ha pronunciato la seguente


                              Ordinanza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 1815, secondo
comma,  del codice civile, promosso con ordinanza emessa il 20 luglio
1999  dal  pretore  di  Napoli  nel  procedimento  civile  Longobardi
Pasquale  contro  B.N. Commercio e finanza S.p.a., iscritta al n. 630
del  registro  ordinanze  1999  e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell'anno 1999;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
Ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 7 giugno 2000 il giudice
relatore Annibale Marini;
    Ritenuto  che  il  pretore  di Napoli, con ordinanza emessa il 20
luglio 1999, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 47 della
Costituzione,     questione     di     legittimita'    costituzionale
dell'art. 1815,  secondo  comma,  del  codice civile, come modificato
dall'art. 4 della legge 7 marzo 1996, n. 108 (Disposizioni in materia
di  usura),  nella  parte in cui sanziona con la non debenza di alcun
interesse   la  pretesa  di  interessi  legittimamente  pattuiti,  ma
divenuti successivamente usurari; e, in via subordinata, questione di
legittimita'  costituzionale  dello  stesso art. 1815, secondo comma,
del  codice  civile  nella parte in cui non sanziona in alcun modo la
pretesa   di   interessi   legittimamente   pattuiti,   ma   divenuti
successivamente usurari;
        che  ad  avviso  del  rimettente  -  il  quale  e' chiamato a
decidere su una domanda di condanna al pagamento di interessi di mora
convenuti  in  un  contratto di locazione finanziaria - risponderebbe
del  reato  di usura, nella configurazione risultante dal nuovo testo
dell'art. 644  del  codice  penale,  non solo chi si fa promettere ma
anche  chi  si fa dare interessi superiori al cosiddetto tasso soglia
fissato  dall'art. 2,  comma  4,  della  legge  n. 108 del 1996 e, in
quanto tali, considerati, dalla stessa norma, sempre usurari;
        che,  conseguentemente,  la sanzione civile della non debenza
di  alcun  interesse  disposta  dall'art. 1815,  secondo  comma,  per
l'ipotesi  in  cui  siano convenuti interessi usurari, opererebbe non
soltanto  nel  caso  in  cui gli interessi siano pattuiti ad un tasso
originariamente  usurario  ma anche in quello in cui essi superino il
tasso  soglia  per  effetto  di  una  variazione  in  diminuzione del
predetto  tasso, e cio' con riguardo sia ai contratti stipulati prima
dell'entrata  in  vigore  della  legge  n. 108 del 1996, sia a quelli
stipulati successivamente;
        che,   in  tal  modo,  la  norma  impugnata  si  porrebbe  in
contrasto,  innanzitutto, con l'art. 24 della Costituzione, in quanto
precluderebbe, per effetto dei decreti ministeriali di determinazione
del   tasso   soglia,   la   tutela   giurisdizionale   del  diritto,
legittimamente sorto, alla percezione degli interessi convenzionali;
        che la stessa norma sarebbe, inoltre, lesiva del principio di
eguaglianza   di  cui  all'art. 3  della  Costituzione,  creando  una
irragionevole  ed  ingiustificata  disparita'  di trattamento sia tra
operatori  che  abbiano legittimamente concesso finanziamenti a tassi
di  interesse  non  usurari,  in  funzione del dato accidentale della
variazione in diminuzione del tasso soglia, non prevedibile nell'an e
nel  quantum  sia tra posizioni creditorie e debitorie, atteso che il
creditore  -  il quale non dovrebbe necessariamente identificarsi con
il soggetto economicamente piu' forte del rapporto - sarebbe esposto,
in  caso  di  diminuzione  del  tasso soglia, alla sanzione della non
debenza di interessi, senza che un successivo aumento della soglia di
usurarieta'  al di sopra del tasso pattuito possa incidere nuovamente
sul rapporto;
        che la norma impugnata contrasterebbe da ultimo con l'art. 47
della Costituzione, in quanto da un lato ostacolerebbe la concessione
del  credito  a  causa  del  rischio  di  una sanzione a carico degli
operatori  finanziari  del  tutto  indipendente da una qualsiasi loro
condotta  colpevole, dall'altro indurrebbe gli operatori medesimi - i
quali, in virtu' del meccanismo previsto dalla legge n. 108 del 1996,
possono  di  fatto incidere sulla determinazione del tasso soglia - a
mantenere  i  tassi  di  interesse  ad un livello piu' alto di quello
effettivamente imposto dal mercato;
        che  qualora,  poi, la norma impugnata fosse interpretata nel
senso  di  riferire  la  sanzione  di nullita' ivi prevista alle sole
pattuizioni   con  le  quali  vengono  convenuti  interessi  usurari,
escludendo dunque le ipotesi in cui gli interessi divengano usurari a
seguito   dell'abbassamento   del   tasso   soglia,   ugualmente   la
disposizione  si  porrebbe  -  ad avviso del medesimo rimettente - in
contrasto  con  l'art. 3  Cost., in quanto sottoporrebbe a disciplina
diversa   situazioni   identiche  (e  cioe'  richieste  di  interessi
superiori   al   tasso   soglia   pro  tempore  vigente)  in  ragione
esclusivamente  del  dato  temporale  relativo  alla  conclusione del
contratto;
        che  e'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio
dei   Ministri,  per  mezzo  dell'Avvocatura  generale  dello  Stato,
concludendo  per  la  declaratoria  di  infondatezza  di  entrambe le
questioni   prospettate,   in   via  principale  e  subordinata,  dal
rimettente;
        che,  secondo  l'Avvocatura, l'art. 1815, secondo comma, cod.
civ.   dovrebbe   trovare  applicazione  soltanto  nei  casi  in  cui
sussistano  gli estremi del reato di usura il quale richiederebbe che
la   pattuizione   abbia  ab  origine  e  cioe'  all'atto  della  sua
stipulazione, il carattere dell'usurarieta';
        che, in particolare, secondo l'Avvocatura, la mutabilita' dei
tassi  di  mercato  che,  nel  corso di un rapporto per sua natura di
lunga  durata,  possono  crescere,  con  vantaggio  del  debitore,  o
diminuire,  con  vantaggio  per  la  banca o l'azienda finanziatrice,
renderebbe  necessariamente aleatorio il contratto di finanziamento a
tasso fisso;
        che  la  tutela  offerta  dal  reato  di  usura  non sarebbe,
pertanto,  invocabile  quando  si tratta di sottrarre il debitore non
gia'   all'assunzione  di  impegni  sproporzionati  al  corrispettivo
ricevuto,  ma  ad  un rischio economico consapevolmente e liberamente
assunto al momento della conclusione del contratto;
        che,  pertanto,  "l'unica  soluzione  coerente con i principi
costituzionali"   sarebbe,   secondo   l'Avvocatura,   "quella  della
inapplicabilita'  del  secondo comma dell'art. 1815 del codice civile
alle  operazioni  stipulate prima della riduzione del tasso soglia ad
una misura inferiore ai tassi originariamente convenuti".
    Considerato  che  l'oggetto del giudizio a quo e' rappresentato -
come  si  desume  dall'ordinanza  di  rimessione  -  dalla domanda di
condanna al pagamento di interessi convenzionali di mora;
        che    manca,   nell'ordinanza   di   rimessione,   qualsiasi
motivazione  in  ordine  all'iter  logico  in  virtu'  del  quale  il
rimettente  ritiene  che  la  norma  impugnata  -  dettata in tema di
contratto   di   mutuo  -  sia  applicabile  anche  alla  convenzione
determinativa   di   interessi   moratori,   dovuti  per  il  ritardo
nell'adempimento di una obbligazione pecuniaria;
        che  il difetto di motivazione su tale profilo di rilevanza -
considerata   anche  la  mancanza  di  un  diritto  vivente  conforme
all'implicito   assunto  del  rimettente  -  determina  la  manifesta
inammissibilita'   sia  della  questione  principale  che  di  quella
subordinata.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
innanzi alla Corte costituzionale.