LA CORTE DI APPELLO

    Riunita in Camera di Consiglio ha emesso la seguente ordinanza;
    La  causa  civile  iscritta  al n. 1191 di ruolo generale per gli
  affari   contenziosi   dell'anno   1997   posta   in  deliberazione
  all'udienza collegiale del 20 gennaio 2000 vertente tra Belli Fabio
  elettivamente  domiciliato  in  Roma  largo  Forano  n. 4 presso lo
  studio  dell'avv.  Maria  Teresa  Giarratana  che  lo rappresenta e
  difende  in  virtu' di mandato in atti appellante, e Astengo Flavia
  elettivamente  domiciliata  in Roma, viale Trastevere n. 259 presso
  lo  studio  dell'avv. Gaetano Patta che la rappresenta e difende in
  virtu' di mandato in atti appellato, con la partecipazione del p.g.
  in sede.
                         In fatto e diritto
    L'art. 8 penultimo comma della legge 25 marzo 1985 n. 121 dispone
  che  nella  sentenza  che  rende esecutiva una sentenza canonica di
  nullita'   del   matrimonio   la   Corte  d'appello  puo'  statuire
  provvedimenti  economici provvisori a favore di uno dei due coniugi
  il  cui  matrimonio sia stato dichiarato nullo, rimandando le parti
  al giudice competente per la decisione sulla materia.
    uesta  Corte  d'appello,  contrariamente  a  quanto affermato dal
  tribunale   nell'impugnata   sentenza,   ritiene  che  il  "giudice
  competente"  possa  provvedere  soltanto  nei limiti previsti dagli
  artt. 129  e  129-bis c.c., qualora ne ricorrano i presupposti, (in
  tal  senso  Cass.  9  marzo  1995  n. 2734  e Cass. 12 gennaio 1988
  n. 140).
    A  questo proposito va evidenziato che la nullita' del matrimonio
  secondo  l'ordinamento  giuridico  italiano  e'  prevista  solo per
  limitate ragioni tassativamente previste dagli artt. 117, 119, 120,
  122  e  123  dello  stesso codice, ed inoltre nella maggioranza dei
  casi  l'azione non puo' essere proposta una volta trascorso un anno
  di coabitazione dalla celebrazione o dalla cessazione del motivo di
  nullita'  (art. 117  quarto  comma, art. 119 ultimo comma, art. 120
  secondo comma, art. 122 ultimo comma e art. 123 del c.c.).
    In  tali  casi gli artt. 129 e 129-bis del c.c. statuiscono delle
  limitate  indennita'  a  favore  del  coniuge in buona fede che non
  abbia  adeguati redditi propri, per un periodo non superiore ai tre
  anni  ed  inoltre,  solo  nel  caso che detto coniuge sia sempre in
  buona  fede,  gli  spettano  gli alimenti, "sempre che non vi siano
  altri obbligati".
    Tale   severa   e   restrittiva  regolamentazione  si  giustifica
  razionalmente  col  fatto  che,  in  pratica,  nei  casi  in cui e'
  configurabile la buona fede dell'altro coniuge il rapporto non puo'
  essere  durato  piu'  di  un  anno  e quindi non ha turbato in modo
  rilevante  la  vita  e  i  rapporti  economico-sociali  del coniuge
  incolpevole.
    Diversamente  il  tribunale  ecclesiastico  puo'  pronunciare  la
  nullita'  del  matrimonio  concordatario  anche  per  ragioni ed in
  termini  che  nel  nostro ordinamento non sarebbero ammissibili (ad
  esempio,  esclusione del bonum sacramenti o del bonum prolis, anche
  dopo  trascorso  l'anno  di coabitazione) e tali decisioni non sono
  sindacabili  nel  merito  dal giudice italiano ai sensi dell'art. 4
  n. 3 del protocollo addizionale del concordato.
    Si   viene  cosi'  a  creare  una  situazione  di  ingiustificata
  sperequazione  tra il coniuge economicamente piu' debole, convenuto
  in  un  giudizio  di cessazione degli effetti civili del matrimonio
  concordatario  e  quello,  parimenti  economicamente  piu'  debole,
  convenuto in un procedimento ecclesiastico di nullita'.
    Infatti  con  la  delibazione  della  sentenza  ecclesiastica  le
  suddette  ragioni  di nullita' acquistano validita' giuridica anche
  in  Italia,  sicche'  il  matrimonio  viene  dichiarato nullo anche
  secondo  il  nostro  ordinamento  giuridico  nel  territorio  della
  Repubblica  italiana  facendo si' che il coniuge convenuto si trovi
  nella  stessa  situazione del coniuge cui e' stato dichiarato nullo
  il  matrimonio  dal giudice italiano, ma per ragioni che secondo il
  nostro diritto non sarebbero ammissibili e soprattutto senza nessun
  limite di tempo.
    Di  conseguenza  a  quest'ultimo vengono ugualmente applicati gli
  artt. 129  o  129-bis  del  codice  civile  pur  trovandosi  in una
  situazione  matrimoniale ben diversa da quella del coniuge al quale
  e'  stato  dichiarato  nullo  il  matrimonio civilmente, potendo la
  pronuncia   ecclesiastica   intervenire  dopo  moltissimi  anni  di
  coniugio ed anche in presenza di figli.
    Se  invece,  nella  stessa  situazione  e' stato adito il giudice
  italiano,  per  la  cessazione  degli effetti civili del matrimonio
  concordatario, al suddetto coniuge piu' debole vengono garantite le
  ben  piu'  ampie  e durature tutele economiche previste dall'art. 5
  legge 1 dicembre 1970 n. 898.
    Accade  quindi  che  in  situazioni praticamente uguali, o quanto
  meno analoghe, conseguono effetti giuridico-economici completamente
  diversi  a  seconda  che  il  coniuge  che  vuol vedere cessati gli
  effetti  civili  del  matrimonio ricorra al procedimento civile per
  far  dichiarare  tale  cessazione ovvero a quello ecclesiastico per
  ottenere  la  dichiarazione di nullita' del matrimonio medesimo con
  effetto ex tunc.
    La  diversita'  giuridica  della  domanda  (cessazione  effetti o
  dichiarazione  di  nullita')  nulla toglie infatti alla ingiustizia
  della  sperequazione  dato  che sugli stessi presupposti il giudice
  italiano  non  potrebbe dichiarare quella nullita' che, invece, con
  la  delibazione  della  sentenza  ecclesiastica,  viene  ugualmente
  attuata   nel   nostro   sistema,  con  le  illustrate  conseguenze
  gravemente  pregiudizievoli  per  il  coniuge  economicamente  piu'
  debole.
    Ne'  tale  sperequazione  puo'  essere  giustificata dalla scelta
  effettuata  di  contrarre matrimonio concordatario, in quanto dette
  scelte,  fondate  su  convinzioni religiose, non possono comportare
  conseguenze  giuridicamente  pregiudizievoli,  altrimenti  verrebbe
  violato  il  principio  fondamentale  ex  art.  3 primo comma della
  Costituzione  secondo  il  quale:  tutti  i  cittadini  hanno  pari
  dignita' sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzione
  di ... religione.
    Infatti  un  conto e' scegliere di sposarsi con rito religioso ed
  altro  e'  rinunciare agli effetti civili conseguenti al matrimonio
  concordatario  e  posti  in atto con la trascrizione del matrimonio
  nei  registri  di  stato  civile  italiani  ed  in particolare alle
  garanzie  fornite  dall'ordinamento italiano al coniuge che risulti
  giuridicamente   sposato  in  Italia  in  caso  di  scioglimento  o
  cessazione degli effetti civili del vincolo.
    Si  puo'  infatti  validamente  e  fondatamente  ritenere che con
  l'accordo  18  febbraio  1984  che  ha  apportato  modificazione al
  concordato  lateranense  dell'11  febbraio  1929  tra la Repubblica
  italiana  e  la  Santa  Sede, lo Stato italiano ha inteso mantenere
  all'autorita'  ecclesiastica  la prerogativa di celebrare matrimoni
  che  acquistano  automatica  efficacia  in  Italia  ed  inoltre  la
  giurisdizione  sulla  validita'  di  tali  vincoli,  senza che cio'
  comporti  una  implicita  rinuncia  a regolamentare le implicazioni
  giuridico-economiche  e  tutti  i rapporti patrimoniali conseguenti
  allo scioglimento di un matrimonio a tutti gli effetti celebrato in
  Italia  e  quindi  regolamentato  nel  suo  svolgimento e nelle sue
  conseguenze dalle leggi italiane.
    Infatti    l'inserimento    del   penultimo   comma   dell'art. 8
  nell'accordo   del   1984   par   dimostrare,  come  e'  stato  che
  autorevolmente  affermato  dalla  miglior  dottrina, in entrambe le
  parti  firmatarie  vi  fosse la consapevolezza che una pronuncia di
  nullita'  del  matrimonio non puo' e non deve costituire "la pietra
  tombale  per  gli  affidamenti suscitati da lunghi anni di regolare
  funzionamento della societa' coniugale".
    Questa Corte quindi ritiene che vada sottoposta al giudizio della
  Consulta   come   non  manifestamente  infondata  la  questione  di
  legittimita' costituzionale dell'art. 8 legge 25 marzo 1985 n. 121,
  in  rapporto  con  l'art. 3  e 24 della Corte costituzionale, nella
  parte  in  cui  non  prevede che il giudice italiano possa statuire
  conseguenze  economiche  identiche  o  analoghe  a  quelle previste
  dall'art. 5 legge n. 898/1970, nel caso che sia stata resa efficace
  in  Italia  una  sentenza  ecclesiastica  di nullita' di matrimonio
  fondata   su   ragioni   e  presupposti  non  previsti  nel  nostro
  ordinamento.
    Tutto  cio'  premesso,  questa  Corte ritenuta non manifestamente
  infondata  e  rilevante  nella  fattispecie la dedotta questione di
  illegittimita'    costituzionale,   ritiene   che   vada   disposta
  l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale con i
  conseguenti provvedimenti di cui al dispositivo.