  dallo
stesso  rimettente,  e'  stata  gia'  dichiarata  non  fondata con la
sentenza n. 165 del 2000;
        che   in   tale  sentenza  si  rileva,  quanto  alla  dedotta
violazione   dell'art. 24   della  Costituzione,  "come  la  garanzia
costituzionale  della  tutela  cautelare debba ritenersi imposta solo
fino al momento in cui non intervenga, nel processo, una pronuncia di
merito  che  accolga - con efficacia esecutiva - la domanda, rendendo
superflua   l'adozione  di  ulteriori  misure  cautelari,  ovvero  la
respinga,  negando  in tal modo, con cognizione piena, la sussistenza
del diritto e dunque il presupposto stesso della invocata tutela. Con
la  conseguenza  che la previsione di mezzi di tutela cautelare nelle
fasi  di  giudizio  successive  a siffatta pronuncia, in favore della
parte   soccombente   nel   merito,   deve   ritenersi  rimessa  alla
discrezionalita' del legislatore";
        che  la  censura  riferita  alla  violazione del principio di
eguaglianza  ed incentrata sulla differente latitudine dei poteri del
giudice  nel  processo  civile e nel processo tributario e' stata del
pari   disattesa   in   quanto   in   aperta  contraddizione  con  la
giurisprudenza   di   questa   Corte  che  ha  costantemente  escluso
l'esistenza   di   un  principio  (costituzionalmente  rilevante)  di
necessaria uniformita' tra i vari tipi di processo;
        che  non  vengono prospettati profili nuovi o diversi tali da
indurre ad una diversa valutazione della questione;
        che,   pertanto,   la   questione   deve   essere  dichiarata
manifestamente infondata;
    Visti  gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
innanzi alla Corte costituzionale.