Ricorso per conflitto di attribuzioni della Provincia Autonoma di
  Trento,   in   persona  del  presidente  della  giunta  provinciale
  pro-tempore  Lorenzo  Dellai,  autorizzato  con deliberazione della
  giunta   provinciale   n. 1449   del   9   giugno  2000  (all.  1),
  rappresentata  e difesa come da procura speciale del 13 giugno 2000
  (rep.  n. 24597)  rogata  dal  dott.  Tommaso Sussarellu, ufficiale
  rogante de1la provincia stessa (all. 2) dagli avvocati Giandomenico
  Falcon  di  Padova  e  Luigi Manzi di Roma, con domicilio eletto in
  Roma presso lo studio dell'avv. Manzi, via Confalonieri, 5;
    Contro   il   Presidente   del  Consiglio  dei  Ministri  per  la
  dichiarazione  che  non  spetta  allo  Stato  di  disciplinare  con
  regolamento ed in modo direttamente vincolante i lavori pubblici di
  interesse  provinciale,  di  competenza  della ricorrente Provincia
  autonoma di Trento; e per il conseguente annullamento:
        del decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1999,
  n. 554,  concernente  "regolamento di attuazione della legge quadro
  in   materia  di  lavori  pubblici  11  febbraio  1994,  n. 109,  e
  successive  modificazioni"  pubblicato  nella  Gazzetta  Ufficiale,
  serie  generale,  n. 98  del  28  aprile 2000 (s.o. n. 66/L), nella
  parte  in  cui  esso  intende  disciplinare  i  lavori  pubblici di
  interesse  provinciale,  con particolare riferimento agli articoli:
  1, commi 2 e 3; 188, comma 8 per violazione:
        dell'articolo  8,  n. 17), e dell'articolo 16 del decreto del
  Presidente  della  Repubblica  31  agosto  1972,  n. 670,  e  delle
  relative norme di attuazione;
        dei principi costituzionali relativi all'esercizio del potere
  regolamentare;
        dell'art. 5, comma 2, della legge 30 novembre 1989, n. 386;
        dell'art. 19-bis  del decreto del Presidente della Repubblica
  22  marzo  1974,  n. 381  (come  aggiunto dall'art. 8 del d.lgs. 11
  novembre 1999, n. 463);
        dell'art. 2 del d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266.

                              F a t t o

    La  ricorrente Provincia autonoma di Trento dispone in materia di
  lavori pubblici di interesse provinciale della potesta' legislativa
  primaria,  ai  sensi  dell'articolo  8,  n. 17),  dello,statuto  di
  autonomia di cui al d.P.R. 31 agosto 1972, n 670. Inoltre, ai sensi
  dell'articolo  16  dello  stesso  statuto,  essa dispone in materia
  anche delle potesta' amministrative.
    Le predette competenze sono state concretamente attivate mediante
  apposite  norme  di attuazione, tra le quali occorre qui richiamare
  quelle  dettate  con il d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381, relativo alla
  materia  dell'urbanistica  e delle opere pubbliche, nonche', per il
  loro  carattere e rilevanza generale, quelle dettate con il decreto
  legislativo 16 marzo 1992, n. 266.
    In attuazione delle proprie competenze la ricorrente provincia ha
  disciplinato  in  modo  organico  la  materia  dei  lavori pubblici
  provinciali  da  ultimo con la legge provinciale 10 settembre 1993,
  n. 26,  recante  norme  in  materia di lavori pubblici di interesse
  provinciale  e  per la trasparenza negli appalti, e con il relativo
  regolamento  di  attuazione,  approvato  con  d.p.g.p. 20 settembre
  1994, n. 12-10/Leg.
    Per  quanto  riguarda la normativa statale, il settore dei lavori
  pubblici e' attualmente disciplinato, come e' ben noto, dalla legge
  11 febbraio 1994, n. 109, che per la parte che ci interessa, ovvero
  per  quanto  riguarda  il  significato  della  legge  quadro per le
  regioni  e in particolare per la ricorrente provincia, non e' stata
  toccata   dalle  pur  rilevanti  (sotto  altri  profili)  modifiche
  intervenute  ad  opera  del decreto-legge n. 101 del 1995 (conv. in
  legge  n. 216  del 1995, c.d. Merloni bis) e della legge n. 415 del
  1998  (c.d. Merloni ter), se si eccettua l'adeguamento dell'art. 1,
  comma  2,  disposto  dalla  legge  n. 415, a quanto stabilito dalla
  Corte   costituzionale   con   la  sentenza  n. 482/1995  circa  la
  vincolativita'  per  le  regioni  e  le  province autonome dei soli
  "principi desumibili dalla presente legge"
    La  legge n. 109 del 1994 dispone, in particolare, che la materia
  dei  lavori pubblici, per quanto di interesse statale, e' demandata
  alla  potesta'  regolamentare del Governo (art. 3, comma 1), e che,
  in  particolare,  il  regolamento  statale  si applica, quanto alle
  pubbliche  amministrazioni dalle amministrazioni dello Stato, anche
  ad  ordinamento  autonomo,  agli  enti  pubblici,  compresi  quelli
  economici,  agli  enti  ed  alle  amministrazioni locali, alle loro
  associazioni  e consorzi nonche' agli organismi di diritto pubblico
  (art. 2, comma 2 lett. a).
    Ora,  e'  del  tutto  certo  che tra i soggetti cui si applica il
  regolamento, come sopra elencati, non rientrano le, regioni, e meno
  che  mai  rientra  la  ricorrente provincia autonoma di Trento. Non
  solo infatti vi e' nella legge in genere una netta contrapposizione
  tra  i  destinatari  diretti  della legge n. 109/1994 (che sono, si
  noti, contemporaneamente e nello stesso testo anche destinatari del
  regolamento)  e  le regioni e le, province autonome di Trento e di'
  Bolzano   (e   gli   enti  cui  si  estende  la  relativa  potesta'
  legislativa),   le   quali  sono  destinatarie  dei  soli  principi
  fondamentali   di   riforma,   ma   codesta   stessa  ecc.ma  Corte
  costituzionale   ha   gia'   stabilito,  in  sede  di  giudizio  di
  legittimita'   sull'impugnazione  rivolta  contro  la  legge  dalla
  ricorrente provincia e da altre regioni, che le regioni stesse "non
  sono  comprese  tra  le  amministrazioni  e  gli enti destinata del
  regolamento" (sent. n. 482 del 1995, punto 8 in diritto).
    D'altronde,  piu'  in  generale, la stessa sentenza ora citata ha
  ribadito  che "i regolamenti governativi, compresi quelli delegati,
  non sono legittimati a disciplinare materie di competenza regionale
  o  provinciale"  (ivi),  con una affermazione netta che corrisponde
  d'altronde  a  giurisprudenza consolidata dalla sentenza n. 465 del
  1991  alla  sentenza n. 408 del 1999. Essa ha altresi' statuito che
  lo   strumento   della  delegificazione,  che  opera  tra  legge  e
  regolamento statale, non puo' operare "Per fonti di natura diversa,
  tra le quali vi e' un rapporto di competenza e non di gerarchia".
    Inopinatamente,   dunque,   la  ricorrente  provincia  ha  dovuto
  constatare  che  l'art. 1  del  regolamento emanato con decreto del
  Presidente  della  Repubblica 21 dicembre 1999, n. 554, oggetto del
  presente   giudizio,   in   sede   di   definizione   de1l'atto  di
  applicazione,  al  comma 2 dispone che 1e "Regioni, anche a statuto
  speciale,  le  Province  autonome  di  Trento  e Bolzano e gli enti
  regionali  da  queste  finanziati  applicano  il  regolamento per i
  lavori  finanziati in misura prevalente con fondi provenienti dallo
  Stato  o  realizzati  nell'ambito  di  funzioni da questo delegate,
  nonche'  nelle  materie non oggetto di potesta' legislativa a norma
  dell'articolo 117 della Costituzione".
    Esso  dispone inoltre, al comma 3, che "ai sensi dell'articolo 10
  della  legge  10 febbraio 1953, n. 62, i soggetti di cui al comma 2
  applicano le disposizioni del regolamento fino a quando non avranno
  adeguato  la  propria  legislazione  ai  principi  desumibili dalla
  legge".
    A  tali  previsioni,  di  carattere  generale e gravemente lesive
  della  autonomia  legislativa  ed  amministrativa  provinciale,  si
  aggiunge  poi  la specifica e particolare previsione dell'art. 188,
  comma   8,   a   termini   del   quale  "ai  fini  dell'affidamento
  dell'incarico  di  collaudo  a  soggetti esterni all'organico delle
  stazioni  appaltanti  sono istituiti presso il Ministero dei lavori
  pubblici,   le   regioni   e  le,  province  autonome  elenchi  dei
  collaudatori".  Ed  anche  tale  disposizione  pretende di disporre
  obblighi   a   carico   del   legislatore   o  dell'amministrazione
  provinciale.
    Sennonche',  le  disposizioni  citate  sono  contrastante  con le
  disposizioni   costituzionali   e   statutarie   poste  a  garanzia
  dell'autonomia   della   ricorrente,  provincia,  e  sono  pertanto
  illegittime, per le seguenti ragioni di

                            D i r i t t o

    1.  -  Arbitrarieta'  dell'art. 1,  comma  3,  in  quanto dispone
  l'applicazione   delle   disposizioni  del  regolamento  ai  lavori
  pubblici  di  interesse provinciale fino all'adeguamento alle norme
  della legge quadro.
    Come  esposto  in narrativa, l'art. 1 del regolamento emanato con
  decreto  del  Presidente della Repubblica 21 dicembre 1999, n. 554,
  al  comma  2  dispone che "le regioni, anche a statuto speciale, le
  province  autonome  di  Trento  e  Bolzano  e gli enti regionali da
  queste  finanziati applicano il regolamento per i lavori finanziati
  in misura prevalente con fondi provenienti dallo Stato o realizzati
  nell'ambito  di  funzioni da questo delegate, nonche' nelle materie
  non oggetto di potesta' legislativa a norma dell'articolo 117 della
  Costituzione".
    Esso  dispone inoltre, al comma 3, che "ai sensi dell'articolo 10
  della  legge  10 febbraio 1953, n. 62, i soggetti di cui al comma 2
  applicano le disposizioni del regolamento fino a quando non avranno
  adeguato  la  propria  legislazione  ai  principi  desumibili dalla
  Legge".
    E' agevole notare che in questo modo il regolamento stabilisce la
  propria applicazione ai lavori pubblici di interesse provinciale
        1) in via transitoria e per un tempo indeterminato, in attesa
  della  nuova  legislazione  regionale, a tutti i lavori pubblici di
  interesse provinciale
        2)  in via permanente per taluni lavori pubblici di interesse
  provinciale, e precisamente per i lavori finanziati prevalentemente
  con   fondi   statali,  o  in  materia  delegata,  o  al  di  fuori
  dell'art. 117 Cost.
    Tali  disposizioni  sono,  ad  avviso della ricorrente provincia,
  aberranti  su  un  piano  generale,  e comunque confliggenti con le
  garanzie  costituzionali  delle  regioni e con quelle ulteriormente
  speciali  previste  per  la  regione  Trentino-Alto  Adige e per le
  province autonome di Trento e di Bolzano.
    In  primo  luogo  appare illegittima la disposizione del comma 3,
  che  dispone  l'immediata  applicazione  del  regolamento ai lavori
  pubblici   di  interesse  provinciale  fino  all'adeguamento  della
  legislazione provinciale ai principi desumibili dalla legge.
    La  disposizione  regolamentare  ritiene  di  disporre quanto ora
  detto  "ai  sensi  dell'articolo  10  della legge 10 febbraio 1953,
  n. 62"  il  quale,  come  ben  noto,  dispone  che  le "leggi della
  Repubblica che modificano i principi fondamentali ......abrogano le
  leggi regionali che siano in contrasto con esse" (comma 1) e che "i
  consigli   regionali  dovranno  portare  alle  leggi  regionali  le
  conseguenti necessarie modificazioni entro novanta giorni".
    Ora,  va  notato in primo luogo che tale disposizione della legge
  n. 62  del  1953  non si applica alla provincia autonoma di Trento,
  per  la  quale  il  rapporto tra legge statale e legge regionale e'
  invece disciplinato dal decreto legislativo n. 266 del 1992.
    Ma se pure la disposizione si applicasse, essa non legittimerebbe
  per   nulla  quanto  disposto  dal  regolamento.  Essa  infatti  si
  riferisce  con  ogni evidenza ai rapporti tra legge statale e legge
  regionale.  Se  un  fenomeno  abrogativo  si puo' produrre, esso e'
  dovuto  esclusivamente  al  sopraggiungere di norme contrastanti di
  nuove  leggi.  In  tal senso, gia' erano state espresse ben fondate
  perplessita'  da  parte  della  Corte dei conti - ufficio controllo
  sugli  atti  del  Governo - rilievo n. 2/2000: la quale, - a fronte
  del   richiamo   alla  legge  62/1953,  ritenuto  "scontato"  nella
  relazione  governativa  allo  schema  di  regolamento  sottolineava
  invece  come  l'obbligo sancito dalla disposizione regolamentare in
  esame,   lungi   dal  poter  essere  fatto  derivare  dal  disposto
  dell'art. 10  cit.,  abbia  un  contenuto  innovativo, contrastante
  peraltro   rispetto   al  corretto  atteggiarsi  del  rapporto  tra
  legislazione statale di principio e legislazione regionale.
    E nella gia' citata sentenza n. 482 del 1995 anche codesta ecc.ma
  Corte  costituzionale  ha  espressamente  ricordato  che  "solo  la
  diretta  incompatibilita'  delle norme regionali con i sopravvenuti
  principi e norme fondamentali della legge statale puo' determinare,
  ai  sensi  dell'art. 10,  primo comma della legge 10 febbraio 1953,
  n. 62, l'abrogazione delle prime".
    Ora, e' altresi' evidente che la "diretta incompatibilita'" delle
  norme  regionali  va  valutata  sulla base di un esame concreto del
  rapporto  tra  le  disposizioni  della legge statale e quelle delle
  specifiche  leggi regionali delle singole, regioni. Solo sulla base
  di  tale esame sara' possibile dire quali norme regionali risultino
  in ipotesi abrogate.
    Non  spetta  invece  affatto al regolamento, destinato soltanto a
  disciplinare  i  lavori  pubblici  statali, ne' di "constatare" ne'
  (ancor  meno)  di  "disporre" in generale l'abrogazione delle leggi
  regionali,  e  di  "disporre"  a  riempimento della presunta lacuna
  l'applicazione delle norme regolamentari.
    Una  siffatta  operazione  non potrebbe essere compiuta ad avviso
  della  ricorrente  provincia  secondo  i  principi  sopra  esposti,
  neppure  dalla  legge statale: certissimamente essa non puo' essere
  compiuta,   nella  piu'  totale  assenza  di  qualunque  fondamento
  legislativo, dal regolamento.
    D'altronde,  codesta  Corte  ha  gia' escluso in via generale che
  possano essere dettate norme di regolamento destinate a valere sino
  al  sopraggiungere di legislazione regionale (cft. sent. n. 408 del
  1998),  al  di  fuori  degli  speciali meccanismi di adeguamento al
  diritto comunitario, (cfr. sent. n. 425 del 1999).
    Tali  considerazioni  valgono in generale, per tutte le autonomie
  sia  ordinarie  che  speciali.  Per  quanto  riguarda la ricorrente
  provincia,   tuttavia,  accanto  a  quella  ora  esposta  vale  una
  ulteriore  e  specifica  ragione di illegittimita' della contestata
  disposizione regolamentare.
    Infatti, alla provincia autonoma di Trento non si applica affatto
  il  disposto dell'art. 10 della legge n. 62 del 1953. Al contrario,
  il  rapporto tra leggi statali e leggi provinciali e' compiutamente
  disciplinato  dall'art. 2  del  decreto  legislativo 16 marzo 1992,
  n. 266,  ai  sensi  del  quale  il  sopraggiungere di leggi statali
  recanti  principi di riforma incompatibili con le leggi provinciali
  non  ne  determina  affatto l'abrogazione, ma implica un obbligo di
  adeguamento  della  legislazione  provinciale.  In  caso di mancato
  adeguamento,     la     legislazione     provinciale     diverrebbe
  incostituzionale.
    Ora,  il  rispetto  (o eventualmente il mancato rispetto) di tale
  obbligo  di adeguamento puo' essere accertato soltanto a seguito di
  un  apposito giudizio di legittimita' costituzionale, attivato o in
  via  principale  dal  Governo,  secondo la normativa disposta dallo
  stesso  decreto  legislativo  n. 266  del 1992, in base all'art. 98
  dello  statuto,  o  in via incidentale nell'ambito di un giudizio a
  quo.
    Qualora    tale   giudizio   concludesse   per   l'illegittimita'
  costituzionale  della  legislazione  in  quanto  non  adeguata,  si
  applicherebbe   la   legislazione   statale   fino   al  successivo
  adeguamento.
    In tale meccanismo non vi e' spazio alcuno per l'intervento di un
  regolamento  che,  alterandolo e stravolgendolo, disponga invece in
  attesa  di  un  adeguamento - la cui mancanza non e' stata in alcun
  modo accertata - l'applicazione del regolamento stesso.
    Di  nuovo,  un  simile  intervento  del  regolamento non potrebbe
  essere  previsto  dalla  legge,  perche'  anche  la  legge che cio'
  disponesse  violerebbe  le norme di attuazione dello statuto, quali
  ora  esposte.  A maggiore ragione esso non puo' essere disposto dal
  regolamento,   con   una  autoinvestitura  di  potere  radicalmente
  arbitraria.
    Arbitrarieta'   dell'art. 1,   comma   2,   in   quanto   dispone
  l'applicazione   delle   disposizioni  del  regolamento  ai  lavori
  pubblici  di  interesse provinciale finanziati in misura prevalente
  con fondi provenienti dallo Stato, al lavori realizzati nell'ambito
  di funzioni delegate, nonche' nelle materie non oggetto di potesta'
  legislativa al seri dell'art. 117 della Costituzione
    Come  ricordato  in narrativa, l'art. 1, comma 2, del decreto del
  Presidente  della  Repubblica n. 554 del 1999 qui impugnato dispone
  che  "le regioni, anche a statuto speciale, le province autonome di
  Trento  e  Bolzano  e  gli  enti  regionali  da  queste  finanziati
  applicano   il  regolamento  per  i  lavori  finanziati  in  misura
  prevalente   con   fondi   provenienti  dallo  Stato  o  realizzati
  nell'ambito  di  finzioni da questo delegate, nonche' nelle materie
  non oggetto di potesta' legislativa a norma dell'articolo 117 della
  Costituzione".
    Al  contrario  di  quella  di cui al comma 3, la disposizione del
  comma  2  non  ha  carattere  transitorio,  ma permanente. I lavori
  pubblici  di  interesse  provinciale  sarebbero  assoggettati  alla
  disciplina  regolamentare  statale  nelle  ipotesi  sopra indicate,
  delle  quali  la  prima  e' quella dei "lavori finanziati in misura
  prevalente con fondi provenienti dallo Stato".
    Tale  disposizione  e',  ad  avviso  della  ricorrente provincia,
  aberrante sotto piu' profili.
    In  primo  luogo  curiosamente,  la  disposizione sembra ritenere
  possibile  l'applicazione  del  regolamento  ai  lavori pubblici di
  interesse provinciale, senza che cio' implichi l'applicazione della
  legge  di  cui  il  regolamento  e',  in  essenza,  regolamento  di
  esecuzione.  Ora,  e'  chiaro che cio' non affatto possibile, e che
  l'applicazione    "del    regolamento"    implicherebbe   in   toto
  l'applicazione   della   normativa   statale,   cioe'   in   primis
  l'applicazione  a  tali  lavori  della  legge  n. 109  del  1994, e
  successive modifiche.
    Ma   cio'   ovviamente  non  e'  possibile,  perche'  verrebbe  a
  contrastare  in modo manifesto con la stessa legge n. 109 del 1994,
  la quale nel disporre che per le regioni speciali sono destinatarie
  dei  soli "principi fondamentali di riforma" chiaramente presuppone
  che  ai  lavori  rientranti nella potesta' legislativa regionale si
  applichi  non  la  legge statale in quanto tale, ma la legislazione
  regionale, nel rispetto di quei principi.
    In  secondo  luogo, sembra del tutto evidente che non puo' essere
  lo  stesso  regolamento  ad  individuare  il  campo  rispettivo  di
  applicazione  proprio  di  se' medesimo e della legge regionale. Si
  vuole   dire  che  una  simile  operazione,  che  ad  avviso  della
  ricorrente  provincia non sarebbe consentita neppure alla legge (se
  non in conformita' alla Costituzione), sicuramente in ogni modo non
  e'   consentita   al   regolamento,   in   assenza   di   qualunque
  legittimazione proveniente dalla legge.
    Inoltre,  anche  nel contenuto dispositivo stesso la disposizione
  che  prevede  l'applicazione della disciplina regolamentate statale
  ai  lavori  di  interesse provinciale, per la sola ragione che essi
  siano  finanziati con fondi provenienti prevalentemente dallo Stato
  si rivela invasiva, illegittima ed arbitraria.
    Intanto,  la  stessa  ipotesi  che  lavori  pubblici di interesse
  provinciale   siano   finanziati   in  modo  prevalente  con  fondi
  provenienti   dallo   Stato  rappresenta  una  situazione  tale  da
  richiedere  un  apposito  fondamento  giustificativo,  dato  che la
  regola  dovrebbe essere rappresentata dal normale funzionamento dei
  meccanismi  di  ripartizione  delle risorse finanziarie tra Stato e
  regioni,  elaborati  nel  rispetto  delle disposizioni statutarie e
  dell'art.  119 della Costituzione. Ma anche nella misura in cui sia
  lecito  allo  Stato  creare  per  particolari  lavori  pubblici  di
  interesse   regionale  e  provinciale  flussi  finanziari  ad  hoc,
  separati  dall'ordinaria  finanza  regionale  (misura su cui non e'
  richiesto  di  soffermarsi  nell'ambito del presente ricorso), cio'
  non  influisce  affatto  sulla  natura  dei  lavori, sulla relativa
  competenza  e  sulle  regole  che  nel  loro svolgimento si debbano
  rispettare.
    La  disposizione  sembra  supporre  che,  per  qualche ragione le
  normative   locali  siano  "meno  degne"  rispetto  alla  normativa
  regolarnentare  statale,  di  tal  che  vi sia bisogno di applicare
  questa, in luogo di quelle, quando lo Stato "mette i denari".
    Ma  e'  evidente  che  non e' affatto questione di dignita' delle
  normative,  ma  semplicemente  del  diritto  costituzionale  delle,
  regioni  e  province  autonome di applicare la propria normativa ai
  lavori  di propria competenza legislativa, come sembra evidente che
  il  fatto  che  sia consentito in certi casi allo Stato di disporre
  finanziamenti  specifici in vista del raggiungimento di particolari
  obbiettivi  programmati'ci  non puo' implicare che la disciplina di
  quei  lavori  esca  dalle  regole  che  sono loro proprie. Cio', si
  ripete,   a   prescindere  dalla  palese  inidoneita'  della  fonte
  regolamentare a disporre quanto invece essa dispone.
    In   piu',  come  prima,  alle  ragioni  di  carattere  generale,
  attinenti  alla  natura  delle fonti qui in questione considerate a
  confronto   con   i   parametri  costituzionali  del  rapporto  tra
  normazione  statale  e  formazione regionale, e valide per l'intero
  ambito   delle   autonomie   regionali,   si  aggiungono  ulteriori
  specifiche   ragioni   proprie   delle  garanzie  statutarie  della
  ricorrente provincia.
    Va  fatto qui particolare riferimento all'art,. 5, comma 2, della
  legge  30  novembre  1989, n. 386, che come e' ben noto completa ed
  integra   le   disposizioni  statutarie  in  materia  di  autonomia
  finanziaria  della  regione  TrentinoAlto  Adige  e  delle province
  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano (cfr. sent. n. 116 del 1991 di
  codesta Ecc.ma Corte costituzionale).
    Dispone  infatti  tale  comma  che  "i  finanziamenti  recati  da
  qualunque  altra disposizione di legge statale, in cui sia previsto
  il riparto o l'utilizzo a favore delle regioni, sono assegnati alle
  province  autonome  ed  affluiscono  al  bilancio  delle stesse per
  essere  utilizzati,  secondo normalive provinciali, nell'ambito del
  corrispondente  settore,  con  riscontro nei conti consuntivi delle
  rispettive province".
    Tale  disposizione  sancisce in modo valido specificamente per la
  ricorrente Provincia che l'elemento della provenienza dei fondi, in
  tutto  o  in  parte,  da un particolare fondo statale, anziche' dal
  normale  flusso  della  finanza  provinciale, non altera affatto la
  normativa  applicabile  nell'utilizzazione dei fondi cosi assegnati
  alla  Provincia:  tanto  che il successivo comma 3 precisa che "per
  l'assegnazione  e l'erogazione dei finanziamenti di cui al comma 2,
  si  prescinde  da qualunque adempimento previsto dalle stesse leggi
  ad  eccezione di quelli relativi all'individuazione dei parametri o
  delle quote di riparto".
    Considerazioni  analoghe valgono per l'altra previsione del comma
  3  del  regolamento  qui  impugnato,  secondo  la quale le, regioni
  "applicano  il  regolamento per i lavori ... realizzati nell'ambito
  di funzioni ... delegate" dallo Stato.
    Per  vero,  si  incontra  qui una difficolta' interpretativa, non
  essendo  agevole intendere se per lavori ... realizzati nell'ambito
  di   funzioni  "dallo  stesso  Stato    delegate"  si  debba
  intendere  lavori  pubblici che intervengono nell'ambito di materie
  che  di  per se' non sono oggetto di trasferimento ma di delega (ad
  esempio,   lavori   pubblici   nell'ambito   di  demanio  marittimo
  delegato),   oppure   invece   lavori   pubblici  che  di  per  se'
  spetterebbero  alla  competenza  statale, e che lo Stato delega con
  proprio atto alla regione per l'esecuzione.
    In  entrambi  i casi, comunque, il regolamento appare illegittimo
  ed invasivo.
    Ove  infatti  per  lavori  ... realizzati nell'ambito di funzioni
  "dallo stesso Stato delegate" si intenda (secondo la prima ipotesi)
  lavori  pubblici che intervengono nell'ambito di materie che di per
  se'  non  sono  oggetto  di  trasferimento  ma  di  delega,  va qui
  osservato  che  ai  fui  della individuazione della materia "lavori
  pubblici  di  interesse  provinci'ale"  cio'  che  conta  non e' la
  connessione  del lavoro con una delle materie proprie della regione
  o provincia autonoma, ma il riparto disposto in generale tra lavori
  pubblici  di interesse regionale o provinciale: come avviene per le
  regioni  ordinarie  con  i  pertinenti  articoli  del  decreto  del
  Presidente  della  Repubblica  n. 616  del 1977, ed ora del decreto
  legislativo  n. 112  del  1998, per la provincia autonoma di Trento
  con  l'art. 19  delle  norme  di  attuazione  di cui al decreto del
  Presidente   della   Repubblica   n. 381  del  1989,  e  successive
  modiflcazioni.
    In  sintesi,  un'opera  pubblica  e' assoggettata alla competenza
  legislativa  regionale  in  quanto rientra in quanto opera pubblica
  tra  quelle  di  interesse  regionale,  e  non  in quanto attiene a
  materia  propria  della  Regione.  Ed  ancora  va  sottolineato che
  neppure  la  legge  statale  potrebbe  alterare  tale  criterio  di
  principio,  e  che  del  tutto  arbitrariamente  su tali aspetti il
  regolamento interviene senza alcuna legittimazione.
    E  per  tale  ultima  ragione la disposizione ora considerata del
  comma 2 del regolamento sarebbe illegittima anche se si riferisse a
  specifiche   deleghe  di  opere  che  secondo  le  regole  generali
  sarebbero di competenza statale: non spetta certo al regolamento di
  attuazione  della  legge  n. 109  del 1994 disporre quali regole in
  tale caso debbano applicarsi.
    Per  quanto  riguarda  la  ricorrente  provincia, poi, ancora una
  volta  essa  gode  anche sotto questo profilo di speciali garanzie.
  Dispone  infatti  l'art. 19-bis delle norme di attuazione da ultimo
  citate (aggiunto dall'art. 8, decreto legislativo 11 novembre 1999,
  n. 463),  concernenti  appunto  i  lavori  pubblici,  che  "ai fini
  dell'esercizio  delle  funzioni delegate con il presente decreto le
  province  di  Trento  e  di  Bolzano, per il rispettivo territorio,
  applicano  la  normativa  provinciale  in materia di organizzazione
  degli uffici, di contabilita', di attivita' contrattuale, di lavori
  pubblici e di valutazione di impatto ambientale".
    Se  ne  deduce  in  modo  piano l'illegittimita' del disposto del
  regolamento impugnato.
    Con una terza precisazione, il comma 2 dell'art. 1 dell'impugnato
  regolamento dispone che le norme di questo vengano applicate "nelle
  materie  non  oggetto di potesta' legislativa a norma dell'art. 117
  della Costituzione".
    A  parte  il  frettoloso  riferimento all'art. 117 Cost., che nel
  caso  della  ricorrente  provincia andrebbe evidentemente piuttosto
  riferito  alle  potesta'  legislative  conferite  dallo  Statuto di
  autonomia,  anche  tale disposizione e' redatta in termini ambigui.
  Essa potrebbe riferirsi ai "lavori pubblici" ricadenti in "materie"
  non oggetto di potesta' legislativa regionale.
    Se  cosi  fosse, varrebbero le stesse considerazioni gia' esposto
  sopra,  ed  in particolare la considerazione che materia dei lavori
  pubblici  di  interesse  provinciale non si riferisce ai lavori che
  intervengano,  per cosi dire "verticalmente" nei settori oggetto di
  altre  potesta'  legislative  provinciali,  ma a tutti i lavori, in
  qualunque  materia,  che  non siano riservati allo Stato in ragione
  della dimensione dell'interesse coinvolto.
    In  un  diverso  significato,  invece,  la  disposizione  che qui
  consideriamo  potrebbe essere intesa come rivolta a disporre che il
  regolamento  si  applichi anche ai lavori di interesse provinciale,
  in  quanto  le  sue  disposizioni riguardino, appunto, "materie non
  oggetto   di   potesta'   legislativa"   regionale   o  (nel  caso)
  provinciale.  Intesa  in  questo senso, la disposizione sarebbe nel
  suo  contenuto  meno  eversiva  delle  competenze  perche'  essa si
  limiterebbe ad "avvertire" che il contenuto del regolamento statale
  non  sarebbe in tutto sovrapponibile alla materia "lavori pubblici"
  e   comprenderebbe   aspetti   (sulla  cui  effettiva  e  legittima
  esistenza,   e  sulla  cui  eventuale  individuazione  qui  non  e'
  necessario soffermarsi) sottratti alla potesta' normativa regionale
  e provinciale.
    Anche   in   questo   significato,   tuttavia,   la  disposizione
  regolarnentare e' del tutto illegittima. Anche troppo ovvio risulta
  che, se vi e' normativa statale, di qualunque livello, in relazione
  a settori estranei alle potesta' normative regionali e provinciali,
  alle regioni e province autonome tocchera' di applicarla, cosi come
  tocca  a qualunque altro soggetto dell'ordinamento: questo punto e'
  evidente e non e' in discussione.
    L'illegittimita'   e  l'invasivita'  residua  della  disposizione
  regolamentare  de  quo  sta dunque nel pretendere di imporre con il
  fondamento  giuridico di un atto regolamentare una regola che e' la
  semplice conseguenza del carattere costituzionale "di attribuzione"
  dei  poteri  legislativi  e  normativi regionali. Essendo il potere
  legislativo  regionale a tutt'oggi definito per specifiche materie,
  del  tutto  ovvio  risulta  che  al  di  fuori  di  tali materie si
  applicheranno  le  disposizioni  statali, che sono sul punto quelle
  generali.
    Ma  la  forza  di  questo  principio  non  puo'  derivare  da  un
  regolamento,  ed  anzi  il regolamento in genere, ed il regolamento
  impugnato  in  particolare  (per  difetto  specifico di investitura
  legislativa)  sono  del tutto privi di legittimazione a disporre in
  questo   ambito.  Disponendo  in  questo  ambito,  in  realta',  il
  regolamento  non  stabilisce  una  regola nuova, ma mira soltanto a
  sancire  una  subordinazione  delle  Regioni e Province autonome al
  potere   regolamentare,   cosi  come  non  consentito  dal  sistema
  costituzionale.
    3)  -  Specifica  arbitrarieta'  ed illegittimita' dell'art. 188,
  comma 8.
    Accanto  a quanto ora considerato va infine rilevata la specifica
  illegittimita'  dell'art.  188,  comma  8, in quanto, stando al suo
  tenore letterale, estende in termini generali la propria disciplina
  alle   regioni  e  province  autonome,  prevedendo  che,  "ai  fini
  dell'affidamento  dell'incarico  di  collaudo  a  soggetti  esterni
  all'organico  delle  stazioni  appaltanti  sono istituiti presso il
  Ministero  dei  lavori  pubblici, le regioni e le province autonome
  elenchi   dei   collaudatori"   i  quali  vengono  poi  di  seguito
  ulteriormente  normati  al commi successivi, precisando tra l'altro
  la  struttura dell'elenco (co. 10), le modalita' di iscrizione e le
  forme di pubblicita' (co. 9).
    Trattandosi  di  disciplina  in  materia  di  lavori pubblici, il
  regolamento  non  e'  legittimato  in  alcun modo a disporre per la
  Provincia  autonoma  di  Trento,  inponendo  particolari  elenchi e
  dettandone   la  disciplina.  Vincoli  normativi  possono  arrivare
  soltanto   nei  modi  previsti  dallo  statuto  e  dalle  norme  di
  attuazione,  ed  in  particolare,  quanto  a queste, ultime, con le
  modalita'  e  le  regole stabilite dal gia' ricordato d.lgs. n. 266
  del 1992.
    Anche  in  questo caso vi e' dunque piena illegittimita', sia per
  inidoneita'  strutturale  della fonte, sia per difetto di qualunque
  legittimazione legislativa a disporre in tal senso.