LA CORTE D'APPELLO
    Ha  emesso la seguente ordinanza dei quali il secondo relatore ed
  estensore  nel  procedimento  n. 22/2000  del  Reg.  Gen. Aff. Cam.
  Cons.,  promosso  da Lorenzo Scarpaci, nato a Palermo il 4 febbraio
  1945,  elettivamente  domiciliato  in  Palermo  via  P. Paternostro
  n. 27,   presso   l'avv.   Anna   Linda  Cordaro,  dalla  quale  e'
  rappresentato e difeso, reclamante.

                          Ritenuto in fatto

    Con  ricorso,  depositato  il  18 novembre  1999,  Lorenzo Rappa,
  coniugato,  nato  a  Palermo il 4 febbraio 1945, figlio adottivo di
  Antonina  Scarpaci, nata a Palermo il 29 ottobre 1917, in virtu' di
  decreto  del  tribunale di Palermo del 4 giugno 1999, ha chiesto al
  tribunale di Palermo, che, ad integrazione del decreto di adozione,
  si  stabilisse,  a suo favore, di aggiungere al cognome della madre
  adottiva, il suo proprio cognome, anteponendolo all'altro.
    Con  decreto  del  3 dicembre  1999  il  tribunale  di Palermo ha
  respinto  l'istanza,  tenuto conto della chiara disposizione di cui
  all'art. 299  capoverso  del c.c., secondo il quale "l'adottato che
  sia  figlio  naturale  non  riconosciuto dai propri genitori assume
  solo il cognome dell'adottante".
    Avverso  detto decreto ha proposto impugnazione Lorenzo Scarpaci,
  che,  con  reclamo depositato il giorno 11 marzo 2000, ha chiesto a
  questa Corte l'accoglimento dell'originaria istanza di integrazione
  del   decreto   di   adozione,   dichiarando,   ove   occorra,  non
  manifestamente    infondata    la    questione    di   legittimita'
  costituzionale dell'art. 299, comma 2, codice civile, in violazione
  dell'art. 2  della  Costituzione e sollevando la relativa eccezione
  innanzi alla Corte costituzionale.
    Ha rilevato il predetto che detta norma nell'ambito dell'adozione
  di  persone  di  maggiore  eta'  non  tiene conto, come nel caso in
  esame,  che  esse possono gia' avere una famiglia, identificata dal
  cognome originario.
    Ha  documentato,  con  certificato  del  comune  di  Palermo  del
  24 gennaio 2000, il suo stato di famiglia.
    Il  procuratore  generale  ha  aderito  al  reclamo,  ponendo  in
  evidenza  che il mantenimento dell'originario cognome attiene ad un
  diritto della personalita', poiche' e' funzionale al riconoscimento
  della persona nella vita di relazione.

                       Considerato in diritto

    L'istante,  figlio naturale non riconosciuto dai propri genitori,
  e  adottato,  ha chiesto all'autorita' giudiziaria di aggiungere al
  cognome  acquisito  Scarpaci  il  proprio  cognome d'origine Rappa,
  anteponendolo al primo.
    All'accoglimento   di   detta   richiesta  osta  sia  l'enunciato
  normativo  di cui al secondo comma dell'art. 299 del codice civile,
  sia  quello  di  cui  al  primo  comma,  entrambi insuscettibili di
  "un'interpretazione adeguatrice".
    La  struttura logico-sintattica complessiva di essi conduce ad un
  solo significato, quello emergente dall'interpretazione letterale.
    Manca il presupposto oggettivo dell'"interpretazione adeguatrice"
  e cioe' l'esistenza di un dato lessicale polisenso, suscettibile di
  "letture alternative", tale cioe' da esprimere due o piu' possibili
  significati  dei  quali  uno  soltanto "compatibile" con i precetti
  costituzionali.
    Diviene,   pertanto,   ineludibile,  ai  fini  del  decidere,  la
  questione di legittimita' costituzionale della predette norme.
    Questione che appare rilevante e non manifestamente infondata.
    In  ordine al detto primo parametro di giudizio, va osservato che
  necessariamente    pregiudiziale    all'esito    della    richiesta
  dell'adottato  di  aggiungere  al cognome dell'adottante quello suo
  proprio  originario e' l'esame della questione di costituzionalita'
  sia  del  secondo  comma  dell'art. 299  del  codice  civile,  che,
  oblitera  integralmente  il  cognome originario dell'adottante, sia
  del primo comma del medesimo che antepone il cognome dell'adottante
  a  quello originario, ponendosi entrambe le predette norme, quindi,
  come   ostacolo   all'accoglimento   integrale  della  istanza  del
  reclamante.
    Riguardo  al  secondo  parametro  di  giudizio, si osserva quanto
  segue.
    Nell'ambito dell'attuale ordinamento giuridico, il nome in quanto
  segno  di  identificazione  sociale del soggetto, lungi dall'essere
  una  mera  e'tiquette  amministrative,  attiene  all'essenza  della
  persona  ed  ha  soprattutto  un  valore  simbolico, essendo intima
  espressione   diacronica   della   personalita'   individuale   del
  portatore.
    Le  norme  le  quali  tutelano  il nome sono norme attributive di
  situazioni  soggettive,  le quali, al di fuori di quelle norme, non
  sono sfornite di tutela.
    Una  parte  cospicua  della  dottrina e la giurisprudenza, con un
  indirizzo ormai consolidato, ha affermato l'esistenza di un diritto
  assoluto  di  personalita'  -  inteso come diritto alla liberta' di
  autodeterminazione  nello  svolgimento della personalita' dell'uomo
  come  singolo  -  nel  quale  si  inseriscono,  senza esaurirlo, le
  particolari  situazioni  disciplinate dalle norme volte alla tutela
  del  nome,  dell'immagine,  della  segretezza  della corrispondenza
  ecc..
    L'"identita'  personale"  e' venuta emergendo, nella piu' recente
  elaborazione  giurisdizionale,  come  bene-valore  costituito dalla
  proiezione   sociale  della  personalita'  dell'individuo,  cui  si
  correla  un  interesse  del soggetto ad essere rappresentato, nella
  vita di relazione, con la sua vera identita', a non vedere, quindi,
  all'esterno,  modificato,  offuscato o comunque alterato il proprio
  patrimonio  intellettuale,  ideologico,  etico, professionale ecc.,
  quale   estrinsecarsi  o  destinato,  comunque,  ad  estrinsecarsi,
  nell'ambiente  sociale,  secondo indici di previsione costituiti da
  circostanze obiettive ed univoche.
    La  specificita'  di  tale  interesse  ("ad essere se' stesso) e'
  stata   anche  colta  in  parallelo  ad  altri  interessi  ad  esso
  collegati,  fra  i  quali  l'interesse  ai  segni  distintivi (nome
  pseudonimo),  che identificano nell'attuale ordinamento il soggetto
  sul piano dell'esistenza materiale e della condizione civile.
    La   suprema  Corte  di  Cassazione,  con  sentenza  n. 6118  del
  18 giugno  1990,  ha  individuato il fondamento guiridico del cosi'
  enucleato    "diritto    all'identita'    personale"   direttamente
  nell'art. 2 della Costituzione "inteso tale precetto nella sua piu'
  ampia  dimensione  di  clausola  generale,"  aperta "all'evoluzione
  dell'ordinamento  e  suscettibile  per  cio' appunto, di apprestare
  copertura   costituzionale   ai   nuovi   valori   emergenti  della
  personalita' in correlazione anche all'obiettivo primario di tutela
  del pieno sviluppo della persona umana, di cui al successivo art. 3
  capoverso".
    A   sostegno   di  detto  ancoraggio  del  diritto  all'identita'
  personale  all'art. 2  della Costituzione la Corte di cassazione ha
  invocato  anche  la  precedente sentenza della Corte costituzionale
  n. 13  del  1994,  secondo la quale testualmente "tra i diritti che
  formano  il  patrimonio irretrattabile della persona umana l'art. 2
  della   Costituzione   riconosce  e  garantisce  anche  il  diritto
  all'indennita' personale".
    Conseguentemente,   le   varie  norme  di  tutela  del  nome  non
  costituiscono  il  fondamento  di  diversi,  autonomi diritti della
  personalita', ma punti di emersione di un diritto unico a contenuto
  indefinito e vario.
    Cio'  premesso,  va  rilevato  che,  con  l'adozione,  l'adottato
  acquista  un  nuovo  status  di figlio, che concorre con quello che
  egli gia' abbia in seno alla propria famiglia.
    Il  primo  effetto  considerato dal codice civile e' l'assunzione
  del  cognome dell'adottante da parte dell'adottato (art. 299, primo
  comma, codice civile).
    Nelle  adozioni  non  piene  (dei maggiori e dei minori) il nuovo
  cognome  non  sostituisce  il  precedente  (come,  invece,  avviene
  nell'adozione  legittimante  art. 27, primo comma, legge n. 184 del
  1983) ma vi si aggiunge.
    Il legislatore del 1983, nel riformare il testo dell'art. 299 del
  codice  civile  (mediante  l'art. 61  della legge n. 184 del 1983),
  ribaltando  il  principio  previgente,  ha  disposto che il cognome
  dell'adottante debba essere anteposto a quello dell'adottato.
    Questo,  pero',  ove  si  tratti  di  figlio legittimo o naturale
  riconosciuto da entrambi i genitori.
    L'anteposizione  del  cognome  di  adozione  e'  indice non della
  perpetuazione  del  gruppo  o  della  trasmissione  del  nome e del
  patrimonio,  ma  di  uno stabile e valido inserimento dell'adottato
  nella nuova comunita' familiare.
    La  regola  dell'anteposizione  trova  pieno fondamento in alcuni
  casi  particolari  (art. 44 lettere a e b legge n. 184) di adozione
  non  legittimante  di minori, in considerazione del piu' accentuato
  carattere  familiare e della funzione promozionale ed educativa che
  deve essere realizzata nell'interesse esclusivo del fanciullo.
    Essa   appare   priva   di   giustificazione  razionale,  invece,
  nell'ipotesi in cui l'adottando sia persona maggiore d'eta'.
    Infatti,  si  lede,  in  tal  caso, il suo diritto ad una sua non
  equivoca identificazione sociale e si viola, pertanto, l'essenziale
  fondamentale  e  qualificante  diritto dell'adottando all'identita'
  personale.
    Ove,  invece,  l'adottato  sia figlio naturale non riconosciuto o
  riconosciuto  da  un  solo  genitore,  egli  assume solo il cognome
  dell'adottante  (art. 299,  secondo comma, codice civile), perdendo
  quello attribuito per atto della pubblica autorita'.
    Tale  deroga  al  principio  generale troverebbe fondamento nella
  condizione  deteriore  attribuita  ai figli non riconosciuti (e non
  riconoscibili) quali soggetti sprovvisti di status.
    Il   cognome   di  origine  andrebbe  eliminato  perche'  imposto
  dall'ufficiale dello stato civile, pertanto, non sarebbe indicativo
  dell'appartenenza della persona ad un gruppo familiare.
    Detta  norma  sembra  inspirata  all'antica  idea  di tutelare il
  figlio "illegittimo" occultando la sua origine (cfr. Rel. Min.).
    Sottesa a detto dictum v'e' la considerazione dell'inesistenza di
  un  motivo  perche'  sia  conservato  un  cognome  che  non e' piu'
  indicativo  di alcuno status, dopo che lo status figlio adottivo e'
  stato conseguito.
    Avendo il figlio, (naturale non riconosciuto dai propri genitori)
  adottivo, un solo status familiare (quello di figlio adottivo), ha,
  del pari, un unico cognome (quello dell'adottante).
    Orbene,   essa  diviene  arbitraria  allorquando  l'adottato  sia
  maggiorenne,  non  versando  piu'  in  una situazione di formazione
  psichica   e  fisica,  ed  abbia  anche  una  acquisita  situazione
  familiare da tutelare.
    Nell'attuale contesto socio-normativo, ove si e' affermato e vive
  il  diritto  dell'identita'  personale,  fondato  sul citato art. 2
  della    Costituzione,    il   cognome   originario   dell'adottato
  maggiorenne,  con  posizione  familiare  da tutelare, lungi dal far
  trasparire   soltanto   un'antica   origine  illegittima,  esprime,
  sovratutto, formalmente l'individuazione del portatore come persona
  e capo di famiglia.
    Pertanto,   in   tale   situazione,   non  vi  sono  ragioni  che
  giustifichino  un  mutamento cosi' radicale del segno distintivo di
  un  soggetto  che  non  e'  piu'  in  formazione e che ha diritto a
  conservare   la   sua   personalita'   attraverso  il  suo  cognome
  originario.
    La  perdita  definitiva  di  quest'ultimo comporta tout court una
  obiettiva lesione del diritto dell'identita' personale, fondato sul
  citato  art. 2 della Costituzione, venendo meno il segno distintivo
  che  identifica  nell'attuale ordinamento giuridico il soggetto sul
  piano dell'esistenza materiale e della condizione civile.
    Non  si  e'  tenuto presente, da un lato, che, pur in mancanza di
  riconoscimento,  il figlio ha diritto all'accertamento del rapporto
  di  filiazione,  e  d'altra  parte,  che,  come nel caso di specie,
  l'adottato  puo'  avere  costituito gia' una famiglia, identificata
  dal suo originario cognome.
    Peraltro,  detta  norma determina un'ingiustificata disparita' di
  trattamento  tra  figli  non  riconosciuti  (e non riconoscibili) e
  figli   legittimi   e,   quindi,  ingenera  un  fondato  dubbio  di
  illegittimita'  costituzionale  per  violazione  degli artt. 3 e 30
  della Costituzione.
    Il  figlio naturale non riconosciuto, soprattutto, se maggiore di
  eta',  ha  lo  stesso  diritto  del figlio legittimo di tutelare il
  proprio cognome che, se pure non indicativo di un gruppo familiare,
  e' pur sempre identificativo della propria persona e della famiglia
  eventualmente costituita.
    Alla  stregua delle suindicate argomentazioni, sussiste il dubbio
  di  costituzionalita'  del  primo  comma  dell'art. 299  del codice
  civile  perche'  in contrasto con l'art. 2 della Costituzione e del
  secondo  comma  dell'art. 299  del  codice  civile,  in  quanto  in
  contrasto con gli artt. 2, 3 e 30 della Costituzione.