ha pronunciato la seguente


                              Ordinanza

nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 51 del codice di
procedura  civile, promossi con ordinanze emesse il 25 marzo 1999 dal
pretore   di   Vibo  Valentia,  sezione  distaccata  di  Tropea,  nel
procedimento  civile  vertente tra Mazze' Vito e Loiacono Giuseppe ed
altri,  iscritta  al  n. 567 del registro ordinanze 1999 e pubblicata
nella   Gazzetta   Ufficiale  della  Repubblica  n. 42,  prima  serie
speciale,  dell'anno  1999  e il 1o giugno 1999 dal pretore di Palmi,
sezione  distaccata di Cinquefrondi, nel procedimento civile vertente
tra  Mileto  Francesca  e  Berlingeri  Albina, iscritta al n. 723 del
registro  ordinanze  1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 2, prima serie speciale, dell'anno 2000;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
Ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 24 maggio 2000 il giudice
relatore Cesare Ruperto.
    Ritenuto che, nel corso di un giudizio possessorio, il pretore di
Vibo  Valentia, sezione distaccata di Tropea - sul cui ruolo la causa
era  tornata  a  seguito  dell'annullamento, da parte del giudice del
reclamo,   del   provvedimento  di  diniego  della  richiesta  tutela
interdittale  -,  con  ordinanza emessa il 25 marzo 1999 (R.O. n. 567
del  1999),  ha  sollevato  -  in riferimento agli artt. 3 e 24 della
Costituzione  - questione di legittimita' costituzionale dell'art. 51
cod.  proc.  civ.,  la'  dove  non  prevede, per il giudice che abbia
trattato  la  precedente  fase  sommaria,  l'obbligo di astenersi dal
decidere anche la successiva fase di merito;
        che   il   rimettente  osserva  come,  rispetto  al  giudizio
possessorio  - avente natura bifasica nonche' struttura e presupposti
peculiari, i quali non consentono di estendere a questo gli argomenti
che  hanno  portato la Corte costituzionale a dichiarare non fondata,
con  la  sentenza  n. 326  del  1997, analoga questione sollevata con
riguardo  all'astensione nel giudizio di merito del giudice che abbia
emesso   un   provvedimento   cautelare   ante   causam   -,  la  non
configurabilita'   di   alcuna  funzione  strumentale  dell'ordinanza
interdittale  comporti  che  il  possesso  del ricorrente e' tutelato
nella  sua  forma  piu'  piena e definitiva gia' con il provvedimento
conclusivo  della  fase  sommaria, rispetto al quale la decisione del
merito nulla potra' aggiungere;
        che,  a giudizio del pretore a quo, tale caratteristica rende
altrettanto non trasponibili alla fattispecie anche le considerazioni
svolte   nella   richiamata   sentenza   in  ordine  alla  diversita'
dell'assunzione  dei  mezzi  istruttori nelle varie fasi, in quanto -
essendo  estraneo  al  giudizio possessorio l'accertamento (tipico di
quello  cautelare) dei requisiti del fumus boni juris e del periculum
in  mora  -  e'  normale che il giudice del merito ripeta la medesima
istruzione  che  ha compiuto nella fase sommaria, sentendo gli stessi
informatori ed acquisendo le stesse prove;
        che,  dunque,  secondo  il rimettente, la norma denunciata si
pone  in  contrasto  con  gli evocati parametri, in quanto lesiva del
principio  di  imparzialita'  del giudice, giacche' l'opinione da lui
fattasi  nella  prima  fase  investe con pienezza tutti i presupposti
oggetto di giudizio nella seconda;
        che,  sempre nel corso della fase di merito di altro giudizio
possessorio, il pretore di Palmi, sezione distaccata di Cinquefrondi,
con  Ordinanza  emessa  l'1  giugno  1999  (R.O. n. 723 del 1999), ha
sollevato  -  con  riferimento  agli  stessi parametri - questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 51 cod. proc. civ., nella parte
in  cui  prevede  la  sola  incompatibilita'  del  giudice  che abbia
conosciuto il processo in "altro grado";
        che  -  affermata  la  valenza  generale  dell'esigenza della
imparzialita'   e  terzieta'  del  giudice,  il  quale,  avendo  gia'
pronunciato  su  un certo oggetto, subisce la cosiddetta "forza della
prevenzione"  -  il  rimettente deduce considerazioni sostanzialmente
analoghe a quelle svolte dal pretore di Vibo Valentia, in ordine alla
identita',  in entrambe le fasi in cui il giudizio necessariamente si
articola,  sia  della  res judicanda sia della valenza della relativa
istruzione probatoria;
        che,  in  tale  ultimo giudizio, e' intervenuto il Presidente
del  Consiglio  dei  Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura
generale   dello   Stato,   concludendo   per   la   declaratoria  di
inammissibilita'   e   comunque   di   infondatezza  della  sollevata
questione.
    Considerato  che  -  data  l'identita'  della  norma sottoposta a
scrutinio  di  legittimita'  costituzionale, la quale viene censurata
con  riferimento  ai  medesimi  parametri ed alla stregua di analoghe
motivazioni  -  i  giudizi  vanno  riuniti  per essere congiuntamente
decisi;
        che  entrambi  i rimettenti, a sostegno dei prospettati dubbi
di  illegittimita', fanno richiamo, per dedurne la non estensibilita'
al  caso  del  giudice  del  merito  possessorio  che abbia deciso la
precedente  fase  sommaria, alle considerazioni svolte nella sentenza
n. 326  del  1997 (la quale ha dichiarato non fondata altra questione
riguardante  la  mancata  previsione  dell'astensione nel giudizio di
merito  del  giudice che abbia emesso un provvedimento cautelare ante
causam);
        che,    tuttavia,    ai    rimettenti    e'   sfuggito   che,
contestualmente,  e'  stato  ivi precisato come ben diversa, rispetto
alla pluralita' dei gradi di giudizio - dove "e' l'esigenza stessa di
garanzia,   che  sta  alla  base  del  concetto  di  revisio  prioris
instantiae, a postulare l'alterita' del giudice dell'impugnazione, il
quale  si trova [...] a dover ripercorrere l'itinerario logico che e'
stato  gia'  seguito onde pervenire al provvedimento impugnato" - "si
presenta  la  situazione  quando  l'iter processuale semplicemente si
articoli  attraverso  piu'  fasi sequenziali (necessarie od eventuali
poco  importa) nelle quali l'interesse posto a base della domanda - e
che   regge  il  giudizio  -  impone  l'appagamento  di  esigenze,  a
quest'ultimo  connesse,  di  carattere  conservativo,  anticipatorio,
istruttorio, ecc.";
        che,  in  relazione  a  cio',  dopo aver posto in evidenza la
peculiare  operativita' del principio dispositivo cui e' informato il
rito  civile  -  nell'ambito del quale la dialettica dei contrapposti
interessi  si  esplica,  durante  tutto  il processo, in relazione ad
attivita'  e  forme  di  tutela  diverse,  che  rispondono alle varie
esigenze   implicate   dal  diritto  o  dall'interesse  concretamente
azionato  nel giudizio stesso - la Corte ha allora concluso che anche
nella  ipotesi di provvedimento cautelare (anch'esso conseguente allo
svolgersi   della  menzionata  dialettica,  di  norma  attraverso  il
contraddittorio  tra le parti su un piano di "parita' delle armi", in
una continua funzione propulsiva che condiziona il perseguimento e la
stessa  conclusione  del  giudizio:  cfr.  anche  sentenza n. 341 del
1998),  non  sussiste l'esigenza d'ordine costituzionale d'un obbligo
di  astensione del giudice, che lo abbia pronunciato ante causam, dal
trattare  e  decidere la successiva causa di merito (in tal senso, da
ultimo, ordinanza n. 168 del 2000);
        che  tali  affermazioni  non  possono non conservare tutta la
loro  valenza anche per il caso del giudice del possessorio, il quale
-   pronunciatosi  sulla  richiesta  di  adozione  del  provvedimento
interdittale - debba decidere la successiva fase di merito;
        che  questa  Corte  ha  gia'  ritenuto  come  la tradizionale
struttura  bifasica  di  detto  giudizio non sia rimasta modificata a
se'guito della riforma del codice di procedura civile, attuata con la
legge  26 novembre 1990, n. 353, ed ha altresi' rilevato il carattere
selettivo  del richiamo al procedimento cautelare uniforme, contenuto
nell'art. 703  cod.  proc.  civ., volto a consentire l'applicabilita'
delle sole norme della novella compatibili con le caratteristiche del
procedimento  possessorio  (v.  ordinanze n. 203 del 1996, n. 125 del
1997);
        che,  in  particolare,  nella successiva ordinanza n. 126 del
1998 (ignorata da entrambi i rimettenti) - ribadite tali affermazioni
e  rilevato  come  le  stesse  siano  state fatte proprie anche dalle
Sezioni unite della Corte di cassazione, secondo la quale il giudizio
in  parola consta tuttora d'una fase sommaria e di una di merito - e'
stato  puntualmente  affermato  che del tutto privo di consistenza si
rivela  qualsiasi  dubbio circa la configurabilita' di una situazione
di  "incompatibilita'" del giudice del merito possessorio a conoscere
in  via  ordinaria per essersi gia' egli pronunciato nella precedente
fase;  essendo  parimenti  da escludere che al giudice stesso possano
derivare "vincoli" dall'esito del reclamo avverso il provvedimento da
lui gia' reso in sede interdittale;
        che,  peraltro, il menzionato richiamo da parte dell'art. 703
cod. proc. civ. alla disciplina dei procedimenti cautelari fa si' che
gli atti di istruzione - disposti dal giudice nella fase interdittale
"nel  modo che ritiene piu' opportuno" ed "omessa ogni formalita' non
essenziale  al  contraddittorio"  -  assumano  valenza tutta propria,
intesa  a  consentire valutazioni meramente sommarie, "indispensabili
(e   sufficienti)   in   relazione  ai  presupposti  e  ai  fini  del
provvedimento  (provvisorio)  richiesto"  (art. 669-sexies cod. proc.
civ.),  ma  normalmente inidonei di per se' a consentire la decisione
definitiva della causa;
        che  e',  dunque, palesemente erroneo attribuire alla fase di
merito  - caratterizzata dalla compiuta esplicazione della dialettica
processuale  delle  parti  e  dalla  cognizione piena su un materiale
istruttorio,   niente   affatto  necessariamente  identico  a  quello
acquisito  senza  formalita'  nella  precedente  fase  - un contenuto
formale  e  sostanziale  di  mera pedissequa duplicazione di giudizio
vertente su una medesima res judicanda;
        che,   pertanto,   le   sollevate   questioni  devono  essere
dichiarate manifestamente infondate.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.