IL TRIBUNALE Esaminati gli atti relativi al procedimento sopra emarginato nei confronti di Accardo Giuseppe, nato a Castellammare del Golfo il 23 maggio 1954, residente a Erice, Casa Santa, via dei Pescatori n. 71, elettivamente domiciliato in Trapani, via Nicolo' Fabrizi n. 48, presso l'ufficio della ditta individuale Accardo Giuseppe, difeso di fiducia dall'avv. Marco Siragusa; D e d u c e La illegittimita' costituzionale dell'art. 461, terzo comma, c.p.p., nella parte in cui non prevede la incompatibilita' del giudice che ha emesso il decreto penale di condanna a giudicare lo stesso imputato a seguito di opposizione sulla richiesta di giudizio immediato o sulla richiesta di giudizio abbreviato o sulla richiesta di applicazione di pena, per violazione degli artt. 3, 24, 25, 76 e 111 Cost. Questo giudice ha emesso nei confronti di Accardo Giuseppe decreto penale di condanna in data 28 gennaio - 31 gennaio 2000 per il reato di cui all'art. 51, comma 2, d.lgs. n. 22 del 5 febbraio 1997 e per il reato di cui all'art. 221 del testo unico leggi sanitarie, comminando la pena di L. 4.000.000 di ammenda. Accardo Giuseppe ha presentato opposizione avverso il predetto decreto di condanna entro i termini di legge con richiesta di giudizio immediato. Ai sensi dell'art. 461, terzo comma, c.p.p., sempre questo giudice e' stato investito della decisione sulla richiesta di giudizio immediato, essendo espressamente statuito che "con l'atto di opposizione l'imputato puo' chiedere al giudice che ha emesso il decreto di condanna il giudizio immediato, ovvero il giudizio abbreviato o l'applicazione della pena a norma dell'art. 444 ". La previsione esplicita di compatibilita' sancita dall'art. 461, terzo comma, c.p.p., del giudice che ha emesso il decreto penale di condanna a giudicare lo stesso imputato a seguito di opposizione sulla richiesta di giudizio immediato o sulla richiesta di giudizio abbreviato o sulla richiesta di applicazione di pena, ad avviso di questo rimettente, violerebbe l'art. 3 Cost. per il trattamento pregiudizievole riservato all'imputato poiche' la sua posizione ha gia' formato oggetto di valutazione da parte di questo giudice investito della richiesta di decreto penale di condanna, e quindi questo stesso giudice si troverebbe chiamato a giudicarlo sullo stesso fatto in sede di opposizione, e l'art. 24 Cost., in quanto in tal modo risulterebbe compromesso anche il diritto di difesa. Le due disposizioni censurate contrasterebbero inoltre con il principio del giudice naturale sancito dall'art. 25 Cost., perche' sarebbe alterato il criterio della terzieta' e della imparzialita' del giudice, di cui all'art. 2 della legge di delegazione 16 febbraio 1987, n. 81, in quanto compromesso dalla valutazione in ordine alla configurabilita' del reato e alla sua riconducibilita' all'indagato, gia' espressa nel momento in cui e' stato emesso decreto penale di condanna, poiche' i possibili esiti del giudizio a seguito dell'atto di opposizione, sono demandati alla competenza dello stesso soggetto processuale che vi ha dato impulso mediante l'emissione del decreto penale di condanna. E' acquisito alla giurisprudenza della Corte costituzionale che l'istituto della incompatibilita' per atti compiuti nel procedimento penale e' preordinato alla garanzia di un giudizio imparziale, che non sia ne' possa apparire condizionato da precedenti valutazioni sulla responsabilita' penale dell'imputato manifestate dallo stesso giudice in altre fasi del medesimo processo e tali da poter pregiudicare la neutralita' del suo giudizio. Il principio del giusto processo, infatti, comporta che il giudizio si formi in base al razionale apprezzamento delle prove raccolte ed acquisite e non abbia a subire l'influenza di valutazioni sul merito dell'imputazione gia' in precedenza espresse: non vi e' dubbio che il procedimento per decreto penale di condanna integra gli estremi di un vero e proprio giudizio di merito, in quanto presuppone l'accertamento giudiziale del fatto storico e della responsabilita' dell'imputato; tali caratteri sono presenti anche nell'attivita' decisoria con cui il giudice valuta la richiesta motivata di decreto penale formulata dal pubblico ministero; valutazione che, sia in caso di accoglimento che di rigetto della richiesta, si sostanza in un esame di merito sulla responsabilita' dell'imputato. che il controllo del giudice attenga non solo ai presupposti del rito, ma anche al merito della richiesta, si ricava in primo luogo dall'art. 459 comma 3 c.p.p., da cui emerge che la valutazione del giudice puo' sfociare nell'emissione di una sentenza di proscioglimento a norma dell'art. 129 c.p.p.. Inoltre, la valutazione di merito e' estesa alla congruita' della misura della pena indicata dal pubblico ministero, in quanto, alla stregua degli artt. 459 comma 3, e 460 comma 2 c.p.p., il giudice, ove non ritenga di applicare la pena nella misura indicata dal pubblico ministero, deve rigettare la richiesta e restituirgli gli atti (cfr. sentenza della Corte costituzionale 21 novembre 1997, n. 346). Pertanto "non puo' lo stesso giudice che ha gia' compiuto una cosi' incisiva valutazione in ordine alla responsabilita' dell'imputato" continuare a trattare del procedimento a seguito di opposizione, soprattutto allorquando si consideri l'opposizione con richiesta di giudizio abbreviato o con richiesta di applicazione di pena a norma dell'art. 444 c.p.p. La pronuncia del giudice sui possibili giudizi a seguito di opposizione, e' quindi pregiudicata, con violazione dei principi del giusto processo e dell'imparzialita' del giudice, dalla precedente pronuncia del decreto di condanna da parte dello stesso giudice. La questione di legittimita' costituzionale sollevata d'ufficio appare pertanto risolutiva nel giudizio in corso e non manifestamente infondata. Il difensore di Accardo Giuseppe, prospetta, a sua volta, la illegittimita' costituzionale dell'art. 460, primo comma, lettera b) c.p.p., in relazione agli artt. 464, comma 3, n. 417, comma 1, lettera b), n. 552, comma 1, lettera c) c.p.p., per violazione degli artt. 3, 24 e 111, terzo comma, Cost. nella parte in cui esso non prevede che il decreto penale di condanna deve contenere l'enunciazione in forma chiara e precisa del fatto e delle circostanze. Infatti, a mente degli artt. 417, comma 1, lettera b), e 552, comma 1, lettera c) c.p.p., l'enunciazione in forma chiara e precisa del fatto e delle circostanze sono requisiti formali, rispettivamente della richiesta di rinvio a giudizio e del decreto di citazione a giudizio. Questo nuovo inciso e' stato introdotto dal legislatore della riforma (legge n. 479/1999) al chiaro scopo di vincolare l'organo della pubblica accusa alla formulazione di addebito il piu' possibile specifico, dettagliato e comprensibile, in modo che sia facilitata la funzione giudicate attivata con l'esercizio dell'azione penale e consentita apertamente la difesa dell'incolpato, come sancito dall'art. 111, terzo comma Cost., nella parte in cui prevede che "... la legge assicura che la persona accusata di un reato disponga del tempo e delle condizioni necessari per preparare la sua difesa". E' indubbia, quindi, la diversita' dei requisiti richiesti per l'esercizio dell'azione penale a seconda che si proceda con procedimento per decreto o altrimenti con richiesta di rinvio a giudizio o con decreto di citazione a giudizio, con conseguente disparita' di trattamento dell'imputato nei confronti del quale si procede per decreto e in senso a lui pregiudizievole, atteso che la chiarezza e la precisione dell'imputazione assicura una maggiore tutela dei diritti della difesa. La questione sollevata dalla difesa di Accardo Giuseppe appare pertanto preclusiva del giudizio e non manifestamente infondata. Ravvisati, quindi, due questioni di illegittimita' che e' necessario risolvere con l'intervento della Corte costituzionale.