ha pronunciato la seguente


                              Sentenza

nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 5-bis comma 1,
del  decreto-legge  11  luglio  1992,  n. 333, (Misure urgenti per il
risanamento  della  finanza pubblica), convertito, con modificazioni,
in  legge  8 agosto 1992, n. 359, promosso con ordinanza emessa il 14
maggio  1998  dalla Corte d'appello di Genova nel procedimento civile
vertente  tra  Ferrari  Filippo  ed  altro  ed  il  comune di Genova,
iscritta  al  n. 12  del  registro  ordinanze 1999 e pubblicata nella
Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n. 4,  prima  serie speciale,
dell'anno 1999.
    Visti l'atto di costituzione di Ferrari Filippo ed altro, nonche'
l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  22  febbraio  2000 il giudice
relatore Riccardo Chieppa.
    Uditi  l'avvocato  Franco  Vigotti per Ferrari Filippo ed altro e
l'avvocato dello Stato Sergio Laporta per il Presidente del Consiglio
dei Ministri.
                          Ritenuto in fatto
    1.  - Nel corso di un giudizio di opposizione a stima instaurato,
con  citazione  del  6  ottobre 1993 (con richiesta di determinazione
dell'indennita'  in  Lire 105.250.021), da proprietari di un terreno,
sito  nel comune di Genova Pegli, espropriato in favore del comune di
Genova,  la  Corte  d'appello  di Genova ha sollevato, in riferimento
agli  artt. 3,  primo comma, 24, primo comma, 113, primo comma, e 42,
terzo   comma,   della   Costituzione,   questione   di  legittimita'
costituzionale  dell'art. 5-bis, comma 1, del decreto-legge 11 luglio
1992,  n. 333  (Misure  urgenti  per  il  risanamento  della  finanza
pubblica),  convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992,
n. 359,  nella  parte  in  cui  non dispone la inapplicabilita' della
riduzione  del  40%  dell'indennita'  di  esproprio  nel caso in cui,
all'esito  del  giudizio  di  opposizione  alla  stima,  l'indennita'
offerta  dall'espropriante  risulti  inferiore  a  quella che avrebbe
dovuto essere offerta alla medesima data, in applicazione dei criteri
di  determinazione  di  cui alla prima parte dello stesso primo comma
del citato art. 5-bis.
    Il  giudice  rimettente,  premesso in fatto che in data 15 luglio
1993 l'espropriante aveva offerto ai proprietari una indennita' (Lire
49.415.600),  pacificamente  riconosciuta  dalle parti inferiore alla
semisomma  del  valore  venale  del  bene  e  del  reddito dominicale
rivalutato,  quale  calcolata  dal  c.t.u.  (in Lire 74.946.817), con
riferimento  alla  data  del 2 marzo 1986, dallo stesso aggiornata in
Lire  68.918.292 al 30 giugno 1994 ed, infine in Lire 70.740.377 alla
data  dell'esproprio  (10  aprile  1996) ed aderendo ai rilievi della
parte  attrice, ha ritenuto non manifestamente infondata la questione
di legittimita' costituzionale della norma anzidetta.
    Rileva,  il  giudice  rimettente,  la  sussistenza  di un diritto
soggettivo  dell'espropriando  ad ottenere la cessione volontaria del
bene  alle  condizioni stabilite dalla legge e, cioe', per un importo
pari  alla  media del valore venale del bene e del reddito dominicale
(come stabilito, peraltro, dallo stesso art. 5-bis).
    Il  predetto  art. 5-bis del d.l. n. 333 del 1992, nella parte in
cui  stabilisce,  al  primo  comma, la riduzione del 40% dell'importo
dovuto  senza considerare l'ipotesi in cui la cessione volontaria non
sia  stata convenuta per fatto e colpa ascrivibili a soggetti diversi
dall'espropriando,  si  porrebbe  in contrasto con gli artt. 3, primo
comma,  24,  primo  comma, 113, primo comma, e 42, terzo comma, della
Costituzione, per i seguenti rilievi:
        in  quanto  tale disposizione sottoporrebbe irragionevolmente
alla  medesima  disciplina,  riduttiva di vantaggi economici, sia chi
non  abbia  accettato  di  stipulare  la  cessione  volontaria pur in
presenza  di  una  offerta  legittimamente computata, sia chi non sia
stato   posto  in  condizione  di  stipularla  per  un  comportamento
illegittimo    della   controparte   (anche   se   dipendente   dalle
determinazioni   della   Commissione  provinciale),  con  conseguente
vulnus  ll'art. 3, primo comma, della Costituzione;
        in quanto la previsione della riduzione del 40% finirebbe per
menomare   eccessivamente  il  diritto  di  difesa,  sottoponendo  ad
ingiustificati  rischi chi agisce in giudizio per tutelare il proprio
diritto  violato  alla  conclusione  di  una cessione volontaria alle
condizioni di legge.
        in  quanto  il  soggetto  espropriato si vedrebbe costretto a
rinunziare  al  giusto  indennizzo,  con  conseguente  contrasto  con
l'art. 42, terzo comma, della Costituzione.
    Sottolinea,  in  particolare, il giudice a quo la rilevanza della
questione   nella   considerazione   che   l'opponente  nel  giudizio
instaurato  intende  ottenere la somma che gli sarebbe spettata se il
suo  diritto  alla cessione volontaria alle condizioni di legge fosse
stato rispettato.
    2.  -  Nel  giudizio innanzi alla Corte si e' costituita la parte
privata,   concludendo   per   la   declaratoria   di  illegittimita'
costituzionale della norma impugnata.
    3.  -  Nel  giudizio  e', altresi', intervenuto il Presidente del
Consiglio  dei  Ministri  con  il patrocinio dell'Avvocatura generale
dello  Stato, che ha concluso per la inammissibilita' della questione
sollevata  al  dichiarato  fine di una pronunzia additiva, senza che,
peraltro, ne ricorrano i presupposti o, comunque, per la infondatezza
della stessa.
    4. - Nell'imminenza della data fissata per l'udienza pubblica, la
parte  privata  ha  depositato una memoria, con la quale ribadisce le
proprie   conclusioni  in  ordine  alla  illegittimita'  della  norma
denunciata:  ed  in particolare, sottolinea come la nozione di valore
venale  sia  stata al centro della normativa sulla liquidazione della
indennita'  di esproprio sin dalla legge fondamentale del 1865, oltre
che  di  una  vasta e puntuale elaborazione giurisprudenziale, che ha
consentito  di  conferire  una obiettivita' assoluta e tutt'altro che
soggettiva - come sostenuto dall'Avvocatura generale dello Stato - al
concetto di valore venale del bene espropriato.
    Precisa,    altresi',    che    il    principio    generale    di
autoresponsabilita'  non  puo' far gravare su un soggetto diverso gli
effetti di errori di stima nella valutazione del bene.
    Conclude,  infine, assumendo che solo un eventuale intervento del
legislatore  potrebbe introdurre - come prospettato dall'Avvocatura -
un  "margine  di tolleranza" nella valutazione della congruita' della
indennita' offerta.
    5. - L'Avvocatura generale dello Stato ha presentato una memoria,
con  la quale ha ribadito le conclusioni gia' rassegnate, insistendo,
altresi',  sull'assoluta  parita'  di  posizione  delle  parti  nella
cessione  volontaria,  il  cui  elemento centrale deve ravvisarsi nel
"consenso   delle  parti  sul  prezzo",  prospettando,  altresi',  la
possibilita'   per   la   parte   esproprianda   di   formulare   una
contro-proposta di cessione per un prezzo ritenuto piu' congruo.
    Sottolinea,    infine,   che   la   indicazione   dell'indennita'
provvisoria  di  esproprio  (secondo il sistema scaturito dalla legge
n. 865 del 1971) viene effettuata da organo regionale e non dall'ente
espropriante.

                       Considerato in diritto

    1.  -  La questione di legittimita' costituzionale, sottoposta in
via incidentale all'esame della Corte, riguarda l'art. 5-bis comma 1,
del  decreto-legge  11  luglio  1992,  n. 333  (Misure urgenti per il
risanamento  della  finanza pubblica), convertito, con modificazioni,
nella  legge 8 agosto 1992, n. 359, sotto il profilo della violazione
dell'art. 3, primo comma, della Costituzione, in quanto sottoporrebbe
irragionevolmente   alla   medesima  disciplina  sia  chi  non  abbia
accettato di stipulare la cessione volontaria, pur in presenza di una
offerta  legittimamente  computata,  sia  chi  non sia stato posto in
condizione  di  stipularla  per  un  comportamento  illegittimo della
controparte;  viene  inoltre denunciata la violazione degli artt. 24,
primo  comma,  e  113,  primo comma, della Costituzione, in quanto la
riduzione  del  40%  menomerebbe eccessivamente il diritto di difesa,
sottoponendo  ad  ingiustificati  rischi  chi  agisce in giudizio per
tutelare un proprio diritto, nonche' dell'art. 42, terzo comma, della
Costituzione,  in  quanto il soggetto espropriato sarebbe costretto a
rinunziare al giusto indennizzo.
    2.  -  Preliminarmente  deve  essere  esaminata  la  eccezione di
inammissibilita'  sollevata  dalla  Avvocatura  generale  dello Stato
sotto  il  profilo  che  si  tratterebbe  di  richiesta  di pronuncia
additiva,  della quale non sarebbe agevole individuare i presupposti,
poiche'  la  seconda  parte  del primo comma dell'art. 5-bis dovrebbe
essere  manipolata  con  l'introduzione  di  un margine di tolleranza
nella  stima  o  con la specificazione dell'entita' degli scostamenti
significativi    nella    stima,    operazione    rientrante    nella
discrezionalita' del legislatore.
    La  eccezione  non  puo'  essere  accolta, in quanto il sindacato
sulla  legittimita'  costituzionale di una disposizione normativa non
puo'  essere  escluso  per  il  semplice  fatto che una sua eventuale
caducazione   totale   o   parziale  esiga  un  ulteriore  intervento
legislativo. In ogni caso, in materia di indennita' di espropriazione
-  a  prescindere  dalla  considerazione  che  non  si produrrebbe un
effetto   paralizzante   di   una  funzione  essenziale  prevista  in
Costituzione - l'interprete ed il giudice potrebbero sempre avvalersi
di una serie di principi per la determinazione del giusto indennizzo,
anche in carenza di un intervento legislativo.
    3. - La questione di legittimita' costituzionale e' infondata.
    In  realta'  l'art. 5-bis  - sia pure in via temporanea fino alla
emanazione di una (sempre auspicata) organica disciplina per tutte le
espropriazioni  per  opere  ed  interventi  pubblici  o  di  pubblica
utilita'  - detta una disciplina generale per la determinazione della
indennita' di espropriazione per le aree edificabili, recependo - con
una  correzione - il sistema (a suo tempo introdotto con la legge sul
risanamento  della  citta'  di  Napoli)  della media di due valori (o
semisomma), desunti l'uno dal "valore venale" e l'altro dal "reddito"
moltiplicato   per  dieci.  Il  sistema  e'  stato  corretto  con  la
eliminazione  del  criterio  del "reddito", previsto prioritariamente
dalla legge 15 gennaio 1885, n. 2892, rapportato ai "fitti coacervati
dell'ultimo  decennio",  che  e'  stato  sostituito con il criterio -
contemplato  in  via  sussidiaria  dalla  predetta  legge  del 1885 -
agganciato   (sempre   con   il   rapporto   moltiplicato  di  dieci)
all'imponibile tributario agli effetti delle imposte sui terreni, con
un   ulteriore  correttivo  (di  aggiornamento),  apportato  mediante
l'espresso  riferimento  al reddito dominicale rivalutato di cui agli
articoli  24  e  seguenti  del testo unico delle imposte sui redditi,
approvato  con  d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, e con l'applicazione
di una riduzione del 40% dell'importo cosi' risultante.
    In  realta', l'indennita' di esproprio per le aree edificabili in
via  normale  e'  pari al 60% della media (semisomma) dei due valori:
valore  venale  e valore di redditivita', pari al decuplo del reddito
(coacervo  per  10  anni)  considerato  ai fini tributari (art. 5-bis
comma  1).  La  illegittimita'  costituzionale  di tale meccanismo e'
stata  ripetutamente  esclusa  in riferimento agli artt. 3, 42, terzo
comma,  47  e  53  della  Costituzione, dalla Corte con riguardo alla
legge 15 gennaio 1885, n. 2892 (art. 13, terzo comma) con le sentenze
n. 5  del  1960 e n. 216 del 1990 (v. anche sentenza n. 15 del 1976).
La stessa soluzione e' stata data con riferimento all'attuale sistema
comportante  la  riduzione  del  40%, pervenendosi all'esclusione dei
vizi  denunciati sotto i medesimi profili all'odierno esame (sentenze
nn. 283  e  442 del 1993; ordinanza n. 414 del 1993; arg. ex sentenze
nn. 369 del 1996 e 148 del 1999).
    Rispetto  a  tale indirizzo non sono stati dedotti nuovi elementi
che   possano   condurre  a  differente  soluzione  sul  piano  della
legittimita' costituzionale.
    4. - Il comma 2 dell'anzidetto art. 5-bis disciplina, invece, una
ipotesi sostanzialmente diversa, diretta a ridurre il contenzioso e a
facilitare  una  via  transattiva  di  cessione volontaria delle aree
edificabili   espropriate,   consentendosi,   "in   ogni   fase   del
procedimento  espropriativo",  la  cessione  volontaria per un prezzo
commisurato alla indennita' di esproprio calcolata ai sensi del comma
1, senza tuttavia l'applicazione della riduzione del 40%.
    In   altri   termini   il   legislatore,  nella  valutazione  che
l'indennita' di espropriazione cosi' ragguagliata a valore venale e a
calcolo   di   media  aritmetica  con  un  altro  addendo,  sia  pure
determinato  per  relationem, possa essere oggetto di contestazione e
del   ricorso   alla   giurisdizione,  ha  ritenuto  di  offrire  una
maggiorazione nel caso si addivenga alla cessione volontaria.
    Tale  cessione  assume  - quale che sia il carattere, negoziale o
meno, sia privatistico o pubblicistico, dello strumento adoperato dal
legislatore,  funzione  transattiva  e  definitoria  di  ogni pretesa
dell'espropriando,  sia rispetto al trasferimento (non piu' coattivo)
del  bene,  sia  rispetto  al  quantum  patrimoniale,  trasformato da
indennita' in prezzo o corrispettivo.
    Pertanto  il  legislatore  ha  voluto garantire un importo per la
cessione  volontaria  (corrispondente  a  prezzo)  maggiore (senza la
riduzione del 40%), rispetto alla indennita' di espropriazione, cosi'
pervenendo  al  100%  (anziche'  60%)  della  media  sopraspecificata
(modello  legge di risanamento della citta' di Napoli, con correzione
del  solo  parametro  dei  fitti coacervati in quello del decuplo del
reddito dominicale rivalutato).
    Del  resto,  tale via e' stata piu' volte utilizzata e collaudata
dal legislatore per facilitare, in alternativa al proseguimento della
procedura  di  determinazione dell'indennita', l'accordo tra la parte
pubblica  e il privato espropriando attraverso la cessione volontaria
(con  maggiorazione  del  prezzo  fino al 50%: art. 12 della legge 22
ottobre  1971,  n. 865;  art. 1,  terzo  comma, della legge 29 luglio
1980, n. 385; art. 7, comma 2, della legge 15 dicembre 1990, n. 396),
o  a  mezzo  dell'accettazione  della  indennita' offerta o della sua
pattuizione,  ad  esempio prevedendo pagamenti diretti semplificati e
tempestivi (art. 30 della legge 25 giugno 1865, n. 2359).
    E' evidente pertanto che la previsione di scelta tra la procedura
di  determinazione  della indennita' di esproprio, accompagnata da un
adeguato  sistema  di  tutela  giurisdizionale  che  si  estende alla
valutazione  in  concreto dei valori da mediare, e la via sostitutiva
della  cessione  volontaria,  con  i relativi vantaggi economici, non
puo'  comportare  alcuna  lesione  dei  principi  di eguaglianza e di
tutela  dei  diritti  e delle facolta' di agire avanti alle autorita'
giurisdizionali competenti da parte del soggetto espropriato. D'altro
canto,   la   soluzione   adottata   dal   legislatore   non  risulta
manifestamente irragionevole, tenuto conto della finalita' deflattiva
del contenzioso propria dell'incentivo.
    Deve,  di  conseguenza,  essere  esclusa la denunciata violazione
degli art. 3, 24, 113 e 42 della Costituzione.
    5.   -   Gli   eventuali   prospettati   abusi   delle  autorita'
amministrative  nella  determinazione  della  indennita' di esproprio
offerta  al  soggetto  espropriato, ovvero le non congrue valutazioni
nella  determinazione  della  indennita'  non  possono influire sulla
legittimita' costituzionale delle stesse norme, restando tali profili
estranei   al   presente  giudizio  di  costituzionalita',  limitato,
peraltro, al comma 1 dell'art. 5-bis.
    Del   resto,   le   esigenze   di  superare  alcune  anomalie  di
applicazione  della  norma denunciata o di malfunzionamento di organi
amministrativi  nei casi piu' manifesti hanno trovato, nella prassi e
nella  giurisprudenza,  una  pluralita'  di risposte, la cui concreta
praticabilita'  rientra  nelle  scelte  di tutela delle parti e nelle
esclusive   valutazioni   interpretative   dei  giudici  chiamati  ad
applicare le norme relative.