ha pronunciato la seguente


                              Sentenza

nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale  degli  artt. 1,  come
integrato  dall'art. 1,  comma  2, della legge 25 luglio 1997, n. 238
(Modifiche  ed  integrazioni  alla legge 25 febbraio 1992, n. 210, in
materia   di  indennizzi  ai  soggetti  danneggiati  da  vaccinazioni
obbligatorie,  trasfusioni  ed  emoderivati),  2  e 3, comma 7, della
legge  25  febbraio  1992,  n. 210  (Indennizzo a favore dei soggetti
danneggiati   da   complicanze  di  tipo  irreversibile  a  causa  di
vaccinazioni   obbligatorie,   trasfusioni   e   somministrazione  di
emoderivati),  promossi  con  ordinanze  emesse il 29 luglio 1998 dal
pretore  di Milano, nel procedimento civile tra Andrea Buzzi ed altro
e  il  Ministero  della  sanita',  iscritta  al  n. 757  del registro
ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 42, prima serie speciale, dell'anno 1998, e il 15 ottobre 1998 dal
pretore  di  Trento  nel procedimento civile tra Paola Graziadei e il
Ministero  della  sanita',  iscritta al n. 907 del registro ordinanze
1998  e  pubblicata  nella  Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 2,
prima serie speciale, dell'anno 1999;
    Visti  gli  atti  di  costituzione  di Andrea Buzzi, del Comitato
regionale  delle  associazioni  degli  emofilici della Lombardia e di
Paola Graziadei;
    Udito nell'udienza pubblica del 4 aprile 2000 il giudice relatore
Gustavo Zagrebelsky;
    uditi  gli  avvocati  Roberto  Cordini  per Andrea Buzzi, Umberto
Randi  per  il  Comitato regionale delle associazioni degli emofilici
della  Lombardia  e  Alberto  Cristanelli  e  Lidia  Ebner  per Paola
Graziadei.

                          Ritenuto in fatto

    1.1. - Il  pretore  di  Milano,  quale  giudice  del  lavoro,  ha
sollevato,   con  ordinanza  del  29  luglio  1998  (r.o.  757/1998),
questione  di  legittimita'  costituzionale  degli  artt. 1 e 2 della
legge  25  febbraio  1992,  n. 210  (Indennizzo a favore dei soggetti
danneggiati   da   complicanze  di  tipo  irreversibile  a  causa  di
vaccinazioni   obbligatorie,   trasfusioni   e   somministrazione  di
emoderivati),  "come  integrata  dall'art. 1, comma 2, della legge 25
luglio  1997,  n. 238"  (Modifiche  ed  integrazioni  alla  legge  25
febbraio   1992,   n. 210,  in  materia  di  indennizzi  ai  soggetti
danneggiati    da    vaccinazioni    obbligatorie,   trasfusioni   ed
emoderivati), "nella parte in cui, nel caso di infezione da virus HIV
e/o  HCV  conseguente a trasfusione di sangue o derivati verificatasi
anteriormente  alla  data di entrata in vigore della legge n. 210 del
1992,  fanno decorrere l'indennizzo ivi previsto dal primo giorno del
mese   successivo   alla  presentazione  della  domanda"  domanda  da
proporsi,  ex art. 3, comma 7, della legge n. 210 del 1992, entro tre
o  dieci anni decorrenti dall'entrata in vigore della medesima legge,
rispettivamente per le epatiti e per le infezioni da virus HIV "e non
dal  manifestarsi  dell'evento dannoso o dalla conoscenza che di esso
abbia  avuto  l'interessato", in riferimento agli artt. 2, 3, 32 e 38
della Costituzione.
    1.2. - In   fatto,  il  rimettente  riferisce  che  nel  giudizio
principale  il ricorrente ha convenuto in giudizio il Ministero della
sanita',   chiedendone   la  condanna  al  pagamento  dell'indennizzo
previsto  dagli  artt. 1  e  2  della  legge  n. 210  del  1992,  con
decorrenza dal febbraio 1978, per l'infezione HCV, e poi dal dicembre
1983,  in riferimento all'infezione da virus HIV, e che, a fondamento
del  ricorso,  la parte ha tra l'altro eccepito l'incostituzionalita'
degli artt. 2 e 3 della suddetta legge, appunto in quanto, per i casi
di   infezioni   da   virus   HIV  o  HCV  contratte,  a  seguito  di
emotrasfusioni,  anteriormente  alla  data di entrata in vigore della
legge  n. 210, fanno decorrere l'indennizzo dal primo giorno del mese
successivo  alla  presentazione  della  domanda e non dal verificarsi
dell'evento  o  dalla  conoscenza  che  ne  abbia avuto l'interessato
(nella  specie,  dal  1978 per l'infezione epatica HCV e dal 1983 per
l'infezione  da  virus  HIV); che, inoltre, nel giudizio di merito e'
intervenuto volontariamente, a norma degli artt. 105 e 419 cod. proc.
civ.,  il Comitato regionale delle associazioni degli emofilici della
Lombardia, aderendo alle conclusioni del ricorrente.
    1.3. - L'eccezione  di  incostituzionalita'  - premette ancora il
rimettente  -  e'  rilevante  in  quanto  dall'accoglimento  di  essa
deriverebbe    l'accoglimento    del    ricorso,    fondato   appunto
sull'incostituzionalita' della limitazione temporale dell'indennizzo.
    1.4. - Nel  sollevare  la  questione,  il  pretore  muove  da una
disamina dell'evoluzione della disciplina della materia.
    Dopo  la  sentenza n. 307 del 1990 della Corte costituzionale, il
punto  di  partenza e' rappresentato dalla legge n. 210 del 1992, che
ha  previsto la corresponsione di un indennizzo a favore di quanti, a
causa  di  vaccinazioni  obbligatorie, riportino lesioni o infermita'
con  menomazione  permanente  dell'integrita' psico-fisica, nonche' a
favore  di  coloro  che,  per effetto di somministrazione di sangue o
suoi derivati, risultino contagiati da infezione HIV ovvero subiscano
danni  irreversibili  da epatiti post-trasfusionali. Detto indennizzo
decorre  (art.  2,  comma 2,  della  legge) dal primo giorno del mese
successivo a quello della presentazione della domanda; domanda il cui
termine  di presentazione (ordinariamente stabilito pro futuro in tre
o  dieci  anni,  secondo  i casi, dal momento di conoscenza del danno
subito),  per  chi  abbia  gia' subito una delle suddette menomazioni
anteriormente  alla  data  di  entrata in vigore della legge, decorre
comunque da quest'ultima data (art. 3, comma 7, della legge).
    Su  questa  disciplina  la Corte si e' pronunciata, con una prima
decisione     (sentenza     n. 118     del     1996),     dichiarando
l'incostituzionalita'  delle  norme  (artt. 2, comma 2, e 3, comma 7)
che   escludevano,  per  il  periodo  compreso  tra  il  manifestarsi
dell'evento   anteriormente  all'entrata  in  vigore  della  legge  e
l'ottenimento  della  prestazione  patrimoniale,  il  diritto,  fuori
dell'ipotesi  dell'art. 2043 cod. civ., a un equo indennizzo a carico
dello  Stato  per  le  menomazioni  riportate a causa di vaccinazione
obbligatoria  antipoliomielitica,  da quanti vi siano sottoposti e da
quanti abbiano prestato ai primi assistenza personale diretta.
    Dando  seguito a questa pronuncia, il legislatore e' intervenuto,
con  la legge n. 238 del 1997, prevedendo, per i soggetti che abbiano
contratto  le  menomazioni considerate nella legge del 1992 a seguito
di  vaccinazioni  antipoliomielitiche obbligatorie anteriormente alla
legge  stessa,  la corresponsione di un assegno una tantum pari - per
ciascun  anno compreso tra l'evento e l'ottenimento della prestazione
definitiva  -  al  30%  dell'indennizzo  quale stabilito ("a regime")
dalla stessa legge del 1992.
    Con  una  ulteriore  pronuncia  poi  (sentenza n. 27 del 1998) la
Corte  costituzionale  ha  dichiarato l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 1,  comma  1,  della  legge  n. 210, nella parte in cui non
prevedeva  il  diritto all'indennizzo, alle condizioni ivi stabilite,
di    coloro    che   fossero   stati   sottoposti   a   vaccinazione
antipoliomielitica nel periodo di vigenza della legge 30 luglio 1959,
n. 695  (cioe'  nel  periodo  in  cui  tale  vaccinazione, ancora non
obbligatoria  come  sara'  poi  dal  1966, era tuttavia incentivata e
promossa nell'ambito di un programma di politica sanitaria).
    Relativamente  a  tale  evoluzione  della  disciplina e della sua
portata,  il rimettente osserva che la pronuncia del 1996 della Corte
costituzionale,  estensiva  della  decorrenza dell'indennizzo fin dal
momento  di  manifestazione  dell'evento,  si  basava  sul  carattere
giuridicamente obbligatorio della vaccinazione produttiva di danno, e
che  in  quella  stessa  decisione  veniva differenziata tale ipotesi
dalle  altre in cui la persona fosse stata bensi' necessitata, ma non
vincolata  da  obbligo  di  legge,  a  sottoporsi  a  un  trattamento
sanitario  rivelatosi causa di menomazione; cio' tuttavia, secondo il
rimettente,  dipendeva  "dalle  peculiari  caratteristiche  del  caso
portato   all'esame   della   Corte".  Riprova  di  cio'  -  prosegue
l'ordinanza  -  sarebbe  la  successiva  sentenza  del  1998,  che ha
riconosciuto   il   diritto  all'indennizzo  a  favore  dei  soggetti
sottoposti  a  vaccinazione antipoliomielitica in epoca in cui questa
non era ancora stata resa obbligatoria.
    Ora,  rileva  il  Pretore, la condizione di tali ultimi soggetti,
non   costretti   ma   semplicemente   incentivati   a  praticare  la
vaccinazione,   puo'  dirsi  assimilabile,  sotto  il  profilo  della
coercizione a ricevere un dato trattamento sanitario, a quella di chi
si  sia  sottoposto  a  somministrazioni  di sangue o emoderivati per
evitare  il  decorso  dannoso  e talvolta letale di una malattia come
l'emofilia:  nell'uno  come  nell'altro  caso  la  facolta' di scelta
individuale e' fortemente compromessa, alla luce della gravita' delle
conseguenze  che  potrebbero  derivare dall'omissione del trattamento
sanitario,  e anzi la compressione della libera determinazione appare
ancora piu' evidente nel secondo caso, giacche' le persone affette da
emofilia  non  hanno,  allo  stato,  valide  alternative  rispetto  a
costanti   somministrazioni   di   sangue,   per   la   loro   stessa
sopravvivenza.
    Inoltre, rileva il Pretore, la Costituzione, nell'art. 32, tutela
l'integrita'  fisica  dell'individuo come bene, appunto, individuale,
piu'  che come interesse della collettivita'; il diritto alla salute,
assoluto  e  primario,  fa si' che a esso debba darsi adeguata tutela
"anche  quando  la  collettivita'  non  ne  tragga"  (dal trattamento
individuale) "un beneficio immediato".
    E'   alla  stregua  di  tale  connotazione  che  si  deve  dunque
proteggere  il  diritto garantito dall'art. 32 della Costituzione, in
connessione con il principio di solidarieta' desumibile dagli artt. 2
e 38 che impone la cura, da parte della collettivita', delle esigenze
primarie  del  singolo,  anche la' dove la collettivita' medesima non
assuma  quelle  esigenze a oggetto o strumento di decisioni prese nel
proprio   immediato   interesse.   Cio'  anche  al  fine  di  evitare
ingiustificate  disparita' di trattamento, come quella, ulteriormente
e conclusivamente prospettata dal rimettente in base all'art. 3 della
Costituzione,  tra  soggetti che abbiano contratto l'infezione (HIV o
HCV)  rispettivamente  prima  o  dopo l'entrata in vigore della legge
n. 210  del  1992:  una  diversa  decorrenza  dell'indennizzo, per le
suddette  categorie,  si  risolverebbe non soltanto in una differente
commisurazione     dell'indennita',     certamente    rimessa    alla
discrezionalita'  del  legislatore,  ma  in  una arbitraria riduzione
legale del danno indennizzabile, a sfavore di una delle due.
    1.5. - Nel giudizio cosi' promosso si e' costituito il ricorrente
nel giudizio di merito.
    Nell'atto   di   costituzione   si   rileva  in  particolare  che
l'estensione pro praeterito della prestazione patrimoniale, derivante
in  via  di  principio  dalla  sentenza  n. 118  del 1996 della Corte
costituzionale  e poi specificata (con la previsione dell'assegno una
tantum pari al 30% dell'indennizzo "a regime") dalla legge n. 238 del
1997,  e'  stata  delimitata a un caso specifico, quello dei soggetti
menomati  da  vaccinazione  obbligatoria  antipolio;  ne  sono dunque
rimasti esclusi tutti coloro che, come il ricorrente, hanno riportato
analoghe  menomazioni  per  qualsiasi  altra  causa  e  che,  come ha
rilevato  la  citata  decisione  della Corte, sono stati "rimessi nei
termini"    dalla    legge    n. 210   "solo   proceduralmente,   non
sostanzialmente",   cioe'   per  la  proposizione  della  domanda  di
indennizzo ma non per la correlativa estensione quanto al tempo.
    Al  fine  di sostenere l'incostituzionalita' di tale limitazione,
cosi'  come  prospettata  nell'ordinanza di rimessione del pretore di
Milano, il ricorrente, dopo aver analiticamente esposto la cronologia
dei  fatti dedotti in causa, osserva che pur se non puo' dirsi che il
trattamento  che ha provocato l'infezione sia obbligatorio per legge,
come  sono  le  vaccinazioni, tuttavia si verificano necessariamente,
per le caratteristiche proprie della malattia, talune circostanze che
rendevano  e  rendono tuttora impossibile il ricorso a scelte diverse
dalle   trasfusioni   di   sangue   o  emoderivati,  pena  la  stessa
sopravvivenza personale.
    Dovrebbe  dunque  valere  anche  per  queste  ipotesi  il  dovere
inderogabile  di solidarieta' collettiva quale enucleato dalla citata
sentenza  n. 118 del 1996; e la limitazione temporale dell'indennizzo
dovuto  dalla collettivita' e per essa dallo Stato equivale allora ad
una  vera  e  propria  decurtazione  del  danno  indennizzabile,  una
limitazione  che, per la natura assoluta del diritto in questione, e'
inammissibile,    giacche'    il    legislatore    puo'    modellarne
equitativamente solo la misura.
    1.6. - Nel  medesimo  giudizio  incidentale ha depositato atto di
costituzione  anche  il  Comitato  regionale delle associazioni degli
emofilici della Lombardia.
    Il Comitato, facendo richiamo all'atto di intervento volontario e
alla  documentazione  gia' prodotta dinanzi al rimettente, si riporta
alle  ragioni  dedotte in quell'atto e alle argomentazioni svolte dal
giudice  a quo fornendo ulteriori elementi di carattere informativo e
concludendo   in   senso   adesivo  alla  richiesta  declaratoria  di
incostituzionalita'.
    2.1. - Il  pretore  di  Trento, con ordinanza del 15 ottobre 1998
(r.o.  907/1998),  ha  sollevato,  in  riferimento  agli  artt. 2, 3,
secondo  comma,  e  38, primo comma, della Costituzione, questione di
legittimita'  costituzionale dell'art. 2, comma 2, prima parte ("come
novellato  dall'art. 7,  comma  1, del decreto-legge 23 ottobre 1996,
n. 548, convertito in legge 20 dicembre 1996, n. 641") e dell'art. 3,
comma  7,  della legge n. 210 del 1992, nonche' dell'art. 1, comma 2,
della  legge  n. 238  del 1997, nella parte in cui non riconoscono, a
favore  di  coloro  che  presentino  danni  irreversibili  da epatiti
post-trasfusionali  (HCV)  contratte,  anteriormente  all'entrata  in
vigore   della  legge  n. 210,  nel  corso  di  trattamenti  sanitari
necessari  a  salvaguardare la loro stessa esistenza, il diritto a un
equo  indennizzo  a carico dello Stato, per il periodo ricompreso tra
il  manifestarsi  dell'evento dannoso e l'ottenimento dell'indennizzo
stabilito  dall'art. 1, comma 3, della medesima legge n. 210 a favore
di chi abbia contratto un'epatite post-trasfusionale.
    2.2. - Il  rimettente riferisce in fatto - secondo quanto risulta
provato  ex actis - che la parte ricorrente si e' sottoposta nel 1986
a  un  intervento  chirurgico  al  cuore, con relative trasfusioni di
sangue,  riscontrando  dopo  l'intervento  una  forte alterazione dei
parametri  relativi  alla funzionalita' epatica, con positivita' alla
presenza  degli  anticorpi  del  virus dell'epatite C; presentata nel
novembre 1994 richiesta di indennizzo ai sensi della legge n. 210 del
1992,   e   verificato   positivamente   (1996)  dall'amministrazione
competente il nesso causale tra le trasfusioni e l'epatite cronica da
HCV,  nel  1997  il  Ministero  della  sanita'  aveva riconosciuto il
diritto  all'indennizzo, con decorrenza dal dicembre 1994, primo mese
successivo   alla   presentazione   della  domanda;  di  seguito,  la
ricorrente  aveva chiesto la corresponsione dell'indennizzo anche per
il  periodo compreso tra l'insorgenza della malattia e la domanda, ma
tale  richiesta  era  stata  respinta  dal  Ministero, sulla base del
disposto  dell'art. 2,  comma 2, della legge n. 210, che fa decorrere
l'indennizzo  appunto  dal  primo  giorno  del  mese  successivo alla
presentazione della domanda.
    Esclusa  la  fondatezza  di  una eccezione di incostituzionalita'
prospettata  dalla parte privata (in parte coincidente con quella del
pretore  di  Milano),  il  rimettente  solleva, d'ufficio, un diverso
dubbio  di legittimita' costituzionale: se l'esclusione di coloro che
sono  stati colpiti da epatiti post-trasfusionali in epoca precedente
l'entrata  in  vigore  della  legge  n. 210  del  1992  dal diritto a
ottenere  un  equo  indennizzo a carico dello Stato, relativamente al
periodo   compreso   tra   il   manifestarsi  dell'evento  dannoso  e
l'ottenimento dell'indennizzo previsto dall'art. 1 della citata legge
n. 210,  sia  conforme  all'art. 38,  primo  comma, in relazione agli
artt. 2 e 3, secondo comma, della Costituzione, che impongono, per il
dovere di solidarieta' e per rimuovere gli ostacoli al pieno sviluppo
della  persona umana, la previsione legislativa di misure di sostegno
assistenziale  a  favore  di  chi  abbia subito una menomazione della
salute  in  occasione  di  un  trattamento  sanitario che, pur se non
obbligatorio, sia stato tuttavia necessario per salvaguardare appunto
la  propria  salute  e  la  stessa  esistenza;  del  resto,  la Corte
costituzionale  ha  gia' ritenuto - nella sentenza n. 118 del 1996 e,
prima, nella sentenza n. 455 del 1990 - che "il dovere di aiutare chi
si  trova  in  difficolta'  per  una  causa  qualunque"  puo'  essere
adempiuto dal legislatore secondo criteri di discrezionalita' e sulla
base della "necessaria ragionevole ponderazione con altri interessi e
beni di pari rilievo costituzionale".
    E'  sotto  questo profilo pertanto che il rimettente demanda alla
Corte  il controllo di costituzionalita' delle norme impugnate, nella
parte  in  cui esse non riconoscono a favore di coloro che presentino
danni  irreversibili  da  epatiti  post-trasfusionali,  contratte nel
corso  di  trattamenti  sanitari  necessari  a  salvaguardare la loro
stessa  esistenza,  il  diritto  a  un equo indennizzo a carico dello
Stato  per  il  periodo  ricompreso  tra  il manifestarsi dell'evento
dannoso e l'ottenimento della prestazione prevista dall'art. 1, comma
3, della legge n. 210 del 1992.
    La  rilevanza  della  questione,  conclude il rimettente, sta nel
fatto  che  altrimenti,  applicando  la disciplina denunciata nel suo
attuale  contenuto,  la  domanda giudiziale dell'interessata dovrebbe
essere respinta.
    2.3. - Si   e'   costituita  nel  giudizio  costituzionale  cosi'
promosso  la  parte privata, che, riassumendo le vicende processuali,
osserva   che  fin  dagli  anni  '70  e'  stato  rilevato  sul  piano
scientifico  che  le  pratiche  trasfusionali  possono  comportare la
trasmissione  dell'epatite  B,  e  che  poi negli anni '80 i virologi
hanno  appurato  che  la trasfusione di plasma puo' essere veicolo di
trasmissione  del  virus HIV e altresi' dell'epatite C (HCV), fino al
1989  denominata  come  epatite  "non A - non B". Lo Stato e' rimasto
tuttavia  a  lungo  inerte,  intervenendo solo nel 1992, con la legge
n. 210, sull'impulso determinato dalla sentenza n. 307 del 1990 della
Corte  costituzionale,  accordando  peraltro ai danneggiati un "equo"
indennizzo calcolato in base a un anacronistico richiamo alla Tabella
B allegata alla legge 29 aprile 1976, n. 177.
    A   fronte  di  cio',  ha  posto  rimedio,  in  taluni  casi,  la
giurisprudenza  di  merito,  che  ha  riconosciuto  un  preciso nesso
causale  tra  la  condotta imprudente e omissiva dell'amministrazione
pubblica  e  i  danni  patiti  da  numerosi emofilici, condannando il
Ministero della sanita' al relativo risarcimento.
    Anche  alla  luce  della  citata  giurisprudenza,  la contrazione
temporale del diritto al beneficio indennitario, non riconosciuto fin
dall'insorgere   della   malattia,   appare   ancor   piu'  iniqua  e
contrastante con i precetti costituzionali di cui agli artt. 2, 3, 32
e  38  della  Costituzione;  secondo  la  parte  privata, infatti, la
normativa  in  discorso  ha  origine  da  un  principio  che la Corte
costituzionale  (sentenza  n. 307  del 1990) ha iscritto "nel sistema
pubblico della sicurezza sociale, improntato sulla eliminazione dello
stato  di  bisogno"; l'esigenza del ristoro economico nasce dal fatto
che  il  danno  provocato dai casi disciplinati dalla legge in parola
implica  come tale uno stato di bisogno cui l'intervento statale deve
far fronte.
    La scelta legislativa di far decorrere l'indennizzo da un momento
successivo rispetto all'insorgenza della patologia contraddice dunque
il  principio di solidarieta', che reclama il pieno ristoro del danno
fin  dall'origine  della  malattia, come del resto avviene per coloro
che subiscano i danni in epoca posteriore alla vigenza della legge.
    3.1. - In  prossimita'  dell'udienza, la parte privata costituita
nel giudizio promosso dal pretore di Milano ha depositato una memoria
con  la  quale, riprendendo i contenuti dell'atto di costituzione, ha
insistito per l'accoglimento della questione di costituzionalita'.
    3.2. - Nel  medesimo  giudizio  costituzionale  ha depositato una
memoria   anche   il  Comitato  regionale  delle  associazioni  degli
emofilici della Lombardia.
    Nell'insistere  per  l'accoglimento  della questione, il Comitato
sottolinea  in  particolare  il  fatto che la Corte costituzionale e'
chiamata  dal  pretore a pronunciarsi su una questione di trattamenti
sanitari  "obbligati", tali essendo in sostanza quelli dei trasfusi e
politrasfusi  in  particolare  degli emofilici che per la loro stessa
sopravvivenza  sono, appunto, costretti a sottoporsi a trasfusioni di
emoderivati,  dalle  quali  possono  derivare  come  sono  in effetti
derivate - le infezioni epatiche (B o C) e da virus HIV.
    4.1. - Anche  nel  giudizio  promosso  dal  pretore  di Trento ha
depositato una memoria la parte privata costituita.
    Nella  memoria,  in  particolare,  si  rileva che il problema del
ristoro  dei  danni  subiti  per  effetto  di  trasfusioni  e'  stato
variamente   affrontato  in  diversi  Paesi  europei,  con  soluzioni
generalmente   prive  di  limitazioni  di  carattere  temporale,  che
risultano penalizzanti e fonti di disuguaglianze.
    Del resto, si afferma nella memoria, la situazione dei vaccinati,
obbligatoriamente  o  meno,  e'  assimilabile e dunque plausibilmente
comparabile   a   quella   di   coloro   che  si  sono  sottoposti  a
emotrasfusioni  "obbligate"  per  evitare  le  conseguenze,  talvolta
letali,  di gravi patologie, e che ne hanno ricevuto una menomazione,
trattandosi  anche in tali ipotesi di danni derivati al singolo da un
trattamento  sanitario diretto alla protezione della salute, giacche'
in  entrambe  le  situazioni  la libera determinazione individuale e'
compromessa  dalla  gravita'  delle  possibili conseguenze in caso di
mancata  sottoposizione  al  trattamento  sanitario;  pertanto, anche
nelle evenienze come quella oggetto della causa andrebbe riconosciuto
il  diritto  a  una  speciale  prestazione assistenziale allorche' il
singolo  riceva  un danno da una terapia o comunque da un trattamento
diretto alla protezione della salute ma che sia al contempo occasione
di  rischio  per  la  stessa,  rischio  preventivabile in astratto ma
imprevedibile  quanto  al  suo  concreto  verificarsi. La restrizione
dell'indennizzo per gli emotrasfusi risulterebbe percio' in contrasto
con  il  carattere  assoluto  del diritto tutelato dall'art. 32 della
Costituzione, diritto da garantire in connessione con il principio di
solidarieta': artt. 2 e 38 della Costituzione anche a prescindere dal
collegamento  con decisioni prese nell'interesse della collettivita',
tanto  piu'  che il danno patito in simili casi implica, normalmente,
uno  stato  di  bisogno  che  e'  la ragione di fondo dell'intervento
pubblico.

                       Considerato in diritto


    1. - Il    pretore    di   Milano   dubita   della   legittimita'
costituzionale degli artt. 1 e 2 della legge 25 febbraio 1992, n. 210
(Indennizzo  a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo
irreversibile  a  causa  di  vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e
somministrazione  di  emoderivati), come integrata dall'art. 1, comma
2, della legge 25 luglio 1997, n. 238 (Modifiche ed integrazioni alla
legge  25 febbraio 1992, n. 210, in materia di indennizzi ai soggetti
danneggiati    da    vaccinazioni    obbligatorie,   trasfusioni   ed
emoderivati), nella parte in cui, in caso di infezione da virus HIV e
HCV,  conseguente  a  trasfusione  di sangue o derivati, verificatasi
anteriormente  alla  data di entrata in vigore della legge n. 210 del
1992, fanno decorrere l'indennizzo previsto dal primo giorno del mese
successivo  alla  presentazione  della  domanda e non dal verificarsi
dell'evento  dannoso  o  dalla  conoscenza  che  di  esso abbia avuto
l'interessato.  Il  giudice  rimettente ritiene che la decorrenza del
diritto all'indennizzo, quale prevista dalla legge in luogo di quella
che  egli  ritiene costituzionalmente doverosa, violi gli artt. 2, 3,
32 e 38 della Costituzione.
    Il  pretore  di  Trento,  a  sua volta, dubita della legittimita'
costituzionale  dell'art. 2,  comma  2, prima parte - come modificato
dall'art. 7,  comma  1,  del  decreto-legge  23 ottobre 1996, n. 548,
convertito  in  legge 20 dicembre 1996, n. 641 - e dell'art. 3, comma
7,  della  legge n. 210 del 1992, nonche' dell'art. 1, comma 2, della
legge  n. 238  del 1997, nella parte in cui non riconoscono, a favore
di   coloro   che   presentino   danni   irreversibili   da   epatiti
post-trasfusionali   (HCV)  contratte  anteriormente  all'entrata  in
vigore della legge n. 210 del 1992, il diritto a un equo indennizzo a
carico  dello  Stato,  per  il  periodo  compreso tra il manifestarsi
dell'evento   dannoso   e   l'ottenimento  dell'indennizzo  stabilito
dall'art. 1,  comma 3, della medesima legge n. 210 del 1992, a favore
di  chi  abbia  contratto  un'epatite  post-trasfusionale. Il giudice
rimettente  dubita che la mancata previsione di tale equo indennizzo,
per  il  periodo  considerato,  violi  l'art. 38,  in  relazione agli
artt. 2 e 3, secondo comma, della Costituzione.
    Ancorche'  siano  impiantate  su diverse disposizioni della legge
n. 210  del  1992,  quale  risultante  dalle successive modificazioni
sopra  indicate; sebbene mirino a fini non coincidenti - l'estensione
al  passato  dell'indennizzo  che  la  legge  prevede  per il periodo
successivo  alla sua entrata in vigore, secondo il pretore di Milano;
la previsione di un equo indennizzo, secondo il pretore di Trento - e
per  quanto vengano invocate disposizioni costituzionali parzialmente
diverse,   le  due  questioni  di  costituzionalita'  coincidono  nel
lamentare  la  carenza di una previsione legislativa che riconosca il
diritto  a una qualche forma di intervento finanziario da parte dello
Stato  a  favore  di  quanti,  essendosi  sottoposti a trasfusioni di
sangue  o emoderivati, abbiano subito danni irreversibili alla salute
in  conseguenza  di  infezioni  da  virus  HIV  e HCV, per il periodo
compreso tra il manifestarsi della infezione (o l'avvenuta conoscenza
di  essa) e l'entrata in vigore delle norme della legge n. 210 che ha
invece  previsto,  ma  solo  pro  futuro  delle  forme  di intervento
finanziario  a  favore  delle  categorie di soggetti che hanno subito
menomazioni  alla  loro  salute.  In sostanza, si lamenta una mancata
estensione pro praeterito della normativa dettata a favore di esse.

    2. - Stante l'identita' nel nucleo essenziale delle due questioni
di legittimita' costituzionale proposte, si puo' disporre la riunione
dei relativi giudizi.

    3. - Le questioni non sono fondate.
    La  menomazione  della  salute  derivante da trattamenti sanitari
puo'   determinare   le   seguenti   situazioni:  a)  il  diritto  al
risarcimento  pieno  del  danno, secondo la previsione dell'art. 2043
cod.  civ.,  in  caso  di comportamenti colpevoli; b) il diritto a un
equo  indennizzo,  discendente  dall'art. 32  della  Costituzione  in
collegamento  con  l'art. 2,  ove  il  danno,  non derivante da fatto
illecito,  sia  conseguenza dell'adempimento di un obbligo legale; c)
il  diritto, ove ne sussistano i presupposti a norma degli artt. 38 e
2 della Costituzione, a misure di sostegno assistenziale disposte dal
legislatore,  nell'ambito dell'esercizio costituzionalmente legittimo
dei   suoi   poteri   discrezionali.   E'   alla  stregua  di  questa
classificazione,  definita  nei  termini ora indicati da questa Corte
nella  sentenza  n. 118  del  1996,  che  devono essere inquadrate le
presenti  questioni di costituzionalita', secondo le precisazioni che
seguono.
    3.1. - Il  pretore  di  Milano e le parti del giudizio di merito,
costituitesi  nel  giudizio  di  costituzionalita',  fondano  la loro
argomentazione   nel  senso  dell'incostituzionalita'  della  mancata
previsione del diritto a un equo indennizzo a carico dello Stato, per
il  periodo  compreso  tra  il  manifestarsi  dell'evento  dannoso  e
l'ottenimento dell'indennizzo previsto dalla legge, sull'affermazione
sub b) giustificata sulla base degli artt. 32 e 2 della Costituzione.
Alla  situazione  di  coloro  che si sono sottoposti a un trattamento
sanitario,   ricevendone  un  danno  irrimediabile  alla  salute,  in
conseguenza  dell'adempimento  di un obbligo legale (caso su cui sono
intervenute  le  sentenze n. 307 del 1990 e n. 118 del 1996 di questa
Corte,  relative  alla vaccinazione obbligatoria antipoliomielitica),
sarebbe  assimilabile  la  situazione  di  coloro  i  quali, come gli
emofilici, sono necessitati, in mancanza di alternative terapeutiche,
senza  possibilita'  di  scelta,  a  sottoporsi a somministrazioni di
sangue  ed emoderivati, pena il decorso infausto della loro malattia.
La necessita' del ricorso alla terapia, stante il rischio della vita,
sarebbe  percio'  ancora piu' cogente che non nel caso di trattamento
sanitario   imposto  per  legge,  la  cui  violazione  darebbe  luogo
meramente  a  una  sanzione  giuridica. E che la Corte costituzionale
stessa  non  abbia  assegnato  valore  dirimente  all'esistenza di un
obbligo  legale sarebbe confermato, ad avviso del pretore rimettente,
dalla  successiva  sentenza  n. 27  del  1998,  con  la  quale  si e'
affermato  il  diritto  all'indennizzo  relativamente a un periodo di
tempo  in  cui  il  trattamento  sanitario  (sempre  la  vaccinazione
antipoliomielitica) era bensi' incentivato con una specifica politica
di promozione sanitaria, ma non ancora reso obbligatorio.
    Con   questa   ricostruzione,  tuttavia,  si  devia  dalla  ratio
costituzionale  del  diritto all'equo indennizzo riconosciuto in base
agli artt. 32 e 2 della Costituzione.
    Cio'  che  conta  e'  l'esistenza  di  un  interesse  pubblico di
promozione  della salute collettiva tramite il trattamento sanitario,
il  quale, per conseguenza, viene (e puo' essere) dalla legge assunto
ad  oggetto  di obbligo legale. La giurisprudenza costituzionale alla
quale  il  giudice  rimettente si riferisce e' ferma nell'individuare
per l'appunto in questo interesse - una volta assunto dal legislatore
a ragione dell'imposizione di un trattamento sanitario obbligatorio o
di una politica incentivante - il fondamento dell'obbligo generale di
solidarieta' nei confronti di quanti, sottomettendosi al trattamento,
vengono  a  soffrire  di  un  pregiudizio alla loro salute. E' dunque
l'interesse  collettivo  alla  salute  la  ragione  determinante  del
diritto  all'indennizzo.  Non e' l'obbligatorieta' in quanto tale del
trattamento, la quale e' semplicemente strumento per il perseguimento
di tale interesse.
    Oltre a non risultare confrontabile la disciplina dell'indennizzo
del  danno  da  vaccinazione  obbligatoria  con  quella  del danno da
trasfusione,  viene  allora  a  perdere di significato, ai fini della
risoluzione  della  questione, il raffronto che il giudice rimettente
stabilisce  tra  la cogenza dell'obbligo legale e la necessita' della
misura  terapeutica:  raffronto  che certo non lascia insensibili sul
piano  umano  - tanto piu' in quanto, in epoca risalente, non fossero
attivi  sistemi  efficaci di controllo sul sangue e sugli emoderivati
impiegati  nelle  trasfusioni  -  e  che  ben puo' trovare sbocchi di
natura   politico-legislativa,  ma  che  e'  improduttivo  sul  piano
giuridico-costituzionale.
    3.2. - Anche  sotto  il  profilo  del  rispetto  dell'art. 38, in
riferimento  agli  artt. 2  e  3  della  Costituzione,  e  quindi  in
relazione all'affermazione sub c), riferita al punto 3 della presente
motivazione  in  diritto,  la  questione  prospettata  dal pretore di
Trento, e affiorante anche nell'argomentazione del pretore di Milano,
e' infondata.
    Il  diritto  a  misure  di  sostegno  assistenziale  in  caso  di
malattia,  alla  stregua  dell'art. 38  della  Costituzione,  non  e'
indipendente dal necessario intervento del legislatore nell'esercizio
dei suoi poteri di apprezzamento della qualita', della misura e delle
modalita' di erogazione delle provvidenze da adottarsi, nonche' della
loro  gradualita',  in  relazione  a  tutti  gli  elementi  di natura
costituzionale   in   gioco,   compresi  quelli  finanziari,  la  cui
ponderazione  rientra  nell'ambito  della  sua  discrezionalita' (per
tutte,  da  ultimo,  sentenza  n. 372 del 1998). Non mancano a questa
Corte gli strumenti di controllo delle scelte del legislatore nemmeno
in  questo  caso,  sotto  il  profilo specialmente del rispetto della
parita'  di  trattamento  e del nucleo minimo della garanzia; ma tali
strumenti  non  le  consentono  certo  di  sostituire alle necessarie
valutazioni  politiche  del legislatore una propria decisione che, in
mancanza   di  criteri  giuridico-costituzionali  predeterminati,  si
risolverebbe  in  un'esorbitanza  in un campo che non e' il proprio e
nel  quale  trovano  comunque  applicazione  gli  strumenti  ordinari
dell'assistenza  sociale,  anche  in  relazione alle menomazioni alla
salute  di  cui e' questione. Tanto piu', occorre aggiungere, che una
pronuncia  come  quella  sollecitata  dai  rimettenti si risolverebbe
nell'affermazione  della  necessaria  estensione per il passato delle
misure  che  il  legislatore intenda prendere per il futuro, cio' che
irrigidirebbe  il  sistema  con effetti controproducenti, finendo per
porre  il legislatore stesso nella condizione di non poter perseguire
il possibile per dover mirare all'impossibile.
    3.3. - La  riaffermazione  del principio di possibile gradualita'
nell'attuazione del diritto a forme di assistenza in caso di malattia
rende infine non giustificata la pretesa necessaria equiparazione tra
coloro  che  abbiano subito il danno prima e dopo l'entrata in vigore
della legge n. 210 del 1992.