IL TRIBUNALE

    Sciogliendo  la  riserva  assunta all'udienza 28 marzo 2000 sulla
  richiesta  di  condanna  ai  sensi dell'art. 186-quarter c.p.c. dei
  convenuti, rileva quanto segue.
    Va  premesso che con citazione del 14 luglio 1997 Marco Narizzano
  ha  richiesto  il  risarcimento  dei  danni  subiti  nell'incidente
  stradale cosi' descritto: il 6 febbraio 1997 l'esponente si trovava
  in Genova a viaggiare quale passeggero sulla Vespa Piaggio condotta
  dall'amico  Marco  Narizzano,  di  proprieta'  della di lui sorella
  Sabrina,  assicurata  per  r.c.a.  con  la  ITAS  Ass.ni; nella via
  Maiorana,   nell'affrontare   una   curva  volgente  a  destra,  il
  conducente  perdeva il controllo del mezzo abbattendosi al suolo. A
  seguito  della caduta, l'esponente riportava contusione alla spalla
  ed  al  ginocchio  destro;  queste  ultime  lesioni  si  evolvevano
  negativamente  portando  a  compromissione del legamento crociato e
  comportavano  meniscectomia,  con  postumi  invalidanti  permanenti
  dell'8%, di cui si chiedeva il ristoro.
    Mentre  i due Narizzano restavano contumaci, il loro assicuratore
  ITAS  resisteva alla domanda invitando il trasportato (di cortesia)
  a fornire la dimostrazione della responsabilita' del suo vettore; e
  negando  alcuna  efficacia probatoria a dichiarazioni ammissive del
  conducente  Narizzano,  come  pure  alla  documentazione  sanitaria
  prodotta dal danneggiato.
    La  fase  istruttoria si e' esaurita con l'interrogatorio formale
  del  conducente e con il licenziamento di C.T.U. medico legale, che
  ha  condivisibilmente  concluso  riconoscendo - quali diretti esiti
  lesivi  del  sinistro - le seguenti conseguenze invalidanti: giorni
  20 di ITT; giorni 20 di ITP; ed invalidita' permanente nella misura
  del  4%  originata  da  trauma  contusivo-distorsivo  del ginocchio
  destro  con  rottura  del  menisco  interno  e rottura parziale del
  crociato anteriore.
    Ritiene  lo scrivente che le piene e circostanziate ammissioni di
  responsabilita'  del  Narizzano,  in  quanto  riscontrate  da altri
  elementi  esterni  di  segno  congruente  con  la  dinamica  lesiva
  prospettata    dall'attore    (vedi    documentazione    sanitaria;
  collocazione  e  natura  delle  ferite)  e con le considerazioni di
  natura medico-legale sviluppate dal C.T.U. sulla compatibilita' tra
  prospettazione  ed  esiti  lesivi, valgano a costituire convincente
  dimostrazione  della  imperizia del conducente convenuto. Cio', nel
  rispetto    dei   principi   valutativi   della   prova   derivanti
  dall'art. 2733   terzo   comma  del  codice  civile,  quali  meglio
  specificati  nella  decisione  del  tribunale del 27 maggio 1999 in
  causa  Bayerische  Assicurazioni  contro  Ghisu  Antonio,  cui deve
  intendersi fatto rinvio.
    Dalla   responsabilita'   -   su  evidente  base  colposa  -  del
  conducente,  discende  a  norma  dell'art. 2054  del  codice civile
  quella  del  proprietario  del  veicolo  e  dell'assicuratore della
  Vespa.
    Circa la liquidazione del danno, fino alla data del 28 marzo 2000
  questo  tribunale vi avrebbe provveduto in conformia' alla sentenza
  n. 2270  Raffaele Molonia contro SAPA S.p.a. 28 settembre 1998 (rg.
  3008/1992),  nella  quale  si aderiva al metodo di calcolo "a punto
  tabellare" di derivazione milanese.
    In  tal  senso, il calcolo liquidatorio avrebbe fatto riferimento
  ai  seguenti  dati  accertati  in  sede  medico-legale: Invalidita'
  temporanea  totale,  giorni  20;  Invalidita'  temporanea parziale,
  giorni   20;   Invalidita'  permanente,  4%  della  totale  con  un
  valore-punto di L. 1.900.000 per ogni punto di IP; demoltiplicatore
  per eta' dell'infortunato alla data del sinistro (anni 24): 0,885.
    Quindi   l'usuale   metodica  liquidatoria  avrebbe  condotto  ai
  seguenti  esiti  economici  relativamente al solo danno biologico e
  morale da IP, ITT e ITP:
        Invalidita'   temporanea  totale  L. 50.000  x  giorni  20  =
  L. 1.000.000;
        Invalidta'  temporanea  parziale  L. 50.000 : 2 x giorni 20 =
  L. 500.000;
        Invalidita'   permanente   L. 1.900.000   x   4   x  0,885  =
  L. 6.726.000;
        Invalidita' temporanea totale D. mor. L. 50.000 x giorni 20 =
  L. 1.000.000;
        Inf.  temporanea  parziale  D.  mor.  L.  50.000 : 2  x  20 =
  L. 500.000
        Invalidita'    permanente    D.   mor.   L. 6.726.000 : 4   =
  L. 1.681.500;
        Totale L. 11.407.500.

     Dunque sarebbe spettata a parte attrice a titolo di risarcimento
  del danno biologico e morale la complessiva somma di L. 11.407.500,
  oltre   rivalutazione  monetaria  ed  interessi  legali,  calcolati
  secondo  i  noti  dettami  della  decisione  n. 1712 del 1995 delle
  Sezioni unite della Corte di Cassazione.
    Peraltro,  nella  stessa  data  (28  marzo  2000) in cui e' stata
  assunta  la  riserva  sul  provvedimento  anticipatorio,  e'  stato
  pubblicato  nella  Gazzetta  Ufficiale  il  decreto legge n. 70, il
  quale  introduce  nuove disposizioni sul calcolo liquidatorio delle
  piccole invalidita' permanenti "lesioni di lieve entita'".
    In   base  a  tale  nuova  metodica  di  calcolo.  normativamente
  disciplinata,  il risarcimento del danno che spetterebbe al Piterna
  per  le  medesime voci sopra esaminate si dovrebbe determinare come
  segue (ove al Piterna fosse accordato il massimo del danno morale):
        Invalidita'   temporanea  totale  L. 50.000  x  giorni  20  =
  L. 1.000.000;
        Invalidita'  temporanea  parziale L. 50.000 : 2 x giorni 20 =
  L. 500.000;
        Invalidita' permanente L. 800.000 x 4 x 1,000 = L. 3.200.000;
        Invalidita' temporanea totale D. mor. L. 12.500 x giorni 20 =
  L. 250.000;
        Inf.  temporanea  parziale  D.  mor.  L.  12.500 : 2  x  20 =
  L. 125.000
        Invalidita' permanente D. mor. L. 3.200.000 : 4 = L. 800.000;
        Totale L. 5.875.000.

    Si  assiste  quindi  ad  una decurtazione del 52%, nella quale la
  differenza  piu' evidente riguarda la misura liquidatoria del danno
  da   invalidita'  permanente,  che  passerebbe  da  L. 6.726.000  a
  L. 3.200.000.
    Cio'  posto, lo scrivente ritiene di dover sollevare d'ufficio la
  questione  della  legittimita' costituzionale della nuova normativa
  nei seguenti termini.
    Il  decreto  legge  17 marzo 2000 n. 70 interviene a disciplinare
  con  fonte  legislativa  primaria  la  liquidazione  del danno alla
  persona  nei  casi  di lesioni personali con postumi invalidanti di
  grado  inferiore al 9% (cd. "micropermanenti") introducendo criteri
  che   si   sostituiscono   all'equita'   del   giudice,  richiamata
  dall'art. 1226 del codice civile, equita', che i magistrati avevano
  tradotto in contenuti concreti disciplinando con apposite "tabelle"
  liquidatorie  i  criteri  generali  cui  si  sarebbero attenuti nel
  decidere i singoli casi loro sottoposti.
    Dalla  fine  degli  anni  '70  in  avanti,  e  cioe' da quando la
  risarcibilita' aquiliana del danno alla salute ricevette autorevole
  avallo  da  plurime  decisioni della Corte costituzioriale (vedi le
  decisioni  n. 87 ed 88 del 1979 e 184 del 1986), si sono sviluppati
  nella  giurisprudenza  di  merito  due  diversi schemi liquidatori:
  quelli   ancorati   al   triplo  della  pensione  sociale  in  base
  all'esegesi  dell'art. 4  legge n. 39 del 1977, cui si atteneva dal
  1979   anche  questo  tribunale;  e  quelli  articolati  su  valori
  economici  del  punto di' invalidita' che facevano riferimento alla
  media dei precedenti di merito dei decidenti (metodo c.d. "a punto"
  o "pisano").
    Nella nota e fondamentale sentenza 14 luglio 1986 n. 184 la Corte
  costituzionale,   nel   ribadire   la   "copertura  costituzionale"
  dell'elaborazione  iniziata anche presso questo tribunale sul danno
  biologico,  fisso' alcuni principi-cardine del sistema liquidatorio
  che  non  sono  mai  piu'  stati posti in discussione, ed anzi sono
  stati  integralmente recepiti da successive pronunce della Corte di
  Cassazione e dei giudici di merito.
    Si  legge in tale autorevole arresto: "... dalla correlazione tra
  gli  artt. 32  della Costituzione e 2043 del codice civile e' posta
  dunque  una  norma  che  per  volonta' della Costituzione, non puo'
  limitare  in  alcun  modo  il risarcimento del danno biologico. 20.
  Un'ultima  osservazione:  alle  conclusioni  ora  indicate  si puo'
  opporre  il  timore di un'eccessiva uniformita' di determinazione e
  liquidazione del danno biologico.
    Va  precisato  che non si e' inteso qui proporre un assolutamente
  indifferenziata,    per   identiche   lesioni,   determinazione   e
  liquidazione  dei  danni:  in  proposito e' da ricordare la recente
  giurisprudenza   di   merito   che   assume  il  predetto  criterio
  liquidativo   dover   rispondere   da  un  lato  ad  un'uniformita'
  pecuniaria  di  base  (lo  stesso  tipo  di lesione non puo' essere
  valutato in maniera del tutto diversa da soggetto a soggetto ...) e
  dall'altro   ad   elasticita'  e  flessibilita',  per  adeguare  la
  liquidazione   del   caso   di   specie   all'effettiva   incidenza
  dell'accertata  menomazione  sulle attivita' della vita quotidiana,
  attraverso   le   quali   in  concreto  si  manifesta  l'efficienza
  psico-fisica del soggetto danneggiato".
    E'  in  base a tali considerazioni che la Corte di Cassazione, in
  tempi   piu'   recenti,   ha   colto  l'inadeguatezza  del  calcolo
  liquidatorio  collegato al triplo della pensione sociale : il quale
  presentava   un  valore-punto  sempre  costante  pur  a  fronte  di
  invalidita'  permanenti  di  grado  crescente  (cfr.  per  tutte la
  sentenza della III sezione del 13 gennaio 1993 n. 357).
    Prendendo  atto  di  tale  puntuale gamma di rilievi, nell'ultimo
  biennio questo tribunale - che ne fu l'antesignano - ha abbandonato
  il  riferimento al parametro dell'art. 4 della legge n. 39 del 1977
  per  la  liquidazione del danno biologico; infatti con la decisione
  Molonia   contro   SAPA   del  28  settembre  1998  (vedi  danno  e
  responsabilita'  1999,  65)  si  e'  determinato per l'adozione del
  sistema  di liquidazione "a punto tabellare" affinato dal tribunale
  di  Milano  come perfezionamento del calcolo a punto inaugurato dai
  giudici pisani.
    In  questo  momento,  dunque,  il metodo "a punto" risulta essere
  quello  maggiormente  adottato  presso i giudici di merito, con una
  notevole prevalenza del modello milanese.
    Pur  con  tale  progressiva  e  sensibile  omogeneizzazione delle
  tecniche  liquidatorie, permane forte tra gli operatori del settore
  il  senso  di  imbarazzo per l'assenza di un metodo di liquidazione
  del danno biologico uniforme in tutto il Paese. Di tale esigenza si
  erano  fatti  interpreti alcuni parlamentari, sottoponendo progetti
  di  legge  di  riforma,  e  in  epoca  piu'  recente anche l'ISVAP:
  quest'ultimo  alcuni  anni  orsono  promosse  la costituzione di un
  apposito  gruppo  di  studio (composto da giuristi ed operatori del
  settore)  per  varare un sistema uniforme di liquidazione "a punto"
  del danno da invalidita' permanente.
    Nel  contempo, altro gruppo di lavoro costituito presso il C.N.R.
  si occupava di monitorare un significativo campione di decisioni di
  merito:  i  suoi  lavori  sfociarono  nella  predisposizione di una
  Tabella indicativa nazionale (cd.TIN) contenente i valori economici
  medi riconosciuti dai giudici, per singolo punto di invalidita'.
    Entrambe  tali elaborazioni sono state fatte proprie dal Governo,
  il  quale  il  4  giugno  1999  ha  approvato un disegno di legge -
  sottoposto  poi  all'ordinario corso parlamentare - che riproduceva
  quasi  integralmente  il progetto ISVAP ed era ispirato ai seguenti
  criteri direttivi:
        a)  previsione  in  sede  tabellare  dei valori economici del
  punto  di  invalidita'  sulla  scorta  di  una  Tabella  indicativa
  nazionale  basata  sul sistema c.d. "a punto variabile" in funzione
  dell'eta'  e  del  grado di invalidita', per invalidita' permanenti
  fino al 70% della totale;
        b) articolazione progressivamente crescente del valore-punto,
  con  il  progredire del valore economico di ciascun punto in misura
  piu'   che  proporzionale  rispetto  alla  crescita  del  grado  di
  invalidita'   (si  tratta  di  progressione  "esponenziale"  e  non
  "lineare");
        c)   rinvio   all'equita'   per  percentuali  di  invalidita'
  superiori al 70%;
        d)  previsione  di coefficienti demoltiplicativi basati sullo
  studio  statistico  delle  tavole  di  mortalita' della popolazione
  italiana,  in  modo  da  adeguare  i  risarcimenti  all'eta'  della
  vittima;
        e)  risarcibilita'  del  danno morale anche fuori dai casi di
  reato ed in frazione percentuale del danno biologico.

    Ritiene  questo giudice che il condivisibile obiettivo perseguito
  dal  decreto  legge  n. 70/2000  di  realizzare  l'uniformita'  dei
  risarcimenti dei danni caratterizzati da lesioni "micropermanenti",
  liquidati  su  tutto  il territorio nazionale, rendendo prevedibili
  per le compagnie assicurative i costi dei sinistri e "moralizzando"
  un  settore  (quello della sinistrosita' stradale con modesti esiti
  lesivi)  che  si  presta  particolarmente alle frodi in danno delle
  compagnie  assicuratrici,  sia  stato  tuttavia  realizzato  con il
  sacrificio  di principi e norme di rango costituzionale; ed inoltre
  -  sorprendentemente  -  ignorando  le  linee-guida  adottate dalla
  stesso  Consiglio  dei  Ministri in tema di risarcimento del danno,
  contenute nel citato disegno di legge approvato il 4 giugno 1999.
    La nuova disciplina contenuta nel decreto legge approvato intende
  contenere  gli oneri risarcitori a carico dei danneggianti (e delle
  loro  compagnie assicuratrici) per le lesioni qualificate di "lieve
  entita'"  incidendo  in  tal modo, indirettamente, sui premi pagati
  dagli   assicurati,  operando  come  segue:  viene  determinato  in
  L. 800.000  il valore monetario del punto di invalidita' permanente
  per  i primi cinque punti di invalidita'; ed in L. 1.500.000 quello
  per i successivi punti dal sesto fino al nono.
    Tale    disciplina   da'   luogo   alle   seguenti   censure   di
  incostituzionalita':
    1. - Violazione   dell'art. 32   della   Costituzione   ad  opera
  dell'art.  3.1  lett. a) del decreto-legge in relazione alla misura
  economica del valore-punto di invalidita'.
    Non  vi e' dubbio che venga in rilievo, nel caso dei risarcimenti
  dei   danni   biologico   e  morale,  un  bene  primario  di  rango
  costituzionale,  come  gia'  da  tempo  messo  in  luce dalla Corte
  costituzionale  nelle  decisioni  gia'  richiamate: il diritto alla
  salute.  Orbene, per rendere effettivo - e non vuoto simulacro - il
  risarcimento  delle  lesioni  del  bene  giuridico in questione, e'
  necessario  che  i  valori  monetari e piu' in generale le tecniche
  liquidatorie adottate in sede giudiziale e stragiudiziale esprimano
  un' effettiva idoneita' a ristorare il pregiudizio.
    E'  da tenere presente che il nuovo sistema di calcolo introdotto
  dal d.l. determina i seguenti indennizzi:


Grado di invalidità    Valore punto   Prodotto VP x P
        --                 --              --
        1%             L.   800.000    L.    800.000
        2%                    "        L.  1.600.000
        3%                    "        L.  2.400.000
        4%                    "        L.  3.200.000
        5%                    "        L.  4.000.000
        6%             L. 1.500.000    L.  5.500.000
        7%                    "        L.  7.000.000
        8%                    "        L.  8.500.000
        9%                    "        L. 10.000.000

L'idoneita'  a  determinare  il  serio ristoro del danneggiato poteva
  discendere dall'applicazione dell'art. 4 legge n. 39 del 1977, come
  pure  da  qualsiasi sistema di liquidazione "a punto" fondato sulla
  media  delle  precedenti  liquidazioni  operate  dai  giudici in un
  determinato  ambito  territoriale.  Di  contro,  i valori economici
  espressi   nel   decreto  legge  non  appaiono  ancorati  ad  alcun
  precedente studio sistematico degli indennizzi gia' liquidati, o ad
  altri  appropriati e congrui parametri economici, ed appaiono assai
  lontani  dalla  Tabella  indicativa nazionale, che sulla base di un
  appropriato  monitoraggio  delle  decisioni  di  merito, prevede lo
  sviluppo  progressivamente  crescente  del  valore punto secondo la
  seguente   progressione   (i   calcoli   sono   condotti  al  netto
  dell'abbattimento per l'eta'):


Grado di invalidità    Valore punto   Prodotto VP x P
        --                 --              --
         1%            L. 1.166.000    L.  1.166.000
         2%            L. 1.306.000    L.  2.612.000
         3%            L. 1.465.000    L.  4.395.000
         4%            L. 1.648.000    L.  6.592.000
         5%            L. 1.858.000    L.  9.290.000
         6%            L. 2.099.000    L. 12.594.000
         7%            L. 2.377.000    L. 16.639.000
         8%            L. 2.698.000    L. 21.584.000
         9%            L. 3.069.000    L. 27.621.000

    I  valori  adottati  nel  d.l.  sono  anche  estremamente lontani
  rispetto  al  piu'  diffuso  metodo  di liquidazione del danno alla
  persona  adottato  sul  territorio  nazionale:  il sistema "a punto
  tabellare"  milanese, fatto proprio anche da questo tribunale nella
  decisione  Molonia  contro SAPA del 28 settembre 1998, che fissa il
  valore  economico  del  primo  punto  di  invalidita' permanente in
  L. 1.600.000, ed i successivi otto nelle seguenti misure (sempre al
  netto dell'abbattimento per l'eta'):


Grado di invalidità    Valore punto   Prodotto VP x P
        --                 --              --
         1%            L. 1.600.000    L.  1.600.000
         2%            L. 1.700.000    L.  3.400.000
         3%            L. 1.800.000    L.  5.400.000
         4%            L. 1.900.000    L.  7.600.000
         5%            L. 2.000.000    L. 10.000.000
         6%            L. 2.200.000    L. 13.200.000
         7%            L. 2.400.000    L. 16.800.000
         8%            L. 2.600.000    L. 20.800.000
         9%            L. 2.800.000    L. 25.200.000

    Esaminati  tali  prospetti, si puo' notare che i valori-punto per
  le  micropermanenti  vengono diminuiti dalla meta' fino ad oltre il
  60%:  non  e'  agevole giustificare tali significative decurtazioni
  (che  rendono il risarcimento piu' apparente, che reale: una specie
  di   "lustra")  rispetto  ai  piu'  accreditati  e  diffusi  metodi
  risarcitori, a fronte di beni giuridici di rango primario, protetti
  direttamente da norma costituzionale.
    Soprattutto  se  si tiene presente che, fin dalla decisione n. 87
  del  1979, la Consulta sottolineo' a chiare lettere che "... mentre
  rientra  nella discrezionalita' del legislatore adottare discipline
  differenziate  per  la  tutela  risarcitoria di situazioni diverse,
  tale  discrezionalita'  e'  invece  esclusa  allorquando vengano in
  considerazione  situazioni soggettive costituzionalmente garantite.
  Per  queste  ultime, la garanzia costituzionale implica logicamente
  l'obbligo  del  legislatore  di  apprestare  una tutela piena ed in
  particolare - ma non esclusivamente - una tutela risarcitoria.
    Tali  osservazioni,  riprese  letteralmente  anche nella sentenza
  n. 356  del 1991, sono state cosi' puntualizzate nella fondamentale
  sentenza  n. 184  del 1986: "Il risarcimento del danno ex art. 2043
  del  codice  civile  e'  la minima delle sanzioni che l'ordinamento
  appresta  per  la  tutela  di  un interesse, sicche' il legislatore
  ordinario,   rifiutando   o  limitando  in  alcun  modo  la  tutela
  risarcitoria  a  seguito  della  violazione  del diritto dichiarato
  fondamentale,   non   lo   tutelerebbe  affatto,  almeno  nei  casi
  esclusi...   La   solenne   dichiarazione   della  Costituzione  si
  ridurrebbe  ad  una  lustra  ed il legislatore ordinario rimarrebbe
  arbitro della effettivita' della predetta dichiarazione".
    2. - Violazione  dell'  art. 3  primo comma della Costituzione ad
  opera  dell'art. 3.1  lett.  a) del decreto-legge in relazione alla
  non  derogabilita' da parte del giudice, con specifica motivazione,
  dei limiti massimi definiti da tale norma.
    Come  gia'  sopra  anticipato, la Corte costituzionale nella nota
  pronuncia  n. 184  del  1986,  con  cui ha collegato la lesione del
  danno  alla salute all'art. 2043 del codice civile, ha sottolineato
  la  pregnante  esigenza  di pervenire ad un sistema di liquidazione
  del  danno  alla  persona che si potrebbe definire "non ingessato".
  Secondo  tale  insegnamento,  risulta  compatibile  con  i principi
  costituzionali  solo  un  sistema  che  sappia coniugare l'esigenza
  della uniformita' pecuniaria di base, con l'adeguata valorizzazione
  "soggettiva"  del  caso  di  specie: esigenza, che e' ben nota agli
  operatori  del  settore,  i  quali hanno diretta cognizione di come
  percentuali  di invalidita' assai diverse si riferiscano a casi tra
  loro  assolutamente  non  assimilabili; e che rende inevitabile nei
  congrui  casi  la  correzione  "equitativa"  del ristoro pecuniario
  derivante dalla semplice applicazione del punto tabellare.
    Il   nuovo   sistema   introdotto  dal  decreto  legge  valorizza
  esclusivamente il primo profilo, quello dell'uniformita' pecuniaria
  di  base, ed impedisce alcuna giustificata deroga nei congrui casi,
  sia pure entro limiti percentuali definiti.
    Diversa  impostazione  -  piu'  coerente  con  l'insegnamento del
  giudice costituzionale - era quella del progetto dell'ISVAP, il cui
  art. 3  secondo comma, dopo aver ancorato il risarcimento alla TIN,
  proseguiva  dicendo che: "il giudice puo' con specifica motivazione
  correggere  secondo il suo prudente apprezzamento la determinazione
  del risarcimento avuto riguardo a comprovate peculiarita' oggettive
  e  soggettive  del  caso  concreto.  La correzione, in aumento o in
  diminuzione,  deve  essere contenuta entro una misura non superiore
  al  terzo  dell'ammontare  determinato ai sensi del primo comma. In
  caso  di eccezionale gravita' della menomazione il giudice puo' con
  adeguata  motivazione  valutare  il  danno  secondo il suo prudente
  apprezzamento".
    3. - Violazione  del  combinato disposto degli artt. 3 e 32 della
  Costituzione  ad  opera  dellart. 3.1 lett. a) del decreto-legge in
  relazione alla misura fissa del valore-punto di invalidita'.
    La Corte di Cassazione, nel recepire i parametri di uniformita' e
  flessibilita'  indicati dalla Corte costituzionale come cardini del
  sistema  di  liquidazione  del  danno  alla  persona, ha piu' volte
  convalidato  tecniche  liquidatorie  che  realizzavano  il  duplice
  obiettivo  in  esame  attraverso  valori economici progressivamente
  crescenti del punto di invalidita'.
    Tale  impostazione  e' conforme, d'altro canto, alle acquisizioni
  della  medicina  legale, secondo la quale le conseguenze menomative
  delle  lesioni  personali  non  hanno natura "lineare", ma crescono
  progressivamente in base al grado di menomazione funzionale.
    Lo stesso Consiglio dei Ministri aveva recepito tale impostazione
  nel  disegno  di  legge  approvato  il  4 giugno 1999. Si prevedeva
  infatti che il valore monetario dovesse articolarsi "... sulla base
  dei  valori  monetari  uniformi  indicati  dalla Tabella indicativa
  nazionale  (TIN)  di  cui  al  successivo art. 4" (art. 3.1). E che
  quest'ultima  dovesse  essere redatta con l'osservanza dei seguenti
  criteri direttivi:
        1) la  tabella  per  il risarcimento del danno biologico deve
  basarsi  sul sistema c.d. "a punto variabile" in funzione dell'eta'
  e del grado di invalidita';
        2) il   valore   del   punto   e'  funzione  crescente  della
  percentuale di invalidita'.
    L'incidenza  della  menomazione sulla vita del danneggiato cresce
  in  maniera piu' che proporzionale rispetto all'aumento percentuale
  assegnato  ai  postumi  non  solo  in  termini  assoluti  ma  anche
  relativi.." (art. 4.1 lett. a) nn. 1 e 2).
    Ne  discende  la  manifesta  illegittimita'  di  un sistema, come
  quello  introdotto  dal  decreto-legge,  che  fissa un unico valore
  monetario  per  ciascun punto di invalidita' compreso tra l'1 ed il
  5%;  come  pure  un  identico  valore economico di ogni punto di IP
  compreso   tra   il   6   ed   il   9%,  anziche'  valori  monetari
  progressivamente  crescenti con il progredire del grado invalidante
  (quali  quelli sopra riferiti, contenuti nella TIN o nella "tabella
  milanese")..
    In  tal  modo  vengono  parificati  indiscriminatamente  i valori
  economici  relativi  a  punteggi di invalidita' diversi e per nulla
  omogenei,  palese  essendo  che  il  5%  di  menomazione funzionale
  permanente  e'  altra  cosa,  rispetto  a  postumi  dell'1%;  e che
  l'obiettiva  menomazione  funzionale  collegata  ad  un'invalidita'
  permanente  del  9%  (e  la relativa consapevolezza e sofferenza da
  essa    indotta)    e'    cosa    diversa,   naturalisticamente   e
  psicologicamente,  da  quella  derivante dalla perdita del 6% della
  validita' totale.
    4. - Violazione   dell'art. 3   della   Costituzione   da   parte
  dell'art. 3.1  lett.  a)  dello  stesso  decreto  per disparita' di
  trattamento tra danneggiati di eta' diversa.
    Infatti   la   nuova  normativa  non  prevede  alcun  adeguamento
  moltiplicativo  che  esprima  la  diversa  incidenza  dell'eta' del
  danneggiato,  in  rapporto  alle  sue menomazioni funzionali, sulla
  misura  del risarcimento: e dunque non contiene alcun correttivo in
  relazione alla "qualita' della vita" residua del danneggiato.
    Anche   in   questo   caso,   appare   particolarmente   evidente
  l'arbitrarieta'  della nuova disciplina, che finisce per parificare
  l'infante  e  l'ottuagenario,  quasi  che le categorie estreme (per
  eta') dei danneggiati fossero perfettamente sovrapponibili.
    E'   quasi   superfluo   sottolineare  che,  di  tutti  i  metodi
  liquidatori  escogitati  dalle  diverse  Corti  italiane,  non  uno
  conteneva  una  tale irrazionale parificazione: tutti tali sistemi,
  con  criteri diversi e talora assai sofisticati (vedi, per esempio,
  gli  studi dell'apposito gruppo di lavoro CNR condotti sulle tavole
  di   sopravvivenza   aggiornate   con  i  piu'  recenti  censimenti
  demografici,  poi  recepiti in talune decisioni di merito), avevano
  di  mira  e  coglievano  l'obiettivo di modulare il risarcimento in
  rapporto   al   prevedibile  sviluppo  e  durata  nel  tempo  della
  menomazione funzionale.
    Era  lo  stesso  disegno  di  legge  governativo  a  prevedere in
  proposito:   "3)  il  valore  del  punto  e'  funzione  decrescente
  dell'eta'  del  soggetto,  sulla  base  delle  tavole di mortalita'
  elaborate  dall'ISTAT, al tasso di rivalutazione pari all'interesse
  legale,  anche tenendo conto della maggiore longevita' della donna"
  (art. 4.1 lett. a) n. 3).
    5. - Violazione  degli  artt. 2  e 32 della Costituzione da parte
  dell'art.  3.1  lett. c) del decreto-legge in relazione alla misura
  massima del danno morale.
    Dispone  la  lett. c) dell'art. 3 del Dl 70/2000: "c) a titolo di
  danno  non  patrimoniale,  nei casi in cui questo e' risarcibile ai
  sensi dell'articolo 2059 del codice civile, e' liquidato un importo
  non  superiore  al  venticinque  per cento dell'importo liquidato a
  titolo di danno biologico".
    Si  ritiene  che  anche  questa  disposizione  violi fondamentali
  precetti costituzionali.
    La  Corte  costituzionale  si e' ripetutamente espressa sulla non
  riconducibilita'   del  danno  morale  soggettivo  (il  "transeunte
  turbamento   psicologico   del   soggetto   offeso")   alla  tutela
  costituzionale  dell'art  32 (vedi le sentenze nn. 356 del 1991; 37
  del   1994;   293   del  1996):  proprio  l'assenza  di  protezione
  costituzionale  giustificherebbe  regimi risarcitori differenziati,
  vale  a dire la limitazione del risarcimento ai casi tassativamente
  richiamati  nell'art  2059  c.c..  Limitazione,  che la dottrina da
  tempo  stigmatizza  e  che  ci  si apprestava in sede legislativa a
  superare,  come  dimostrano  i  lavori preparatori dell'ISVAP ed il
  disegno di legge governativo del giugno scorso.
    Tuttavia,  chiamata  a  definire  i  contorni  del  danno  morale
  soggettivo,  per  distinguerlo  dal danno biologico, la Corte aveva
  spiegato  nella  sentenza  184  del  1986  che:  "Il  danno  morale
  subiettivo,  che si sostanzia nel transeunte turbamento psicologico
  del  soggetto  offeso,  e' danno-conseguenza, in senso proprio, del
  fatto  illecito  lesivo  della salute e costituisce, quando esiste,
  condizione di risarcibilita' del medesimo".
    Da  tale  definizione,  si  desume che il danno morale soggettivo
  viene risarcito come riflesso soggettivo e psicologico dello stesso
  fatto  menomativo  dell'integrita'  personale, ormai universalmente
  qualificato  come  "danno  biologico":  partecipa  della  natura di
  quest'ultimo  nel  senso  che  in  tanto viene accordata protezione
  all'integrita'  psicofisica della persona umana, in quanto nei casi
  che qui interessano l'art. 2059 c.c. e' posto a presidio di diritti
  inviolabili  e fondamentali, che godono della tutela costituzionale
  degli artt. 2 e 32 della legge fondamentale.
    E'  insomma difficile non cogliere, nella protezione risarcitoria
  del  danno  morale  collegato  ad  un  danno biologico, l'immediato
  riflesso  della  protezione accordata all'integrita' fisica ed alla
  dignita'  morale  della  persona:  un  interesse  riferibile  senza
  difficolta'  al  catalogo  dei  diritti fondamentali della persona,
  riconosciuti  e  garantiti  al livello costituzionale fin dalle sue
  disposizioni d'esordio.
    Questo  "aggancio"  costituzionale  del  danno  morale  ai valori
  protetti  dall'art.  2 della Costituzione e' stato colto in effetti
  con particolare sensibilita' nella sentenza n. 10606 della Corte di
  Cassazione del 1996 (v. Resp. Civ. e Prev. 1997, 393). Vi si legge:
  "Aderendo  all'invito  della  Consulta  questa  Corte  ritiene  che
  l'ambito  di  operativita'  dell'art.  2059  cod. civ. debba essere
  considerato    rapportando   anche   questa   norma   ai   principi
  costituzionali  e  cosi'  superando  la  inadeguata interpretazione
  tradizionale."
    Le   ragioni   della   "costituzionalizzazione"  del  sistema  di
  responsabilita'  civile  (gia' auspicate dalla Corte costituzionale
  nella  nota  sentenza n. 184 del 1986) derivano da precise esigenze
  di  giustizia,  accordando  tutela  diretta e giudiziaria anche nel
  settore  dei rapporti privati, alle posizioni soggettive ed ai beni
  giuridici costituzionalmente protetti.
    Ripercorsa   la   vicenda  giurisprudenziale  del  riconoscimento
  costituzionale  del  diritto  alla  salute,  la Cassazione prosegue
  cosi': "Il danno morale si configura cosi', in questa nuova visione
  aperta  ai  valori  costituzionali, come lesione della sfera morale
  della  persona,  di  quel  valore uomo che anche il danno biologico
  lede,  come  danno di quella qualita' essenziale della persona, che
  e' la salute.
    Pari dignita' di tutela per il danno alla salute (nel senso ampio
  dell'art.  32  della  Costituzione  e  delle  Carte  internazionali
  recepite  nel  nostro  ordinamento)  per  il  danno  alla  dignitas
  personae,  che  il  delitto  ferisce  nella sua integrita' etica, e
  tanto  piu'  gravemente,  quanto  piu'  intensi sono i valori umani
  menomati.
    E'  in  questa  direzione  che  puo'  ricostruirsi  la  dicotomia
  perfetta  tra  danno  patrimoniale  e danno non patrimoniale, in un
  sistema  coerente  rispettoso dei diritti della persona. Sulle basi
  di  questa  distinzione,  il  rapporto  di risarcibilita' del danno
  morale  non  e'  solo pecunia doloris, ma pecunia lesae dignitatis,
  reintegrazione della dignita' umana offesa dal delitto".
    A  questo punto, per il danno morale che discende da lesioni alla
  persona  umana,  e  diviene  accessorio di quest'ultimo, valgono le
  medesime  considerazioni  sopra  svolte rispetto al danno biologico
  mediante  il richiamo alle decisioni 87/1979 e 184/1986 della Corte
  costituzionale:  il  concreto  risarcimento di tali valori non puo'
  essere   meramente   apparente,  "una  lustra"  come  efficacemente
  scriveva la Consulta nel 1979.
    E   una   lustra   certamente   risulta  la  misura  massima  del
  risarcimento  accordabile  per  il  danno morale collegato al danno
  biologico in base all'art. 3.1 lett. c) del decreto-legge in esame:
  fino  al  massimo di un quarto del danno biologico a cui accede. E'
  superfluo  ricordare  che la casistica che si offre quotidianamente
  agli  interpreti  presenta  frequentemente  casi  in  cui,  a basse
  menomazioni   psicofisiche,   corrispondono   pero'   sofferenze  e
  patimenti  morali  marcati (vedi, a tacer d'altro, i casi dei reati
  dolosi o delle colpe professionali).
    La  percentuale massima ammessa dal decreto-legge in frazione del
  danno  biologico  appare  decisamente mortificante, se si considera
  che nel piu' diffuso sistema di liquidazione del danno - le tabelle
  "milanesi"  gia'  piu' volte richiamate - la misura dell'indennizzo
  previsto  per  il  danno morale varia da una percentuale minima del
  25%, fino alla meta' del danno biologico.
    Ed  anche  nei  progetti  di riforma elaborato in sede ISVAP o di
  Consiglio dei Ministri, che tra l'altro si muovevano entrambi nella
  direzione  del  superamento  dello scoglio della risarcibilita' del
  danno  morale  solo  nei  casi tassativamente indicati dalla legge,
  erano  previsti adeguati correttivi per consentire al giudice - con
  onere   di   specifica   e   puntuale   motivazione   -  l'adeguata
  personalizzazione  della  misura del ristoro del danno morale entro
  l'identico  limite  della  meta' del danno biologico. Si rimanda in
  proposito    all'art. 6   del   progetto   ISVAP,   ed   all'art. 4
  dell'articolato governativo.
    Dove  poi  si toccano livelli economici irrisori, e' con riguardo
  al danno morale da invalidita' temporanea.
    Infatti  il  danno  morale  potra'  essere liquidato nella misura
  massima   di   L. 12.500  per  tutto  il  periodo  dell'invalidita'
  temporanea  totale, in cui notoriamente e' piu' acuta la sofferenza
  originata   dal  fatto  lesivo  (valore  cosi'  determinato:  ÷  di
  L. 50.000  al  giorno,  misura  fissa  dell'invalidita'  temporanea
  totale  in  base  alla  lett.  b)  dell'art  3.1  del decreto-legge
  70/2000).  Si  raggiungono valori ancora piu' canzonatori nel danno
  morale da invalidita' temporanea parziale, che in caso di riduzione
  a meta' della validita' del soggetto, arriva alla soglia massima di
  6250   giornaliere  (determinate  come  segue:  ÷  di  lire  25.000
  giornaliere,  e  cioe'  della  meta'  della  misura fissa dell'ITT,
  ridotta del 50% in rapporto al grado di invalidita').
    6. - violazione dell'art. 3 della Costituzione da parte dell'art.
  3.1  lett.  c)  del  decreto-legge in relazione alla coesistenza di
  diversi criteri per la liquidazione del danno morale da reato.
    Ulteriore profilo di violazione costituzionale, ravvisabile nella
  lett.  c)  dell'art. 3.1, si ravvisa tenendo presente che non tutte
  le   liquidazioni   del   danno  morale  da  reato  sono  sottratte
  all'equita'  del  giudice, ma solo quelle che si collegano al danno
  biologico.  Tale  distinzione e' priva di adeguata giustificazione,
  in   relazione  alla  gerarchia  di  valori  protetta  dalla  Carta
  costituzionale,  tra  i  quali  primeggiano certamente quelli della
  persona  umana  intesa  nella  sua  stessa  integrita'  biologica e
  psicologica, sol che si consideri il seguente caso: il danno morale
  da   ingiuria   verbale,   in   quanto  costituente  reato,  rimane
  assoggettato  al  precetto  dell'art.  1226  c.c.,  e dunque rimane
  affidato alla valutazione equitativa del giudice.
    Mentre  le  sofferenze  da  lesione dell'incolumita' fisica della
  persona,  anche  di  natura  dolosa,  che tutto lascia credere piu'
  dolorose  specialmente  quando  si  sostanzino in esiti invalidanti
  permanenti,    vengono   imbrigliate   entro   limiti   risarcitori
  obiettivamente irrisori, quali quelli in precedenza considerati.
    Fatti   tali  rilievi  sulla  non  manifesta  infondatezza  della
  questione  di  costituzionalita', si osserva che la rilevanza della
  stessa  emerge in questa fase processuale, nella quale il decidente
  e'  chiamato a rendere un provvedimento anticipatorio di condanna -
  sulla  scorta  dell'intero  quadro  probatorio  raccolto nella fase
  istruttoria  -  che  richiede  il  ricorso ai nuovi indici monetari
  contenuti   nel   decreto-legge   per  operare  la  quantificazione
  economica  del  debito  da  risarcimento  del  danno:  criteri, che
  risultano  obbligatori  ed efficaci dalla data di pubblicazione del
  decreto-legge (il quale non contiene disposizioni transitorie).
    Nel  merito,  per  cosi'  dire,  del  computo liquidatorio, e' da
  notare  che il danno biologico da invalidita' permanente patito dal
  Piterna   sarebbe   valorizzato   in   base   al  decreto-legge  in
  L. 3.200.000 complessivamente, di contro alle somme di L. 6.592.000
  e  L. 7.600.000  previste  per  il  medesimo  grado  di invalidita'
  rispettivamente dalla TIN e dalla tabella milanese: con una perdita
  lorda  per il danneggiato superiore al 50% rispetto ai piu' diffusi
  ed  accreditati  metodi  di  calcolo  del risarcimento del danno in
  esame;   mentre   il   danno   morale   complessivo  passerebbe  da
  L. 3.181.000 a L. 1.175.000, con una decurtazione del 63%.
    Nessun  impedimento  alla  sottoposizione  della questione di cui
  sopra  puo'  venire dalla natura giuridica della fonte che contiene
  le  nuove  disposizioni:  e'  lo stesso art. 134 della nostra Legge
  fondamentale a prevedere la sindacabilita' degli atti aventi "forza
  di legge" da parte della Corte costituzionale.