ha pronunciato la seguente


                              Ordinanza

nei  giudizi  di  legittimita' costituzionale dell'art. 223, comma 5,
ultima  parte,  del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo
codice  della strada), promossi con ordinanze emesse il 2 aprile 1999
dal  pretore  di  Padova,  sezione distaccata di Camposampiero e l'11
giugno 1999 (n. 2 ordinanze) dal Tribunale di Padova, rispettivamente
iscritte  ai  nn. 372,  570  e  571  del  registro  ordinanze  1999 e
pubblicate  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica nn. 26 e 42,
prima serie speciale, dell'anno 1999.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
Ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 24 maggio 2000 il giudice
relatore Riccardo Chieppa.
    Ritenuto   che  il  pretore  di  Padova,  sezione  distaccata  di
Camposampiero,  nel  corso di un procedimento instaurato a seguito di
opposizione,  ex art. 22 della legge n. 689 del 1981, a provvedimento
prefettizio  di  sospensione della patente di guida in relazione alla
contestata  violazione  dell'art. 189,  commi  1,  6 e 7, del decreto
legislativo  30  aprile  1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), ha
sollevato,  con  ordinanza  del 2 aprile 1999 (R.O. n. 372 del 1999),
questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 223,  comma 5,
dello  stesso  decreto,  nella  parte  in  cui prevede che avverso il
provvedimento  di  sospensione  della  patente, di cui al comma 3, e'
ammessa opposizione "ai sensi dell'art. 205 c.d.s.", anziche' "avanti
il  giudice penale procedente e, in caso di gia' avvenuta definizione
del procedimento penale, ai sensi dell'art. 205 c.d.s.";
        che, ad avviso del rimettente, l'attribuzione del giudizio di
opposizione al provvedimento prefettizio in questione alla competenza
del  pretore  in  sede  civile  si porrebbe in contrasto con l'art. 3
della Costituzione per irragionevolezza della disciplina;
        che  tale  disciplina costringerebbe, anzitutto, l'interprete
ad  improvvisare  la  soluzione  di questioni applicative essenziali,
tipico    oggetto    della   scelta   discrezionale-sistematica   del
legislatore,   quale,   ad   esempio,  quella  del  rapporto  tra  la
sospensione  provvisoria  e quella definitiva eventualmente applicata
dal  giudice  penale,  o  dallo  stesso  prefetto  nei casi in cui il
procedimento penale si chiuda senza pronuncia di merito;
        che,  inoltre, riferendosi le ipotesi nelle quali il prefetto
puo'  o  deve sospendere provvisoriamente la patente a casi nei quali
necessariamente  e'  iniziato  un  procedimento  penale,  avente  per
oggetto   proprio   l'accertamento   del  fatto  in  discussione,  la
previsione  della  opposizione  ex art. 205 c.d.s. davanti al giudice
civile  imporrebbe  l'apertura  di  un controprocedimento parallelo a
quello  penale,  avente, in definitiva, ad oggetto l'accertamento del
reato,  presupposto della legittimita' dell'applicazione della misura
provvisoria;
        che    ne    risulterebbe,    secondo   il   rimettente,   la
irragionevolezza  della  scelta  legislativa,  per  almeno un duplice
ordine   di  incongruenze:  l'affidamento  al  giudice  civile  della
cognizione  di  un  fatto  e  di  una  problematica sui quali e' gia'
pendente   la   cognizione   dell'autorita'  giudiziaria  penale;  la
previsione  di  una controistruttoria da parte del giudice civile, in
pendenza  di un procedimento penale caratterizzato pur sempre, almeno
nella  fase  delle indagini preliminari, dalla tendenziale segretezza
dell'attivita'  di  indagine  e  dai connessi vincoli, con rischio di
scardinare l'ordinario andamento del procedimento stesso;
        che,  sempre  secondo l'ordinanza di rimessione, non varrebbe
il  richiamo  al  principio  dell'autonomia  del  procedimento civile
rispetto  a  quello  penale,  affermato dal nuovo codice di procedura
penale,  perche', in realta', nel procedimento ex art. 22 della legge
n. 689  del  1981  il  giudice  ha  pieni  poteri di autonoma ricerca
probatoria,  sicche', strutturalmente, detto procedimento sarebbe del
tutto  simile  al  procedimento penale e comunque del tutto peculiare
rispetto ai canoni probatori del procedimento civile;
        che  nemmeno potrebbe sostenersi - si afferma nella ordinanza
-  che  il  provvedimento  prefettizio,  per la sua provvisorieta' ed
autonomia  rispetto  al  successivo  provvedimento  definitivo, abbia
delle  sue  peculiarita',  tali  da giustificarne l'attribuzione alla
competenza   del   giudice   civile,   in  quanto  in  realta'  detto
provvedimento   si   caratterizza   per   la  natura  sostanzialmente
anticipatoria  degli  effetti  propri  della  sanzione accessoria che
verra'  applicata,  cio'  che  rafforzerebbe  la  necessita'  che  la
cognizione  sia  data  al  giudice  che  gia'  conosce  della  intera
problematica;
        che  la  soluzione  proposta  dal  giudice  a quo sarebbe, ad
avviso  dello  stesso,  ricavabile univocamente dal sistema normativo
vigente   e   non   richiederebbe  alcun  intervento  riservato  alla
discrezionalita'  del legislatore, essendo sufficiente il riferimento
al  giudice penale che potrebbe provvedere in camera di consiglio, ex
art. 127  cod.  proc.  pen. e  38,  secondo  comma, disp. att. stesso
codice,  mentre  il  mantenimento  del  richiamo  all'art. 205 c.d.s.
consentirebbe   di   disciplinare   esaurientemente  anche  l'ipotesi
residuale  di  una definizione del procedimento penale avvenuta prima
dell'adozione del provvedimento di sospensione provvisoria;
        che  la  medesima questione e' stata sollevata, con altre due
ordinanze  di identico contenuto - emesse in data 11 giugno 1999, dal
Tribunale  di  Padova  (R.O.  nn. 570  e  571  del  1999)  - salvo il
riferimento,  nella  prima,  ad una istanza da parte della prefettura
convenuta  nel  giudizio  a  quo  di sospensione di detto giudizio ex
art. 295   cod.   proc.   civ.,   in  attesa  della  definizione  del
procedimento  penale  -  in  relazione  alla  quale non risulta se il
rimettente si sia gia' pronunciato -;
        che  nel  giudizio introdotto con la ordinanza del pretore di
Padova  (R.O.  n. 372  del  1999),  e'  intervenuto il Presidente del
Consiglio  dei  Ministri,  con il patrocinio dell'Avvocatura generale
dello  Stato,  che  ha  concluso per la infondatezza della questione,
osservando,   per  un  verso,  che  il  sistema  normativo  delineato
dall'art. 223,  comma  5,  c.d.s.  costituisce  coerente  e  rigorosa
applicazione  del  fondamentale  principio  della  tutelabilita'  dei
diritti   e   degli   interessi   legittimi   innanzi   agli   organi
giurisdizionali  contro  gli  atti della p.a., ai sensi dell'art. 113
della  Costituzione,  che  riserva  al legislatore di individuare gli
organi  di giurisdizione che possono annullare gli atti della stessa;
che,  per  l'altro,  la  norma  impugnata va valutata nel complessivo
impianto  predisposto  dal  codice  della  strada  che  disciplina la
irrogazione   delle   sanzioni  amministrative,  sia  pecuniarie  che
accessorie,   e   i   relativi  rimedi  impugnatori:  la  sospensione
provvisoria  della  patente  di guida si inquadra coerentemente nella
generale  disciplina,  dettata  dall'art. 218 per tutte le ipotesi di
irrogazione    della   sanzione   amministrativa   accessoria   della
sospensione  della  patente,  avverso  la  cui adozione e' ammessa la
opposizione al pretore regolata dall'art. 205 c.d.s.;
        che,  inoltre,  la  previsione  di  tale mezzo impugnatorio -
sempre  secondo  la  difesa dello Stato - garantirebbe una piu' ampia
tutela  dell'interesse giuridico leso dal provvedimento impugnato, di
quella  che  potrebbe conseguirsi nel caso in cui la competenza fosse
devoluta  al  giudice  penale,  in quanto nel giudizio di opposizione
regolato dagli artt. 22 e 23 della legge 24 novembre 1981, n. 689, al
giudice  sono attribuiti poteri ben piu' incisivi ed efficaci diretti
all'annullamento  e  alla  modifica  dell'atto  impugnato, rispetto a
quelli di cui dispone il giudice penale.
    Considerato  che, stante la sostanziale identita' oggettiva delle
questioni  proposte  dalle  ordinanze  del pretore e del Tribunale di
Padova,  relative  tutte  all'art. 223,  comma  5,  ultima parte, del
decreto  legislativo  30  aprile  1992,  n. 285  (Nuovo  codice della
strada)  -  recte:  di  detto articolo nel testo risultante a seguito
della  modifica  introdotta con l'art. 120 del decreto legislativo 10
settembre   1993,  n. 360  -  i  giudizi  possono  essere  riuniti  e
congiuntamente decisi;
        che   le   questioni  prospettate,  che  si  risolvono  nella
contestazione   della   scelta   del  legislatore  di  affidare  alla
giurisdizione  del  giudice  civile  (anziche'  al giudice penale) la
tutela  avverso  il  provvedimento del prefetto di sospensione in via
provvisoria  della  patente,  di cui al comma 3 dell'art. 223 citato,
attraverso  il  richiamo  alla  procedura  di  "opposizione  ai sensi
dell'art. 205",  contenuto  nel  comma  5,  ultima parte dello stesso
art. 223, sono manifestamente infondate;
        che  la  norma  denunciata  deve  essere inquadrata - ai fini
della valutazione di non manifesta irragionevolezza della scelta - in
un  sistema che considera di carattere generale ed onnicomprensivo il
rimedio  oppositorio  previsto  dalla  legge 24 novembre 1981, n. 689
(artt. 22,  22-bis  e 23, richiamati dall'art. 205 c.d.s.) (cfr., tra
le  molteplici,  sentenze  n. 330  del 1998 e n. 31 del 1996), avente
carattere   rescissorio   e   caratterizzato  da  particolari  poteri
officiosi del giudice (sentenza n. 31 del 1996, citata);
        che   la  sospensione  provvisoria  della  patente  nei  casi
previsti  dall'art. 223 c.d.s. e' un provvedimento amministrativo, di
natura  squisitamente cautelare, emesso dal prefetto sulla base della
valutazione  della  esigenza  di  immediata tutela dell'incolumita' e
dell'ordine  pubblico  (cfr.  ordinanze  nn. 169, 168 e 167 del 1998;
n. 389 del 1987 e sentenza n. 6 del 1962);
        che,   alla   stregua  dei  rilievi  che  precedono,  non  e'
manifestamente  irragionevole la scelta effettuata dal legislatore di
attribuire   al  giudice  civile  la  competenza  a  conoscere  della
opposizione al provvedimento di cui si tratta, scelta che si inscrive
in  un  indirizzo  generale di alleggerire la giurisdizione penale da
compiti non strettamente repressivi e punitivi;
        che,   pertanto,   le   questioni   sollevate  devono  essere
dichiarate manifestamente infondate.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.