ha pronunciato la seguente


                              Sentenza

nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 21 della legge
5  agosto 1991, n. 249 (Riforma dell'Ente di previdenza ed assistenza
per  i  consulenti  del  lavoro), promosso con ordinanza emessa il 15
marzo  1998  dal  Pretore  di  Torino, sezione distaccata di Rivarolo
Canavese, nel procedimento civile vertente tra Marietti Margherita ed
altri e l'Ente nazionale di previdenza ed assistenza per i consulenti
del lavoro (ENPACL), iscritta al n. 315 del registro ordinanze 1998 e
pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19, 1a Serie
speciale, dell'anno 1998.
    Visto l'atto di costituzione dell'Ente nazionale di previdenza ed
assistenza per i consulenti del lavoro;
    Udito nell'udienza pubblica del 21 marzo 2000 il Giudice relatore
Massimo Vari.

                          Ritenuto in fatto

    1. - Con  ordinanza  del  15  marzo  1998,  emessa  nel corso del
giudizio  promosso  dagli eredi di Magnino Giovanni per ottenere, dal
convenuto Ente nazionale di previdenza ed assistenza per i consulenti
del  lavoro  (ENPACL),  la  restituzione dei contributi previdenziali
gia'  versati  dal  loro  congiunto,  il  Pretore  di Torino, sezione
distaccata  di  Rivarolo  Canavese, ha sollevato, in riferimento agli
artt.  3  e  38  della  Costituzione  ed al "principio della generale
razionalita' della legge in conformita' alla Costituzione", questione
di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  21  della legge 5 agosto
1991,  n. 249  (Riforma  dell'Ente  di previdenza ed assistenza per i
consulenti  del  lavoro),  "nella  parte  in  cui e' stabilito che la
restituzione  dei contributi ai superstiti avvenga solo nella ipotesi
in  cui il decesso dell'iscritto sia avvenuto in costanza di rapporto
assicurativo".
    1.1. - Il  giudice  a  quo,  premesso  che  il  dante  causa  dei
ricorrenti   nel   giudizio   principale,  cancellato  dall'albo  dei
consulenti  del lavoro sin dal 31 dicembre 1993, era deceduto in data
16  ottobre  1996,  osserva  che la disposizione censurata determina,
anzitutto,  "una  palese  disparita'  di  trattamento,  a  parita' di
contribuzione  ed oneri versati, fra gli eredi dei defunti iscritti e
gli eredi dei defunti non piu' iscritti all'albo", con violazione del
principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione.
    1.2. - Viene, al tempo stesso, lamentata la lesione dell'art. 38,
secondo  comma,  della  Costituzione, posto che il menzionato art. 21
preclude  agli  eredi  del  defunto  non iscritto all'albo (ai quali,
peraltro,  l'art.  8,  comma 3, della medesima legge n. 249 del 1991,
non  consente  di fruire neppure della pensione di reversibilita') la
restituzione   di   importi   "la   cui   natura   assistenziale   e'
indiscutibile,  essendo  stati  pagati  proprio  con  la finalita' di
costituire  una  rendita  pensionistica  o  quantomeno un capitale di
risparmio obbligatorio".
    Per  effetto  della  disposizione denunciata, i predetti soggetti
risultano,  invece, privati dei mezzi adeguati alle esigenze di vita,
atteso  che "il loro patrimonio familiare e' stato impoverito durante
la  vita del lavoratore per i contributi obbligatoriamente versati, e
dopo   la   morte   non  puo'  essere  ricostituito",  mentre  l'ente
previdenziale  "ha  potuto  incassare  sostanziosi  contributi" senza
dover  versare  la  pensione e, tantomeno, "restituire gli importi ai
legittimi pretendenti"; cio' contrastando "con un ordinamento come il
nostro, ispirato a principi di equita' e mutuo soccorso".
    1.3. - Ad  avviso  del  rimettente,  la  disposizione  stessa non
terrebbe, inoltre, conto del fatto che "il legislatore, nello stilare
le  leggi,  deve  osservare alcuni principi fondamentali, tra i quali
quello  della  razionalita'  delle  disposizioni", apparendo non solo
"iniquo",  ma  "neppure  ispirato  a  logiche  razionali" il criterio
secondo cui "i contributi versati debbano essere perduti".
    Al  riguardo, si osserva che "il consulente non puo' esimersi dal
versamento"  dei  contributi, non potendo, quindi, "essergli imputato
di  avere  compiuto  una scelta irrazionale e perdente"; "addebito di
irrazionalita'" che, invece, va mosso alla legge.
    Rammentato,  poi,  che  l'art.  2041 del codice civile prevede la
restituzione  delle  somme  indebitamente  percepite  nell'ipotesi di
arricchimento  senza giusta causa, secondo un principio "che risponde
a  logica  e  buon  senso  e  che viene completamente ribaltato dalla
norma" censurata, l'ordinanza evidenzia che, "nel caso di specie", il
contribuente   ha,  per  oltre  10  anni,  versato  al  proprio  ente
previdenziale  la  somma  di circa 15 milioni di lire, senza ottenere
alcun  trattamento pensionistico e che "nonostante la mancanza di una
controprestazione  si  vede negato il diritto di recuperare il denaro
versato".
    Nel  rilevare  che,  per effetto di cio', l'ente stesso e' andato
"arricchendosi ingiustificatamente", l'ordinanza esclude che la legge
possa "essere accettata come fonte che permette l'arricchimento senza
causa,  in  pieno  contrasto  con  i  principi  ispiratori del nostro
ordinamento e in danno delle categorie piu' deboli".
    Secondo  il  rimettente  l'irrazionalita'  del denunciato art. 21
sarebbe  "ulteriormente  evidenziata"  dal  confronto con altre norme
disciplinanti  fattispecie  analoghe,  come  l'art. 21 della legge 20
settembre 1980, n. 576, in materia di previdenza forense, che prevede
il  rimborso  dei  contributi  versati  dall'iscritto,  che non abbia
maturato il diritto alla pensione, anche in favore dei relativi eredi
("sempreche'  non abbiano titolo alla pensione indiretta"), senza per
questo  richiedere  "che  il  de  cuius  sia  deceduto in costanza di
rapporto assicurativo".
    2. - Si  e' costituito in giudizio l'ENPACL, chiedendo il rigetto
della   sollevata   questione  di  costituzionalita'  ed  osservando,
segnatamente, che "nessuna disparita' di trattamento puo' ravvisarsi,
con  riferimento  all'art.  3  della  Costituzione,  tra due iscritti
all'Ente   di   previdenza",  giacche'  la  distinzione  operata  dal
legislatore  si  fonda  su  "due  situazioni  giuridiche  a monte ...
sostanzialmente diverse: nella prima v'e' un rapporto assicurativo in
atto; nella seconda questo e' cessato".
    Nel ritenere "ragionevole e immune da censure" la discriminazione
operata   al   riguardo   dal   legislatore,  l'ENPACL  sostiene  che
l'iscrizione  all'albo  "e'  l'unica  condizione che fa permanere nel
soggetto  i  diritti  propri  riconosciuti  ad ogni assistito e ne fa
scaturire conseguentemente la legittimazione ad essere tutelato sotto
il  profilo  previdenziale".  La  memoria,  nell'evidenziare  che  il
legislatore  ha  voluto  affermare  il principio secondo il quale "e'
giusto"   che,  quando  l'assicurato  sia  cessato  dall'attivita'  e
dall'iscrizione all'albo, senza maturare il diritto a pensione, venga
riconosciuta  al  medesimo  "una certa tutela economica, nella specie
costituita  dalla  restituzione  dei contributi versati", ritiene che
"se  si  ammettesse a favore dei superstiti la stessa prerogativa, si
dovrebbe  pervenire  all'assurda conclusione che la cassa e' tenuta a
restituire  i contributi anche per soggetti non piu' legittimati, con
grave pregiudizio economico".
    La parte costituita esclude, infine, che vi sia lesione dell'art.
38   della  Costituzione,  in  quanto  la  norma  costituzionale  "e'
condizionata  alla sussistenza di presupposti specificamente indicati
dalla legge"; presupposti nella specie insussistenti, considerato che
gli  eredi ricorrenti nel giudizio principale "non possono pretendere
la  restituzione  dei contributi dal momento che tale prerogativa non
sarebbe comunque spettata al loro dante causa".

                       Considerato in diritto

    1. - Il   Pretore  di  Torino,  sezione  distaccata  di  Rivarolo
Canavese,  dubita,  con  l'ordinanza  in epigrafe, della legittimita'
costituzionale  dell'art.  21  della  legge  5  agosto  1991,  n. 249
(Riforma  dell'Ente  di previdenza ed assistenza per i consulenti del
lavoro),  "nella  parte  in  cui e' stabilito che la restituzione dei
contributi ai superstiti avvenga solo nella ipotesi in cui il decesso
dell'iscritto sia avvenuto in costanza di rapporto assicurativo".
    La  menzionata  disposizione,  nell'attribuire  al consulente del
lavoro,  che  abbia  compiuto sessantacinque anni di eta' e che cessi
dall'iscrizione   all'ente   di  previdenza  senza  aver  maturato  i
requisiti  per  il  diritto  a  pensione, il diritto di richiedere la
restituzione  dei contributi soggettivi obbligatori versati, nonche',
eventualmente,   di   quelli   personali  previsti  dalla  disciplina
legislativa  vigente  prima  della  legge  n. 249 del 1991 (comma 1),
stabilisce,  al  comma  2,  che il predetto diritto alla restituzione
possa  essere esercitato anche dai superstiti dell'iscritto, deceduto
in  costanza  di  rapporto  assicurativo, che non abbiano titolo alla
pensione indiretta, conseguibile anche mediante ricongiunzione.
    Le   censure   del   rimettente   si  appuntano  su  quest'ultima
disposizione che, a suo avviso, contrasterebbe:
        con  l'art.  3  della  Costituzione, in quanto determina "una
palese disparita' di trattamento, a parita' di contribuzione ed oneri
versati,  fra  gli eredi dei defunti iscritti e gli eredi dei defunti
non piu' iscritti all'albo";
        con  l'art.  38  della Costituzione, giacche' data "la natura
assistenziale"  dei  contributi versati all'ente di previdenza "priva
gli eredi di mezzi adeguati alle loro esigenze di vita penalizzandoli
fortemente",  atteso  che  "il  loro  patrimonio  familiare  e' stato
impoverito   durante   la   vita  del  lavoratore  per  i  contributi
obbligatoriamente   versati,   e   dopo  la  morte  non  puo'  essere
ricostituito";
        con  il "principio della generale razionalita' della legge in
conformita'  alla  Costituzione", non sussistendo alcuna ragione "per
la quale i contributi versati debbano essere perduti".
    Sotto   tale   ultimo   profilo,   il  giudice  a  quo,  muovendo
dall'assunto  che,  a  fronte dell'obbligatorieta' del versamento dei
contributi, non puo' essere imputato al consulente "di avere compiuto
una  scelta  irrazionale  e  perdente",  si duole del fatto che venga
"completamente  ribaltato"  il  principio  di  cui  all'art. 2041 del
codice  civile,  "che  risponde  a  logica e buon senso", non potendo
accettarsi  che  la  legge  permetta l'arricchimento senza causa, "in
pieno contrasto con i principi ispiratori del nostro ordinamento e in
danno  delle  categorie  piu'  deboli";  quale  ulteriore  aspetto di
irrazionalita'  invoca,  inoltre, il confronto con altre disposizioni
disciplinanti fattispecie analoghe, come l'art. 21 della legge n. 576
del  1980,  che,  in  materia  di previdenza forense, prevederebbe il
rimborso  agli  eredi  dei  contributi  versati dall'iscritto che non
abbia  maturato il diritto alla pensione, senza per questo richiedere
"che il de cuius sia deceduto in costanza di rapporto assicurativo".
    2. - La  questione  non  e'  fondata sotto alcuno dei prospettati
profili di censura.
    Prima  di  affrontarne  il  merito,  e'  opportuno rammentare che
l'istituto  della  restituzione  dei contributi costituisce un tratto
peculiare  della previdenza dei liberi professionisti (nel cui ambito
vanno  annoverati  anche  i  consulenti  del  lavoro),  che non trova
corrispondenza  nel  regime  dell'assicurazione generale obbligatoria
(salvo  talune  limitatissime  eccezioni,  introdotte  di recente per
situazioni    assai   particolari,   come   quella   dei   lavoratori
extracomunitari   che,  cessata  l'attivita'  lavorativa  in  Italia,
lascino   il  territorio  nazionale  e,  in  assenza  di  convenzioni
internazionali, non possano beneficiare di tutela previdenziale: art.
22,  comma  11,  del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286), nel
quale  vige  l'opposto  principio  dell'acquisizione,  alla  gestione
previdenziale  di  appartenenza,  dei contributi debitamente versati,
nonostante  che  gli stessi non siano utili per l'insorgenza di alcun
trattamento pensionistico.
    Il  previsto  rimborso da parte di alcune casse professionali dei
contributi  versati  non  vale,  peraltro,  a  far  venire  meno quel
principio    solidaristico    che,   nel   rappresentare   l'impronta
caratteristica  della  previdenza  obbligatoria generale, tende, come
piu'  volte  evidenziato  dalla  Corte  (tra  le altre, vedi sentenze
n. 450  del  1993  e  n. 390  del  1995),  ad ispirare ormai anche la
previdenza  dei  liberi  professionisti, almeno secondo il modello in
essa  piu'  diffuso,  nel quale detto principio, sia pure con valenza
endocategoriale,  normalmente  concorre,  combinandosi  con quello di
corrispettivita'  tra  contribuzione  e  prestazioni,  a garantire, a
tutti i membri della categoria, una prestazione minima.
    E  cio'  in  quanto,  secondo  la stessa giurisprudenza di questa
Corte,    l'istituto   del   rimborso   contributivo   "non   implica
necessariamente  la  corrispettivita'  tra  contributi e pensioni, ma
soltanto  una  particolare  configurazione dei doveri di solidarieta'
comunque  posti a carico di tutti gli iscritti" (vedi sentenze n. 133
e  n. 132 del 1984). Va da se', peraltro, che, di fronte all'esigenza
di  tutela  dei  livelli  di  finanziamento del sistema previdenziale
della  categoria  professionale,  al fine di garantire, segnatamente,
gli  equilibri  finanziari  del  medesimo  (per  un caso non privo di
analogie,  vedi  ordinanza  n. 369  del  1995), non possa non restare
affidato  alle valutazioni discrezionali del legislatore di stabilire
in  quale  misura  l'interesse  dei  singoli  alla  restituzione  dei
contributi  sia  suscettibile  di contemperamento con il principio di
solidarieta' (vedi sentenza n. 450 del 1993, gia' cit.).
    3. - Tanto  premesso,  priva  di  fondamento  risulta  la censura
relativa  alla prospettata lesione del principio di eguaglianza tra i
superstiti  di  defunto iscritto all'albo e superstiti di defunto non
piu' iscritto all'albo; censura, invero, rivolta a rappresentare come
operazioni  normative  discriminatorie  o  arbitrarie quelli che sono
momenti  strutturali  o modalita' applicative del sistema, riferibili
in particolare alla tipologia cui esso appartiene.
    E   questo   secondo   una  scelta  che,  oltre  a  non  sembrare
irragionevole,   risulta   anche   coerente   con  il  criterio  cui,
attualmente, si ispira l'ordinamento pensionistico della categoria in
esame  in materia di trattamenti indiretti ai superstiti; trattamenti
che,  a  loro volta, sono conseguibili a condizione che l'assicurato,
senza  diritto  a  pensione, sia deceduto "in costanza di iscrizione"
all'Ente  e  abbia  maturato  dieci  anni  di  effettiva iscrizione e
contribuzione  (art. 8, comma 3, della legge n. 249 del 1991; art. 26
della  parte  seconda  del  Regolamento  di  attuazione dello Statuto
approvato, unitamente allo Statuto medesimo, con decreto del 2 agosto
1995  del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto
con  il  Ministro  del  tesoro,  ai  sensi del decreto legislativo 30
giugno  1994,  n. 509,  che,  in  attuazione  della  delega conferita
dall'art.  1,  comma 32, della legge n. 537 del 1993, ha disciplinato
la  trasformazione,  in  persone  giuridiche  di  diritto privato, di
taluni   enti   gestori   di   forme   di  previdenza  ed  assistenza
obbligatorie, tra cui l'ENPACL).
    La denunciata disposizione si sottrae, dunque, alla censura mossa
dal rimettente, essendo, in definitiva, frutto della discrezionalita'
che  spetta  al legislatore nel conformare il diritto al rimborso dei
contributi,  anche  in considerazione dell'incidenza che lo stesso ha
sugli  equilibri  finanziari  della  Cassa  e  cio'  specie  quando a
beneficiarne  sono  soggetti  (i  superstiti dell'assicurato) che non
hanno  direttamente contribuito, attraverso i proventi dell'attivita'
professionale, al finanziamento dell'Ente.
    4. - Escluso,  pertanto,  che  la  disciplina  denunciata  assuma
carattere   irragionevolmente   discriminatorio,   risulta  priva  di
fondamento  anche  la  censura  di  violazione  dell'art. 38, secondo
comma, della Costituzione.
    A   tacere,   infatti,   della   improprieta'   in   se'  di  una
prospettazione  quale quella dell'ordinanza, nella parte in cui evoca
il   menzionato   parametro   a   difesa   di  aspettative  attinenti
all'integrita'   del   patrimonio   degli  interessati,  da  ritenere
pregiudicate  a  causa dell'irrecuperabilita' dei contributi versati,
e'   sufficiente   qui  rammentare  il  generale  orientamento  della
giurisprudenza  di questa Corte circa la discrezionalita' di cui gode
il  legislatore, in tema di attuazione del precetto del secondo comma
dell'art.  38  della Costituzione, secondo valutazioni nel cui ambito
rileva  anche l'obiettivo, invero non estraneo alla norma denunciata,
di   salvaguardia   dei   livelli   di   finanziamento   del  sistema
previdenziale  della categoria professionale (vedi, ancora, ordinanza
n. 369 del 1995).
    5. - In  forza  delle argomentazioni che precedono e' destinata a
cadere anche la doglianza di violazione del "principio della generale
razionalita'  della legge", da ricondursi, con tutta evidenza, ancora
all'art. 3 della Costituzione, trattandosi di censura che muove da un
assunto che non puo' essere assolutamente condiviso.
    L'asserito   rovesciamento   del   principio  dell'ingiustificato
arricchimento,  che,  secondo  il  rimettente,  starebbe a dimostrare
l'illegittimita'   della  disposizione  censurata,  appare,  infatti,
frutto di erronea considerazione dei presupposti sulla base dei quali
opera  l'istituto  del  rimborso  dei  contributi,  atteso  che  esso
riguarda   (come,   del   resto,   posto   in   risalto  anche  dalla
giurisprudenza  di legittimita') non gia' una contribuzione indebita,
bensi' versamenti legittimamente percepiti dall'ente previdenziale di
categoria,   in  forza  di  espressa  disposizione  legislativa,  per
realizzare le finalita' di previdenza ed assistenza cui l'ente stesso
e' deputato.
    Non  pertinente e', dunque, il richiamo alla disciplina dell'art.
2041  del  codice  civile,  giacche'  il  diritto  alla  restituzione
sussiste  esclusivamente  in  funzione  della  specifica norma che lo
contempla  e lo regola, derogando, entro dati limiti, al principio di
indisponibilita'  dell'obbligazione  contributiva  previdenziale,  la
quale,  soprattutto nel sistema della previdenza di categoria, ove il
concorso  della  solidarieta' esterna della collettivita' e' soltanto
eccezionale  e  sussidiario  (vedi  sentenze  nn.  88 e 78 del 1995),
costituisce  lo  strumento  indefettibile  per  il  finanziamento del
sistema medesimo.
    6. - Ne',  infine,  risulta  fondata  la  censura che muove dalla
comparazione con le disposizioni disciplinanti la previdenza di altre
categorie professionali.
    E  cio'  per  il  preminente  e decisivo rilievo, corroborato dal
consolidato orientamento di questa Corte (vedi, tra le tante, le gia'
menzionate  sentenza n. 88 del 1995 e ordinanza n. 369 del 1995), per
cui  non  sono  producenti confronti tra i vari sistemi previdenziali
dei  liberi  professionisti  al  fine  di  dedurne  la violazione del
principio  di  eguaglianza,  stante  l'autonomia che i sistemi stessi
presentano  in  relazione  alle  peculiarita'  di  ogni  categoria  e
considerate le rispettive esigenze di equilibrio finanziario.
    Ne  e'  riprova, del resto, il fatto che, nell'ambito dei diversi
regimi  di  previdenza  categoriale,  non  si rinviene una disciplina
assolutamente   uniforme   dell'istituto   della   restituzione   dei
contributi  versati,  a tacer ovviamente dei casi in cui lo stesso e'
escluso  o  in  via  generale  (art.  10  dello  statuto  della Cassa
nazionale  del notariato) oppure proprio in riferimento ai superstiti
dell'assicurato (art. 6 della legge n. 236 del 1990, sulla previdenza
dei  geometri,  che  ha  abrogato  la  diversa  previsione  contenuta
nell'art. 21 della legge n. 773 del 1982).