LA CORTE DI APPELLO Riunita in camera di consiglio ha emesso la seguente ordinanza sulla dichiarazione di ricusazione presentata all'udienza del 22 febbraio 2000 dall'imputato Postiglione Rosario nei confronti dei dottori Vincenzo Russo, Giuseppe Cioffi e Vincenzo Pezzella, rispettivamente presidente e giudici a latere della terza sezione penale del tribunale di Napoli.Osserva la Corte 1. - Imputato nel procedimento penale a carico di Avagliano Giuseppe +26 con l'accusa di associazione camorristica per aver fatto parte del sodalizio criminoso denominato "clan Giuliano", Rosario Postiglione era chiamato a rispondere di tale accusa dinanzi al tribunale di Napoli. Il processo veniva assegnato al collegio "B" della terza sezione, composto dai dottori Garzo, De Stefano e Fallarino. Nel corso del processo, dichiarate inefficaci per vizi formali altre ordinanze di custodia cautelare in carcere precedentemente emesse dal tribunale e dal g.i.p. il p.m. chiedeva, in data 19 novembre 1999, di voler emettere a carico del Postiglione una nuova misura coercitiva. La richiesta veniva valutata ed accolta dai magistrati del collegio "A" della stessa terza sezione, dottori Russo, Cioffi e Pezzella, i quali ordinavano cosi' la cattura del Postiglione, con provvedimento in data 1o dicembre 1999. Intanto il processo perveniva all'udienza del 10 gennaio 2000, in cui l'altro collegio incaricato della trattazione, separate le posizioni di alcuni imputati, tra i quali il Postiglione, che avevano chiesto di essere giudicati con il rito abbreviato ai sensi dell'art. 223, d.lgs. n. 51/1998, rinviavano per la celebrazione del giudizio a carico degli stessi all'udienza del 22 febbraio 2000 dinanzi all'altro collegio. A seguito di cio' i dottori Russo, Cioffi e Pezzella presentavano istanza in data 17 gennaio 2000, al presidente del tribunale, con la quale, messo in evidenza che con la loro ordinanza di applicazione della richiesta misura coercitiva avevano gia' espresso il loro giudizio in ordine ai fatti da giudicare, chiedevano per questo di essere autorizzati ad astenersi dal trattare il processo. Respinta l'istanza, all'udienza del 22 febbraio 2000 il Postiglione presentava a sua volta dichiarazione di ricusazione nei confronti dei suddetti magistrati. Pervenuti gli atti alla Corte, si dava luogo all'odierna udienza camerale, in esito alla quale il p.g. ha concluso per il rigetto della richiesta, mentre la difesa per il suo accoglimento; indi la Corte si e' riservata la decisione. 2. - Il Postiglione fonda la sua dichiarazione di ricusazione sul fatto che i magistrati che dovrebbero giudicarlo, prima ancora dell'apertura del dibattimento, hanno ordinato la sua custodia in carcere e per di piu' proceduto al suo interrogatorio, ai sensi dell'art. 294 c.p.p., come novellato dal d.-l. n. 29/1999. In particolare, dopo avere ricordato che il "giusto processo" presuppone la terzieta' del giudice, l'istante ha cosi' argomentato: e' principio acquisito nella giurisprudenza della Corte costituzionale che il giudizio probabilistico che il giudice e' chiamato ad esprimere in sede cautelare, per quanto basato su indizi, implica pur sempre una valutazione contenutistica sulla responsabilita', che non consente alcuna reale distinzione tra valutazioni indiziarie in sede di emissione di misure coercitive e giudizio sul merito dell'accusa in sede dibattimentale; in attuazione di questo principio sono gia' stati ritenuti incompatibili con le funzioni del dibattimento il giudice per le indagini preliminari che abbia applicato una misura cautelare nei confronti dell'imputato (sent. 432795), il giudice che abbia fatto parte del tribunale del riesame o del tribunale dell'appello ex art. 310 c.p.p. (sent. 131/1996) e il giudice per le indagini preliminari che abbia disposto la modifica, la sostituzione o la revoca di una misura cautelare, ovvero che abbia rigettato la relativa richiesta (sent. 155/96); secondo il pensiero dei giudici della Corte costituzionale sembra quindi che l'incompatibilita' a svolgere la funzione di giudice debba estendersi ad ogni tipo di giudizio di merito, anche, cioe', a quelli nei quali la decisione viene assunta allo stato degli atti ovvero senza una plena cognitio; piu' in particolare sembra essersi ormai affermato il principio che "ogni qualvolta un giudice ha deciso de libertate compie una valutazione pregiudicante che lo rende incompatibile a svolgere la funzione di giudice del merito nei confronti dello stesso soggetto in ogni tipo di giudizio"; da questo ne deriva come naturale conseguenza che anche il giudice del dibattimento che emette ordinanza di custodia cautelare possa divenire incompatibile a esercitare la funzione di giudizio nel momento in cui valuta ai fini di cui all'art. 273 c.p.p. il quadro generale delle indagini preliminari; va anche considerato che il giudice del dibattimento al quale viene messo a disposizione l'intero quadro delle indagini anticipa quell'attivita' conoscitiva che e' dal codice diluita nell'intero arco del dibattimento; pare dunque evidente che se il giudice che ha disposto l'applicazione di una misura cautelare non puo' partecipare al giudizio abbreviato o al c.d. patteggiamento, a maggior ragion egli non puo' essere (rectius continuare ad essere) giudice del dibattimento se e' vero, come e' vero, che "la sentenza pronunciata nel giudizio abbreviato, in quanto decisione sul merito della regiudicanda, e' omologa a quella che conclude la fase dibattimentale, in nulla differenziandosi da questa" (Corte cost. sent. n. 502/1991; 261/1992; 484/1995); ulteriore motivo di pregiudizio e' dato poi in questo caso dal fatto che i magistrati che dovrebbero giudicare esso istante, avendo raccolto l'interrogatorio c.d di garanzia, hanno gia' effettuato una prima valutazione, che finira' poi con il condizionarli per tutto l'arco del dibattimento. 3. - Sulla base di queste argomentazioni il Postiglione ha quindi chiesto di riconoscere che i magistrati ricusati sono incompatibili con il giudizio da celebrare nei suoi confronti. Per il caso in cui tale incompatibilita' non dovesse essere riconosciuta, l'istante chiede di sollevare questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 34 comma 2 c.p.p. per violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione nella parte in cui esso non prevede che non possa partecipare al giudizio dibattimentale il giudice del dibattimento che abbia disposto l'applicazione di una misura cautelare personale nei confronti dell'imputato o che abbia rigettato la richiesta di applicazione di una tale misura. Nel ricordare che analoga questione e' gia' stata rigettata dal giudice delle leggi in base essenzialmente al rilievo che una soluzione diversa fornirebbe alle parti la possibilita' di bloccare all'infinito ogni giudizio dibattimentale, producendo per di piu' l'aberrante effetto di dover disporre per la medesima fase del giudizio tanti giudici per quanti sono gli atti da compiere, osserva l'istante che un nuovo intervento sulla questione si rende opportuno in ragione dei cambiamenti intervenuti nel quadro di riferimento normativo e giurisprudenziale. In particolare bisognerebbe tenere conto che anche la separazione delle funzioni tra g.i.p. e g.u.p. conferma la tendenza ad evitare che lo stesso giudice possa pronunciarsi due volte nel merito dell'accusa. 4. - La prima richiesta e' priva di fondamento. Al riguardo e' infatti sufficiente rilevare che le ipotesi di ricusazione si configurano quali norme eccezionali, sia perche' limitative del potere giurisdizionale ed in particolare della capacita' di giudicare del soggetto titolare del relativo ufficio, sia perche' consentono un'ingerenza delle parti nel rapporto di diritto pubblico tra Stato e giudice, vale a dire in materia generalmente sottratta alla disponibilita' delle parti e dello stesso giudice. Da cio' consegue che i casi, le formalita' e i termini di proposizione della ricusazione hanno carattere di tassativita', non solo nel senso che non possono essere applicati in via analogica, ma anche nel senso che l'interpretazione delle norme che disciplinano la materia puo' essere solo letterale, con esclusione di quella estensiva (v. tra le tante Cass. pen. sez. VI, 16 aprile 1997, n. 1606). La situazione prospettata dal Postiglione non s'inquadra in alcuna delle ipotesi di ricusazione previste dall'art. 137 c.p.p. e pertanto allo stato dell'attuale normativa la richiesta sarebbe senz'altro da respingere. 5. - Senonche' anche ad avviso del collegio vi e' il fondato sospetto che il sistema ora in vigore sia in contrasto con la Costituzione nella parte in cui non prevede la possibilita' della ricusazione in situazioni come quella in esame. Per convincersi di questa affermazione e' bene cominciare ricordando che la ragione della norma che disciplina i casi d'incompatibilita' e' quella di assicurare l'imparzialita' del giudice, in assenza della quale le regole e le garanzie processuali si svuoterebbero di significato. Solo un giudice libero da condizionamenti puo' essere, infatti, in grado di esprimere un giudizio obiettivo, il che e' peraltro indispensabile per la concreta attuazione di quel "giusto processo" da tempo individuato come mezzo indispensabile per la tutela effettiva del diritto di difesa, costituzionalmente garantito (art. 24 Cost.) Poiche' con un giudice non imparziale non c'e' possibilita' di un vero processo, si puo' dunque dire che l'istituto dell'incompatibilita' si propone l'importante scopo di assicurare l'effettivo esercizio della giurisdizione. Il che spiega anche la particolare attenzione che da alcuni anni a questa parte la materia in esame ha suscitato negli operatori del diritto, provocando, tra l'altro, anche i numerosi noti interventi della Corte costituzionale sull'art. 34 c.p.p. Ora, facendo a meno di richiamare tutte le argomentazioni con le quali il giudice delle leggi ha riconosciuto la parziale illegittimita' di tale articolo, configurando nuove ipotesi d'incompatibilita', puo' essere sufficiente ai fini che qui interessano ricordare come quel giudice abbia con le sue decisioni in materia messo anzitutto in evidenza come l'imparzialita' richieda che chi deve giudicare, oltre che scevro d'interessi personali, sia anche libero da convinzioni precostituite. Al riguardo particolarmente illuminante e' la sentenza n. 155 del 1996, dichiarativa dell'incostituzionalita' del citato art. 34 nella parte in cui non prevedeva: a) che non potesse partecipare al giudizio abbreviato e disporre l'applicazione della pena su richiesta delle parti il g.i.p. che avesse disposto una misura cautelare personale, ovvero la modifica, la sostituzione o la revoca della stessa; b) che quello stesso giudice non potesse neppure partecipare al giudizio dibattimentale; c) che non potesse disporre l'applicazione della pena su richiesta delle parti il giudice, che, come componente del tribunale del riesame, si fosse pronunciato sull'ordinanza di applicazione di una misura cautelare personale nei confronti dell'indagato o dell'imputato e anche il giudice che, come componente del tribunale d'appello avverso l'ordinanza che provvedeva in ordine a una misura cautelare personale, si fosse pronunciato su aspetti non esclusivamente formali del provvedimento. Ebbene, nel motivare quella decisione venne osservato dalla Corte che "il divieto di cumulo di decisioni diverse sulla stessa materia, nella stessa persona investita del compito di giudicare, e' conseguenza del carattere necessariamente originario della decisione che definisce la causa, in opposizione a ogni trascinamento e confluenza in tale decisione di opinioni precostituite in altre fasi processuali presso lo stesso giudice-persona fisica. Tale divieto non riguarda tanto la capacita' del giudice di rivedere sempre nuovo i propri giudizi alla luce degli elementi via via emergenti nello svolgimento del processo, quanto l'obiettivita' della funzione di giudicare, che esige, per quanto e' possibile, la sua massima spersonalizzazione. Le incompatibilita' endoprocessuali - escludendo che il medesimo giudice possa comparire ripetutamente in diverse fasi del medesimo giudizio - operano a quel fine, per esonerare l'esito del processo dall'eccessivo carico delle qualita' e delle propensioni personali dei giudici, che vi partecipano, salvaguardando cosi' anche il significato proprio e distinto di ciascuna fase". A parte questo concetto, che sembra essere costante nel pensiero espresso dal giudice delle leggi nella materia in esame, vi e' poi l'altro importante principio al quale si e' particolarmente riferito il Postiglione nella sua istanza, ossia quello del carattere contenutistico della valutazione dei gravi indizi richiesti dal codice di rito per l'applicazione delle misure cautelari. Ed invero, come giustamente ricorda l'istante, le volte che e' stata chiamata a valutare l'incidenza del giudizio cautelare rispetto alla materia, dell'incompatibilita' la Corte costituzionale ha ripetutamente affermato che "il giudizio probabilistico che il giudice e' chiamato a svolgere in sede cautelare, per quanto basato su indizi e non ancora su prove, e' sempre un giudizio probabilistico sulla responsabilita', essendo anzi talmente pregnante tale valutazione da rendere superata la distinzione tra valutazioni indiziarie in sede cautelare e giudizio sul merito dell'accusa in sede dibattimentale" (v. in particolare sentenze n. 432 del 1995; n. 13 del 1996; n. 155/96 cit. e n. 311 del 1997). Ora, se questo, come sembra, e' il pensiero che si e' ormai affermato nella giurisprudenza costituzionale, deve convenirsi con l'istante che la questione sollevata non e' manifestamente infondata. Come gli stessi giudici ricusati hanno avuto modo di chiarire nella loro richiesta di autorizzazione ad astenersi dal giudizio, il provvedimento coercitivo da loro adottato nei confronti del Postiglione contiene una valutazione approfondita degli atti d'indagine del p.m. In particolare, oltre a ripercorrere la genesi del sodalizio criminoso del "clan Giuliano", nell'ordinanza si analizzano compiutamente le singole dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e si operano conclusioni in ordine all'attendibilita' dei diversi mezzi di prova, sicche', sebbene sotto un profilo indiziario, vengono in effetti espresse vere e proprie valutazioni di merito non solo per quanto riguarda la sussistenza dell'associazione ma anche per quanto concerne il coinvolgimento del Postiglione e quindi le sue responsabilita' personali. Ebbene, una tale situazione non sembra diversa dalle altre in cui la Corte costituzionale ha ritenuto sussistere il pregiudizio e cio' tanto piu' che, essendovi stata ammissione al giudizio abbreviato, ai sensi dell'art. 223 d.lgs. n. 51/1998, la nuova valutazione dovrebbe in realta' essere effettuata sulla base degli stessi atti esaminati ai fini dell'emissione dell'anzidetta misura. Per la verita' non ignora il collegio che, pronunciandosi in casi per certi versi analoghi a quello ora in esame, la Corte costituzionale ha ritenuto la questione proposta manifestamente infondata sul rilievo che l'incompatibilita' non sussiste la' dove la valutazione sia stata effettuata da parte dello stesso giudice gia' investito del merito. Senonche' e per la particolarita' del caso e per gli interventi mutamenti nel quadro normativo generale si rende opportuno che il detto giudice riesamini il problema. Sotto il primo profilo va posto in evidenza che nel momento in cui adottarono la misura coercitiva i tre magistrati ora ricusati non erano stati ancora investiti del giudizio di merito, che all'epoca pendeva ancora dinanzi all'altro collegio della loro sezione. Sotto l'altro aspetto c'e' invece da considerare non tanto l'intervenuta modifica dell'art. 294 c.p.p., che ha introdotto nel nostro sistema il c.d. interrogatorio di garanzia, quanto il cambiamento dell'art. 111 della Costituzione da parte della legge costituzionale n. 2/1999, introduttiva di nuovi principi sul "giusto processo". Volendo compiere un ulteriore passo verso il principio della parita' tra accusa e difesa, con la modifica della Carta costituzionale il legislatore ha previsto, come e' noto, che "il processo penale e' regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova". Ora, sembra al collegio che il consentire all'organo della pubblica accusa di portare all'esame del giudice tutto il materiale di prova in suo possesso, sia pure ai limitati fini di ottenere l'applicazione di una misura coercitiva a carico dell'imputato, comporta non soltanto l'attribuzione al p.m. di poteri maggiori di quelli concessi alla difesa, alla quale non e' certamente riconosciuto di far conoscere in anticipo al giudice gli elementi di prova a suo favore, ma anche la violazione della regola costituzionale che vuole che le prove vengano conosciute e raccolte dal giudice gradualmente e sotto il controllo di entrambe le parti. Ad avviso del collegio c'e' quindi il dubbio che nella sua attuale formulazione le norme degli artt. 34 e 37 comma 1, lett. a), cod. proc. pen., si pongano in contrasto con gli artt. 24 e 111 della Costituzione, limitando il diritto di difesa dell'imputato, oltre che il suo diritto ad un processo giusto. Inoltre sembra anche profilarsi un contrasto con l'art. 3 della stessa Carta costituzionale, atteso che il pregiudizio di cui si e' detto ha in effetti possibilita' di configurarsi nei soli processi con imputati detenuti, il che sembra determinare una disparita' di trattamento tra coloro che affrontano il processo da liberi e quelli costretti invece ad affrontarlo in regime restrittivo. Come detto, e' quindi opportuno un nuovo intervento del giudice delle leggi, che dovra' in particolare valutare se il sistema attuale sia legittimo anche nel caso in cui il giudice del dibattimento abbia applicato ex novo la misura sulla base del solo materiale di prova in possesso del p.m. Cio' perche' e' soprattutto in situazioni del genere che per ovvii motivi il pericolo di pregiudizio diventa ancora piu' forte. 6. - Essendo dunque la questione non manifestamente infondata, oltre che rilevante (la rilevanza appare evidente non appena si considera che in base alle norme vigenti l'istanza sarebbe da rigettare), si rende necessario disporre la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale ai sensi dell'art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87. Potendosi presumere che la decisione sulla questione sollevata non interverra' in tempi brevi, e' il caso di disporre che nel frattempo i giudici ricusati si limitino nei riguardi del Postigione a compiere i soli atti urgenti, sospendendo cosi' ogni altra attivita', ai sensi dell'art. 41 comma 2 c.p.p.