ha pronunciato la seguente


                              Sentenza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 25 del d.P.R.
22  settembre  1988,  n. 448  (Approvazione  delle  disposizioni  sul
processo  penale  a  carico  di imputati minorenni), promossi con due
ordinanze  emesse  il  18 marzo 1999 dal Tribunale per i minorenni di
Palermo,  con  ordinanza emessa il 13 aprile 1999 dal Tribunale per i
minorenni  di Venezia e con due ordinanze emesse il 2 dicembre 1999 e
il  17  febbraio  2000  dal  Tribunale  per  i  minorenni di Salerno,
iscritte  ai  nn. 418,  419  e  446  del registro ordinanze 1999 e ai
nn. 77  e 179 del registro ordinanze 2000 e pubblicate nella Gazzetta
Ufficiale  della  Repubblica  nn. 36  e  37,  prima  serie  speciale,
dell'anno 1999 e nn. 10 e 17, prima serie speciale, dell'anno 2000.
    Visto  l'atto di costituzione dell'imputato nel giudizio relativo
alla  questione  sollevata  con  ordinanza  iscritta  al  n. 446  del
registro  ordinanze  del  1999,  nonche'  gli  atti di intervento del
Presidente del consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  23  maggio  2000  il  giudice
relatore Guido Neppi Modona;
    uditi  l'avvocato  Piero  Longo per la parte privata costituita e
l'Avvocato dello Stato Giuseppe Stipo per il Presidente del consiglio
dei ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1. - Con ordinanza del 13 aprile 1999 (n. 446 del r.o. del 1999),
il  Tribunale  per  i  minorenni di Venezia, richiesto dalle parti di
applicare  la  pena  concordata  ex  art. 444 del codice di procedura
penale,  a  seguito  di  eccezione prospettata in via subordinata dal
pubblico  ministero  e  dalla  difesa,  ha  sollevato, in riferimento
all'art. 3   della   Costituzione,   questione  di  costituzionalita'
dell'art. 25 del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle
disposizione  sul  processo  penale  a carico di imputati minorenni),
"nella  parte  in  cui esclude l'applicabilita' alla procedura penale
minorile delle disposizioni di cui al titolo II del libro VI del cod.
proc.  pen. ordinario  (artt. da  444  a  448 c.p.p.) nel caso in cui
l'imputato  sia  divenuto  maggiorenne e non possa godere degli altri
benefici previsti nella procedura penale minorile".
    Osserva  in  punto  di  rilevanza  il  Tribunale  che l'imputato,
divenuto maggiorenne nel corso del procedimento, ha precedenti penali
che  non gli consentono di ottenere la sospensione condizionale della
pena  ne'  il perdono giudiziale, per cui ha interesse ad accedere al
patteggiamento.
    Quanto  alla non manifesta infondatezza, il rimettente rileva, in
primo  luogo,  che  il raggiungimento della maggiore eta' esclude che
l'imputato  non  possieda  una  adeguata  capacita'  di valutazione e
decisione circa le prospettive che derivano dall'adesione al rito del
patteggiamento;  inoltre, che l'adozione del rito da un lato consente
al giudice di valutare la congruita' della pena richiesta dalle parti
e  la  sussistenza  di cause di immediato proscioglimento ex art. 129
cod.  proc.  pen.,  dall'altro e' in linea con il perseguimento della
massima celerita' nei procedimenti penali minorili sottolineata dalle
cosi'  dette  regole  di Pechino (Regole minime per l'amministrazione
della    giustizia    minorile,    Risoluzione    40/33),   approvate
dall'Assemblea  generale delle Nazioni Unite il 29 novembre del 1985,
e  dalla  Raccomandazione  n. (87)20  del  Comitato  dei Ministri del
Consiglio  d'Europa  del  17  settembre 1987. Al contrario, una volta
preclusa l'adozione delle misure speciali riservate al rito minorile,
non potrebbe ritenersi ragionevole la scelta del legislatore che nega
all'imputato,   divenuto   maggiorenne,  di  godere  del  trattamento
previsto  dall'istituto  di cui all'art. 444 cod. proc. pen., tale da
favorire anche il suo reinserimento sociale.
    Ne  consegue,  secondo  il rimettente, che una simile preclusione
normativa  viola il principio di eguaglianza di cui all'art. 3 Cost.,
stante  il  diverso, ingiustificato e deteriore trattamento, rispetto
al  normale  imputato, riservato al soggetto divenuto maggiorenne che
abbia commesso il reato durante la minore eta'.
    1.1.  -  Nel  giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio
dei  Ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,  che  ha concluso per la infondatezza della questione, in base
al  rilievo  che, seppure sotto diversa angolazione, il giudice a quo
ripropone in sostanza la medesima questione gia' dichiarata infondata
con la sentenza della Corte costituzionale n. 135 del 1995.
    1.2.  -  Si e' costituito l'imputato del giudizio a quo chiedendo
la   declaratoria   di   illegittimita'  costituzionale  della  norma
impugnata.
    Secondo  la  parte  privata,  le  motivazioni  con  cui  la Corte
costituzionale  nella  sentenza n. 135 del 1995 ha ritenuto legittimo
il  divieto  legislativo  di ricorrere all'istituto dell'applicazione
della  pena  su  richiesta  delle parti nel procedimento minorile non
possono  essere  riferite  alla  situazione  dedotta  con la presente
questione.  La  Corte  aveva  allora  rilevato,  richiamando anche le
caratteristiche di accentuata negozialita' del rito messe in evidenza
dalla  sentenza  n. 265  del  1994,  che la richiesta di applicazione
della  pena  postula una maturita' e capacita' di valutazione che non
possono  ritenersi  sussistenti  in un soggetto minore di eta', e che
l'accesso al rito speciale precluderebbe all'imputato di usufruire di
quelle  misure proprie del processo penale minorile (quali il perdono
giudiziale,  la  sospensione  del processo e messa alla prova, il non
luogo   a  procedere  per  irrilevanza  del  fatto),  che  rispondono
all'esigenza  primaria  del  recupero  del  minore  e  di  una rapida
fuoriuscita dal processo.
    Queste   considerazioni,  ad  avviso  della  parte  privata,  non
valgono,  pero',  quando  l'imputato  sia divenuto maggiorenne, e non
possa, a causa dei suoi precedenti penali e delle caratteristiche del
reato  contestato,  usufruire  di  alcuno degli specifici istituti di
favore previsti dal processo minorile. Tale situazione determinerebbe
una evidente disparita' di trattamento rispetto alla condizione degli
imputati  giudicati  con  le  forme  del processo ordinario, priva di
qualsiasi giustificazione, in quanto non collegata ad alcun beneficio
per il soggetto discriminato.
    La  parte  privata  rileva inoltre che la preclusione del decreto
penale  di condanna, anch'esso non applicabile nel processo minorile,
trova  un  correttivo  nell'art. 32,  comma  2, del d.P.R. n. 448 del
1988,  che  consente  al giudice dell'udienza preliminare, in caso di
condanna  a  pena  pecuniaria o a sanzione sostitutiva, di ridurre la
pena  sino  alla  meta'  rispetto  al  minimo  edittale,  sicche'  la
preclusione  non  si  risolve in un danno per il minore. In relazione
all'istituto  del  patteggiamento,  invece,  non  e'  previsto  alcun
correttivo  grazie  al  quale  il  minore possa conseguire in caso di
condanna,  al  termine del processo, la riduzione di pena prevista da
tale  rito.  Anche  sotto il profilo del confronto con l'istituto del
decreto  penale  di  condanna,  l'imputato  minorenne  nel  frattempo
divenuto maggiorenne e che non si trovi nelle condizioni di usufruire
degli  altri  istituti  di  favore  previsti  dalla  procedura penale
minorile, subisce quindi un ingiustificato trattamento deteriore, con
conseguente violazione dell'art. 3 della Costituzione.
    2.  -  Con  due  ordinanze  emesse entrambe il 18 marzo 1999 e di
identico  contenuto  (nn. 418  e 419 del r.o. del 1999), il Tribunale
per  i  minorenni  di  Palermo,  richiesto  dall'imputato  di "essere
ammesso  ai benefici previsti dagli artt. 444 e s. c.p.p.", a seguito
di  contestuale  eccezione  della  difesa,  cui  aderiva  il pubblico
ministero   di   udienza,  ha  sollevato  la  medesima  questione  di
costituzionalita',   sulla  base  di  argomentazioni  sostanzialmente
analoghe a quelle del Tribunale per i minorenni di Venezia.
    In  particolare,  il  Tribunale  di  Palermo  osserva  che con la
sentenza  n. 135  del  1995  la Corte costituzionale aveva dichiarato
infondata  la questione di costituzionalita' della non applicabilita'
del patteggiamento al processo minorile avendo rilevato, tra l'altro,
che  questa  scelta trovava giustificazione nel fatto che il processo
minorile   era  caratterizzato  da  altre  misure  tipiche  (perdono,
sospensione  del processo per messa alla prova, sentenza di non luogo
a  procedere  per  irrilevanza  del  fatto,  un  piu' ampio ambito di
operativita'   delle   sanzioni  sostitutive),  tutte  caratterizzate
dall'esigenza   del   recupero   del   minore,  rispetto  alle  quali
l'ammissione  al  patteggiamento avrebbe potuto determinare risultati
incoerenti.
    Il  giudice  a  quo  osserva, pero', che nel caso di specie da un
lato  l'imputato  ha raggiunto nel corso del procedimento la maggiore
eta',  e,  dall'altro,  non  puo'  beneficiare  dei predetti istituti
tipici del processo minorile, tenuto conto, tra l'altro, dei numerosi
procedimenti  penali  pendenti e di una condanna passata in giudicato
alla pena di tre anni di reclusione e lire 1.000.000 di multa.
    A fronte di tale situazione, secondo il Tribunale, la preclusione
legislativa  al patteggiamento non puo' ritenersi giustificata ne' in
base  alla  considerazione  della mancanza nell'imputato minorenne di
"una  capacita'  di  valutazione  e di decisione che richiedono piena
maturita'  e  consapevolezza di scelta" (come si esprime la relazione
al  progetto  preliminare),  posto  che  l'imputato  e' nel frattempo
divenuto  maggiorenne,  ne' in base al fatto che il processo minorile
e'  connotato  dalla  previsione  di  altre misure di favore tipiche,
poiche' a queste l'imputato non puo', in concreto, accedere.
    2.1.  -  Nel  giudizio relativo alla ordinanza n. 418 del 1999 e'
intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e
difeso  dall'Avvocatura  generale dello Stato, che ha concluso per la
infondatezza della questione, in quanto gia' dichiarata infondata con
la sentenza della Corte costituzionale n. 135 del 1995.
    3.  -  Infine,  con  due  ordinanze  di contenuto analogo, emesse
rispettivamente  il 2 dicembre 1999 (n. 77 del r.o. del 2000) e il 17
febbraio  2000  (n. 179  del  r.o.  del  2000),  il  Tribunale  per i
minorenni  di Salerno - richiesto dagli imputati di applicare la pena
concordata  ex  art. 444  cod.  proc.  pen. -  a seguito di eccezione
prospettata   in   via  subordinata  dalle  parti  ha  sollevato,  in
riferimento  all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimita'
costituzionale  dell'art. 25  del d.P.R. n. 448 del 1988, nella parte
in  cui  esclude  l'applicabilita'  del  patteggiamento  all'imputato
divenuto maggiorenne nelle more del giudizio.
    In particolare, il giudice rimettente osserva che l'imputato, una
volta  divenuto  maggiorenne  successivamente  al  fatto, possiede la
necessaria  maturita'  per effettuare l'opzione del rito speciale del
patteggiamento,  sicche'  l'assoluta preclusione dettata dall'art. 25
del  d.P.R.  n. 448  del 1988 determina un ingiustificato trattamento
deteriore  rispetto agli imputati maggiorenni, rimanendo il minorenne
privato  della possibilita' di usufruire degli effetti favorevoli del
patteggiamento,  quali  l'immediata definizione del procedimento e la
pronuncia  di  una sentenza che non contiene una espressa statuizione
di responsabilita'.
    3.1. - Nel giudizio relativo alla ordinanza iscritta al n. 77 del
r.o.  del  2000  e'  intervenuto  il  Presidente  del  Consiglio  dei
Ministri,  come sopra rappresentato e difeso. Anche con riferimento a
questa ultima questione, l'Avvocatura generale ha concluso per la sua
infondatezza,  rilevando  che  gli  istituti  di  particolare  favore
previsti   dal   processo   penale   minorile   (perdono  giudiziale,
sospensione  del processo e messa alla prova, sentenza di non luogo a
procedere  per irrilevanza del fatto), applicabili anche all'imputato
maggiorenne   al   momento  della  celebrazione  del  processo,  sono
alternativi  all'istituto  del patteggiamento, sicche' restano valide
le  ragioni  che  avevano condotto la Corte a dichiarare non fondata,
con la sentenza n. 135 del 1995, questione analoga.
    3.2.  -  Con  memoria  depositata  il  3 maggio 2000 l'Avvocatura
insiste   nella   richiesta  di  una  declaratoria  di  infondatezza,
rilevando,  con  riferimento alle censure sollevate anche dagli altri
rimettenti,  che  le  circostanze  che  il  minore abbia raggiunto la
maggiore eta' e abbia riportato precedenti condanne non costituiscono
elementi  di  novita'  tali  da suggerire alla Corte di modificare il
giudizio  gia' espresso sulla stessa questione con la sentenza n. 135
del 1995.
    A  parere  dell'avvocatura,  l'immaturita' del minore al cospetto
della  scelta  di  chiedere  l'applicazione della pena non e' che una
delle  ragioni  che  hanno determinato il legislatore alla previsione
del  primo  comma  dell'art. 25  del  d.P.R. n. 448 del 1988, essendo
questa  disposizione  volta  altresi' a tutelare la esigenza primaria
del  recupero  del minore, che e' assicurata dagli istituti di favore
tipici  del  processo  minorile,  incompatibili  con  l'istituto  del
patteggiamento  e  che sarebbero percio' preclusi se si ammettesse il
minore, ancorche' divenuto maggiorenne, a optare per la "condanna" ad
una pena, sia pure patteggiata.
    L'Avvocatura  rileva  poi  che  l'esistenza  di precedenti penali
dell'imputato   minorenne   costituisce  impedimento  solamente  alla
concessione  del perdono giudiziale (in virtu' del combinato disposto
degli   artt. 169,  comma  1,  e  164  n. 1  cod.  pen.),  ma  lascia
"sostanzialmente integra la speciale struttura del processo minorile,
ossia  quella  specialita'  che  la  norma [...] denunciata ha voluto
preservare".
    In   conclusione,   a  parere  dell'Avvocatura  l'esclusione  del
patteggiamento  anche per gli imputati divenuti maggiorenni nel corso
del  processo  "si giustifica ed appare ragionevole in funzione della
diversita'  strutturale  -  e  dei  principi  ispiratori  -  dei  due
processi: quello minorile e quello ordinario".

                       Considerato in diritto


    1.  -  La  questione di legittimita' costituzionale sottoposta al
giudizio   di   questa  Corte,  sollevata  con  cinque  ordinanze  di
rimessione  emesse  da  diversi  tribunali  per  i  minorenni, ha per
oggetto  l'art. 25  del  d.P.R.  n. 448  del 1988, nella parte in cui
esclude  l'operativita'  nel  processo  penale minorile dell'istituto
dell'applicazione  della  pena  su richiesta delle parti anche quando
l'imputato sia divenuto maggiorenne nelle more del giudizio.
    In  particolare, tre ordinanze di rimessione (r.o. nn. 418, 419 e
446  del  1999)  si riferiscono alla specifica situazione di fatto di
imputati  che,  oltre  ad  essere  divenuti maggiorenni nel corso del
giudizio,  a causa dei precedenti giudiziari non potrebbero usufruire
degli  speciali  istituti  di  favore per i minorenni previsti tra le
forme di definizione anticipata del procedimento minorile.
    Con  argomentazioni  sostanzialmente  analoghe, tutti i tribunali
rimettenti  censurano, con riferimento all'art. 3 della Costituzione,
l'irragionevolezza   della   scelta  del  legislatore  di  precludere
l'accesso  all'istituto del patteggiamento all'imputato minorenne che
abbia  raggiunto  nelle more del giudizio la maggiore eta' e, quindi,
la maturita' e capacita' di valutazione e di decisione in ordine alla
scelta  del rito, e denunciano l'ingiustificato trattamento deteriore
riservato all'imputato minorenne rispetto all'imputato maggiorenne al
momento del fatto, in quanto il primo, anche se divenuto maggiorenne,
non potrebbe mai avere accesso al patteggiamento.
    Poiche'  tutte  le  ordinanze  sollevano identica questione, deve
essere disposta la riunione dei relativi giudizi.
    2. - La questione non e' fondata.
    3.  -  Stando all'impostazione delle ordinanze di rimessione e ai
rilievi svolti dalla parte privata costituita in giudizio, l'istituto
dell'applicazione  della pena su richiesta delle parti configurerebbe
una  misura  di  particolare  favore, la cui preclusione nel processo
minorile  anche  nei  confronti  degli  imputati  che  siano divenuti
maggiorenni nel corso del giudizio determinerebbe un ingiustificato e
irragionevole  trattamento deteriore, censurabile a norma dell'art. 3
Cost.
    Va  al  riguardo  osservato  che  il  c.d.  patteggiamento non e'
sorretto  dalla  finalita' di concedere un beneficio all'imputato, ma
e' piuttosto uno strumento, basato su un accordo tra accusa e difesa,
volto  a conseguire obiettivi di rapidita' e di economia processuale:
da  un  lato  l'imputato concorda con il pubblico ministero la misura
della pena, diminuita sino ad un terzo, ed ottiene altre agevolazioni
premiali;  dall'altro  l'amministrazione  della giustizia consegue il
vantaggio  di  definire  il  procedimento in tempi brevi, evitando la
fase  del  dibattimento. Si tratta quindi di un procedimento speciale
che  comunque  si  conclude  con  una  sentenza,  equiparata  ad  una
pronuncia   di  condanna,  che  irroga  una  pena,  anche  detentiva,
all'imputato,  la  cui  disciplina  e  il  cui ambito di applicazione
rientrano  nella  sfera della discrezionalita' del legislatore, sulla
base di valutazioni dettate soprattutto da esigenze di deflazione del
carico giudiziario e di speditezza processuale.
    La   scelta  del  legislatore  di  escludere  espressamente  tale
istituto  (e  il  decreto  penale  di  condanna) dalle varie forme di
definizione  anticipata  del  procedimento  previste dal Capo III del
d.P.R.   n. 448   del   1988   corrisponde  quindi  ad  un  ponderato
bilanciamento  tra le esigenze di economia processuale, che avrebbero
consigliato   di   ammettere  forme  di  "patteggiamento"  anche  nel
procedimento  a  carico  di imputati minorenni, e le peculiarita' del
modello  di  giustizia  minorile  adottato dall'ordinamento italiano,
sorretto  dalla  prevalente  finalita' di recupero del minorenne e di
tutela    della    sua    personalita',    nonche'    da    obiettivi
pedagogico-rieducativi piuttosto che retributivo-punitivi, richiamati
dal preambolo dell'art. 3 della legge-delega 16 febbraio 1987, n. 81,
e  dagli  artt. 1 e 9 del d.P.R. n. 448 del 1988 (cfr. in tale senso,
tra  le  tante,  sentenze  n. 433  del  1997, nn. 135 e 125 del 1995,
n. 125 del 1992, n. 206 del 1987, n. 122 del 1983).
    In  questa  ponderazione,  piu' che nella ratio della mancanza di
maturita'  e  di  capacita'  di valutazione del minore in ordine alla
scelta  del  rito,  adombrata nella relazione al progetto preliminare
delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni
e  richiamata dai giudici rimettenti e dalla parte privata a sostegno
della  illegittimita' costituzionale della norma censurata in caso di
raggiungimento  della  maggiore  eta', va dunque ricercata la ragione
giustificatrice della soluzione adottata dal legislatore, nella quale
non  e'  dato  riscontrare la violazione del parametro costituzionale
evocato.
    Al  riguardo,  giova  precisare  che  la  ratio della mancanza di
maturita' e di capacita' di scelta del minorenne non e' stata posta a
fondamento  della  sentenza n. 135 del 1995, dalla quale i rimettenti
traggono spunti a sostegno della fondatezza della specifica questione
ora  prospettata  con riferimento agli imputati divenuti maggiorenni:
nel   dichiarare   infondata   analoga   questione   di  legittimita'
costituzionale,  allora relativa ad un imputato minorenne nel momento
in cui aveva presentato richiesta di applicazione della pena e basata
sulla  asserita  irragionevole  disparita'  di  trattamento  rispetto
all'istituto  del giudizio abbreviato, ammesso invece tra le forme di
definizione  anticipata del procedimento minorile, la citata sentenza
ha,  per  quanto  qui  interessa, escluso profili di irragionevolezza
della   disciplina  censurata  richiamandosi  alla  specificita'  del
processo  penale  minorile, caratterizzato dall'esigenza primaria del
recupero del minore.
    Cosi'  come configurato dagli artt. 444 e segg. cod. proc. pen. -
mediante una disciplina che consente di presentare al giudice la mera
documentazione   cartolare  dell'accordo  raggiunto  tra  imputato  e
pubblico  ministero, e attribuisce al giudice stesso, previa verifica
della  insussistenza  di  cause  di  non punibilita' ex art. 129 cod.
proc.   pen.,   un   controllo   limitato   alla   correttezza  della
qualificazione giuridica del fatto e alla congruita' della pena, solo
eventualmente  integrato  dalla  verifica  della  volontarieta' della
richiesta  o  del  consenso  manifestato dall'imputato, affidata alla
discrezionalita'  del  giudice  -  l'istituto dell'applicazione della
pena  su  richiesta  delle  parti  non puo' quindi essere posto sullo
stesso  piano  delle  misure  di  favore  specificamente previste nel
procedimento  penale  a carico di imputati minorenni, sicche' risulta
ulteriormente   confermata   l'assenza   dei  denunciati  profili  di
irragionevolezza  e di ingiustificata disparita' di trattamento anche
in  relazione  alla  posizione dell'imputato divenuto maggiorenne nel
corso del giudizio.
    Tale  conclusione  non  implica, evidentemente, una pregiudiziale
incompatibilita'  tra  istituti  che si richiamino alla struttura del
"patteggiamento" e procedimento minorile, ben potendo il legislatore,
nell'ambito  della  sua  discrezionalita', prevedere tra gli epiloghi
anticipati  del procedimento nei confronti dei minorenni una forma di
accordo sulla misura della pena adeguata ai principi e alle finalita'
che informano l'attuale sistema della giustizia penale minorile.
    4.  -  Nelle  considerazioni  sinora  svolte  rimane assorbito lo
specifico profilo relativo alla situazione del minorenne che, a causa
dei  precedenti  penali  o  dei  trascorsi  giudiziari, si troverebbe
nell'impossibilita'  di  usufruire dei particolari istituti di favore
previsti  dal  Capo  III  del d.P.R. n. 448 del 1988: al riguardo, si
deve  comunque  rilevare  che  i precedenti, penali o giudiziari, non
precludono  di  per  se' il ricorso, ove ne sussistano i presupposti,
alle  altre forme speciali di definizione anticipata del procedimento
minorile, salvo per quanto concerne il perdono giudiziale.