Ricorso per conflitto di attribuzioni della Provincia Autonoma di Trento, in persona del presidente della giunta provinciale pro-tempore Lorenzo Dellai, autorizzato con deliberazione della giunta provinciale n. 1449 del 9 giugno 2000 (all. 1), rappresentata e difesa come da procura speciale del 13 giugno 2000 (rep. n. 24597) rogata dal dott. Tommaso Sussarellu, ufficiale rogante de1la provincia stessa (all. 2) dagli avvocati Giandomenico Falcon di Padova e Luigi Manzi di Roma, con domicilio eletto in Roma presso lo studio dell'avv. Manzi, via Confalonieri, 5; Contro il Presidente del Consiglio dei Ministri per la dichiarazione che non spetta allo Stato di disciplinare con regolamento ed in modo direttamente vincolante i lavori pubblici di interesse provinciale, di competenza della ricorrente Provincia autonoma di Trento; e per il conseguente annullamento: del decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1999, n. 554, concernente "regolamento di attuazione della legge quadro in materia di lavori pubblici 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modificazioni" pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, serie generale, n. 98 del 28 aprile 2000 (s.o. n. 66/L), nella parte in cui esso intende disciplinare i lavori pubblici di interesse provinciale, con particolare riferimento agli articoli: 1, commi 2 e 3; 188, comma 8 per violazione: dell'articolo 8, n. 17), e dell'articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670, e delle relative norme di attuazione; dei principi costituzionali relativi all'esercizio del potere regolamentare; dell'art. 5, comma 2, della legge 30 novembre 1989, n. 386; dell'art. 19-bis del decreto del Presidente della Repubblica 22 marzo 1974, n. 381 (come aggiunto dall'art. 8 del d.lgs. 11 novembre 1999, n. 463); dell'art. 2 del d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266. F a t t o La ricorrente Provincia autonoma di Trento dispone in materia di lavori pubblici di interesse provinciale della potesta' legislativa primaria, ai sensi dell'articolo 8, n. 17), dello,statuto di autonomia di cui al d.P.R. 31 agosto 1972, n 670. Inoltre, ai sensi dell'articolo 16 dello stesso statuto, essa dispone in materia anche delle potesta' amministrative. Le predette competenze sono state concretamente attivate mediante apposite norme di attuazione, tra le quali occorre qui richiamare quelle dettate con il d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381, relativo alla materia dell'urbanistica e delle opere pubbliche, nonche', per il loro carattere e rilevanza generale, quelle dettate con il decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266. In attuazione delle proprie competenze la ricorrente provincia ha disciplinato in modo organico la materia dei lavori pubblici provinciali da ultimo con la legge provinciale 10 settembre 1993, n. 26, recante norme in materia di lavori pubblici di interesse provinciale e per la trasparenza negli appalti, e con il relativo regolamento di attuazione, approvato con d.p.g.p. 20 settembre 1994, n. 12-10/Leg. Per quanto riguarda la normativa statale, il settore dei lavori pubblici e' attualmente disciplinato, come e' ben noto, dalla legge 11 febbraio 1994, n. 109, che per la parte che ci interessa, ovvero per quanto riguarda il significato della legge quadro per le regioni e in particolare per la ricorrente provincia, non e' stata toccata dalle pur rilevanti (sotto altri profili) modifiche intervenute ad opera del decreto-legge n. 101 del 1995 (conv. in legge n. 216 del 1995, c.d. Merloni bis) e della legge n. 415 del 1998 (c.d. Merloni ter), se si eccettua l'adeguamento dell'art. 1, comma 2, disposto dalla legge n. 415, a quanto stabilito dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 482/1995 circa la vincolativita' per le regioni e le province autonome dei soli "principi desumibili dalla presente legge" La legge n. 109 del 1994 dispone, in particolare, che la materia dei lavori pubblici, per quanto di interesse statale, e' demandata alla potesta' regolamentare del Governo (art. 3, comma 1), e che, in particolare, il regolamento statale si applica, quanto alle pubbliche amministrazioni dalle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, agli enti pubblici, compresi quelli economici, agli enti ed alle amministrazioni locali, alle loro associazioni e consorzi nonche' agli organismi di diritto pubblico (art. 2, comma 2 lett. a). Ora, e' del tutto certo che tra i soggetti cui si applica il regolamento, come sopra elencati, non rientrano le, regioni, e meno che mai rientra la ricorrente provincia autonoma di Trento. Non solo infatti vi e' nella legge in genere una netta contrapposizione tra i destinatari diretti della legge n. 109/1994 (che sono, si noti, contemporaneamente e nello stesso testo anche destinatari del regolamento) e le regioni e le, province autonome di Trento e di' Bolzano (e gli enti cui si estende la relativa potesta' legislativa), le quali sono destinatarie dei soli principi fondamentali di riforma, ma codesta stessa ecc.ma Corte costituzionale ha gia' stabilito, in sede di giudizio di legittimita' sull'impugnazione rivolta contro la legge dalla ricorrente provincia e da altre regioni, che le regioni stesse "non sono comprese tra le amministrazioni e gli enti destinata del regolamento" (sent. n. 482 del 1995, punto 8 in diritto). D'altronde, piu' in generale, la stessa sentenza ora citata ha ribadito che "i regolamenti governativi, compresi quelli delegati, non sono legittimati a disciplinare materie di competenza regionale o provinciale" (ivi), con una affermazione netta che corrisponde d'altronde a giurisprudenza consolidata dalla sentenza n. 465 del 1991 alla sentenza n. 408 del 1999. Essa ha altresi' statuito che lo strumento della delegificazione, che opera tra legge e regolamento statale, non puo' operare "Per fonti di natura diversa, tra le quali vi e' un rapporto di competenza e non di gerarchia". Inopinatamente, dunque, la ricorrente provincia ha dovuto constatare che l'art. 1 del regolamento emanato con decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1999, n. 554, oggetto del presente giudizio, in sede di definizione de1l'atto di applicazione, al comma 2 dispone che 1e "Regioni, anche a statuto speciale, le Province autonome di Trento e Bolzano e gli enti regionali da queste finanziati applicano il regolamento per i lavori finanziati in misura prevalente con fondi provenienti dallo Stato o realizzati nell'ambito di funzioni da questo delegate, nonche' nelle materie non oggetto di potesta' legislativa a norma dell'articolo 117 della Costituzione". Esso dispone inoltre, al comma 3, che "ai sensi dell'articolo 10 della legge 10 febbraio 1953, n. 62, i soggetti di cui al comma 2 applicano le disposizioni del regolamento fino a quando non avranno adeguato la propria legislazione ai principi desumibili dalla legge". A tali previsioni, di carattere generale e gravemente lesive della autonomia legislativa ed amministrativa provinciale, si aggiunge poi la specifica e particolare previsione dell'art. 188, comma 8, a termini del quale "ai fini dell'affidamento dell'incarico di collaudo a soggetti esterni all'organico delle stazioni appaltanti sono istituiti presso il Ministero dei lavori pubblici, le regioni e le, province autonome elenchi dei collaudatori". Ed anche tale disposizione pretende di disporre obblighi a carico del legislatore o dell'amministrazione provinciale. Sennonche', le disposizioni citate sono contrastante con le disposizioni costituzionali e statutarie poste a garanzia dell'autonomia della ricorrente, provincia, e sono pertanto illegittime, per le seguenti ragioni di D i r i t t o 1. - Arbitrarieta' dell'art. 1, comma 3, in quanto dispone l'applicazione delle disposizioni del regolamento ai lavori pubblici di interesse provinciale fino all'adeguamento alle norme della legge quadro. Come esposto in narrativa, l'art. 1 del regolamento emanato con decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1999, n. 554, al comma 2 dispone che "le regioni, anche a statuto speciale, le province autonome di Trento e Bolzano e gli enti regionali da queste finanziati applicano il regolamento per i lavori finanziati in misura prevalente con fondi provenienti dallo Stato o realizzati nell'ambito di funzioni da questo delegate, nonche' nelle materie non oggetto di potesta' legislativa a norma dell'articolo 117 della Costituzione". Esso dispone inoltre, al comma 3, che "ai sensi dell'articolo 10 della legge 10 febbraio 1953, n. 62, i soggetti di cui al comma 2 applicano le disposizioni del regolamento fino a quando non avranno adeguato la propria legislazione ai principi desumibili dalla Legge". E' agevole notare che in questo modo il regolamento stabilisce la propria applicazione ai lavori pubblici di interesse provinciale 1) in via transitoria e per un tempo indeterminato, in attesa della nuova legislazione regionale, a tutti i lavori pubblici di interesse provinciale 2) in via permanente per taluni lavori pubblici di interesse provinciale, e precisamente per i lavori finanziati prevalentemente con fondi statali, o in materia delegata, o al di fuori dell'art. 117 Cost. Tali disposizioni sono, ad avviso della ricorrente provincia, aberranti su un piano generale, e comunque confliggenti con le garanzie costituzionali delle regioni e con quelle ulteriormente speciali previste per la regione Trentino-Alto Adige e per le province autonome di Trento e di Bolzano. In primo luogo appare illegittima la disposizione del comma 3, che dispone l'immediata applicazione del regolamento ai lavori pubblici di interesse provinciale fino all'adeguamento della legislazione provinciale ai principi desumibili dalla legge. La disposizione regolamentare ritiene di disporre quanto ora detto "ai sensi dell'articolo 10 della legge 10 febbraio 1953, n. 62" il quale, come ben noto, dispone che le "leggi della Repubblica che modificano i principi fondamentali ......abrogano le leggi regionali che siano in contrasto con esse" (comma 1) e che "i consigli regionali dovranno portare alle leggi regionali le conseguenti necessarie modificazioni entro novanta giorni". Ora, va notato in primo luogo che tale disposizione della legge n. 62 del 1953 non si applica alla provincia autonoma di Trento, per la quale il rapporto tra legge statale e legge regionale e' invece disciplinato dal decreto legislativo n. 266 del 1992. Ma se pure la disposizione si applicasse, essa non legittimerebbe per nulla quanto disposto dal regolamento. Essa infatti si riferisce con ogni evidenza ai rapporti tra legge statale e legge regionale. Se un fenomeno abrogativo si puo' produrre, esso e' dovuto esclusivamente al sopraggiungere di norme contrastanti di nuove leggi. In tal senso, gia' erano state espresse ben fondate perplessita' da parte della Corte dei conti - ufficio controllo sugli atti del Governo - rilievo n. 2/2000: la quale, - a fronte del richiamo alla legge 62/1953, ritenuto "scontato" nella relazione governativa allo schema di regolamento sottolineava invece come l'obbligo sancito dalla disposizione regolamentare in esame, lungi dal poter essere fatto derivare dal disposto dell'art. 10 cit., abbia un contenuto innovativo, contrastante peraltro rispetto al corretto atteggiarsi del rapporto tra legislazione statale di principio e legislazione regionale. E nella gia' citata sentenza n. 482 del 1995 anche codesta ecc.ma Corte costituzionale ha espressamente ricordato che "solo la diretta incompatibilita' delle norme regionali con i sopravvenuti principi e norme fondamentali della legge statale puo' determinare, ai sensi dell'art. 10, primo comma della legge 10 febbraio 1953, n. 62, l'abrogazione delle prime". Ora, e' altresi' evidente che la "diretta incompatibilita'" delle norme regionali va valutata sulla base di un esame concreto del rapporto tra le disposizioni della legge statale e quelle delle specifiche leggi regionali delle singole, regioni. Solo sulla base di tale esame sara' possibile dire quali norme regionali risultino in ipotesi abrogate. Non spetta invece affatto al regolamento, destinato soltanto a disciplinare i lavori pubblici statali, ne' di "constatare" ne' (ancor meno) di "disporre" in generale l'abrogazione delle leggi regionali, e di "disporre" a riempimento della presunta lacuna l'applicazione delle norme regolamentari. Una siffatta operazione non potrebbe essere compiuta ad avviso della ricorrente provincia secondo i principi sopra esposti, neppure dalla legge statale: certissimamente essa non puo' essere compiuta, nella piu' totale assenza di qualunque fondamento legislativo, dal regolamento. D'altronde, codesta Corte ha gia' escluso in via generale che possano essere dettate norme di regolamento destinate a valere sino al sopraggiungere di legislazione regionale (cft. sent. n. 408 del 1998), al di fuori degli speciali meccanismi di adeguamento al diritto comunitario, (cfr. sent. n. 425 del 1999). Tali considerazioni valgono in generale, per tutte le autonomie sia ordinarie che speciali. Per quanto riguarda la ricorrente provincia, tuttavia, accanto a quella ora esposta vale una ulteriore e specifica ragione di illegittimita' della contestata disposizione regolamentare. Infatti, alla provincia autonoma di Trento non si applica affatto il disposto dell'art. 10 della legge n. 62 del 1953. Al contrario, il rapporto tra leggi statali e leggi provinciali e' compiutamente disciplinato dall'art. 2 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266, ai sensi del quale il sopraggiungere di leggi statali recanti principi di riforma incompatibili con le leggi provinciali non ne determina affatto l'abrogazione, ma implica un obbligo di adeguamento della legislazione provinciale. In caso di mancato adeguamento, la legislazione provinciale diverrebbe incostituzionale. Ora, il rispetto (o eventualmente il mancato rispetto) di tale obbligo di adeguamento puo' essere accertato soltanto a seguito di un apposito giudizio di legittimita' costituzionale, attivato o in via principale dal Governo, secondo la normativa disposta dallo stesso decreto legislativo n. 266 del 1992, in base all'art. 98 dello statuto, o in via incidentale nell'ambito di un giudizio a quo. Qualora tale giudizio concludesse per l'illegittimita' costituzionale della legislazione in quanto non adeguata, si applicherebbe la legislazione statale fino al successivo adeguamento. In tale meccanismo non vi e' spazio alcuno per l'intervento di un regolamento che, alterandolo e stravolgendolo, disponga invece in attesa di un adeguamento - la cui mancanza non e' stata in alcun modo accertata - l'applicazione del regolamento stesso. Di nuovo, un simile intervento del regolamento non potrebbe essere previsto dalla legge, perche' anche la legge che cio' disponesse violerebbe le norme di attuazione dello statuto, quali ora esposte. A maggiore ragione esso non puo' essere disposto dal regolamento, con una autoinvestitura di potere radicalmente arbitraria. Arbitrarieta' dell'art. 1, comma 2, in quanto dispone l'applicazione delle disposizioni del regolamento ai lavori pubblici di interesse provinciale finanziati in misura prevalente con fondi provenienti dallo Stato, al lavori realizzati nell'ambito di funzioni delegate, nonche' nelle materie non oggetto di potesta' legislativa al seri dell'art. 117 della Costituzione Come ricordato in narrativa, l'art. 1, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica n. 554 del 1999 qui impugnato dispone che "le regioni, anche a statuto speciale, le province autonome di Trento e Bolzano e gli enti regionali da queste finanziati applicano il regolamento per i lavori finanziati in misura prevalente con fondi provenienti dallo Stato o realizzati nell'ambito di finzioni da questo delegate, nonche' nelle materie non oggetto di potesta' legislativa a norma dell'articolo 117 della Costituzione". Al contrario di quella di cui al comma 3, la disposizione del comma 2 non ha carattere transitorio, ma permanente. I lavori pubblici di interesse provinciale sarebbero assoggettati alla disciplina regolamentare statale nelle ipotesi sopra indicate, delle quali la prima e' quella dei "lavori finanziati in misura prevalente con fondi provenienti dallo Stato". Tale disposizione e', ad avviso della ricorrente provincia, aberrante sotto piu' profili. In primo luogo curiosamente, la disposizione sembra ritenere possibile l'applicazione del regolamento ai lavori pubblici di interesse provinciale, senza che cio' implichi l'applicazione della legge di cui il regolamento e', in essenza, regolamento di esecuzione. Ora, e' chiaro che cio' non affatto possibile, e che l'applicazione "del regolamento" implicherebbe in toto l'applicazione della normativa statale, cioe' in primis l'applicazione a tali lavori della legge n. 109 del 1994, e successive modifiche. Ma cio' ovviamente non e' possibile, perche' verrebbe a contrastare in modo manifesto con la stessa legge n. 109 del 1994, la quale nel disporre che per le regioni speciali sono destinatarie dei soli "principi fondamentali di riforma" chiaramente presuppone che ai lavori rientranti nella potesta' legislativa regionale si applichi non la legge statale in quanto tale, ma la legislazione regionale, nel rispetto di quei principi. In secondo luogo, sembra del tutto evidente che non puo' essere lo stesso regolamento ad individuare il campo rispettivo di applicazione proprio di se' medesimo e della legge regionale. Si vuole dire che una simile operazione, che ad avviso della ricorrente provincia non sarebbe consentita neppure alla legge (se non in conformita' alla Costituzione), sicuramente in ogni modo non e' consentita al regolamento, in assenza di qualunque legittimazione proveniente dalla legge. Inoltre, anche nel contenuto dispositivo stesso la disposizione che prevede l'applicazione della disciplina regolamentate statale ai lavori di interesse provinciale, per la sola ragione che essi siano finanziati con fondi provenienti prevalentemente dallo Stato si rivela invasiva, illegittima ed arbitraria. Intanto, la stessa ipotesi che lavori pubblici di interesse provinciale siano finanziati in modo prevalente con fondi provenienti dallo Stato rappresenta una situazione tale da richiedere un apposito fondamento giustificativo, dato che la regola dovrebbe essere rappresentata dal normale funzionamento dei meccanismi di ripartizione delle risorse finanziarie tra Stato e regioni, elaborati nel rispetto delle disposizioni statutarie e dell'art. 119 della Costituzione. Ma anche nella misura in cui sia lecito allo Stato creare per particolari lavori pubblici di interesse regionale e provinciale flussi finanziari ad hoc, separati dall'ordinaria finanza regionale (misura su cui non e' richiesto di soffermarsi nell'ambito del presente ricorso), cio' non influisce affatto sulla natura dei lavori, sulla relativa competenza e sulle regole che nel loro svolgimento si debbano rispettare. La disposizione sembra supporre che, per qualche ragione le normative locali siano "meno degne" rispetto alla normativa regolarnentare statale, di tal che vi sia bisogno di applicare questa, in luogo di quelle, quando lo Stato "mette i denari". Ma e' evidente che non e' affatto questione di dignita' delle normative, ma semplicemente del diritto costituzionale delle, regioni e province autonome di applicare la propria normativa ai lavori di propria competenza legislativa, come sembra evidente che il fatto che sia consentito in certi casi allo Stato di disporre finanziamenti specifici in vista del raggiungimento di particolari obbiettivi programmati'ci non puo' implicare che la disciplina di quei lavori esca dalle regole che sono loro proprie. Cio', si ripete, a prescindere dalla palese inidoneita' della fonte regolamentare a disporre quanto invece essa dispone. In piu', come prima, alle ragioni di carattere generale, attinenti alla natura delle fonti qui in questione considerate a confronto con i parametri costituzionali del rapporto tra normazione statale e formazione regionale, e valide per l'intero ambito delle autonomie regionali, si aggiungono ulteriori specifiche ragioni proprie delle garanzie statutarie della ricorrente provincia. Va fatto qui particolare riferimento all'art,. 5, comma 2, della legge 30 novembre 1989, n. 386, che come e' ben noto completa ed integra le disposizioni statutarie in materia di autonomia finanziaria della regione TrentinoAlto Adige e delle province autonome di Trento e di Bolzano (cfr. sent. n. 116 del 1991 di codesta Ecc.ma Corte costituzionale). Dispone infatti tale comma che "i finanziamenti recati da qualunque altra disposizione di legge statale, in cui sia previsto il riparto o l'utilizzo a favore delle regioni, sono assegnati alle province autonome ed affluiscono al bilancio delle stesse per essere utilizzati, secondo normalive provinciali, nell'ambito del corrispondente settore, con riscontro nei conti consuntivi delle rispettive province". Tale disposizione sancisce in modo valido specificamente per la ricorrente Provincia che l'elemento della provenienza dei fondi, in tutto o in parte, da un particolare fondo statale, anziche' dal normale flusso della finanza provinciale, non altera affatto la normativa applicabile nell'utilizzazione dei fondi cosi assegnati alla Provincia: tanto che il successivo comma 3 precisa che "per l'assegnazione e l'erogazione dei finanziamenti di cui al comma 2, si prescinde da qualunque adempimento previsto dalle stesse leggi ad eccezione di quelli relativi all'individuazione dei parametri o delle quote di riparto". Considerazioni analoghe valgono per l'altra previsione del comma 3 del regolamento qui impugnato, secondo la quale le, regioni "applicano il regolamento per i lavori ... realizzati nell'ambito di funzioni ... delegate" dallo Stato. Per vero, si incontra qui una difficolta' interpretativa, non essendo agevole intendere se per lavori ... realizzati nell'ambito di funzioni "dallo stesso Statodelegate" si debba intendere lavori pubblici che intervengono nell'ambito di materie che di per se' non sono oggetto di trasferimento ma di delega (ad esempio, lavori pubblici nell'ambito di demanio marittimo delegato), oppure invece lavori pubblici che di per se' spetterebbero alla competenza statale, e che lo Stato delega con proprio atto alla regione per l'esecuzione. In entrambi i casi, comunque, il regolamento appare illegittimo ed invasivo. Ove infatti per lavori ... realizzati nell'ambito di funzioni "dallo stesso Stato delegate" si intenda (secondo la prima ipotesi) lavori pubblici che intervengono nell'ambito di materie che di per se' non sono oggetto di trasferimento ma di delega, va qui osservato che ai fui della individuazione della materia "lavori pubblici di interesse provinci'ale" cio' che conta non e' la connessione del lavoro con una delle materie proprie della regione o provincia autonoma, ma il riparto disposto in generale tra lavori pubblici di interesse regionale o provinciale: come avviene per le regioni ordinarie con i pertinenti articoli del decreto del Presidente della Repubblica n. 616 del 1977, ed ora del decreto legislativo n. 112 del 1998, per la provincia autonoma di Trento con l'art. 19 delle norme di attuazione di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 381 del 1989, e successive modiflcazioni. In sintesi, un'opera pubblica e' assoggettata alla competenza legislativa regionale in quanto rientra in quanto opera pubblica tra quelle di interesse regionale, e non in quanto attiene a materia propria della Regione. Ed ancora va sottolineato che neppure la legge statale potrebbe alterare tale criterio di principio, e che del tutto arbitrariamente su tali aspetti il regolamento interviene senza alcuna legittimazione. E per tale ultima ragione la disposizione ora considerata del comma 2 del regolamento sarebbe illegittima anche se si riferisse a specifiche deleghe di opere che secondo le regole generali sarebbero di competenza statale: non spetta certo al regolamento di attuazione della legge n. 109 del 1994 disporre quali regole in tale caso debbano applicarsi. Per quanto riguarda la ricorrente provincia, poi, ancora una volta essa gode anche sotto questo profilo di speciali garanzie. Dispone infatti l'art. 19-bis delle norme di attuazione da ultimo citate (aggiunto dall'art. 8, decreto legislativo 11 novembre 1999, n. 463), concernenti appunto i lavori pubblici, che "ai fini dell'esercizio delle funzioni delegate con il presente decreto le province di Trento e di Bolzano, per il rispettivo territorio, applicano la normativa provinciale in materia di organizzazione degli uffici, di contabilita', di attivita' contrattuale, di lavori pubblici e di valutazione di impatto ambientale". Se ne deduce in modo piano l'illegittimita' del disposto del regolamento impugnato. Con una terza precisazione, il comma 2 dell'art. 1 dell'impugnato regolamento dispone che le norme di questo vengano applicate "nelle materie non oggetto di potesta' legislativa a norma dell'art. 117 della Costituzione". A parte il frettoloso riferimento all'art. 117 Cost., che nel caso della ricorrente provincia andrebbe evidentemente piuttosto riferito alle potesta' legislative conferite dallo Statuto di autonomia, anche tale disposizione e' redatta in termini ambigui. Essa potrebbe riferirsi ai "lavori pubblici" ricadenti in "materie" non oggetto di potesta' legislativa regionale. Se cosi fosse, varrebbero le stesse considerazioni gia' esposto sopra, ed in particolare la considerazione che materia dei lavori pubblici di interesse provinciale non si riferisce ai lavori che intervengano, per cosi dire "verticalmente" nei settori oggetto di altre potesta' legislative provinciali, ma a tutti i lavori, in qualunque materia, che non siano riservati allo Stato in ragione della dimensione dell'interesse coinvolto. In un diverso significato, invece, la disposizione che qui consideriamo potrebbe essere intesa come rivolta a disporre che il regolamento si applichi anche ai lavori di interesse provinciale, in quanto le sue disposizioni riguardino, appunto, "materie non oggetto di potesta' legislativa" regionale o (nel caso) provinciale. Intesa in questo senso, la disposizione sarebbe nel suo contenuto meno eversiva delle competenze perche' essa si limiterebbe ad "avvertire" che il contenuto del regolamento statale non sarebbe in tutto sovrapponibile alla materia "lavori pubblici" e comprenderebbe aspetti (sulla cui effettiva e legittima esistenza, e sulla cui eventuale individuazione qui non e' necessario soffermarsi) sottratti alla potesta' normativa regionale e provinciale. Anche in questo significato, tuttavia, la disposizione regolarnentare e' del tutto illegittima. Anche troppo ovvio risulta che, se vi e' normativa statale, di qualunque livello, in relazione a settori estranei alle potesta' normative regionali e provinciali, alle regioni e province autonome tocchera' di applicarla, cosi come tocca a qualunque altro soggetto dell'ordinamento: questo punto e' evidente e non e' in discussione. L'illegittimita' e l'invasivita' residua della disposizione regolamentare de quo sta dunque nel pretendere di imporre con il fondamento giuridico di un atto regolamentare una regola che e' la semplice conseguenza del carattere costituzionale "di attribuzione" dei poteri legislativi e normativi regionali. Essendo il potere legislativo regionale a tutt'oggi definito per specifiche materie, del tutto ovvio risulta che al di fuori di tali materie si applicheranno le disposizioni statali, che sono sul punto quelle generali. Ma la forza di questo principio non puo' derivare da un regolamento, ed anzi il regolamento in genere, ed il regolamento impugnato in particolare (per difetto specifico di investitura legislativa) sono del tutto privi di legittimazione a disporre in questo ambito. Disponendo in questo ambito, in realta', il regolamento non stabilisce una regola nuova, ma mira soltanto a sancire una subordinazione delle Regioni e Province autonome al potere regolamentare, cosi come non consentito dal sistema costituzionale. 3) - Specifica arbitrarieta' ed illegittimita' dell'art. 188, comma 8. Accanto a quanto ora considerato va infine rilevata la specifica illegittimita' dell'art. 188, comma 8, in quanto, stando al suo tenore letterale, estende in termini generali la propria disciplina alle regioni e province autonome, prevedendo che, "ai fini dell'affidamento dell'incarico di collaudo a soggetti esterni all'organico delle stazioni appaltanti sono istituiti presso il Ministero dei lavori pubblici, le regioni e le province autonome elenchi dei collaudatori" i quali vengono poi di seguito ulteriormente normati al commi successivi, precisando tra l'altro la struttura dell'elenco (co. 10), le modalita' di iscrizione e le forme di pubblicita' (co. 9). Trattandosi di disciplina in materia di lavori pubblici, il regolamento non e' legittimato in alcun modo a disporre per la Provincia autonoma di Trento, inponendo particolari elenchi e dettandone la disciplina. Vincoli normativi possono arrivare soltanto nei modi previsti dallo statuto e dalle norme di attuazione, ed in particolare, quanto a queste, ultime, con le modalita' e le regole stabilite dal gia' ricordato d.lgs. n. 266 del 1992. Anche in questo caso vi e' dunque piena illegittimita', sia per inidoneita' strutturale della fonte, sia per difetto di qualunque legittimazione legislativa a disporre in tal senso.