ha pronunciato la seguente


                              Sentenza

nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale  degli  articoli  410,
410-bis  e  412-bis  del codice di procedura civile, come modificati,
aggiunti  o  sostituiti  dagli  articoli  36,  37  e  39  del decreto
legislativo  31  marzo  1998, n. 80 (Nuove disposizioni in materia di
organizzazione   e   di  rapporti  di  lavoro  nelle  amministrazioni
pubbliche,  di  giurisdizione  nelle  controversie  di  lavoro  e  di
giurisdizione  amministrativa,  emanate  in  attuazione dell'art. 11,
comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), e dall'art. 19, comma 10,
del   decreto   legislativo   29   ottobre  1998,  n. 387  (Ulteriori
disposizioni  integrative  e  correttive  del  decreto  legislativo 3
febbraio  1993,  n. 29,  e  successive  modificazioni,  e del decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 80), promossi con ordinanze emesse il 7
luglio  1999  dal Tribunale di Parma, il 25 novembre 1998 dal pretore
di  Lecce, il 22 febbraio 1999 dal pretore di Brescia ed il 15 giugno
1999   dal  Tribunale  di  Campobasso,  rispettivamente  iscritte  ai
nn. 619,  108,  239  e  494  del registro ordinanze 1999 e pubblicate
nella  Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 45, 10, 18 e 39, prima
serie speciale, dell'anno 1999.
    Visti  l'atto di costituzione di Cattani Barbara nonche' gli atti
di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica del 9 maggio 2000 e nella camera di
consiglio del 10 maggio 2000 il giudice relatore Franco Bile;
    Uditi  l'avv.  Luciano  Petronio per Barbara Cattani e l'avvocato
dello  Stato  Giuseppe  Fiengo  per  il  Presidente del Consiglio dei
Ministri.

                          Ritenuto in fatto


    1.  -  Con  l'ordinanza n. 619 del 1999 il Tribunale di Parma, in
composizione monocratica ed in funzione di giudice del lavoro, adi'to
da  Barbara  Cattani contro la S.p.a. Metro Self Service all'ingrosso
di  Parma, per ottenerne la condanna al pagamento di somme in base ad
un  rapporto  di  lavoro  subordinato  -  premesso  che la resistente
costituendosi  aveva  eccepito  l'improcedibilita' della domanda, per
mancato    previo   esperimento   del   tentativo   obbligatorio   di
conciliazione,   e   che  la  ricorrente  aveva  replicato  deducendo
l'illegittimita'  costituzionale  delle  norme  ad esso relative - ha
ritenuto  rilevante  e  non  manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale degli articoli 410, 410-bis e 412-bis del
codice  di  procedura  civile, come modificati, aggiunti o sostituiti
dagli  articoli  36,  37  e 39 del decreto legislativo 31 marzo 1998,
n. 80  (Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti
di  lavoro  nelle  amministrazioni  pubbliche, di giurisdizione nelle
controversie  di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in
attuazione  dell'art. 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59),
e  dall'articolo  19,  comma  10,  del decreto legislativo 29 ottobre
1998,  n. 387  (Ulteriori  disposizioni  integrative e correttive del
decreto   legislativo   3   febbraio   1993,   n. 29,   e  successive
modificazioni,  e  del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80), per
contrasto   con   l'art. 76,  con  l'art. 24  e  con  l'art. 3  della
Costituzione.
    1.1.  -  L'art. 76  della  Costituzione sarebbe stato violato, in
quanto il legislatore delegato, nel rendere obbligatorio il tentativo
di conciliazione - in precedenza facoltativo - per le controversie di
lavoro ex art. 409 del codice di procedura civile, avrebbe ecceduto i
limiti  dell'art. 11,  comma 4, lettera g) della legge di delegazione
15  marzo  1997,  n. 59  (Delega  al  Governo  per il conferimento di
funzioni  e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della
Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa). La
formulazione di tale norma non recherebbe, infatti, alcuna traccia di
un'autorizzazione  a  prevedere  l'obbligatorieta'  del  tentativo di
conciliazione  e  pertanto  il  legislatore  delegato  avrebbe potuto
stabilire   solo  nuove  modalita'  dell'espletamento  del  tentativo
stesso,   ma  non  conferirgli  discrezionalmente  l'obbligatorieta',
creando   cosi'   una  nuova  ipotesi  di  cosiddetta  "giurisdizione
condizionata".     Infatti,     l'autorizzazione     all'introduzione
dell'obbligatorieta'  non  sarebbe  stata  desumibile dal riferimento
della  delega  alle  "misure  processuali  e organizzative ... atte a
prevenire  disfunzioni  dovute  al  sovraccarico del contenzioso" sia
perche'  le procedure di conciliazione e arbitrato stragiudiziali non
potrebbero ricomprendersi ne' fra le une ne' fra le altre misure, sia
perche'   le   due   enunciazioni   si   collocherebbero   "su  piani
differenziati"   sia  perche',  sul  piano  statistico,  non  sarebbe
dimostrato che le dette procedure siano veramente atte a prevenire il
sovraccarico del contenzioso e a svolgere effetti deflattivi.
    1.2. - Secondo il rimettente l'art. 24 della Costituzione sarebbe
violato,  in  quanto  l'esperienza  avrebbe  dimostrato che il filtro
della domanda giudiziale rappresentato dal tentativo di conciliazione
costituirebbe    un   ostacolo   inutile   allo   svolgimento   della
giurisdizione,   perche'   cosi'  com'e'  concepito  ritarderebbe  il
promovimento  dell'azione  e  farebbe  sorgere  questioni processuali
superflue  e  contrarie  alla finalita' perseguita (che il rimettente
esemplifica  facendo  riferimento  all'improcedibilita' della domanda
per  il  mancato  tentativo e all'estinzione del giudizio per mancata
riassunzione  nei  termini  stabiliti),  con  la  conseguenza  che il
condizionamento  all'azione  sarebbe  in  contrasto  con  il suddetto
parametro   costituzionale,  non  potendo  il  fine  di  favorire  la
risoluzione   stragiudiziale   delle  controversie,  giustificare  la
privazione  della possibilita' di esercizio dell'azione giudiziaria e
della immediatezza dei suoi effetti.
    1.3.  -  L'art. 3 della Costituzione sarebbe violato in quanto il
legislatore  delegato  non ha previsto che la richiesta del tentativo
di  conciliazione  debba contenere l'esposizione sommaria dei fatti e
delle  ragioni  poste  a  fondamento  della  pretesa,  come invece ha
disposto  il  terzo  comma dell'art. 69-bis del decreto legislativo 3
febbraio  1993,  n. 29  (Razionalizzazione  dell'organizzazione delle
amministrazioni  pubbliche e revisione della disciplina in materia di
pubblico  impiego)  -  nel  testo  modificato  dal d.lgs. n. 80 e dal
d.lgs.  n. 387  del 1998 - per l'analogo tentativo nelle controversie
relative  al  pubblico  impiego privatizzato. Non essendo in grado il
collegio  di conciliazione di conoscere gli estremi della domanda, il
tentativo   costituirebbe   un   adempimento   inutile  ed  una  pura
formalita',  "quasi  una  fictio  priva di qualsiasi ragionevolezza",
salvo   che   l'accordo  sia  stato  raggiunto  (ma  raramente,  come
l'esperienza  insegnerebbe)  anteriormente "nella tranquillita' degli
studi  legali".  Ne  deriverebbe  un inutile aggravio di spese per il
lavoratore,  "il  quale,  non  potendo fruire del patrocinio a carico
dello Stato (perche' non previsto nella fase stragiudiziale) potrebbe
essere  indotto  a rinunciare alla tutela giurisdizionale del proprio
diritto",  con  la  conseguenza  che  sarebbe  favorita la fuga dalla
giustizia  dei  non abbienti e, percio', vulnerati non solo l'art. 3,
ma anche - nuovamente - l'art. 24 della Costituzione.
    1.4.  -  Il  Presidente del Consiglio dei Ministri e' intervenuto
nel   giudizio,   sostenendo   che   la   questione  di  legittimita'
costituzionale sarebbe inammissibile e comunque infondata.
    La  parte privata Cattani si e' costituita, aderendo al contenuto
dell'ordinanza  di  rimessione,  ed  in  prossimita'  dell'udienza ha
depositato una memoria.

    2.  -  Con l'ordinanza n. 108 il pretore di Lecce, in funzione di
giudice del lavoro, in un giudizio di opposizione proposto dall'EINAP
di  Puglia  contro il decreto ingiuntivo ottenuto in via esecutiva da
Giovanni  Rusponi,  per  crediti  di lavoro dipendente - premesso che
l'opponente aveva eccepito l'improcedibilita' del ricorso per decreto
ingiuntivo,   per   il   mancato  previo  esperimento  del  tentativo
obbligatorio  di conciliazione - sull'assunto che, secondo l'opinione
dottrinale  piu' convincente, anche il ricorso per decreto ingiuntivo
dovrebbe  essere preceduto dal tentativo, ha ritenuto rilevante e non
manifestamente    infondata,   con   argomentazioni   non   dissimili
dall'ordinanza   n. 619   del  1999,  la  questione  di  legittimita'
costituzionale  dei  gia'  citati  artt. 410, 412 e 412-bis codice di
procedura   civile   soltanto   in   riferimento   all'art. 76  della
Costituzione,  per  eccesso  di delega rispetto all'art. 11, comma 4,
lett. g), della legge n. 59 del 1997.
    2.1.- Il Presidente del Consiglio dei Ministri e' intervenuto nel
giudizio,  sostenendo che la questione di legittimita' costituzionale
e' inammissibile e comunque infondata.

    3.  -  L'ordinanza  n. 239  e'  stata  pronunciata dal pretore di
Brescia,   in  funzione  di  giudice  del  lavoro,  nel  giudizio  di
opposizione   proposto   dalla  S.r.l.  Limolivo  contro  il  decreto
ingiuntivo   ottenuto   da  Barbara  Fabbri  per  crediti  di  lavoro
dipendente.
    Il  pretore  - premesso che il ricorso per decreto ingiuntivo non
era stato preceduto dal previo esperimento del tentativo obbligatorio
di  conciliazione  e che, malgrado avesse concesso il decreto perche'
convinto   dell'inapplicabilita'   delle   norme   sul  tentativo  al
procedimento monitorio, si era poi convinto della tesi contraria, che
imporrebbe  la  dichiarazione  di improcedibilita' della domanda - ha
ritenuto  rilevante  e  non  manifestamente infondata, in riferimento
agli  artt. 3  e  24 della Costituzione, la questione di legittimita'
costituzionale   dell'art. 412-bis   ultimo   comma,  del  codice  di
procedura  civile,  nella  parte  in  cui  -  per effetto dell'inciso
"d'urgenza  e  di  quelli  cautelari  previsti  nel  capo  III" - non
includerebbe il decreto ingiuntivo fra i procedimenti che non debbono
essere  preceduti  dall'esperimento  del  tentativo  obbligatorio  di
conciliazione.
    3.1.  -  Il  Presidente del Consiglio dei Ministri e' intervenuto
nel     giudizio,     sostenendo     -     sull'implicita    premessa
dell'applicabilita'   delle   norme  sul  tentativo  obbligatorio  di
conciliazione   al  procedimento  monitorio  -  l'infondatezza  della
questione di legittimita' costituzionale.

    4.  -  L'ordinanza  n. 494  e' stata pronunciata dal Tribunale di
Campobasso, in composizione monocratica ed in funzione di giudice del
lavoro,  nel  giudizio  di  opposizione  proposto dalla S.n.c. Edicol
Chimica contro il decreto ingiuntivo ottenuto da Sergio Antonilli per
crediti di lavoro dipendente.
    Premesso che alla prima udienza l'opponente aveva eccepito che il
ricorso  per  decreto  ingiuntivo  non era stato preceduto dal previo
esperimento   del   tentativo   obbligatorio  di  conciliazione;  che
l'opposto    aveva   replicato   sostenendo   l'inapplicabilita'   al
procedimento  monitorio  delle  norme  sul tentativo stesso; e che ai
sensi dell'art. 412-bis del codice di procedura civile avrebbe dovuto
essere  pronunziata  l'improcedibilita' della domanda proposta con il
ricorso  per  decreto  ingiuntivo,  il  giudice  a  quo  ha  ritenuto
d'ufficio   rilevante   e  non  manifestamente  infondata  la  stessa
questione  di legittimita' costituzionale di cui all'ordinanza n. 239
del  1999,  dando  atto  anch'esso  di  avere  mutato  opinione circa
l'applicabilita'  del  tentativo  al procedimento monitorio, dapprima
esclusa all'atto della emissione del decreto ingiuntivo.
    Secondo  il  rimettente  la  norma  impugnata - non includendo il
decreto  ingiuntivo  fra  i  provvedimenti  la  cui  emissione non e'
impedita  dal  mancato  esperimento  del  tentativo  obbligatorio  di
conciliazione - porrebbe per il lavoratore subordinato una disciplina
ingiustificatamente   differenziata  rispetto  a  quella  del  libero
professionista,  ed inoltre frustrerebbe il carattere cautelare della
tutela  monitoria,  cosi'  violando  gli art. 3, secondo comma, e 24,
primo comma, della Costituzione.
    4.1.  -  Il  Presidente del Consiglio dei Ministri e' intervenuto
nel  giudizio,  e  -  premesso che sul tema dell'applicabilita' delle
norme  sul  tentativo  obbligatorio  di conciliazione al procedimento
monitorio   non   si   e'  ancora  formato  un  univoco  orientamento
giurisprudenziale  e che, pertanto, la questione di costituzionalita'
avrebbe  dovuto  essere  sollevata  solo  dopo la sua formazione - ha
affermato    l'infondatezza    della    questione   di   legittimita'
costituzionale.

                       Considerato in diritto


    1.  - I giudizi promossi con le ordinanze sopra indicate, ponendo
questioni   di  legittimita'  costituzionale  identiche  o  connesse,
possono essere riuniti.

    2.  -  Le  ordinanze  n. 619  e  108  propongono  la questione di
legittimita'  costituzionale  degli  artt. 410, 410-bis e 412-bis del
codice   di   procedura   civile  in  riferimento  all'art. 76  della
Costituzione,  per  eccesso  di delega rispetto all'art. 11, comma 4,
lett. g), della legge 15 marzo 1997, n. 59.
    La   questione  viene  sollevata  sotto  il  profilo  che  -  non
prevedendo la delega l'obbligatorieta' del tentativo di conciliazione
- il Governo non avrebbe potuto conferire all'istituto tale carattere
e     collegare     al    mancato    esperimento    la    conseguenza
dell'improcedibilita'.
    2.1. - La questione non e' fondata.
    Secondo  i  criteri  fissati  da questa Corte (sentenza n. 15 del
1999;  ed anche sentenze nn. 126 e 163 del 2000), l'esame della legge
di  delega  -  al  fine  di  valutare  la  conformita'  ad essa della
normativa  delegata  -  deve  essere  condotto  procedendo  anzitutto
all'interpretazione  delle  norme  della  legge  di  delegazione  che
determinano  i principi e i criteri direttivi, da ricostruire tenendo
conto  del  complessivo  contesto  normativo  e  delle  finalita' che
ispirano  la  delega.  Successivamente si procede all'interpretazione
delle  disposizioni  emanate  in  attuazione  della  delega,  tenendo
presente   che   i   principi  stabiliti  dal  legislatore  delegante
costituiscono  non  solo  il  fondamento  ed  il  limite  delle norme
delegate, ma anche un criterio per la loro interpretazione, in quanto
esse  vanno lette, finche' possibile, nel significato compatibile con
i principi della legge di delega.
    2.2.  - Sulla base di questi criteri, va considerato che la legge
delega  n. 59  del 1997 e' parte di un ampio disegno di riforma della
pubblica  amministrazione,  con importanti ricadute sul riparto della
giurisdizione  fra il giudice ordinario ed il giudice amministrativo.
Tale  disegno  ha  preso  le mosse con la delega conferita al Governo
dall'art. 2  della  legge  23 ottobre 1992, n. 421 (Delega al Governo
per  la  razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia
di   sanita',  di  pubblico  impiego,  di  previdenza  e  di  finanza
territoriale),  a  seguito  della  quale  venne  emanato  il d.lgs. 3
febbraio  1993,  n. 29.  Successivamente  la  legge n. 59 del 1997 ha
previsto  -  all'art. 11,  quarto  comma  - l'emanazione da parte del
Governo di ulteriori disposizioni integrative e correttive del citato
decreto  n. 29  del  1993, nel rispetto dei princi'pi contenuti negli
artt. 97  e  98  della  Costituzione,  dei  criteri  direttivi di cui
all'art. 2  della legge n. 421 del 1992, nonche' di altri princi'pi e
criteri analiticamente indicati.
    Fra  questi  ultimi  l'articolo 11, quarto comma, alla lettera g)
contemplava  la  devoluzione al giudice ordinario, entro il 30 giugno
1998,   delle   controversie   relative   ai   rapporti   di   lavoro
"privatizzati"  dei  dipendenti  delle  pubbliche amministrazioni; la
previsione  di  misure organizzative e processuali anche di carattere
generale  atte  a  prevenire  disfunzioni  dovute al sovraccarico del
contenzioso,  nonche' di "procedure stragiudiziali di conciliazione e
arbitrato";  e  infine  la contestuale estensione della giurisdizione
del  giudice  amministrativo  alle  controversie  concernenti diritti
patrimoniali   consequenziali,   ivi   comprese  quelle  relative  al
risarcimento del danno, in materia edilizia, urbanistica e di servizi
pubblici.
    Questa  nuova  delega  e'  stata eseguita con il d.lgs. n. 80 del
1998,  di  cui  rilevano  - nella specie - gli artt. 36, 37 e 39, che
hanno  modificato  o  introdotto  ex  novo  gli  artt. 410, 410-bis e
412-bis  del  codice di procedura civile, poi modificati dall'art. 19
del d.lgs. n. 387 del 1998.
    2.3.  -  Nel  quadro  della complessa riforma cosi' delineata, il
passaggio dalla giurisdizione amministrativa a quella ordinaria delle
controversie  sul rapporto di impiego "privatizzato" con le pubbliche
amministrazioni   costituisce   l'occasione   e   la  giustificazione
dell'apprestamento  del  complesso  di  misure  prima  ricordate.  In
particolare,  la  messa  a  punto di strumenti idonei ad agevolare la
composizione  stragiudiziale  delle  controversie,  per  limitare  il
ricorso   al   giudice   ordinario   alle  sole  ipotesi  di  inutile
sperimentazione  del  tentativo  di  conciliazione, appare un momento
essenziale  per  la riuscita della riforma, in vista del sovraccarico
che quel giudice era destinato a subire.
    2.4.  - Il criterio direttivo della legge di delegazione espresso
dalla  suddetta  lettera  g)  implica  anzitutto che l'affidamento al
legislatore delegato della messa a punto di "procedure stragiudiziali
di  conciliazione  e  arbitrato"  riguardi  anche le controversie sul
rapporto  di  lavoro  privato  ex  art. 409  del  codice di procedura
civile.
    In  via  di  interpretazione  sistematica se ne trae conferma dal
fatto  che la delega si colloco' in un contesto normativo nel quale -
ex  art. 69  del  d.lgs.  n. 29 del 1993, nel testo originario - gia'
esisteva,  ancorche'  non  ancora  operativa,  la  previsione  di  un
tentativo  obbligatorio  di  conciliazione  per  le  controversie del
rapporto  di  pubblico impiego "privatizzato" onde il legislatore del
1997,  delegando  il Governo a "prevedere procedure stragiudiziali di
conciliazione e arbitrato" non avrebbe potuto dettare una previsione,
palesemente superflua, relativa unicamente a tale rapporto.
    L'interpretazione  letterale  del  criterio  di delega evidenzia,
d'altro    canto,   che   l'elencazione   degli   oggetti   assegnati
all'esercizio  del  potere  del  legislatore  delegato  inizia con un
espresso  riferimento al carattere generale delle misure da adottarsi
e  la  circostanza  che esso sia preceduto dalla congiunzione "anche"
bene   evidenzia   che  l'oggetto  della  delega  andava  al  di  la'
dell'ambito  delle  controversie sul rapporto privatizzato di impiego
con la pubblica amministrazione.
    Anche   l'interpretazione  teleologica  dell'espressione  "misure
...processuali   di   carattere   generale"   conduce   alla   stessa
conclusione,  conforme  alla  finalita'  perseguita  dal  legislatore
delegante  di  imporre  al  Governo  l'adozione  di misure atte a far
fronte al sovraccarico di contenzioso del giudice ordinario.
    2.5.  -  Cosi'  ricostruito  l'oggetto  della  delega quanto alla
previsione di "procedure stragiudiziali di conciliazione e arbitrato"
le  censure  al  modo  in  cui  il Governo ha eseguito questa delega,
svolte  dalle  ordinanze  n. 619 e 108 del 1999, con riferimento alla
natura   obbligatoria   del   tentativo   di  conciliazione  previsto
dall'art. 410 del codice di procedura civile, si rivelano infondate.
    Infatti   e'  vero  che  la  lettera  della  delega  del  1997  -
riferendosi a "procedure stragiudiziali di conciliazione e arbitrato"
-  non  menziona  il predicato dell'obbligatorieta'. Ma e' anche vero
che,  quando  la  delega  venne  conferita,  l'art. 410 del codice di
procedura  civile,  nel  testo  allora  vigente,  gia' contemplava un
tentativo   facoltativo  di  conciliazione  per  le  controversie  ex
art. 409,  mentre  l'art. 69  del  decreto legislativo n. 29 del 1993
prevedeva  -  come  si  e'  detto  -  un  tentativo  obbligatorio  di
conciliazione  per  le controversie di pubblico impiego privatizzato.
In  siffatto  contesto  deve escludersi che la delega si limitasse ad
attribuire al legislatore delegato il potere di regolare diversamente
le  mere  modalita'  organizzative  del  tentativo  di  conciliazione
esistente,  senza  consentire  (per  le  controversie ex art. 409 del
codice di procedura civile) l'introduzione dell'obbligatorieta'.
    Del resto - considerando l'ampiezza e l'organicita' della riforma
concepita   dalla   legge  di  delega  e  l'esigenza  di  far  fronte
congruamente  alla  nuova  situazione - deve ritenersi che "prevedere
procedure  stragiudiziali  di conciliazione" equivalga a "istituirle"
in  quanto non ancora previste o comunque a modificarne la disciplina
rispetto  agli istituti eventualmente vigenti (ex art. 409 del codice
di  procedura  civile)  o  a quelli gia' disciplinati ed in attesa di
entrare  in  vigore  (ex  art. 69  del  testo  originario del decreto
legislativo n. 29 del 1993).
    L'introduzione  del tentativo obbligatorio di conciliazione nelle
controversie  ex  art. 409  del  codice di procedura civile ha dunque
rispettato la legge di delega.

    3.  -  L'ordinanza  n. 619 dubita poi, in termini generali, della
costituzionalita'  dell'introduzione  del  tentativo  obbligatorio di
conciliazione  per  le  controversie  relative  ai  rapporti previsti
dall'art. 409  del codice di procedura civile, ritenendo che le norme
impugnate contrastino con gli artt. 3 e 24 della Costituzione.
    3.1.  -  Quanto  all'art. 24,  il  giudice  a  quo afferma che la
normativa  denunciata  limiterebbe il diritto di azione, perche' alla
luce  dell'esperienza  il  tentativo obbligatorio di conciliazione si
rivela  non  un  filtro  alla  domanda  giudiziale, bensi' un inutile
ostacolo allo svolgimento della giurisdizione.
    3.2. - La censura non e' fondata.
    L'asserita   inefficienza   dell'attuale  assetto  del  tentativo
obbligatorio  di  conciliazione alla luce dell'esperienza - affermata
in  modo  apodittico dal rimettente - non potrebbe comunque valere di
per  se'  a  porre  le  norme  che  lo  prevedono in contrasto con il
parametro denunciato.
    Se  infatti  e'  vero che l'art. 24 della Costituzione garantisce
una   tutela   giurisdizionale   "effettiva"  al  di  la'  della  sua
proclamazione   formale,   e'   altrettanto   vero   che   in   tanto
l'ineffettivita'  del modo di tutela puo' risolversi nella violazione
della norma costituzionale, in quanto derivi direttamente dalla legge
cosi' come formulata e strutturata e non dalle modalita', piu' o meno
efficaci, della sua applicazione.
    La  valutazione  degli eventuali limiti della concreta attuazione
della  legge  compete  infatti  alla  pubblica  amministrazione,  per
l'apprestamento  degli  strumenti  piu' idonei consentiti dalle norme
vigenti,  mentre  spetta  al  legislatore  l'adozione delle eventuali
modifiche che l'esperienza rivelasse opportune.
    3.3.  -  Secondo  l'ordinanza citata, l'istituzione del tentativo
obbligatorio  di conciliazione lederebbe l'art. 24 della Costituzione
anche  sotto  un  diverso profilo e precisamente perche' ritarderebbe
l'esercizio  dell'azione  e  farebbe  sorgere  questioni  processuali
inutili   e   contrarie   alla   finalita'  perseguita,  come  quelle
concernenti    l'improcedibilita'    della    domanda    in   difetto
dell'attivazione  del  tentativo  e  l'estinzione  del  giudizio  per
mancata  riassunzione  nei  termini  stabiliti,  una  volta  rilevata
l'improcedibilita'.
    3.4. - Anche queste censure sono infondate.
    In  ordine  al  ritardo,  la giurisprudenza consolidata di questa
Corte  ritiene  che  l'art. 24  della Costituzione, laddove tutela il
diritto  di  azione,  non  comporta  l'assoluta  immediatezza del suo
esperimento,  ben  potendo  la  legge  imporre  oneri  finalizzati  a
salvaguardare "interessi generali" con le dilazioni conseguenti.
    E'  appunto  questo  il  caso  in  esame,  in quanto il tentativo
obbligatorio di conciliazione tende a soddisfare l'interesse generale
sotto  un  duplice  profilo: da un lato, evitando che l'aumento delle
controversie  attribuite  al  giudice  ordinario in materia di lavoro
provochi  un  sovraccarico dell'apparato giudiziario, con conseguenti
difficolta'  per  il  suo  funzionamento;  dall'altro,  favorendo  la
composizione  preventiva  della  lite,  che  assicura alle situazioni
sostanziali  un  soddisfacimento  piu'  immediato  rispetto  a quella
conseguita attraverso il processo.
    3.5.  -  La normativa denunciata e', d'altronde, modulata secondo
linee    che    rendono   intrinsecamente   ragionevole   il   limite
all'immediatezza della tutela giurisdizionale.
    L'espletamento  del  tentativo obbligatorio di conciliazione deve
avvenire  nel  termine di sessanta giorni, trascorso il quale esso si
considera  comunque  esperito  e  cessa  l'impedimento  all'esercizio
dell'azione  (art. 410-bis,  primo  e  secondo  comma,  in  relazione
all'art. 412-bis primo comma).
    Il   tempo   di   sessanta   giorni   durante  il  quale  perdura
l'impedimento  e' obbiettivamente limitato e non irragionevole, anche
considerando:
        a)   che   la   richiesta   del   tentativo  obbligatorio  di
conciliazione  produce  sostanzialmente  gli  effetti  della  domanda
giudiziale, comportando la sospensione del decorso di ogni termine di
prescrizione  e  di  decadenza,  per i sessanta giorni nei quali deve
avvenire  l'espletamento del tentativo di conciliazione e per i venti
giorni   successivi   alla   sua  conclusione,  cioe'  per  un  tempo
sufficiente ad instaurare la lite;
        b)   che   il   giudice  adi'to  prima  dell'esperimento  del
tentativo,  o  in  pendenza  del  termine  di  cui sopra, si limita a
sospendere il processo ed a fissare il termine perentorio di sessanta
giorni  per  promuovere  il  tentativo,  dopo di che il processo deve
essere   riassunto   entro   centottanta  giorni,  pena  l'estinzione
(art. 412-bis terzo, quarto e quinto comma);
        c)    che,   prima   dell'espletamento   del   tentativo   di
conciliazione  e  durante  il  termine  per  il  suo espletamento, la
situazione  sostanziale e' comunque tutelabile in via cautelare, onde
e' posta al riparo da eventuali pregiudizi derivanti dalla durata del
processo a cognizione piena (art. 412-bis ultimo comma).
    Il  complesso  delle  garanzie  adottate  dalle norme in esame le
rende  percio'  immuni  dai  dubbi  gia'  suscitati  dal tentativo di
conciliazione  di  cui  all'art. 5 della legge 11 maggio 1990, n. 108
(Norme  sui  licenziamenti  individuali),  che  -  non  prevedendo un
termine  per l'espletamento del tentativo - era stato da questa Corte
interpretato  (sentenza  n. 82  del  1992)  nel  senso  che  la  mera
richiesta del tentativo bastasse per il soddisfacimento dell'onere.
    3.6.  -  Quanto all'improcedibilita' della domanda per il mancato
esperimento   del  tentativo  di  conciliazione  (art. 412-bis)  tale
sanzione,  lungi dal risolversi in una questione processuale inutile,
rappresenta   la   misura   con   la   quale  l'ordinamento  assicura
effettivita' all'osservanza dell'onere.
    Dal  suo  canto  l'estinzione del giudizio per mancata tempestiva
riassunzione   (art. 412-bis   quinto   comma)   costituisce  normale
applicazione   del  principio  generale  che  considera  con  sfavore
l'inattivita' delle parti.
    3.7.  -  Sotto  nessuno  degli  indicati  profili puo', pertanto,
ravvisarsi violazione dell'art. 24 della Costituzione.

    4.   -   L'ordinanza  n. 619  prospetta  inoltre  una  violazione
dell'art. 3  della  Costituzione  per la disciplina differenziata del
tentativo  obbligatorio  di conciliazione nelle controversie relative
ai  rapporti  previsti  dall'art. 409  del codice di procedura civile
rispetto   a   quelle  di  impiego  "privatizzato"  con  la  pubblica
amministrazione:   nelle  prime  infatti  l'art. 410  del  codice  di
procedura  civile  non  esige  che  la  richiesta della conciliazione
contenga  l'esposizione  sommaria  dei  fatti,  pretesa invece per le
seconde  dall'art. 69-bis comma 3, lettera c) del decreto legislativo
n. 29 del 1993.
    Il  giudice  a  quo  non verifica la possibilita' di interpretare
l'art. 410,  considerando  implicita  in  esso  la  previsione che la
richiesta  del  tentativo  di  conciliazione debba indicare i termini
della   controversia   in  modo  non  dissimile  da  quanto  previsto
nell'art. 69-bis.
    Pertanto la censura e' manifestamente inammissibile.

    5.  -  Infine la stessa ordinanza n. 619 ritiene che al tentativo
di  conciliazione  non si applichi il patrocinio a spese dello Stato,
onde il lavoratore aspirante a beneficiarne potrebbe essere indotto a
rinunciare  alla giurisdizione, con conseguente lesione degli artt. 3
e 24 della Costituzione.
    La   censura  e'  manifestamente  inammissibile  per  difetto  di
rilevanza,  non  avendo  nel  giudizio a quo il lavoratore ricorrente
giustificato  l'omesso  espletamento del tentativo con l'argomento di
non aver potuto beneficiare del patrocinio gratuito.
    6.   -  Le  ordinanze  n. 239  e  494  pongono  la  questione  di
legittimita' costituzionale, per contrasto con gli artt. 3 e 24 della
Costituzione, dell'art. 412-bis del codice di procedura civile, nella
parte  in cui - disponendo che "il mancato espletamento del tentativo
di  conciliazione  non  preclude  la  concessione  dei  provvedimenti
speciali  d'urgenza  e  di quelli cautelari previsti nel capo III del
titolo  I  del  libro  IV"  - non inserisce il procedimento monitorio
nell'elenco dei procedimenti sottratti al tentativo.
    Secondo  i  giudici  a  quibus la norma - imponendo al creditore,
prima  di  chiedere  il  decreto  ingiuntivo,  di promuovere siffatto
tentativo  -  si porrebbe in contrasto con i parametri costituzionali
citati, per l'irragionevolezza della disciplina e per gli ostacoli da
essa frapposti all'esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale.
    6.1.   -   Anche  tale  questione  e'  infondata,  in  quanto  il
presupposto  interpretativo  da cui muovono i giudici a quibus non e'
l'unica  opzione  ermeneutica  possibile,  come  ammettono  le stesse
ordinanze  dando  atto  che nelle applicazioni giurisprudenziali, non
ancora  rivelatrici di un diritto vivente, e' sostenuta anche la tesi
opposta.
    Invero,   il   tentativo   obbligatorio   di   conciliazione   e'
strutturalmente legato ad un processo fondato sul contraddittorio. La
logica   che   impone   alle  parti  di  "incontrarsi"  in  una  sede
stragiudiziale,   prima  di  adire  il  giudice,  e'  strutturalmente
collegata   ad   un  (futuro)  processo  destinato  a  svolgersi  fin
dall'inizio in contraddittorio fra le parti.
    All'istituto  sono  quindi per definizione estranei i casi in cui
invece   il   processo   si   debba   svolgere   in  una  prima  fase
necessariamente   senza   contraddittorio,   come   accade   per   il
procedimento  per  decreto  ingiuntivo.  Non  avrebbe  infatti  senso
imporre,  nella  fase  pregiurisdizionale  relativa  al  tentativo di
conciliazione,  un  contatto fra le parti che invece non e' richiesto
nella  fase giurisdizionale ai fini della pronuncia del provvedimento
monitorio.
    6.2.  -  In  questo  senso  rileva  anzitutto  la  sedes materiae
prescelta   per   introdurre   il  nuovo  tentativo  obbligatorio  di
conciliazione,   ossia  la  disciplina  del  processo  di  cognizione
"ordinario"   delle  controversie  di  lavoro,  che  fin  dall'inizio
assicura il contraddittorio.
    In  secondo  luogo  le  due  categorie  di  procedimenti  cui  si
riferisce  l'ultimo comma dell'art. 412-bis sono entrambe strutturate
in  modo  da  non precludere necessariamente il contraddittorio nella
fase  iniziale.  Per  i procedimenti cautelari - per i quali comunque
l'esclusione  dalla  soggezione  al  tentativo  di  conciliazione  si
correla  alla  stessa  strumentalita' della giurisdizione cautelare -
l'art. 669-sexies  del codice di procedura civile prevede come regola
il provvedimento in contraddittorio e solo come eccezione quello reso
inaudita altera parte. Quanto ai "provvedimenti" speciali d'urgenza -
che,  secondo  l'interpretazione  corrente, si identificherebbero nei
procedimenti  di  cui  agli  artt. 28  e  18, comma 7, della legge 20
maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della liberta' e dignita' del
lavoratore,  della  liberta'  sindacale  e dell'attivita' sindacale e
norme  sul collocamento), ed all'art. 15 della legge 9 dicembre 1977,
n. 903  (Parita'  di  trattamento  tra  uomini  e donne in materia di
lavoro)  -  il  contraddittorio  e' assicurato fin dall'inizio e trae
giustificazione  dal  carattere  di  urgenza  della  tutela  da  essi
apprestata.
    Questi  rilievi  spiegano  perche'  il legislatore delegato abbia
ritenuto  di  dovere  esplicitamente  prevedere  l'esclusione di tali
procedimenti dalla soggezione al previo espletamento del tentativo di
conciliazione.
    Sarebbe  invece  incongruo  interpretare  la  norma nel senso che
essa,  in  forza  di  un  argomento  a  contrario,  debba  comportare
l'assoggettamento   al   tentativo  di  un  procedimento  in  cui  il
contraddittorio e' differito, come il procedimento monitorio.
    6.3.  -  Essendo  dunque  erroneo  il  presupposto interpretativo
assunto  dai  rimettenti,  la questione da loro sollevata deve essere
dichiarata infondata.