IL TRIBUNALE Riunito in camera di consiglio, a scioglimento della riserva formulata nell'apposita udienza ha pronunciato la seguente ordinanza nei procedimenti per affidamento al servizio sociale - detenzione domiciliare - nei confronti di Gambino Rosario, nato il 24 dicembre 1957 a Palma di Montechiaro, elettivamente domiciliato presso lo studio legale avv. G. Dacqui' - piazza Trento n. 49 - Caltanissetta. Letta l'istanza, viste le richieste del p.g. e le conclusioni della difesa O s s e r v a Con provvedimento del 2 luglio 1998, la procura generale di Caltanissetta ordinava sospendersi l'esecuzione dell'ordine di carcerazione 21 novembre 1995, relativo alla pena complessiva di mesi tre, giorni venti di reclusione e L. 700.000 di multa, di cui al provvedimento di unificazione di pene concorrenti n. 49/95 del 7 ottobre 1995. Con istanza del 4 agosto 1998, Gambino Rosario, nato a Palma di Montechiaro il 24 dicembre 1957 e in atto residente in Germania, tramite il suo difensore di fiducia, avv. Giuseppe Dacqui', chiedeva il beneficio dell'affidamento in prova al servizio sociale ed, in subordine, quello della detenzione domiciliare, in relazione alla pena di cui al predetto ordine di sospensione. Dopo l'istruzione dell'istanza, all'udienza del 25 novembre 1993, il difensore depositava memoria con la quale sollevava la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 47, 47-ter, legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modifiche, per contrasto con gli artt. 3, 4, 16 e 27 della Costituzione. Dalla istruzione della causa si accertava che il Gambino risiedeva in Germania, dove era emigrato dal 9 novembre 1990 (vedi nota questura di Agrigento 10 novembre 1998, precisamente in Antoniusstrasse 52-D52249 Schweiller, e, altresi', veniva documentalmente dimostrato che il medesimo aveva trovato lavoro stabile fin dal 1o giugno 1998 presso una ditta di trasporti tedesca, rispondente alla denominazione Jakobs-Spedition-Transport S.r.l., con sede in Matthias-Zimmermann-Strasse, 13, D52152 Simmerath (vedi attestato di lavoro in atti), nonche' che lo stesso si era regolarmente sposato con prole. All'udienza dell'8 marzo 2000 il difensore reiterava l'eccezione di illegittimita' costituzionale gia' avanzata. Di essa il p.g. d'udienza chiedeva il rigetto, in quanto manifestamente infondata, e poiche' occorrerebbe tener presente eventuali accordi internazionali fra Italia e Germania. Lo stesso p.g. chiedeva, tuttavia, nel merito, l'accoglimento della misura piu' ampia, richiesta cui il difensore, sia pure in subordine, si associava. Cio' premesso il tribuna1e ritiene che la questione di legittimita' costituzionale, sollevata dal difensore in relazione all'art. 47 della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modifiche, sia rilevante e non manifestamente infondata, per contrasto con gli artt. 3, 4, 16 e 27 della Costituzione. Essa appare rilevante in quanto da una eventuale pronunzia di illegittimita' costituzionale delle norme soprarichiamate, comunque possa essere motivata, deriva direttamente l'individuazione dell'ambito operativo all'interno del quale soltanto quelle norme possono trovare efficacia, in relazione alla concessione della misura alternativa invocata, sia sotto il profilo dei presupposti di questa, sia sotto il profilo delle modalita' concrete della sua attuazione. La questione appare inoltre non manifestamente infondata per le seguenti considerazioni. E' pur vero che la Corte di cassazione, chiamata a pronunziarsi sul punto (sez. I, 29 gennaio 1997) ha escluso la possibilita' di concedere l'affidamento in prova al condannato residente all'estero nella considerazione che la misura alternativa non puo' svolgersi in una nazione diversa in quella in cui deve essere espiata la pena e rilevando, anche, che non e' ammissibile l'affidamento in prova presso il consolato italiano all'estero in quanto destinatari di detto affidamento possono essere soltanto i centri di servizio sociale dipendenti dalla amministrazione penitenziaria. E' altrettanto vero che il D.A.P., preoccupato dei problemi pratici che ne potrebbero derivare, ha escluso che il beneficio dell'affidamento in prova possa avere esecuzione al di fuori del territorio nazionale (vedi circolare 18 settembre 1998, protocollo n. 561557) dal momento che il centro di servizio sociale non ha all'estero alcuna competenza, e dal momento che non si saprebbe a chi addossare le spese necessarie per tenere i contatti con operatori stranieri (per esempio corrispondenza epistolare o telefonica). In altri termini e chiaro che la macchina amministrativa delle istituzioni non e' pronta o predisposta per dar corso ad una tale forma di esecuzione al di fuori del territorio nazionale. E' tuttavia indubitabile che, nell'ambito di una eventuale divergenza fra un principio di diritto, da un lato, e una prassi amministrativa, o operativa, dall'altro, e' sempre questa che deve cedere a quello e non viceversa: il che non solo e' conforme ai principi di uno Stato di diritto, ma e' cio' che puntualmente e' sempre accaduto nel nostro sistema. Opinando in senso contrario, a titolo di esempio, si dovrebbe giungere a dichiarare inammissibile una proposta, pur legittima, di referendum popolare abrogativo, sol perche' in caso di effettiva abrogazione delle norme impugnate si' creerebbero delle pur gravi difficolta' organizzative e/o amministrative. Nell'ambito della questione in esame, delle due, l'una: o la pena ha uno scopo puramente afflittivo; oppure, come recita l'art. 27, terzo comma, della Costituzione, essa persegue uno scopo rieducativo. Nel primo caso, nulla questio. Anzi, escludere la misura alternativa per il solo fatto che l'istante risiede all'estero, dove pure ha trovato lavoro, e pure in presenza degli altri presupposti che ne legittimino la concessione, equivale a massimizzare l'afflizione in quantocche' allo stesso si richiedera' di rientrare nel territorio nazionale, ove egli non ha alcuna possibilita' occupazionale, di scontare la pena in vinculis e probabilmente di perdere l'occupazione precedente nel territorio straniero. Ma se, al contrario, si crede - cosi' come detta la logica piu' genuina del principio costituzionale richiamato e dell'intero sistema delle misure alternative previste dalle norme vigenti - che la pena debba innanzitutto svolgere una funzione rieducativa, sul piano personale e di reinserimento sociale, allora la persona condannata dovra' esser posta dall'ordinamento nelle condizioni tali da rendere operativi quei principi. Cosi' come dovra' assicurarsi la tutela del principio di eguaglianza fissato dall'art. 3 della Costituzione, quale garanzia di parita' lavorativa fra tutti i cittadini, a prescindere dal fatto che essi risiedano o meno nello Stato e, nel contempo, dovra' assicurarsi la tutela del principio costituzionale del diritto al lavoro, sancito dall'art. 4 della Costituzione, per cui e' riconosciuto al cittadino, sia il diritto al lavoro, che la promozione delle condizioni che lo rendano effettivo. Daltronde essendo assicurata ad ogni cittadino, dall'art 16 ultimo comma della Costituzione, la liberta' di uscire dal territorio nazionale e quella di rientrarvi, dovra' necessariamente assicurarsi che questa liberta' - ove esercitata ai fini dell'espletamento di attivita' lavorativa - non venga di fatto vanificata dalla impossibilita' di svolgere lavoro all'estero. Al riguardo vale la pena di osservare come gia da anni si parli di "spazio giuridico europeo"; come gli accordi di Shengen abbiano gia da anni rinsaldato e cementato la cooperazione internazionale in tema di sicurezza e di collaborazione penale, come sia stata gia' resa operativa la c.d. "cittadinanza europea" sotto il triplice profilo del diritto di ogni cittadino comunitario di avere liberamente accesso in un paese della Unione europea (senza che occorra esibire passaporto), di risiedervi, ove ritenga, di intraprendervi un'attivita' lavorativa libera o dipendente, senza che occorrano permessi o autorizzazioni di sorta. In questa prospettiva di ormai consolidata cittadinanza europea davvero singolare e' antistorico sarebbe escludere un beneficio, come quello richiesto, e a cui si protrebbe legittimamente aspirare, sol perche' i centri di servizio sociale non godono, allo stato, di competenze normativamente stabilite che permettano loro di coordinarsi con i consolati italiani all'estero o con paritetici organismi che all'estero siano operanti. Ogni contraria obiezione, fondata su ragioni di carattere normativo/organizzativo, appare percio' inconsistente e giuridicamente irrilevante. Come gia' e' accaduto in passato saranno l'organizzazione o la prassi amministrativa a doversi adeguare al principio di diritto. Nella specie, posto che il Gambino si trova nelle menzionate condizioni soggettive, atte alla concessione del beneficio, il solo fatto che egli risieda e lavori in Germania non puo' essere considerato motivo giuridicamente rilevante per escluderlo dal beneficio;