ha pronunciato la seguente


                              Sentenza

nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 18, comma 1,
della  legge  della Regione Piemonte 13 aprile 1995, n. 59 (Norme per
la  riduzione,  il riutilizzo e lo smaltimento dei rifiuti), promosso
con  ordinanza  emessa  il 5 settembre 1998 dal pretore di Biella nel
procedimento  civile  vertente tra Cavaglia' S.r.l. e la Provincia di
Biella,  iscritta  al n. 785 del registro ordinanze 1998 e pubblicata
nella   Gazzetta   Ufficiale  della  Repubblica  n. 43,  prima  serie
speciale, dell'anno 1998.
    Visti  l'atto  di  costituzione  della  Cavaglia'  S.r.l. nonche'
l'atto di intervento della Regione Piemonte;
    udito nell'udienza pubblica del 21 marzo 2000 il giudice relatore
Piero Alberto Capotosti;
    uditi   l'avvocato  Raffaele  Izzo  per  la  Cavaglia'  S.r.l.  e
l'avvocato Gustavo Romanelli per la Regione Piemonte.

                          Ritenuto in fatto


    1. -   Investito  dell'opposizione avverso la sanzione pecuniaria
inflitta  ad  una  societa'  esercente  attivita'  di smaltimento dei
rifiuti  nella  Regione  Piemonte  per  avere  conferito  nei  propri
impianti  rifiuti speciali prodotti al di fuori di quella regione, il
pretore  di  Biella, con ordinanza del 5 settembre 1998, ha sollevato
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 18, comma 1, della
legge  della  Regione  Piemonte  13  aprile 1995, n. 59 (Norme per la
riduzione,   il   riutilizzo   e  lo  smaltimento  dei  rifiuti),  in
riferimento   agli   articoli   3,  11,  32,  41,  117  e  120  della
Costituzione.
    Secondo  il  Pretore,  la  disposizione  regionale,  che  pone il
divieto  di  smaltire,  "presso  le discariche per rifiuti speciali e
speciali  tossici  e  nocivi  operanti  o  individuate sul territorio
piemontese",  rifiuti di ogni tipologia provenienti da altre regioni,
viola  una serie di principi fondamentali della legislazione statale,
fissati  nel loro insieme, in attuazione della normativa comunitaria,
dagli  articoli  5,  11,  18  e 26 del decreto legislativo 5 febbraio
1997,  n. 22  (Attuazione  delle  direttive  91/156/CEE  sui rifiuti,
91/689/CEE  sui  rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui
rifiuti  di  imballaggio).  In  particolare,  secondo  il rimettente,
sarebbero  violati  i principi secondo cui lo smaltimento dei rifiuti
deve  essere realizzato attraverso un sistema di impianti integrato a
livello  nazionale  e  deve  avvenire  nell'impianto appropriato piu'
vicino  al  luogo  della  loro  produzione,  il quale, come rileva il
pretore di Biella, potrebbe trovarsi in una regione diversa da quella
nella quale i rifiuti risultano prodotti. Sarebbe altresi' violato il
principio,  posto  espressamente  dall'art. 5,  lettera a) del d.lgs.
n. 22  del 1997, secondo cui l'obbiettivo della autosufficienza dello
smaltimento "in ambiti territoriali ottimali", e comunque all'interno
della  stessa  regione  di  produzione,  e' limitato ai soli "rifiuti
urbani  non  pericolosi",  mentre  la  norma  regionale,  secondo  il
Pretore, prevede un divieto "totale e assoluto".
    Ad  avviso  del  giudice  a  quo  inoltre, la norma regionale, in
quanto  comporta  un trattamento sfavorevole per le imprese esercenti
attivita'  di smaltimento dei rifiuti nella Regione Piemonte rispetto
a  quelle  operanti sul restante territorio nazionale, si porrebbe in
contrasto   con   l'art. 3  della  Costituzione  e  violerebbe  anche
l'art. 11, poiche' i principi fondamentali della legislazione statale
con  cui  essa  sarebbe  in  contrasto,  costituiscono  il frutto del
recepimento  nell'ordinamento  interno  di  normative comunitarie. Il
rimettente  considera  ancora  che,  a  causa  del  danno alla salute
derivante  dalla  inosservanza  del  principio  di  prossimita' nello
smaltimento,   sarebbe   vulnerato   anche   l'art. 32   della  Carta
fondamentale, nonche' gli articoli 41 e 120 in ragione dei "limiti ed
impedimenti   all'esplicarsi   di  una  attivita'  economica",  posti
indebitamente dalla disposizione impugnata.

    2. - E'  intervenuta  la  Regione  Piemonte,  in  persona del suo
presidente  chiedendo  che  la  questione  di  costituzionalita'  sia
dichiarata manifestamente infondata.
    La  Regione  osserva  che  la  direttiva  comunitaria  91/156/CEE
prevede  l'adozione  da  parte  degli  Stati  membri  di programmi di
gestione  di  rifiuti  che  ne  limitino  i  movimenti e che la norma
regionale  non puo' considerarsi incostituzionale proprio perche' "il
fine  di  ridurre  il movimento dei rifiuti ben puo' essere raggiunto
imponendo  il  divieto di smaltimento di rifiuti provenienti da altre
Regioni",  in  applicazione  dei  principi  di  autosufficienza  e di
prossimita' nella fase di smaltimento.
    La  difesa  della  Regione  considera  inoltre  che l'art. 22 del
decreto  legislativo  n. 22  del  1997  attribuisce  alla  competenza
regionale  la  pianificazione  e  la programmazione degli impianti di
smaltimento  per  i  rifiuti  speciali  e  pericolosi,  e  che queste
competenze  sarebbero  vanificate dall'ingresso in regione di rifiuti
di   provenienza   extraregionale.   Ne'   vi   sarebbe  compressione
irragionevole  della  liberta'  di  iniziativa economica in quanto la
norma  opererebbe un adeguato bilanciamento fra l'interesse privato e
quello della collettivita' alla tutela dell'ambiente e della salute.
    In una memoria depositata in prossimita' dell'udienza, la Regione
ricorda  che  la giurisprudenza comunitaria ha stabilito il principio
secondo  cui  "spetta  a ciascuna regione, comune o altro ente locale
adottare  le  misure adeguate al fine di garantire l'accoglimento, il
trattamento  e lo smaltimento dei propri rifiuti", e considera che la
Corte,  con  la  decisione n. 196 del 1998, ha ritenuto infondata una
analoga  questione  di  costituzionalita'.  Secondo  la  difesa della
Regione,   per   quanto  attiene  ai  principi  della  prossimita'  e
dell'autosufficienza   nello   smaltimento,  non  puo'  farsi  alcuna
distinzione  fra  rifiuti pericolosi e non pericolosi, in primo luogo
perche'  gli  articoli 11 e 26 dello stesso decreto legislativo n. 22
del  1997  richiamati  dal  giudice  a  quo proprio per dimostrare la
necessita' di una gestione dei rifiuti pericolosi integrata a livello
nazionale  e  non  a livello regionale sono disposizioni che incidono
invece  sull'intera  tipologia  dei rifiuti; in secondo luogo perche'
"non  puo'  essere  adottato un regime meno rigoroso per sostanze con
maggiori  potenzialita'  lesive, delle quali per ragioni di sicurezza
occorre limitare, e non certo favorire i trasferimenti".

    3. - Si   e'   costituita  in  giudizio  la  societa'  Cavaglia',
ricorrente  nel  giudizio  principale, chiedendo l'accoglimento della
questione di costituzionalita'.
    La  parte  privata  considera  che  la norma impugnata riguarda i
rifiuti speciali ed i rifiuti pericolosi, e che la circostanza vale a
differenziare  il  caso di specie da quello deciso dalla Corte con la
sentenza n. 196 del 1998. A suo avviso, il divieto di smaltimento dei
rifiuti  di  provenienza  extraregionale - che "costituisce la tipica
applicazione del principio di autosufficienza, astratto dal principio
di  prossimita'"  e  viene  ragionevolmente  limitato dall'art. 5 del
decreto  legislativo  n. 22  del  1997  ai  soli  rifiuti  urbani non
pericolosi  -  e'  invece  del  tutto  illogico in materia di rifiuti
speciali  e  pericolosi,  le  cui  qualita' e quantita' non sarebbero
prevedibili,  e  rispetto ai quali "dato il grado di specializzazione
necessaria,  non  e'  concepibile una rete di impianti di smaltimento
cosi'  capillare  e  diffusa  come per i rifiuti urbani". Poiche' per
queste  tipologie di rifiuti il principio di autosufficienza andrebbe
quindi  contemperato  con  quello  di prossimita', la norma regionale
sarebbe  -  oltre  che  in  contrasto con i principi della disciplina
statale  e  comunitaria  -  anche irragionevole a causa dell'assoluta
prevalenza data al principio di autosufficienza.
    In  una memoria presentata in prossimita' della pubblica udienza,
la  societa' costituita sottolinea in particolare che nel regolamento
259/1993/CEE  le  limitazioni  alla  circolazione  dei  rifiuti  sono
inserite   nel  titolo  II,  relativo  alle  "spedizioni  di  rifiuti
all'interno    della   comunita'",   restando   quindi   "esclusi   i
trasferimenti  di  rifiuti  all'interno  degli Stati membri". Inoltre
considera  che  il  divieto  contenuto nella norma impugnata potrebbe
avere  come  conseguenza  un  aumento  anziche' una diminuzione della
circolazione  dei  rifiuti,  e  neanche  terrebbe conto del principio
comunitario  che  deroga  rispetto ai rifiuti pericolosi il principio
dell'autosufficienza.  Ne conseguirebbe, secondo la parte privata, la
lesione  di  quegli  stessi  valori  ambientali che la norma vorrebbe
proteggere,  per  la possibilita' che non tutte le regioni dispongano
di  impianti  attrezzati  per  smaltire  qualunque  tipo  di  rifiuti
speciali o pericolosi.

                       Considerato in diritto


    1. - La  questione  di legittimita' costituzionale, sollevata con
l'ordinanza  indicata in epigrafe, concerne l'art. 18, comma 1, della
legge  della  Regione  Piemonte 13 aprile 1995, n. 59, che stabilisce
che  presso  le  discariche per i rifiuti speciali "tossici e nocivi"
(attualmente   denominati  "pericolosi")  della  Regione  e'  vietato
smaltire  i  rifiuti  di  qualunque  tipologia  provenienti  da altre
Regioni.
    Tale norma, secondo il giudice rimettente, contrasterebbe innanzi
tutto  con  l'art. 117  della  Costituzione  per  la  violazione  dei
principi   fondamentali   della   legislazione  statale  fissati,  in
attuazione  della  normativa  comunitaria, dagli artt. 5, 11, 18 e 26
del  decreto  legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, i quali prescrivono
che  lo  smaltimento  dei  rifiuti,  realizzato attraverso un sistema
integrato,  deve  avvenire  in  uno  degli  impianti appropriati piu'
vicini.
    La  stessa norma, inoltre, secondo il giudice a quo entrerebbe in
contrasto  anche  con  l'art. 3 della Costituzione per lo sfavorevole
trattamento  imposto  alle imprese esercenti attivita' di smaltimento
nella  Regione  Piemonte;  con l'art. 11, in quanto la violazione dei
principi  fondamentali  della  legislazione  statale  attuativa della
normativa  comunitaria si risolverebbe anche in una lesione di questa
ultima; con l'art. 32, per il danno alla salute che potrebbe derivare
dalla   inosservanza   del   principio   della   "prossimita'"  nello
smaltimento,  ed  infine  con  gli  artt. 41  e  120 per i "limiti ed
impedimenti  all'esplicarsi  di  un'attivita'  economica" determinati
appunto dalla norma regionale censurata.

    2. - La questione e' fondata.
    La  disposizione regionale censurata va esaminata alla luce di un
complesso  quadro  normativo,  che  si  incentra, in particolare, sul
decreto  legislativo  5  febbraio  1997,  n. 22,  che  disciplina  la
"gestione dei rifiuti" mediante norme che si autoqualificano principi
fondamentali della legislazione statale, ai sensi dell'art. 117 della
Costituzione,   nonche'  "norme  di  riforma  economico-sociale"  nei
confronti delle regioni a statuto speciale.
    Questa  Corte  ha gia' individuato (sentenza n. 196 del 1998) nel
decreto  n. 22  del  1997, in relazione alla questione del divieto di
smaltimento dei rifiuti extraregionali, il principio della necessita'
di  una pianificazione che realizzi, attraverso una rete integrata ed
adeguata  di  impianti,  idonea  a "ridurre i movimenti" dei rifiuti,
"l'autosufficienza   nello   smaltimento   dei   rifiuti  urbani  non
pericolosi"  in  ambiti  territoriali  ottimali,  che  ordinariamente
coincidono  con quelli delle province della regione di produzione. Il
principio  dell'autosufficienza  e'  oggi del tutto pacifico rispetto
alla  medesima  tesi accolta nella indicata sentenza n. 196 del 1998,
in quanto e' ormai divenuto pienamente applicabile l'art. 5, comma 5,
che  appunto stabilisce che "dal 1 gennaio 1999 e' vietato smaltire i
rifiuti  urbani  non pericolosi in regioni diverse da quelle dove gli
stessi sono prodotti".
    Alla  luce del criterio dell'autosufficienza, cosi' interpretato,
e considerando altresi' che i piani regionali debbono anche prevedere
fabbisogni  ed  impianti  necessari  ad  assicurare  la  gestione dei
rifiuti   urbani  non  pericolosi  all'interno  dei  predetti  ambiti
territoriali  ottimali (art. 22, comma 3, lettere b) e c), il divieto
di  smaltimento  dei rifiuti extraregionali appare dunque sicuramente
applicabile   a  quelli  urbani  non  pericolosi,  mentre  per  altre
tipologie  di  rifiuti  il  problema  e'  piu'  complesso.  A  questo
proposito,  va, innanzi tutto, rilevato che secondo lo stesso decreto
n. 22  -  come,  del  resto,  anche  secondo  il previgente d.P.R. 10
settembre  1982,  n. 915  (Attuazione  delle  direttive CEE n. 75/442
relativa   ai   rifiuti,  n. 76/403  relativa  allo  smaltimento  dei
policlorodifenili  e  dei  policlorotrifenili e n. 78/319 relativa ai
rifiuti  tossici  e  nocivi)  -  la  gestione dei rifiuti deve essere
disciplinata  in  modo  che,  da  un  lato, sia assicurata un'elevata
protezione  dell'ambiente  e  anche  della  salute  pubblica, tenendo
conto,  in  particolare,  della "specificita' dei rifiuti pericolosi"
(art. 2,  comma  1); dall'altro lato sia consentito lo smaltimento in
uno  degli  "impianti  appropriati"  piu' vicini, tenendo conto della
necessita'   di  "impianti  specializzati  per  determinati  tipi  di
rifiuti" (art. 5, comma 3, lettera b).
    A  quest'ultimo  riguardo  va  tenuto  presente  che  la  recente
direttiva  comunitaria 1999/31/CE del 26 aprile 1999 ha, tra l'altro,
sottolineato la necessita' di definire chiaramente "i tipi di rifiuti
che  vanno accettati nelle varie categorie di discariche", prevedendo
rigorose barriere geologiche ed artificiali contro l'inquinamento del
suolo,  delle  acque freatiche e delle acque superficiali afferenti a
ciascuna   delle  varie  categorie  di  discarica  e  disponendo  che
l'ammissione di taluni rifiuti pericolosi "stabili e non reattivi" in
discariche  per  rifiuti  non  pericolosi  deve  essere subordinata a
rigidi  criteri  di valutazione del "comportamento del colaticcio" di
tali  rifiuti  (art. 6,  lettera  c  iii). In particolare, secondo la
stessa  direttiva,  va  evitato  sia che i rifiuti "reagiscano tra di
loro  e con la roccia" (Allegato II, 1), sia che i rifiuti pericolosi
siano   depositati  in  aree  destinate  ai  rifiuti  non  pericolosi
biodegradabili (art. 6, lettera c iii).
    Da questo quadro normativo emerge dunque che mentre per i rifiuti
urbani non pericolosi il principio dell'autosufficienza e' pienamente
applicabile,  anche  sotto  il  profilo del divieto di smaltimento di
quelli  extraregionali,  in quanto l'ambito territoriale ottimale per
lo   smaltimento   e'  logicamente  limitato  e  predeterminabile  in
relazione  ai  luoghi di produzione, per i rifiuti pericolosi si deve
invece   ritenere   prevalente,   proprio   in   ragione  delle  loro
caratteristiche,  il  diverso  criterio  della necessita' di impianti
appropriati  e  "specializzati"  per  il loro smaltimento. In materia
allo Stato e' riservata la competenza a definire i criteri generali e
le norme tecniche di gestione (art. 18, comma 1, lettera b e comma 2,
lettera   a).  Ed  in  questo  senso  il  regolamento  del  Ministero
dell'ambiente  11 marzo 1998, n. 141 ha previsto specifici criteri di
identificazione  dei  rifiuti pericolosi al fine del loro smaltimento
in  discarica,  cosi'  da rendere possibile la valutazione, sul piano
operativo,  della  compatibilita'  della  tipologia  dell'impianto di
smaltimento con il materiale da conferire.
    Alla  luce di queste considerazioni non appare quindi logicamente
predeterminabile,   rispetto   ai   rifiuti   pericolosi,  un  ambito
territoriale  ottimale,  quale  potrebbe,  in astratto, essere quello
regionale,   in   quanto,  da  un  lato,  la  produzione  di  rifiuti
pericolosi,  che  generalmente  deriva  da  processi  industriali, e'
connessa a localizzazioni non necessariamente omogenee e comunque non
facilmente prevedibili; dall'altro lato, la realizzazione di impianti
specializzati  per  questo  tipo  di  smaltimento  comporta  oneri di
individuazione   di   siti  appropriati  e  di  relativa  costruzione
particolarmente  gravosi,  soprattutto in rapporto al quantitativo da
smaltire.  Il  principio  dell'autosufficienza  non  sembra  pertanto
facilmente  attuabile in questo settore, dovendosi cosi' ricorrere al
concorrente  criterio,  egualmente  previsto  dal  legislatore, della
specializzazione dell'impianto di smaltimento, integrato comunque dal
criterio  della  prossimita',  considerato il contesto geografico, in
modo da ridurre, il piu' possibile, la movimentazione dei rifiuti.
    Tutto  cio'  porta  dunque  ad  escludere che anche per i rifiuti
pericolosi  possa  essere attuato il divieto di smaltimento di quelli
extraregionali, poiche' e' vero che la movimentazione dei rifiuti, di
per se' puo' costituire un rischio ambientale, ma e' altrettanto vero
che  smaltire  rifiuti  pericolosi  in  discariche non compatibili o,
peggio,  consentire  il  loro deposito ed accumulo in aree non idonee
risulta  sicuramente piu' nocivo per l'ambiente e anche per la salute
pubblica.   Un'adeguata   ponderazione   tra   questi   due   rischi,
indipendentemente  dal fatto che il rifiuto e' pur sempre considerato
dalla  normativa  comunitaria un "prodotto", in quanto tale tutelato,
in  linea  di  principio, dalla liberta' di circolazione delle merci,
dimostra  l'irrazionalita'  del  divieto  imposto  dalla disposizione
censurata   di  smaltimento  di  rifiuti  pericolosi  di  provenienza
extraregionale,  in  quanto  si  tratta  di una scelta che si pone in
contrasto, tenendo conto della "specificita'" dei rifiuti pericolosi,
con le finalita' di protezione dell'ambiente e della salute umana, le
quali,  ai  sensi  dell'art. 2  del  citato  decreto  n. 22 del 1997,
debbono  ispirare  anche  la  disciplina regionale della gestione dei
rifiuti.

    3. - La  prospettata  interpretazione  delle  norme  di principio
contenute  nel  decreto  n. 22  del 1997 appare, d'altronde, coerente
anche  con  i  principi  della  normativa  comunitaria in materia. Ed
infatti,  in una fattispecie assai simile a quella in esame, la Corte
di  giustizia  della  comunita'  europea,  interpretando la direttiva
84/631/CEE,  ha  avuto modo di stabilire che era incompatibile con il
diritto  comunitario  allora vigente il divieto imposto dalla Regione
Vallonia  del Belgio di smaltimento nel proprio territorio di rifiuti
pericolosi  provenienti  da  altre  regioni,  mentre  non  lo era con
riferimento  ad  altri tipi di rifiuto, in quanto esigenze imperative
attinenti   alla   protezione   dell'ambiente   giustificano   misure
limitative  della  liberta'  di  circolazione  delle  merci (Corte di
giustizia, sentenza 9 luglio 1992, causa C-2/1990).
    Le   modifiche   alla   normativa   comunitaria   introdotte,  in
particolare  dal regolamento CEE n. 259/1993, nonche' dalle direttive
91/156/CEE,  91/689/CEE  e  94/62/CE,  delle  quali il citato decreto
n. 22  del  1997  costituisce  appunto  attuazione,  non hanno mutato
significativamente   il   quadro   di   riferimento,   giacche',  pur
rafforzandosi   la   complessiva  tendenza,  a  livello  comunitario,
all'adozione  di  misure  restrittive  alla circolazione dei rifiuti,
cio'  avviene  in  modo diversificato per le varie tipologie, in ogni
caso  conservando  valenza  prioritaria  la  protezione delle risorse
naturali  e  della  salute.  E  proprio  in questo contesto di tutela
ambientale   si  spiega  il  regime  speciale  riservato  ai  rifiuti
pericolosi,  come  tra  l'altro dimostra il decimo "considerando" del
regolamento n. 259/1993, che, pur autorizzando gli Stati a introdurre
"disposizioni  per  vietare  del  tutto  o  in parte le spedizioni di
rifiuti  destinati  allo  smaltimento",  espressamente  eccettua  dal
divieto il "caso di rifiuti pericolosi prodotti nello Stato membro di
spedizione  in  quantitativi  cosi' limitati da rendere antieconomico
prevedere  nuovi  impianti  specializzati  per lo smaltimento in tale
Stato".  O  come  anche  dimostra  l'art. 6  della  citata  direttiva
91/689/CEE,  che,  nel  quadro di misure di controllo sulla raccolta,
trasporto  e  deposito  temporaneo di rifiuti pericolosi, dispone che
"le  autorita'  competenti elaborano, separatamente o nell'ambito dei
propri  piani generali di gestione dei rifiuti, piani di gestione dei
rifiuti pericolosi".

    4. - In  definitiva,  le  considerazioni che precedono dimostrano
che il divieto di smaltimento per i rifiuti pericolosi di provenienza
extraregionale imposto dalla norma impugnata contrasta con l'art. 117
della  Costituzione  per  violazione  dei principi fondamentali della
legislazione  statale  contenuti  nel  decreto  legislativo n. 22 del
1997.  L'accoglimento  della questione di legittimita' costituzionale
sotto questo profilo assorbe gli ulteriori profili di censura.