IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul ricorso n. 3210 del
  1999,  proposto  da  Ventura  Giovannina,  rappresentata  e  difesa
  dall'avv. Giuseppe   Minieri,  presso  il  quale  e'  elettivamente
  domiciliata in Milano, via Manzoni n. 38;
    Contro  il  Ministero  di  grazia  e  giustizia,  costituitosi in
  giudizio  in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso
  ex  lege dall'avvocatura distrettuale dello Stato in Milano, presso
  i   cui   uffici   e'   domiciliato  in  via  Freguglia  n. 1,  per
  l'annulamento, previa sospensione:
        a)  del  provvedimento  in  data  18 giugno  1999, con cui la
  ricorrente  e'  stata dichiarata "non ammessa" a sostenere le prove
  orali  della  sessione  1998/1999 degli esami di avvocato presto la
  Corte d'Appello di Milano;
        b)  nonche',  ove  occorra,  in  parte qua, dei giudizi sugli
  elaborati della ricorrente riportati nel verbale di revisione delle
  prove scritte datato 8 marzo 1999;
        c)  ove  occorra, in parte qua, del verbale della commissione
  d'esame in data 15 gennaio 1999;
        d) ove occorra, della comunicazione 26 dicembre 1998, a firma
  del presidente della commissione d'esame.
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto  l'atto di costituzione in giudizio del Ministero di grazia
  e giustizia;
    Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
  difese;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Udito  alla  pubblica  udienza  del 10 febbraio 2000, il relatore
  dott. Carlo Testori;
    Uditi, altresi', i procuratori delle parti;
    Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue:
                              F a t t o
    La  dott.ssa  Giovannina  Ventura  ha  sostenuto  presso la Corte
  d'appello  di  Milano  le  prove  scritte degli esami di avvocato -
  sessione  1998/1999, sulle quali la commissione d'esame ha espresso
  un  giudizio  negativo,  che  ha impedito alla ricorrente di essere
  ammessa all'orale.
    Per  ottenere  l'annullamento, di tale valutazione la predetta ha
  adito  questo  tribunale con il ricorso in epigrafe, deducendo vizi
  di violazione di legge e di eccesso di potere.
    Si  e' costituito in giudizio il Ministero di grazia e giustizia,
  contestando   le  tesi  sostenute  nel  ricorso  e  chiedendone  la
  reiezione.
    Nella  camera  di  consiglio del 10 settembre 1999, con ordinanza
  n. 2506, la sezione ha respinto la domanda cautelare proposta dalla
  ricorrente.
    All'udienza   del  10 febbraio  2000,  la  causa  e'  passata  in
  decisione.  Con  separata sentenza parziale questa sezione, risolte
  negativamente  le  eccezioni  di  inammissibilita'  del ricorso, ha
  sospeso  il  giudizio  ai  sensi dell'art. 23, secondo comma, della
  legge 11 marzo 1953, n. 87.

                            D i r i t t o

    1.  -  L'illegittimita'  dell'impugnato  giudizio  negativo viene
  denunciata  nel  ricorso  sotto  molteplici  profili;  il  collegio
  ritiene  che  tra  questi  debba  essere  prioritariamente definito
  quello  riguardante  il  difetto  di  motivazione.  Cio'  in quanto
  l'obiettivo  della  ricorrente  e',  insieme alla caducazione degli
  atti  impugnati,  la  rinnovazione  del  giudizio  sulle  sue prove
  scritte;  rispetto  a  tale  obiettivo  la  decisione sulla censura
  relativa al profilo motivazionale risulta centrale non solo ai fini
  dell'invocato annullamento del giudizio negativo gia' formulato, ma
  anche e soprattutto ai fini conformativi dell'attivita' che la p.a.
  sarebbe  chiamata  a  svolgere nell'eventualita' di un accoglimento
  del  gravame.  Percio'  il  collegio  ritiene  di  dover  esaminare
  innanzitutto la predetta censura.
    2.  -  Si  sostiene  in  proposito  che  detto giudizio, espresso
  esclusivamente  in forma numerica, attraverso voti contrasta con il
  principio  generale  enunciato  dall'art. 3,  comma  1, della legge
  7 agosto 1990, n. 241, a tenore del quale:
    "ogni  provvedimento  amministrativo, compresi quelli concernenti
  l'organizzazione   amministrativa,   lo  svolgimento  dei  pubblici
  concorsi  ed  il  personale,  deve essere motivato, salvo che nelle
  ipotesi  previste  dal  comma  2.  La  motivazione  deve indicare i
  presupposti  di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato
  la  decisione  dell'amministrazione,  in  relazione alle risultanze
  dell'istruttoria".
    Sulla  questione dell'integrale applicabilita' della norma citata
  ai  giudizi  relativi  agli  esami di abilitazione professionale (e
  segnatamente  agli esami per accedere alla professione di avvocato)
  questa sezione si e' ripetutamente espressa in senso favorevole, da
  ultimo  con le sentenze 3 giugno 1998, nn. 1154 e 1157, e 30 giugno
  1998,  n. 1521. Ad analoghe conclusioni sono recentemente pervenuti
  anche  il  Tribunale  amministrativo regionale di Lecce, I sezione,
  nelle  sentenze  25 marzo  1997,  n. 207, 10 agosto 1996, n. 617, e
  27 marzo  1996, n. 119; ed il Tribunale amministrativo regionale di
  Brescia nella decisione 19 ottobre 1996, n. 990.
    Il   giudice   d'appello   ha,   invece,  adottato  un  contrario
  orientamento che riconosce, nell'ambito che qui interessa, la piena
  legittimita' del giudizio espresso esclusivamente mediante un voto,
  cioe' attraverso un mero punteggio numerico; e tale posizione viene
  giustificata  sostenendo,  da  un  lato,  che il voto sintetizza in
  forma   numerica   il   giudizio  e  contiene  in  se'  la  propria
  motivazione,  dall'altro  che l'art. 3 della legge sul procedimento
  amministrativo  e'  applicabile  alla  sola  attivita' propriamente
  provvedimentale e non anche all'attivita' di giudizio conseguente a
  valutazioni.
    Detto  consolidato  orientamento  e' stato seguito, tra le altre,
  nelle  sentenze  del  Consiglio  di  Stato, VI sez. 27 maggio 1996,
  n. 747,  e  15 ottobre  1993,  n. 727;  V  sez.  19 settembre 1995,
  n. 1323,  (che ribadisce la validita' dell'orientamento richiamato,
  pur   riconoscendo  la  necessita'  di  motivazione  del  punteggio
  negativo  attribuito,  in  caso  di  unico candidato di un pubblico
  concorso);  C.G.A.R.S. 29  dicembre 1997, n. 583, e 29 luglio 1997,
  n. 309  (che  superano  la  precedente,  isolata decisione di segno
  opposto n. 228, del 31 maggio 1995); ed anche in sede consultiva il
  Consiglio di Stato si e' espresso nel senso indicato allorche', nel
  parere 9 novembre 1995, n. 120/1995 reso dall'adunanza generale, ha
  ritenuto  opportuna  la  modifica dell'art. 12, comma 1, del d.P.R.
  9 agosto 1994, n. 487, in tema di accesso ai pubblici impieghi, nel
  senso  che  i  criteri  di  valutazione  nei concorsi devono essere
  stabiliti  al  fine  di  "assegnare" e non di "motivare" i punteggi
  attribuiti ai candidati, essendo la graduazione numerica un modo di
  differenziare le valutazioni.
    Detta modifica, che sembra avere espunto dall'ordinamento la sola
  norma,  seppure  di  rango  secondario,  che si poneva in obiettivo
  contrasto  con  la menzionata, riduttiva lettura dell'art. 3, della
  legge  n. 241/1990,  appare  di  tutto  rilievo  in  relazione alla
  particolare  autorevolezza  dell'organo  da cui promana: l'adunanza
  generale  del  Consiglio  di  Stato e', infatti, chiamata a rendere
  un'interpretazione  potenzialmente  vincolante  per ogni successiva
  lettura  della  norma,  deliberando  essa  con la partecipazione di
  tutti   i   componenti   delle   sezioni  consultive  e  di  quelle
  giurisdizionali  ex  art. 17,  del  Regio  Decreto  26 giugno 1924,
  n. 1054.
    L'importanza  di tale avviso emerge anche dal fatto che esso pare
  sottendere  non  solo  l'inequivoco  intento di difendere il previo
  indirizzo   interpretativo,   ma   anche   quello   di  assecondare
  l'avvertita   preoccupazione  per  le  non  superabili  difficolta'
  indotte  dal  legislatore  sull'amministrazione  e  per  essa sulle
  commissioni  giudicatrici  da un cogente obbligo di motivazione dei
  giudizi negativi espressi in sede di pubblici concorsi ed esami.
    In proposito non si puo' non sottolineare, tuttavia, che i valori
  costituzionali  che  presiedono  all'emissione  del suddetto avviso
  dell'adunanza  generale  sono  quelli indicati dall'art. 100, primo
  comma  della  Costituzione  e  che  lo  stesso  e'  dunque  diretta
  espressione  della funzione primaria affidata da quest'ultima norma
  al  Consiglio  di  Stato,  che  e'  quella di rendere allo Stato la
  consulenza  giuridico-amministrativa e di garantire la tutela della
  giustizia all' interno della pubblica amministrazione.
    Le  ragioni  del  diverso  orientamento seguito da questa sezione
  possono essere cosi' sintetizzate:
        l'affermazione   secondo  cui  il  voto  sarebbe  espressione
  sintetica,  ma  completa  del  giudizio,  recante  in  se'  la  sua
  motivazione,   e'   tanto  perentoria  quanto  insoddisfacente;  se
  significa   che,   ad   esempio,  un  esame  da  "5"  e'  un  esame
  insufficiente, essa si risolve in una mera tautologia in realta' il
  voto  e'  un  giudizio  di  cui  sfugge  la motivazione, perche' le
  ragioni  di  una  valutazione negativa (e la graduazione di questa)
  possono essere le piu' diverse: errori concettuali e/o ortografici,
  superficiale   o   confusa   conoscenza   della  materia  trattata,
  inadeguatezza   dell'esposizione,  mancata  comprensione  del  tema
  proposto,  incapacita'  di analisi e/o di sintesi, ed altre ancora;
  ed una specifica, ancorche' sintetica enunciazione delle ragioni di
  un  giudizio  non positivo corrisponde al generalissimo precetto di
  clare  loqui, consentendo al candidato un adeguato riscontro tra il
  contenuto  della prova svolta e la sua negativa valutazione: il che
  puo'  alternativamente condurre ad una consapevole reazione in sede
  giurisdizionale  ovvero all'accettazione del risultato, visto anche
  in funzione di aiuto e di indirizzo per le scelte future;
        l'esigenza  di  conoscere il "perche'" di un voto puo' essere
  soddisfatta  solo  quando  esso  e'  accompagnato  da  un  giudizio
  sintetico  o  trova illustrazione nella simbologia utilizzata nelle
  correzioni  apportate  ad  una  eventuale  prova scritta o, ancora,
  quando  puo' essere spiegato attraverso il raffronto con criteri di
  valutazione   predeterminati   in   modo   puntuale   e  pressoche'
  matematico;  in  mancanza  di tali elementi di raffronto l'esigenza
  predetta resta insoddisfatta;
        quanto   alla   tesi   secondo   cui  l'art. 3,  della  legge
  n. 241/1990,  riferendosi  ad "ogni provvedimento amministrativo" e
  ricollegando  la  motivazione  "alle  risultanze dell'istruttoria",
  farebbe    esclusivo    riferimento    all'attivita'   propriamente
  provvedimentale  e  non  anche  a quella di giudizio, conseguente a
  valutazione,  essa  appare confliggente con lo spirito della norma;
  in  una  legge di principi sul procedimento amministrativo, volta a
  garantire   la   trasparenza   e   l'imparzialita'   dell'attivita'
  amministrativa,  il  generale  obbligo  di  motivazione  di  "ogni"
  provvedimento  puo'  essere  escluso  solo  nei  casi espressamente
  previsti  e  cioe'  solo  "per  gli  atti  normativi e per quelli a
  contenuto  generale",  a  cui puntualmente si riferisce il comma 2,
  della  norma  citata;  e  d'altra  parte  il  comma 1, utilizza una
  terminologia  varia,  collegando  l'obbligo di motivazione prima al
  "provvedimento     amministrativo",     poi     alla     "decisione
  dell'amministrazione"  il  che  appare espressivo della volonta' di
  attribuire alla disposizione la piu' ampia portata.
    Il  collegio  ritiene  tuttora  valide  le  argomentazioni appena
  richiamate, che appaiono pertinenti al caso di specie, tenuto conto
  che   il   giudizio   contestato   e'   stato   espresso  in  forma
  esclusivamente  numerica,  che  gli  elaborati della ricorrente non
  presentano   alcuna  correzione  e  che  i  criteri  di  correzione
  enunciati  nella  seduta  della  commissione  del  15 gennaio 1999,
  risultano generali ed astratti.
    Tuttavia  non  puo' trascurare il fatto che anche le piu' recenti
  decisioni  adottate  dal  giudice d'appello in sede di merito (cfr.
  Cons.  Stato,  IV  sez.  9 aprile 1999, n. 538, che ha annullato la
  sentenza   di   questa   sezione   n. 1726,   dell'8 ottobre  1997,
  pronunciata  su un caso analogo a quello di cui qui si controverte)
  e  cautelare  (cfr.  ordinanza Cons. Stato, IV sez. 21 maggio 1999,
  n. 1188) sono conformi al suo consolidato orientamento, contrario a
  quello di questa sezione.
    Si  deve  dunque  riconoscere  che,  secondo il "diritto vivente"
  quale  risulta  dalle  decisioni  del  giudice d'appello, l'art. 3,
  della  legge n. 241/1990 (alla luce del quale vanno interpretate le
  disposizioni  sull'esame  da  avvocato  contenute nel regio decreto
  22 gennaio  1934,  n. 37,  e  in  particolare,  quelle  di cui agli
  artt. 17-bis  e  23, che utilizzano il termine "punteggio") esclude
  dall'obbligo  di puntuale motivazione i giudizi espressi in sede di
  valutazione degli esami di abilitazione professionale.
    In  tali condizioni questo collegio ritiene di non poter definire
  il  ricorso  semplicemente  insistendo nel riproporre le tesi della
  sezione, senza farsi carico dell'evidente contrasto con il "diritto
  vivente"  in  materia,  quale  emerge dal pacifico orientamento del
  Consiglio  di  Stato,  tenuto  conto  del rilievo che esso presenta
  sotto il profilo nomofilattico.
    3.  -  L'indubbio  vincolo  costituito,  di fatto, dal richiamato
  "diritto  vivente"  non  appare  tuttavia  sufficiente ad imporre a
  questo  giudice di adeguarsi all'indirizzo sinora avversato, atteso
  che  l'interpretazione  dell'art. 3  citato  seguita  sul punto dal
  Consiglio   di   Stato   appare   al   collegio   sospettabile   di
  illegittimita'  costituzionale.  Non  resta  allora che prospettare
  tali  dubbi  alla  Corte  costituzionale per averne una valutazione
  chiarificatrice.  E  che  il  giudice di merito, quando si trova di
  fronte  ad  indirizzi  giurisprudenziali  consolidati  da  lui  non
  condivisi  sul  piano  costituzionale,  possa rivolgersi al giudice
  delle  leggi e' stato ripetutamente riconosciuto dalla stessa Corte
  costituzionale,  da ultimo nelle sentenze 21 novembre 1997, n. 350,
  21 luglio  1995,  n. 345,  6 aprile 1995, n. 110, 24 febbraio 1995,
  n. 58.
    Nel  caso  in  esame  il  collegio  dubita  della  conformita'  a
  determinate   norme  costituzionali  dell'indirizzo  interpretativo
  dell'art. 3,  della  legge  n. 241/1990,  uniformemente seguito dal
  giudice  amministrativo  d'appello  in rapporto alla formulazione e
  motivazione   dei   giudizi   relativi  ad  esami  di  abilitazione
  professionale  (con specifico riguardo agli esami per accedere alla
  professione di avvocato). In particolare tali dubbi si prospettano:
        a)  in  relazione  all'art. 3 della Costituzione, perche' non
  appare  ragionevole una disposizione normativa inserita nella legge
  generale  sul  procedimento  amministrativo che, mentre consacra il
  generale principio dell'obbligo di motivazione, tra l'altro facendo
  specifico  riferimento a "lo svolgimento dei pubblici concorsi", ne
  esclude  l'applicazione a categorie di atti (nella specie i giudizi
  sugli  esami  d'abilitazione)  rispetto  ai  quali  l'esigenza  dei
  destinatari  di  conoscere,  attraverso  un'idonea  motivazione, le
  concrete  ragioni  poste  a  fondamento  della loro adozione non e'
  diversa,  ne'  minore  di quella dei soggetti interessati agli atti
  amministrativi sicuramente vincolati all'osservanza della norma;
        b)  in  relazione  agli  artt. 24  e  113 della Costituzione,
  perche'  la  non  soggezione all'obbligo di motivazione dei giudizi
  d'esame  di cui si discute, traducendosi nell'impossibilita' per il
  singolo  candidato  bocciato  di conoscere e controllare le ragioni
  poste  a base del giudizio negativo, interdice ogni concreta tutela
  nella gia' assai limitata sede della giurisdizione di legittimita',
  in  cui  al  giudice amministrativo e' consentito il solo riscontro
  dell'iter   logico  delle  valutazioni  di  merito  compiute  dalle
  commissioni esaminatrici; quando, al contrario, anche tale limitato
  sindacato  viene precluso di fronte al mero dato numerico del voto,
  non   illustrato,  cioe'  spiegato  da  una  almeno  sintetica,  ma
  concreta,  motivazione; la tutela cosi' consentita dall'ordinamento
  si riduce allora al solo riscontro di profili estrinseci e formali,
  quali  quelli  inerenti  al  rispetto  delle garanzie connesse alla
  collegialita' dell'organo giudicante ed alla sua composizione;
        c)  in  relazione  all'art. 97 della Costituzione, perche' la
  sottrazione  di  una  categoria  di atti all'obbligo di motivazione
  appare   confliggente   sia   con  il  principio  di  imparzialita'
  (evidentemente meno garantito da un giudizio espresso in forma solo
  numerica),    sia    con    il    principio   di   buon   andamento
  dell'amministrazione,    che   in   un   ordinamento   modernamente
  democratico  si  traduce  anche nella piena trasparenza dell'azione
  amministrativa;  ne'  le  esigenze  di  snellezza  e speditezza del
  procedimento,  pure riconducibili al principio di buon andamento ex
  art. 97   Cost.,   possono   essere  ritenute  prevalenti  rispetto
  all'esigenza  di assicurare il piu' corretto rapporto tra cittadino
  e  amministrazione pubblica, essendo invece diversamente tutelabili
  attraverso    un'applicazione   del   principio   dell'obbligo   di
  motivazione  ragionevole e proporzionato ai richiamati obiettivi di
  trasparenza e di tutela.
    4.  -  In  subordine,  ove  si ritenga conforme al dato normativo
  l'interpretazione   dell'art. 3,  della  legge  n. 241/1990,  quale
  risulta  dal  "diritto vivente" formatosi sul punto che riguarda il
  presente  giudizio,  il  collegio  prospetta  l'illegittimita'  del
  medesimo art. 3, in rapporto ai parametri costituzionali piu' sopra
  richiamati e per le ragioni gia' illustrate.
    5.   -   Le   questioni  prospettate  appaiono  al  collegio  non
  manifestamente  infondate  e  sono  sicuramente  rilevanti, perche'
  dalla  loro  risoluzione  dipende l'accoglimento o meno del ricorso
  sotto il denunciato profilo del difetto di motivazione.