IL TRIBUNALE

    Il Tribunale, in composizione monocratica, Il sezione penale,
    Sulla  questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 438
  c.p.p. per violazione degli artt. 3, 101, e 111 della Costituzione,
  sollevata dal p.m., sentito il difensore,

                            O s s e r v a

    Gli  imputati  Gani Sali e Sali Gulistan, hanno oggi richiesto, a
  sensi   dell'art. 223   d.l.gs.   n. 51/1998;   prima   dell'inizio
  dell'istruzione dibattimentale, il giudizio abbreviato.
    Ha    eccepito   il   p.m.   la   illegittimita'   costituzionale
  dell'art. 438  c.p.p.  in  relazione all'art. 111 Cost., in quanto,
  nella  sua  attuale  formulazione,  non  consente al p.m. stesso di
  intervenire  al  fine  di  esprimere  il  consenso o il dissenso in
  relazione alla richiesta medesima ed impedisce al giudice qualsiasi
  valutazione  e  decisione  sulle  scelte  processuali operate dalle
  parti.  Ha altresi' dedotto con riferimento allo stesso articolo la
  violazione dell'art. 3 Cost., in quanto l'attuale sistema normativo
  non consente la celebrazione del processo in forma pubblica.
    Preliminarmente  deve  osservarsi che nella specie e' applicabile
  la  norma  transitoria  di  cui  all'art. 223 d.lgs. n. 51/1998, la
  quale  ha  esteso  la  possibilita' per l'imputato, nell'ambito dei
  procedimenti  in  corso  alla  data del giugno 1999, di chiedere il
  rito abbreviato fino all'inizio della istruzione dibattimentale.
    Tale norma e' stata successivamente modificata dall'art. 56 della
  legge  n. 479/1999, che ha abrogato l'inciso "acquisito il consenso
  del  pubblico  ministero",  di  tal  che  anche secondo la suddetta
  disposizione  transitoria,  l'imputato  puo'  chiedere  il giudizio
  abbreviato senza che il p.m. abbia il diritto di interloquire sulla
  richiesta.
    Del  resto  e' la intera materia ad essere stata modificata dalla
  legge  n. 479/1999  citata, agli artt. 438 e ss. c.p.p., in quanto,
  eliminando  dal  rito  abbreviato  la  necessita'  del consenso del
  pubblico ministero, ha configurato in maniera completamente diversa
  rispetto alla normativa previgente l'intero istituto.
    Ritiene  il  tribunale che la suddetta normativa introdotta dalla
  legge  n. 479  citata  e'  applicabile anche ai giudizi per i quali
  l'abbreviato  viene richiesto sulla base dell'art. 223 sopracitato,
  in quanto, trattandosi di norme a prevalente carattere processuale,
  esse  sono  estensibili  a  tutti i procedimenti pendenti, e quindi
  anche all'attuale processo.
    Sulla  base  di  tale  presupposto,  deve  comunque  valutarsi la
  legittimita'  costituzionale  dell'impianto  normativo  che  regola
  l'attuale  giudizio  abbreviato  in relazione ad alcune norme della
  costituzione.
    Occorre   innanzitutto   soffermarsi  sul  nuovo  art. 111  della
  Costituzione, evidenziandone i principi fondamentali.
    Prevede dunque il medesimo art. 111 che la giurisdizione si attua
  mediante  il  giusto  processo  regolato  dalla  legge,  e che ogni
  processo  si  svolge in contraddittorio tra le parti, in condizione
  di parita', davanti a un giudice terzo e imparziale.
    Tale   disposizione,   a  parere  del  tribunale,  non  puo'  che
  riguardare qualsiasi fase processuale, in quanto le norme contenute
  nei   successivi   commi  4  e  5  regolano,  piu'  specificamente,
  l'applicazione  del principio del contraddittorio alle sole fasi in
  cui viene assunta la prova.
    Tale distinzione, evidente alla mera lettura della norma, implica
  che  i  principi  del  rispetto del contraddittorio e della parita'
  delle  parti  nel  processo  operano  sin  dall'inizio del processo
  medesimo,  e che quindi non vi e' alcuna fase svincolata dalla loro
  applicazione concreta.
    E'  quindi  conseguenziale  ritenere che non puo' verificarsi nel
  processo  penale alcuna situazione senza che a ciascuna delle parti
  sia riconosciuto il diritto ad interloquire.
    Tale diritto non puo' ovviamente essere inteso come mera facolta'
  formale  ad  esprimersi,  ma  deve manifestarsi in modo tale che ad
  esso  possa  conseguire  efficacia  giuridica. In caso contrario il
  diritto  a  contraddire  e  il  principio della parita' delle parti
  resterebbero   vuoti   di  contenuti  giuridici  concreti,  con  la
  conseguenza  che  la  norma  dell'art.  111  resterebbe  del  tutto
  disattesa e quindi priva di efficacia precettiva.
    Nel  caso  in  questione,  dalla  applicazione dei principi sopra
  enunciati discendono evidenti e dirette conseguenze.
    Non appare infatti conforme alla Costituzione non solo privare il
  p.m.  del  diritto a contraddire le richieste dell'imputato in tema
  di  giudizio  abbreviato,  ma  anche  non attribuire alle eventuali
  contrarie   deduzioni   dell'organo   dell'accusa,   una  qualsiasi
  efficacia  giuridica immediata, che nel sistema attuale della legge
  non e' dato riscontrare.
    L'impianto  normativo  in vigore evidenzia quindi chiari dubbi di
  legittimita'  costituzionale,  perche'  impedisce  sia  il pieno di
  spiegarsi del contraddittorio anche nella attuale fase processuale,
  sia  il rispetto del principio della parita' delle parti, con ovvia
  e conseguente rilevanza nel processo in corso.
    Un  ulteriore  argomento  inteso  a  rafforzare  le  tesi sin qui
  esposte   si   rinviene   nell'insegnamento   della   stessa  Corte
  costituzionale,  contenuto nella ordinanza 26 febbraio 1998, n. 33,
  secondo  cui  la  possibilita' di adottare il rito abbreviato sulla
  base  delle  sole  richieste  dell'imputato  in  funzione  dei suoi
  legittimi  interessi  di difesa, violerebbe i principi fondamentali
  che   regolano  il  processo  penale,  intesi  essenzialmente  alla
  realizzazione dei superiori interessi della giustizia.
    Occorre  peraltro  osservare, anche in punto di rilevanza, che la
  possibilita'  per  il p.m. di contraddire su un piano di parita' la
  richiesta  delle  parti,  conferendo  efficacia  giuridica alle sue
  osservazioni  eventualmente contrarie alla ammissibilita' del rito,
  dovrebbe  comportare  le  seguenti  conseguenze:  1)  o al dissenso
  motivato del p.m. consegue se fondato, la prosecuzione del processo
  con  il  rito  ordinario,  salva  la possibilita' per il giudice di
  riconoscere  al  termine  dello  stesso  la  non  congruita'  delle
  motivazioni  medesime, con conseguente attribuzione dello sconto di
  pena  agli imputati, oppure: 2) dovrebbe riconoscersi al giudice la
  possibilita'   di   pronunciarsi   immediatamente,   ammettendo   o
  rigettando la richiesta degli imputati.
    Cio'   comporterebbe   la  piena  attuazione  dei  principio  del
  contraddittorio   nell'ambito   di  un  sistema  processuale,  come
  l'attuale,  improntato anche al rispetto della piena parita' tra le
  parti,  che si svolge davanti a un giudice terzo, al quale non puo'
  essere  negata  la  attribuzione  del  potere  di  deliberare sulle
  questioni prospettate dalle parti in contraddittorio tra loro.
    Una  situazione normativa, come l'attuale, che esclude il giudice
  dall'assolvimento  di  indefettibili  compiti istituzionali che gli
  sono  propri,  viola  il  principio.  della  giurisdizione e quindi
  l'art. 101 della Costituzione.
    Occorre ancora considerare che il vicente assetto normativo sulla
  ammissibilita'  del  giudizio  abbreviato,  introduce  un singolare
  diritto soggettivo assoluto dell'imputato non tanto e non solo alla
  mera  scelta  del  rito, quanto addirittura al conseguimento di uno
  sconto di pena.
    Cio'  in  quanto  la mancata previsione della possibilita' per il
  p.m.  di  esprimere  il  proprio dissenso motivato. sulla richiesta
  nonche'  la mancata previsione del potere del giudice di respingere
  la  richiesta medesima, (salvo il limitato caso dell'art. 438 comma
  5),  unitamente  alla  impossibilita'  per  il  giudice  stesso  di
  sanzionare in qualche modo la mancanza dei naturali presupposti del
  rito  speciale,  trasformano  il  diritto processuale dell'imputato
  alla  scelta  del  rito  in  un sostanziale diritto del medesimo al
  conseguimento   automatico  e  irragionevole  del  beneficio  della
  riduzione di pena.
    Peraltro,  non  appare  incongruo  rispetto  alle  considerazioni
  appena svolte, notare che ai sensi dell'art. 443 c.p.p. al p.m. non
  e'   neppure  data  facolta'  di  impugnazione  della  sentenza  di
  condanna,  salva la limitata eccezione prevista in caso di modifica
  del titolo del reato.
    Appare  a  questo  punto  necessario  ricordare che i presupposti
  logico-giuridici  del  predetto rito abbreviato si rinvengono, come
  emerge  chiaramente  anche  dai  lavori  preparatori  del codice di
  procedura   vigente,  nella  sostanziale  abbreviazione  dei  tempi
  processuali   in   conseguenza   del   mancato   svolgimento  della
  istruttoria  dibattimentale  (come  nel caso in questione), o della
  intera  fase  dibattimentale: e' proprio al fine di realizzare tale
  esigenza  che  il legislatore ha riconosciuto uno sconto di pena al
  soggetto richiedente.
    Secondo  la  normativa attuale invece, tale rito rimane del tutto
  svincolato  dai  presupposti  sopra  indicati, in quanto qualora il
  giudice  ritiene  necessario, procedere ad una qualche integrazione
  probatoria  (ove,  non  ritenga  di poter decidere allo stato degli
  atti),  ha  comunque l'obbligo di applicare la diminuente del rito,
  malgrado risultino evidentemente disattese le ragioni di speditezza
  ed economia alla base dell'istituto.
    Sulla  scorta  di tali ultime osservazioni, deve ritenersi che la
  attuale  normativa sul giudizio abbreviato viola anche il principio
  enunciato dall'art. 97 della Costituzione, dell'imparzialita' e del
  buon  andamento  della  pubblica  amministrazione (nella quale deve
  ovviamente   ricomprendersi   anche  quella  giudiziaria),  poiche'
  comporta  la  attribuzione agli imputati di vantaggi significativi,
  ma   ingiustificati,   in   quanto   non  sempre  conseguenti  alla
  realizzazione dei fini ai quali dovrebbero essere preordinati.
    Ne' puo' tacersi che l'attuale sistema prevede la attribuzione di
  tali  vantaggi  a  tutti gli imputati che fanno richiesta del rito,
  senza  che  sia  consentito  distinguere  tra  coloro i quali hanno
  effettivamente  contribuito  alla  riduzione  sostanziale dei tempi
  processuali   -   quando   la  richiesta  non  sia  subordinata  ad
  integrazione  probatoria,  ne'  il  giudice  ritenga  d'ufficio  di
  acquisire  ulteriori  elementi  -, e coloro che invece, pur optando
  per  tale rito, hanno dato causa alla dilatazione dei suoi naturali
  tempi  processuali,  laddove  si  renda  necessaria  ex officio una
  integrazione  probatoria,  che a seconda dei casi, puo' presentarsi
  complessa  e  quindi  particolarmente  laboriosa. Tutto cio' sembra
  essere in contrasto anche con l'art. 3 della Costituzione.
    Inoltre;   come  statuito  dalla  Corte  nella  ordinanza  citata
  n. 33/1998,   l'attuale  situazione  normativa  determina  evidenti
  disarmonie nel sistema processuale, posto che alla perdita del p.m.
  della  possibilita'  di  interloquire sulla scelta del rito, non si
  accompagna  neppure una nuova disciplina sull'esercizio del diritto
  alla  prova,  (il  p.m.  non  ha  facolta' di chiedere integrazioni
  probatorie  di  iniziativa), e neppure una modifica estensiva delle
  attuali limitazioni alla facolta' di impugnare.
      Tutto  cio'  implica  una  nuova violazione dell'art. 111 della
  Costituzione  sotto  il  profilo  del  rispetto  del  principio del
  contraddittorio  nonche'  di  quello  della  parita' delle parti in
  tutte le fasi processuali.