IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 3782 del 1999 proposto da Tognoni Maria Cristina, rappresentato e difeso dagli avv.ti Ghezzi Umberto e Marletta Riccardo ed elettivamente domiciliata presso lo studio del secondo in Milano, corso Monforte n. 39; Contro il Ministero della giustizia, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall'avvocatura distrettuale dello Stato in Milano, presso i cui uffici e' ope legis domiciliato in via Freguglia n. 1, la commissione per gli esami da avvocato, non costituita, per l'annullamento, previa sospensione: del provvedimento negativo (atto di rinnovo prove orali esame di avvocato - sessione 1997) emesso dalla commissione esaminatrice presso la Corte d'appello di Milano in data 9 luglio 1999 nonche' di ogni altro atto presupposto e connesso. Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della giustizia; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle proprie difese; Visti gli atti tutti della causa; Udito alla pubblica udienza del 10 febbraio 2000 il relatore dott. Carlo Deodato; Uditi, altresi', i procuratori delle parti; Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue: F a t t o La dott.ssa Tognoni Maria Cristina ha sostenuto presso la Corte d'appello di Milano le prove orali degli esami di avvocato, in esecuzione dell'ordinanza n. 14/99 di questo tribunale che aveva disposto la rinnovazione integrale dell'esame orale, sulle quali la commissione d'esame ha espresso un giudizio negativo, che ha impedito alla ricorrente di conseguire il titolo di avvocato. Per ottenere l'annullamento di tale valutazione l'istante ha adito questo tribunale con il ricorso in epigrafe, deducendo vizi di violazione di legge e di eccesso di potere. Si e' costituito in giudizio il Ministero della giustizia, contestando le tesi sostenute nel ricorso e chiedendone la reiezione. Nella camera di consiglio dell'11 novembre 1999, con ordinanza n. 2924, la sezione ha respinto la domanda cautelare proposta dalla ricorrente. All'udienza del 10 febbraio 2000 la causa e' passata in decisione. D i r i t t o 1. - L'illegittimita' dell'impugnato giudizio negativo viene denunciata nel ricorso sotto molteplici profili; il collegio ritiene che tra questi debba essere prioritariamente definito quello riguardante il difetto di motivazione. Cio' in quanto l'obiettivo della ricorrente e', insieme alla caducazione degli atti impugnati, la rinnovazione del giudizio sulle sue prove orali; rispetto a tale obiettivo la decisione sulla censura relativa al profilo motivazionale risulta centrale non solo ai fini dell'invocato annullamento del giudizio negativo gia' formulato, ma anche e soprattutto ai fini conformativi dell'attivita' che la p.a. sarebbe chiamata a svolgere nell'eventualita' di un accoglimento del gravame. Percio' il collegio ritiene di dover esaminare innanzitutto la predetta censura. 2. - Si sostiene in proposito che detto giudizio, espresso esclusivamente in forma numerica, attraverso voti contrasta con il principio generale enunciato dall'art. 3, comma 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241, a tenore del quale: "Ogni provvedimento amministrativo, compresi quelli concernenti l'organizzazione amministrativa, lo svolgimento dei pubblici concorsi ed il personale, deve essere motivato, salvo che nelle ipotesi previste dal comma 2. La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell'amministrazione, in relazione alle risultanze dell'istruttoria". Sulla questione dell'integrale applicabilita' della norma citata ai giudizi relativi agli esami di abilitazione professionale (e segnatamente agli esami per accedere alla professione di avvocato) questa sezione si e' ripetutamente espressa in senso favorevole, da ultimo con le sentenze 3 giugno 1998, nn. 1154 e 1157 e 30 giugno 1998, n. 1521. Ad analoghe conclusioni sono recentemente pervenuti anche il Tribunale amministrativo regionale Puglia - sezione di Lecce, I sezione, nelle sentenze 25 marzo 1997, n. 207, 10 agosto 1996, n. 617 e 27 marzo 1996, n. 119; ed il Tribunale amministrativo regionale Lombardia - sezione di Brescia nella sentenza 19 ottobre 1996, n. 990. Il Consiglio di Stato ha, invece, adottato un contrario orientamento che riconosce, nell'ambito che qui interessa, la piena legittimita' del giudizio espresso esclusivamente mediante un voto, cioe' attraverso un mero punteggio numerico; e tale posizione viene giustificata sostenendo, da un lato, che il voto sintetizza in forma numerica il giudizio e contiene in se' la propria motivazione, dall'altro che l'art. 3 della legge sul procedimento amministrativo e' applicabile alla sola attivita' propriamente provvedimentale e non anche all'attivita' di giudizio conseguente a valutazioni. Detto consolidato orientamento e' stato seguito, tra le altre, nelle decisioni del Consiglio di Stato, VI sez. 27 maggio 1996, n. 747 e 15 ottobre 1993, n. 727; V sez. 19 settembre 1995, n. 1323 (che ribadisce la validita' dell'orientamento richiamato, pur riconoscendo la necessita' di motivazione del punteggio negativo attribuito, in caso di unico candidato di un pubblico concorso); C.G.A.R.S. 29 dicembre 1997, n. 583 e 29 luglio 1997, n. 309 (che superano la precedente, isolata decisione di segno opposto n. 228 del 31 maggio 1995); ed anche in sede consultiva il Consiglio di Stato si e' espresso nel senso indicato allorche', nel parere 9 novembre 1995, n. 120 reso dall'adunanza generale, ha ritenuto opportuna la modifica dell'art. 12, comma 1, del d.P.R. 9 agosto 1994, n. 487, in tema di accesso ai pubblici impieghi, nel senso che i criteri di valutazione nei concorsi devono essere stabiliti al fine di "assegnare" e non di "motivare" i punteggi attribuiti ai candidati, essendo la graduazione numerica un modo di differenziare le valutazioni. Detta modifica, che sembra avere espunto dall'ordinamento la sola norma, seppure di rango secondario, che si poneva in obiettivo contrasto con la menzionata, riduttiva lettura dell'art. 3 della legge n. 241/1990, appare di tutto rilievo in relazione alla particolare autorevolezza dell'organo da cui promana: l'adunanza generale del Consiglio di Stato e', infatti, chiamata a rendere un'interpretazione potenzialmente vincolante per ogni successiva lettura della norma, deliberando essa con la partecipazione di tutti i componenti delle sezioni consultive e di quelle giurisdizionali ex art. 17 del r.d. 26 giugno 1924, n. 1054. L'importanza di detto avviso emerge anche dal fatto che esso pare sottendere non solo l'inequivoco intento di difendere il previo indirizzo interpretativo, ma anche quello di assecondare l'avvertita preoccupazione per le non superabili difficolta' indotte dal legislatore sull'amministrazione e per essa sulle commissioni giudicatrici da un cogente obbligo di motivazione dei giudizi negativi espressi in sede di pubblici concorsi ed esami. In proposito non si puo' non sottolineare, tuttavia, che i valori costituzionali che presiedono all'emissione del suddetto avviso dell'adunanza generale sono quelli indicati dall'art. 100, comma 1 della Costituzione e che lo stesso e' dunque diretta espressione della funzione primaria affidata da quest'ultima norma al Consiglio di Stato, che e' quella di rendere allo Stato la consulenza giuridico-amministrativa e di garantire la tutela della giustizia all'interno della pubblica amministrazione. Le ragioni del diverso orientamento seguito da questa sezione rispetto a quanto espresso dall'adunanza generale e dalle decisioni delle sezioni giurisdizionali rese antecedentemente e successivamente al ricordato parere, possono essere cosi' sintetizzate: l'affermazione secondo cui il voto sarebbe espressione sintetica, ma completa del giudizio, recante in se' la sua motivazione, e' tanto perentoria quanto insoddisfacente; se significa che, ad esempio, un esame da "5" e' un esame insufficiente, essa si risolve in una mera tautologia; in realta' il voto e' un giudizio di cui sfugge la motivazione, perche' le ragioni di una valutazione negativa (e la graduazione di questa) possono essere le piu' diverse: errori concettuali e/o ortografici, superficiale o confusa conoscenza della materia trattata, inadeguatezza dell'esposizione, mancata comprensione del tema proposto, incapacita' di analisi e/o di sintesi, ed altre ancora; ed una specifica, ancorche' sintetica enunciazione delle ragioni di un giudizio non positivo corrisponde al generalissimo precetto di clare loqui, consentendo al candidato un adeguato riscontro tra il contenuto della prova svolta e la sua negativa valutazione: il che puo' alternativamente condurre ad una consapevole reazione in sede giurisdizionale ovvero all'accettazione del risultato, visto anche in funzione di aiuto e di indirizzo per le scelte future; l'esigenza di conoscere il "perche'" di un voto puo' essere soddisfatta solo quando esso e' accompagnato da un giudizio sintetico o trova illustrazione nella simbologia utilizzata nelle correzioni apportate ad una eventuale prova scritta o, ancora, quando puo' essere spiegato attraverso il raffronto con criteri di valutazione predeterminati in modo puntuale e pressoche' matematico; in mancanza di tali elementi di raffronto l'esigenza predetta resta insoddisfatta; quanto alla tesi secondo cui l'art. 3 della legge n. 241/1990, riferendosi ad "ogni provvedimento amministrativo" e ricollegando la motivazione "alle risultanze dell'istruttoria" farebbe esclusivo riferimento all'attivita' propriamente provvedimentale e non anche a quella di giudizio, conseguente a valutazione, essa appare confliggente con lo spirito della norma; in una legge di principi sul procedimento amministrativo, volta a garantire la trasparenza e l'imparzialita' dell'attivita' amministrativa, il generale obbligo di motivazione di "ogni" provvedimento puo' essere escluso solo nei casi espressamente previsti e cioe' solo "per gli atti normativi e per quelli a contenuto generale", a cui puntualmente si riferisce il comma 2 della norma citata; e d'altra parte il comma 1 utilizza una terminologia varia, collegando l'obbligo di motivazione prima al "provvedimento amministrativo", poi alla "decisione dell'amministrazione" il che appare espressivo della volonta' di attribuire alla disposizione la piu' ampia portata. Il collegio ritiene tuttora valide le argomentazioni appena richiamate, che appaiono pertinenti al caso di specie, tenuto conto che il giudizio contestato e' stato espresso in forma esclusivamente numerica, che gli elaborati del ricorrente non presentano alcuna correzione e che i criteri di correzione enunciati nella relativa seduta della commissione risultano generali ed astratti. Tuttavia non puo' trascurare il fatto che anche le piu' recenti decisioni adottate dal Consiglio di Stato in sede di merito (cfr. sez. IV 9 aprile 1999, n. 538, che ha annullato la sentenza di questa sezione n. 1726 dell'8 ottobre 1997 pronunciata su un caso analogo a quello di cui qui si controverte) e cautelare (cfr. ordinanza sez. IV 21 maggio 1999, n. 1188) sono conformi al suo consolidato orientamento, contrario a quello di questa sezione. Si deve dunque riconoscere che, secondo il "diritto vivente" quale risulta dalle decisioni emesse in sede d'appello, l'art. 3 della legge n. 241/1990 (alla luce del quale vanno interpretate le disposizioni sull'esame da avvocato contenute nel r.d. 22 gennaio 1934, n. 37 e, in particolare, quelle di cui agli artt. 17-bis e 23 che utilizzano il termine "punteggio" esclude dall'obbligo di puntuale motivazione i giudizi espressi in sede di valutazione degli esami di abilitazione professionale. In tali condizioni questo collegio ritiene di non poter definire il ricorso semplicemente insistendo nel riproporre le tesi della sezione, senza farsi carico dell'evidente contrasto con il "diritto vivente" in materia, quale emerge dal pacifico orientamento del Consiglio di Stato, tenuto conto del rilievo che esso presenta sotto il profilo nomofilattico. 3. - L'indubbio vincolo costituito, di fatto, dal richiamato "diritto vivente" non appare tuttavia sufficiente ad imporre a questo giudice di adeguarsi all'indirizzo sinora avversato, atteso che l'interpretazione dell'art. 3 citato seguita sul punto dal Consiglio di Stato appare al collegio sospettabile di illegittimita' costituzionale. Non resta allora che prospettare tali dubbi alla Corte costituzionale per averne una valutazione chiarificatrice. E che il giudice di merito, quando si trova di fronte ad indirizzi giurisprudenziali consolidati da lui non condivisi sul piano costituzionale, possa rivolgersi al giudice delle leggi e' stato ripetutamente riconosciuto dalla stessa Corte costituzionale, da ultimo nelle sentenze 21 novembre 1997, n. 350, 21 luglio 1995, n. 345, 6 aprile 1995, n. 110, 24 febbraio 1995, n. 58. Nel caso in esame il collegio dubita della conformita' a determinate norme costituzionali dell'indirizzo interpretativo dell'art. 3 della legge n. 241/1990 uniformemente seguito dal Consiglio di Stato in rapporto alla formulazione e motivazione dei giudizi relativi ad esami di abilitazione proffesionale (con specifico riguardo agli esami per accedere alla professione di avvocato). In particolare tali dubbi si prospettano: a) in relazione all'art. 3 Cost. perche' non appare ragionevole una disposizione normativa inserita nella legge generale sul procedimento amministrativo che, mentre consacra il generale principio dell'obbligo di motivazione, tra l'altro facendo specifico riferimento a "lo svolgimento dei pubblici concorsi", ne esclude l'applicazione a categorie di atti (nella specie i giudizi sugli esami d'abilitazione) rispetto ai quali l'esigenza dei destinatari di conoscere, attraverso un'idonea motivazione, le concrete ragioni poste a fondamento della loro adozione non e' diversa, ne' minore di quella dei soggetti interessati agli altri atti amministrativi, se del caso egualmente esprimenti valutazioni di natura tecnica, sicuramente vincolati all'osservanza della norma; b) in relazione agli artt. 24 e 113 Cost., perche' la non soggezione all'obbligo di motivazione dei giudizi d'esame di cui si discute, traducendosi nell'impossibilita' per il singolo candidato bocciato di conoscere e controllare le ragioni poste a base del giudizio negativo, interdice ogni concreta tutela nella gia' assai limitata sede della giurisdizione di legittimita', in cui al giudice amministrativo e' consentito il solo riscontro dell'iter logico delle valutazioni di merito compiute dalle commissioni esaminatrici; quando, al contrario, anche tale limitato sindacato viene precluso di fronte al mero dato numerico del voto, non illustrato, cioe' spiegato da una almeno sintetica, ma concreta, motivazione, la tutela cosi' consentita dall'ordinamento si riduce al solo riscontro di profili estrinseci e formali, quali quelli inerenti al rispetto delle garanzie connesse alla collegialita' dell'organo giudicante ed alla sua composizione con una cospicua riduzione del tasso di effettivita' dei giudizi nella sede generale della legittimita'; c) in relazione all'art. 97 Cost. perche' la sottrazione di una categoria di atti all'obbligo di motivazione appare confliggente sia con il principio di imparzialita' (evidentemente meno garantito da un giudizio espresso in forma solo numerica), sia con il principio di buon andamento dell'amministrazione, che in un ordinamento modernamente democratico si traduce anche nella piena trasparenza dell'azione amministrativa; ne' le esigenze di snellezza e speditezza del procedimento, pure riconducibili al principio di buon andamento ex art. 97 Cost. e che sono pienamente percepibili nel gia' ricordato avviso dell'adunanza generale, possono essere ritenute prevalenti rispetto all'inderogabile necessita' di assicurare il piu' corretto rapporto tra cittadino e amministrazione pubblica, essendo invece diversamente tutelabili attraverso un'applicazione del principio dell'obbligo di motivazione ragionevole e proporzionato ai richiamati obiettivi di trasparenza e di tutela. 4. - In subordine, ove si ritenga conforme al dato normativo l'interpretazione dell'art. 3 della legge n. 241/1990 quale risulta dal "diritto vivente" formatosi sul punto che riguarda il presente giudizio, il collegio prospetta l'illegittimita' del medesimo art. 3, in rapporto ai parametri costituzionali piu' sopra richiamati e per le ragioni gia' illustrate. 5. - Le questioni prospettate appaiono al collegio non manifestamente infondate e sono sicuramente rilevanti, perche' dalla loro risoluzione dipende l'accoglimento o meno del ricorso sotto il denunciato profilo del difetto di motivazione.