IL GIUDICE DI PACE
A scioglimento della riserva assunta all'udienza del 21 aprile
2000, nella causa promossa da: Fornaciari Alessandro, residente in
Grinzane Cavour, rappresentato e difeso dall'avv. Claudio Bertolino
di Alba, attore;
Contro Ministero delle finanze, rappresentato e difeso
dall'avvocato distrettuale dello Stato di Torino, convenuto.
Svolgimento del processo
Con atto di citazione in data 8 gennaio 2000 il sig. Fornaciari
Alessandro evocava avanti il giudice di pace di Ceva il Ministero
delle finanze, al fine di sentirlo dichiarare tenuto e quindi
condannare al risarcimento dei danni tutti subiti in occasione di
un sinistro occorso in data 4 luglio 1999, in localita' Braia del
comune di Sale Langhe.
Secondo la narrativa attorea, in tali circostanze di tempo e di
luogo il signor Fornaciari, alla guida del proprio motociclo
Kawasaki tg. AA95597, stava transitando sulla Strada Statale 661
con direzione Murazzano - Montezemolo, allorquando si era scontrato
con un capriolo, che improvvisamente e repentinamente gli "si era
parato davanti", rendendo pertanto inevitabile la collisione.
All'udienze del 10 marzo 2000 si costituiva in giudizio il
Ministero delle finanze, contenstando in toto le pretese
avversarie, ed, in particolare, eccependo il proprio difetto di
legittimazione passiva, sull'asserito presupposto che
l'amministrazione convenuta e' "titolare di un mero diritto di
proprieta', sulla fauna selvatica, ma e' sprovvista di ogni potere
di intervento effettivo, in quanto la legge n. 157/1992 ha...
demandato gestione, tutela e controllo della stessa alle Regioni".
Indi, il giudice di pace adito, preso atto dell'eccezione
pregiudiziale formulata dall'amministrazione convenuta, tratteneva
la causa a riserva per la decisione della stessa.
Diritto
Rivelato che: il ministero delle finanze, costituendosi in
giudizio, ha eccepito, in via pregiudiziale, il proprio difetto di
legittimazione passiva, contestando non gia' la proprieta' del
"capriolo" ora oggetto di vertenza, ma, al contrario, escludendo la
propria responsabilita' nel sinistro de quo per la mancanza di un
obbligo di controllo e di vigilanza in capo allo Stato sulla fauna
selvatica;
Dato atto che: in materia di responsabilita' civile dei danni
provocati dalla fauna selvatica, il panorama dottrinario e
giurisprudenziale e' decisamente vasto ed articolato, tenuto conto
dei contrapposti orientamenti interpretativi che si contendono il
campo; orientamenti che, per una maggiore chiarezza espositiva, e
per un miglior inquadramento della vertenza de qua, pare opportuno,
sia pure sommariamente, richiamare.
E noto, infatti, come, anteriormente alla legge 27 dicembre 1977
n. 968, la selvaggina rientrasse, sulle orme della tradizione
romanistica, nell'ampio e variegato genus delle res nullius, alla
luce del combinato disposto di cui all'art. 923 del Codice civile,
e Testo unico sulla caccia approvato con regio decreto 5 giugno
1939 n. 1016.
In siffatto contesto normativo, come e' ovvio, non poteva
certamente porsi, la questione dell'applicabilita' di una
disposizione, quale l'art. 2052 del Codice civile, che presuppone
un formale rapporto di proprieta', o in alternativa, una situazione
di disponibilita', e come tale, dunque, non configurabile rispetto
a quei beni quali la fauna selvatica, che solo a seguito di
occupazione entrano nella sfera giuridica e nella materia la
detenzione di un soggetto determinato.
Ora, la profonda innovazione normativa e concettuale conseguente,
all'inclusione della fauna selvatica nel patrimonio indisponibile
dello Stato, realizzatasi attraverso l'art. 1 della menzionata
legge n. 968/1977, influi' anche sulla tradizionale e pacifica
interpretazione di cui sopra, consentendo quantomeno di accreditare
l'ipotesi di attingere dall'art. 2052 del Codice civile le regole
guida per modellare la responsabilita' dello Stato-proprietario,
secondo le regole proprie dell'art. 2052 del Codice civile.
Se questa e', in sintesi, l'evoluzione storico-normativa che ha
caratterizzato l'argomento ora oggetto di esame, e' d'uopo, pero',
sottolineare come, a seguito della novella legislativa, diversi e
contrapposti siano gli orientamenti giurisprudenziali e dottrinali
formatisi in materia.
1. -- In particolare secondo un primo orientamento, condiviso
soprattutto dai giudici di merito, posta l'appartenenza di tutti
gli animali selvatici al patrimonio indisponibile dello Stato, deve
ammettersi la responsabilita' della p.a., ex art. 2052 del Codice
civile, per i danni arrecati ai privati dalla fauna selvatica (v.
in terminis tribunale Perugia 11 dicembre 1995, in Foro It., 1997,
I, 315; pretura Reggio Emilia, 4 novembre 1993 in arch. giur. circ.
e sinistri, 1994, 42; pretura Cosenza 5 luglio 1988, in Foro It.,
1988, I, 3629; pretura Ceva 28 agosto 1988, in giur. agr. it.,
1990, 110).
Cio' in quanto lo Stato dovrebbe essere ritenuto responsabile dei
danni cagionati dalla selvaggina, in quanto ne e' "proprietario",
ancorche' la stessa sia per sua natura insuscettibile di controllo
o di "custodia".
Si osserva, infatti, da questo punto di vista che "...se pure il
fine di tale mutamento della configurazione giuridica della fauna
selvatica, e' stato indubbiamente quello di assicurare la tutela di
un bene ritenuto di interesse collettivo, cio' non esclude
l'assoggettamento dello Stato alle conseguenze derivanti, alla
stregua dei principi generali, dalla titolarita' del diritto di
proprieta', una volta che lo Stato, per raggiungere appunto il fine
succitato, abbia ritenuto di assoggettare direttamente alla sua
signoria detto bene (...).
Quindi, si e' pure sempre in presenza di una "proprieta'" di tali
beni da parte dell'Amministrazione, anche se trattasi di una
proprieta' soggetta a regimi particolari.
Conseguentemente, la circostanza che trattasi di beni destinati a
soddisfare interessi generali, non puo' certo, di per se',
esonerare gli enti pubblici dalla responsabilita' derivante da una
gestione di detti beni inosservante del principio del neminem
laedere (principio pacificamente applicabile anche alla p.a.).
Pertanto, come proprietario, lo Stato deve ritenersi responsabile
dei danni subiti dagli attori ex art. 2052 c.c. (v. citata sentenza
Pretura Ceva)".
2. - Come gia' si' e' anticipato, antitetico rispetto a tale
prima versione e' l'altro orientamento - sicuramente prevalente ed
adottato dagli stessi giudici di legittimita' - che, al contrario,
esclude che l'appartenenza della fauna selvatica al patrimonio
indisponibile dello Stato, possa giustificare l'affermazione di una
responsabilita' dell'ente pubblico proprietario, fondata sull'
art. 2052 c.c. dal momento che tale norma postula una sorveglianza
continuativa sull'animale, incompatibile con la natura selvatica
della fauna medesima (v. in dottrina Cendom, "Proprieta', riserva
ed occupazione" in leggi Civ. Comm., 1979, 447 e segg.; Comporti,
"Responsabilita' Civile per danni da selvaggina" in Riv. Dir. Agr.,
1986, I, 834 e segg...).
Come e' stato puntualizzato dalla stessa Suprema Corte di
cassazione, infatti, "il danno cagionato dalla fauna selvatica,
che, ai sensi della legge 27 dicembre 1977 n. 968, appartiene alla
categoria dei beni patrimoniali indisponibili dello Stato, non e'
risarcibile in base alla presunzione stabilita dall'art. 2052 c.c.,
inapplicabile per la natura stessa degli animali selvatici, ma
solamente alla stregua dei principi generali della responsabilita'
extracontrattuale di cui all'art: 2043 c.c. anche in tema di onere
della prova" (Cass. 15 marzo 1996 n. 2192; in terminis Cass. 12
agosto 1991 n. 8788; Cass. S.U; 29 marzo 1983 n. 2446; tribunale
Firenze 13 maggio 1994 in Arch. Giur. Circ. e Sinistri 1995, 46).
3. - Le conclusioni - sia pure opposte - cui sono pervenute
dottrina e giurisprudenza non dovrebbero comunque essere
influenzate dall'entrata in vigore, avvenuta in data 11 marzo 1992,
della legge 11 febbraio 1992 n. 157 che, come e' noto, dando
attuazione all'art. 117 Cost., all'art. 1 stabilisce che "le
Regioni a statuto ordinario provvedono ad emanare norme relative
alla gestione ed alla tutela di tutte le specie della fauna
selvatica, in conformita' alla presente legge, alle convenzioni
internazionali, ed alle direttive comunitarie".
Come e' evidente, infatti, attraverso tale disposizione normativa
lo Stato non si e' affatto spogliato della propria "titolarita'"
sui beni de quibus, limitandosi semplicemente a delegare all'ente
pubblico territoriale l'onere di "tutelare" la fauna, in se' e per
se' considerata come patrimonio zootecnico, ma non gia' di
"custodire" e di "preservare i terzi" da eventuali e possibili
danni che la fauna puo' di fatto cagionare. Obblighi questi, che,
come e' ovvio in mancanza di una diversa regolamentazione,
incombono e continuano a gravare sullo Stato, proprio perche'
derivanti dalla condizione di "proprietario" della selvaggina.
Tesi, questa, che trova avallo non solo nell'eloquente precetto
normativo, ma anche nel fatto che, ove lo Stato ha voluto
riconoscere alle Regioni una maggiore autonomia in materia come, ad
esempio, nell'esercizio dell'attivita' venatoria lo ha fatto
espressamente.
Tutto cio' premesso questo giudice, chiamato a decidere la presente
vertenza, in cui concretamente si prospetta la questione
dell'applicabilita' dell'art. 2052 c.c. nei confronti della p.a.,
ritiene che l'art. 2052 interpretato nel senso di escludere
dall'ambito della sua applicazione la responsabilita' dello Stato
per danni cagionati dalla fauna selvatica - almeno secondo
l'orientamento giurisprudenziale prevalente, adottato anche dalla
Suprema Corte di Cassazione - si appalesi censurabile, ed anzi
solleciti tempestivo intervento della Corte costituzionale, proprio
per i forti dubbi di incostituzionabilita' che tale precetto
normativo, cosi' interpretato, sicuramente fa sorgere.
1. - In particolare, se e' vero come e' vero che, a seguito della
novella legislativa di cui alla richiamata legge 27 dicembre 1977
n. 968, "la fauna selvatica e' entrata far parte del patrimonio
indisponibile dello Stato" essendo, dunque, divenuta di proprieta'
della p.a.,e che il fondamento della responsabilita' del danno
cagionato da animali, sancita dall'art. 2052 cc., deriva dal
concetto di utilita' che dall'animale ritrae il proprietario o chi
se ne serve (in base al noto brocardo cuius commoda eius incommoda)
e cioe' che, in sostanza, tale responsabilita' rappresenti la
"contropartita dei vantaggi connessi con l'utilizzazione
dell'animale medesimo" ingiustificata ed illegittima - perche' in
violazione dell'art. 3 Cost. - si appalesa che disparita' di
trattamento che si viene a realizzare tra il "privato" proprietario
di un animale, responsabile comunque, ex art. 2052 c.c. dei danni
da questo cagionati, salvo che provi il caso fortuito, e la p.a.,
pure proprietaria della fauna selvatica, ma di fatto esonerata
dal risarcimento dei danni de quibus in quanto, in virtu' di una
sorta di privilegio, non tenuta ad alcun obbligo di sorveglianza
sulla fauna (obbligo che invece incombe sul privato) per l'asserita
natura selvatica della stessa.
2. - Non solo; tale ritenuta illegittimita' ancora di piu' si
evidenzia se sol si considera che, mentre per i danni subiti dai
privati per causa della fauna selvatica, sempre che si tratti di
danneggiamenti di "colture" devastate dagli animali, esiste pur
sempre un fondo costituito da ogni regione, il cui dichiarato scopo
e' appunto quello di prevenire e risarcire tale tipologia di danni,
(v. art. 26 legge 157/1992), un `analoga disposizione manca
totalmente nel caso in cui si tratti di danni alle persone e/o alle
cose che si possono verificare allorquando un animale ferisca un
gitante, oppure - come nel caso di specie - provochi un incidente,
atttraversando una strada o investendo un aeromobile in volo, ed in
simili altre esemplificazioni.
Atteso quanto sopra, il giudice di pace ritenendo, pertanto
rilevante e non manifestamente infondata la questione di
leggittimita' costituzionale dell'art. 2052 c.c. nella parte in cui
non prevede un eguale responsabilita' dello Stato per i danni
cagionati dalla fauna selvatica, e considerato dunque necessario
l'intervento della Corte costituzionale, che potra' far pervenire
una parola chiara e definitiva su questa scottante problematica.