IL TRIBUNALE

    All'udienza  del  23 maggio 2000, pronuncia la seguente ordinanza
  nel  procedimento  n. 236/99/16 (n. 670/98/21 RGPM) contro Leonardi
  Alfio  e Duranti Luciano, imputati dei reati di cui agli artt. 110,
  317,  319  e  319-bis CP, rispettivamente ascritti come nel decreto
  del g.u.p. del tribunale di La Spezia.
    Premesso che:
        all'odierna   udienza   i   difensori  degli  imputati  hanno
  sollevato    la    questione    di    legittimita'   costituzionale
  dell'art. 513,   comma   2,  c.p.p.  con  riferimento  all'art. 111
  Costituzione,   nella   parte   in  cui  prevede  che,  qualora  il
  dichiarante  rifiuti  o  ometta, in tutto o in parte, di rispondere
  sui  fatti  concernenti  la responsabilita' di altri imputati, gia'
  oggetto  delle sue precedenti dichiarazioni, in mancanza di accordo
  delle  parti  alla lettura, si applichi l'art. 500, commi 2-bis e 4
  c.p.p.,  indipendentemente dal verificarsi di uno dei casi previsti
  dall'art. 111, quinto comma, Costituzione;
        il  p.m.  ha chiesto il rigetto della questione, ritenendo la
  sua manifesta infondatezza.

                            O s s e r v a

    La  questione  sollevata  dalla  difesa e' rilevante nel presente
  giudizio,   posto   che  non  e'  possibile  definirlo  senza  aver
  previamente stabilito se il p.m. possa, non sussistendo il consenso
  delle  parti, contestare a Comitardi Maurizio, persona esaminata ex
  art. 210  c.p.p.  e  che  si  e'  avvalsa  della  facolta'  di  non
  rispondere   alle   domande,   il   contenuto   dei  verbali  degli
  interrogatori  resi  il 17 maggio 1994, il 9 febbraio 1995 ed il 10
  agosto  1995  al p.m. del tribunale di Genova, nei quali aveva reso
  dichiarazioni attinenti ai fatti per cui si procede.
    Invero,  a  seguito  della  sentenza  della  Corte costituzionale
  n. 361  del  2  novembre  1998,  l'art. 513,  secondo comma, c.p.p.
  consente  l'applicabilita',  anche nel caso di persona esaminata ai
  sensi  dell'art. 210 c.p.p., della contestazione disciplinata per i
  testimoni dall'art. 500, commi 2-bis e 4, c.p.p..
    Non  pare  superabile  il  tenore letterale dell'art. 500, quarto
  comma,  c.p.p.,  secondo  cui  le  dichiarazioni  utilizzate per la
  contestazione  sono  acquisite  nel fascicolo per il dibattimento e
  sono valutate come prova dei fatti in essa affermati, se sussistono
  altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilita'.
    Non  appare manifestamente infondata la questione di legittimita'
  costituzionale   sollevata,   posto   che   la  disciplina  di  cui
  all'art. 513  comma  2  c.p.p., cosi' come delineata dalla sentenza
  della  Corte  costituzionale  n. 361/98, appare in contrasto con il
  dettato  costituzionale  di cui all'art. 111 Cost. introdotto dalla
  legge costituzionale n. 2/99, da cui peraltro traspare la specifica
  volonta'   del   legislatore   di   porre  nel  nulla  la  sentenza
  interpretativa  di  accoglimento  della  Corte costituzionale sopra
  citata.
    Ed  invero,  la  possibilita'  -  introdotta col meccanismo delle
  contestazioni   -  di  acquisire  ed  utilizzare  contra  alios  le
  dichiarazioni   in  precedenza  rese  dalla  persona  esaminata  ex
  art. 210  c.p.p., che si sia avvalsa in dibattimento della facolta'
  di non rispondere, pare inconciliabile:
        1) con il comma 4 dell'art. 111 novellato, risultando violato
  il  principio  costituzionale  del contraddittorio nella formazione
  della  prova  e  ricorrendo,  peraltro,  la  specifica  ipotesi  di
  soggetto  che  si  e'  sottratto volontariamente all'esame da parte
  dell'imputato  e  del  suo  difensore  in  relazione  alla  propria
  posizione processuale;
        2) con il comma 5 dell'art. 111 Cost., non ricorrendo nessuna
  delle  ipotesi in cui e' consentita la formazione della prova al di
  fuori   del   contraddittorio  (consenso  dell'imputato,  accertata
  impossibilita' di natura oggettiva, provata condotta illecita).