IL TRIBUNALE Sciogliendo la riserva assunta all'udienza 28 marzo 2000 sulla richiesta di condanna ai sensi dell'art. 186-quarter c.p.c. dei convenuti, rileva quanto segue. Va premesso che con citazione del 14 luglio 1997 Marco Narizzano ha richiesto il risarcimento dei danni subiti nell'incidente stradale cosi' descritto: il 6 febbraio 1997 l'esponente si trovava in Genova a viaggiare quale passeggero sulla Vespa Piaggio condotta dall'amico Marco Narizzano, di proprieta' della di lui sorella Sabrina, assicurata per r.c.a. con la ITAS Ass.ni; nella via Maiorana, nell'affrontare una curva volgente a destra, il conducente perdeva il controllo del mezzo abbattendosi al suolo. A seguito della caduta, l'esponente riportava contusione alla spalla ed al ginocchio destro; queste ultime lesioni si evolvevano negativamente portando a compromissione del legamento crociato e comportavano meniscectomia, con postumi invalidanti permanenti dell'8%, di cui si chiedeva il ristoro. Mentre i due Narizzano restavano contumaci, il loro assicuratore ITAS resisteva alla domanda invitando il trasportato (di cortesia) a fornire la dimostrazione della responsabilita' del suo vettore; e negando alcuna efficacia probatoria a dichiarazioni ammissive del conducente Narizzano, come pure alla documentazione sanitaria prodotta dal danneggiato. La fase istruttoria si e' esaurita con l'interrogatorio formale del conducente e con il licenziamento di C.T.U. medico legale, che ha condivisibilmente concluso riconoscendo - quali diretti esiti lesivi del sinistro - le seguenti conseguenze invalidanti: giorni 20 di ITT; giorni 20 di ITP; ed invalidita' permanente nella misura del 4% originata da trauma contusivo-distorsivo del ginocchio destro con rottura del menisco interno e rottura parziale del crociato anteriore. Ritiene lo scrivente che le piene e circostanziate ammissioni di responsabilita' del Narizzano, in quanto riscontrate da altri elementi esterni di segno congruente con la dinamica lesiva prospettata dall'attore (vedi documentazione sanitaria; collocazione e natura delle ferite) e con le considerazioni di natura medico-legale sviluppate dal C.T.U. sulla compatibilita' tra prospettazione ed esiti lesivi, valgano a costituire convincente dimostrazione della imperizia del conducente convenuto. Cio', nel rispetto dei principi valutativi della prova derivanti dall'art. 2733 terzo comma del codice civile, quali meglio specificati nella decisione del tribunale del 27 maggio 1999 in causa Bayerische Assicurazioni contro Ghisu Antonio, cui deve intendersi fatto rinvio. Dalla responsabilita' - su evidente base colposa - del conducente, discende a norma dell'art. 2054 del codice civile quella del proprietario del veicolo e dell'assicuratore della Vespa. Circa la liquidazione del danno, fino alla data del 28 marzo 2000 questo tribunale vi avrebbe provveduto in conformia' alla sentenza n. 2270 Raffaele Molonia contro SAPA S.p.a. 28 settembre 1998 (rg. 3008/1992), nella quale si aderiva al metodo di calcolo "a punto tabellare" di derivazione milanese. In tal senso, il calcolo liquidatorio avrebbe fatto riferimento ai seguenti dati accertati in sede medico-legale: Invalidita' temporanea totale, giorni 20; Invalidita' temporanea parziale, giorni 20; Invalidita' permanente, 4% della totale con un valore-punto di L. 1.900.000 per ogni punto di IP; demoltiplicatore per eta' dell'infortunato alla data del sinistro (anni 24): 0,885. Quindi l'usuale metodica liquidatoria avrebbe condotto ai seguenti esiti economici relativamente al solo danno biologico e morale da IP, ITT e ITP: Invalidita' temporanea totale L. 50.000 x giorni 20 = L. 1.000.000; Invalidta' temporanea parziale L. 50.000 : 2 x giorni 20 = L. 500.000; Invalidita' permanente L. 1.900.000 x 4 x 0,885 = L. 6.726.000; Invalidita' temporanea totale D. mor. L. 50.000 x giorni 20 = L. 1.000.000; Inf. temporanea parziale D. mor. L. 50.000 : 2 x 20 = L. 500.000 Invalidita' permanente D. mor. L. 6.726.000 : 4 = L. 1.681.500; Totale L. 11.407.500. Dunque sarebbe spettata a parte attrice a titolo di risarcimento del danno biologico e morale la complessiva somma di L. 11.407.500, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali, calcolati secondo i noti dettami della decisione n. 1712 del 1995 delle Sezioni unite della Corte di Cassazione. Peraltro, nella stessa data (28 marzo 2000) in cui e' stata assunta la riserva sul provvedimento anticipatorio, e' stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il decreto legge n. 70, il quale introduce nuove disposizioni sul calcolo liquidatorio delle piccole invalidita' permanenti "lesioni di lieve entita'". In base a tale nuova metodica di calcolo. normativamente disciplinata, il risarcimento del danno che spetterebbe al Piterna per le medesime voci sopra esaminate si dovrebbe determinare come segue (ove al Piterna fosse accordato il massimo del danno morale): Invalidita' temporanea totale L. 50.000 x giorni 20 = L. 1.000.000; Invalidita' temporanea parziale L. 50.000 : 2 x giorni 20 = L. 500.000; Invalidita' permanente L. 800.000 x 4 x 1,000 = L. 3.200.000; Invalidita' temporanea totale D. mor. L. 12.500 x giorni 20 = L. 250.000; Inf. temporanea parziale D. mor. L. 12.500 : 2 x 20 = L. 125.000 Invalidita' permanente D. mor. L. 3.200.000 : 4 = L. 800.000; Totale L. 5.875.000. Si assiste quindi ad una decurtazione del 52%, nella quale la differenza piu' evidente riguarda la misura liquidatoria del danno da invalidita' permanente, che passerebbe da L. 6.726.000 a L. 3.200.000. Cio' posto, lo scrivente ritiene di dover sollevare d'ufficio la questione della legittimita' costituzionale della nuova normativa nei seguenti termini. Il decreto legge 17 marzo 2000 n. 70 interviene a disciplinare con fonte legislativa primaria la liquidazione del danno alla persona nei casi di lesioni personali con postumi invalidanti di grado inferiore al 9% (cd. "micropermanenti") introducendo criteri che si sostituiscono all'equita' del giudice, richiamata dall'art. 1226 del codice civile, equita', che i magistrati avevano tradotto in contenuti concreti disciplinando con apposite "tabelle" liquidatorie i criteri generali cui si sarebbero attenuti nel decidere i singoli casi loro sottoposti. Dalla fine degli anni '70 in avanti, e cioe' da quando la risarcibilita' aquiliana del danno alla salute ricevette autorevole avallo da plurime decisioni della Corte costituzioriale (vedi le decisioni n. 87 ed 88 del 1979 e 184 del 1986), si sono sviluppati nella giurisprudenza di merito due diversi schemi liquidatori: quelli ancorati al triplo della pensione sociale in base all'esegesi dell'art. 4 legge n. 39 del 1977, cui si atteneva dal 1979 anche questo tribunale; e quelli articolati su valori economici del punto di' invalidita' che facevano riferimento alla media dei precedenti di merito dei decidenti (metodo c.d. "a punto" o "pisano"). Nella nota e fondamentale sentenza 14 luglio 1986 n. 184 la Corte costituzionale, nel ribadire la "copertura costituzionale" dell'elaborazione iniziata anche presso questo tribunale sul danno biologico, fisso' alcuni principi-cardine del sistema liquidatorio che non sono mai piu' stati posti in discussione, ed anzi sono stati integralmente recepiti da successive pronunce della Corte di Cassazione e dei giudici di merito. Si legge in tale autorevole arresto: "... dalla correlazione tra gli artt. 32 della Costituzione e 2043 del codice civile e' posta dunque una norma che per volonta' della Costituzione, non puo' limitare in alcun modo il risarcimento del danno biologico. 20. Un'ultima osservazione: alle conclusioni ora indicate si puo' opporre il timore di un'eccessiva uniformita' di determinazione e liquidazione del danno biologico. Va precisato che non si e' inteso qui proporre un assolutamente indifferenziata, per identiche lesioni, determinazione e liquidazione dei danni: in proposito e' da ricordare la recente giurisprudenza di merito che assume il predetto criterio liquidativo dover rispondere da un lato ad un'uniformita' pecuniaria di base (lo stesso tipo di lesione non puo' essere valutato in maniera del tutto diversa da soggetto a soggetto ...) e dall'altro ad elasticita' e flessibilita', per adeguare la liquidazione del caso di specie all'effettiva incidenza dell'accertata menomazione sulle attivita' della vita quotidiana, attraverso le quali in concreto si manifesta l'efficienza psico-fisica del soggetto danneggiato". E' in base a tali considerazioni che la Corte di Cassazione, in tempi piu' recenti, ha colto l'inadeguatezza del calcolo liquidatorio collegato al triplo della pensione sociale : il quale presentava un valore-punto sempre costante pur a fronte di invalidita' permanenti di grado crescente (cfr. per tutte la sentenza della III sezione del 13 gennaio 1993 n. 357). Prendendo atto di tale puntuale gamma di rilievi, nell'ultimo biennio questo tribunale - che ne fu l'antesignano - ha abbandonato il riferimento al parametro dell'art. 4 della legge n. 39 del 1977 per la liquidazione del danno biologico; infatti con la decisione Molonia contro SAPA del 28 settembre 1998 (vedi danno e responsabilita' 1999, 65) si e' determinato per l'adozione del sistema di liquidazione "a punto tabellare" affinato dal tribunale di Milano come perfezionamento del calcolo a punto inaugurato dai giudici pisani. In questo momento, dunque, il metodo "a punto" risulta essere quello maggiormente adottato presso i giudici di merito, con una notevole prevalenza del modello milanese. Pur con tale progressiva e sensibile omogeneizzazione delle tecniche liquidatorie, permane forte tra gli operatori del settore il senso di imbarazzo per l'assenza di un metodo di liquidazione del danno biologico uniforme in tutto il Paese. Di tale esigenza si erano fatti interpreti alcuni parlamentari, sottoponendo progetti di legge di riforma, e in epoca piu' recente anche l'ISVAP: quest'ultimo alcuni anni orsono promosse la costituzione di un apposito gruppo di studio (composto da giuristi ed operatori del settore) per varare un sistema uniforme di liquidazione "a punto" del danno da invalidita' permanente. Nel contempo, altro gruppo di lavoro costituito presso il C.N.R. si occupava di monitorare un significativo campione di decisioni di merito: i suoi lavori sfociarono nella predisposizione di una Tabella indicativa nazionale (cd.TIN) contenente i valori economici medi riconosciuti dai giudici, per singolo punto di invalidita'. Entrambe tali elaborazioni sono state fatte proprie dal Governo, il quale il 4 giugno 1999 ha approvato un disegno di legge - sottoposto poi all'ordinario corso parlamentare - che riproduceva quasi integralmente il progetto ISVAP ed era ispirato ai seguenti criteri direttivi: a) previsione in sede tabellare dei valori economici del punto di invalidita' sulla scorta di una Tabella indicativa nazionale basata sul sistema c.d. "a punto variabile" in funzione dell'eta' e del grado di invalidita', per invalidita' permanenti fino al 70% della totale; b) articolazione progressivamente crescente del valore-punto, con il progredire del valore economico di ciascun punto in misura piu' che proporzionale rispetto alla crescita del grado di invalidita' (si tratta di progressione "esponenziale" e non "lineare"); c) rinvio all'equita' per percentuali di invalidita' superiori al 70%; d) previsione di coefficienti demoltiplicativi basati sullo studio statistico delle tavole di mortalita' della popolazione italiana, in modo da adeguare i risarcimenti all'eta' della vittima; e) risarcibilita' del danno morale anche fuori dai casi di reato ed in frazione percentuale del danno biologico. Ritiene questo giudice che il condivisibile obiettivo perseguito dal decreto legge n. 70/2000 di realizzare l'uniformita' dei risarcimenti dei danni caratterizzati da lesioni "micropermanenti", liquidati su tutto il territorio nazionale, rendendo prevedibili per le compagnie assicurative i costi dei sinistri e "moralizzando" un settore (quello della sinistrosita' stradale con modesti esiti lesivi) che si presta particolarmente alle frodi in danno delle compagnie assicuratrici, sia stato tuttavia realizzato con il sacrificio di principi e norme di rango costituzionale; ed inoltre - sorprendentemente - ignorando le linee-guida adottate dalla stesso Consiglio dei Ministri in tema di risarcimento del danno, contenute nel citato disegno di legge approvato il 4 giugno 1999. La nuova disciplina contenuta nel decreto legge approvato intende contenere gli oneri risarcitori a carico dei danneggianti (e delle loro compagnie assicuratrici) per le lesioni qualificate di "lieve entita'" incidendo in tal modo, indirettamente, sui premi pagati dagli assicurati, operando come segue: viene determinato in L. 800.000 il valore monetario del punto di invalidita' permanente per i primi cinque punti di invalidita'; ed in L. 1.500.000 quello per i successivi punti dal sesto fino al nono. Tale disciplina da' luogo alle seguenti censure di incostituzionalita': 1. - Violazione dell'art. 32 della Costituzione ad opera dell'art. 3.1 lett. a) del decreto-legge in relazione alla misura economica del valore-punto di invalidita'. Non vi e' dubbio che venga in rilievo, nel caso dei risarcimenti dei danni biologico e morale, un bene primario di rango costituzionale, come gia' da tempo messo in luce dalla Corte costituzionale nelle decisioni gia' richiamate: il diritto alla salute. Orbene, per rendere effettivo - e non vuoto simulacro - il risarcimento delle lesioni del bene giuridico in questione, e' necessario che i valori monetari e piu' in generale le tecniche liquidatorie adottate in sede giudiziale e stragiudiziale esprimano un' effettiva idoneita' a ristorare il pregiudizio. E' da tenere presente che il nuovo sistema di calcolo introdotto dal d.l. determina i seguenti indennizzi: Grado di invalidità Valore punto Prodotto VP x P -- -- -- 1% L. 800.000 L. 800.000 2% " L. 1.600.000 3% " L. 2.400.000 4% " L. 3.200.000 5% " L. 4.000.000 6% L. 1.500.000 L. 5.500.000 7% " L. 7.000.000 8% " L. 8.500.000 9% " L. 10.000.000 L'idoneita' a determinare il serio ristoro del danneggiato poteva discendere dall'applicazione dell'art. 4 legge n. 39 del 1977, come pure da qualsiasi sistema di liquidazione "a punto" fondato sulla media delle precedenti liquidazioni operate dai giudici in un determinato ambito territoriale. Di contro, i valori economici espressi nel decreto legge non appaiono ancorati ad alcun precedente studio sistematico degli indennizzi gia' liquidati, o ad altri appropriati e congrui parametri economici, ed appaiono assai lontani dalla Tabella indicativa nazionale, che sulla base di un appropriato monitoraggio delle decisioni di merito, prevede lo sviluppo progressivamente crescente del valore punto secondo la seguente progressione (i calcoli sono condotti al netto dell'abbattimento per l'eta'): Grado di invalidità Valore punto Prodotto VP x P -- -- -- 1% L. 1.166.000 L. 1.166.000 2% L. 1.306.000 L. 2.612.000 3% L. 1.465.000 L. 4.395.000 4% L. 1.648.000 L. 6.592.000 5% L. 1.858.000 L. 9.290.000 6% L. 2.099.000 L. 12.594.000 7% L. 2.377.000 L. 16.639.000 8% L. 2.698.000 L. 21.584.000 9% L. 3.069.000 L. 27.621.000 I valori adottati nel d.l. sono anche estremamente lontani rispetto al piu' diffuso metodo di liquidazione del danno alla persona adottato sul territorio nazionale: il sistema "a punto tabellare" milanese, fatto proprio anche da questo tribunale nella decisione Molonia contro SAPA del 28 settembre 1998, che fissa il valore economico del primo punto di invalidita' permanente in L. 1.600.000, ed i successivi otto nelle seguenti misure (sempre al netto dell'abbattimento per l'eta'): Grado di invalidità Valore punto Prodotto VP x P -- -- -- 1% L. 1.600.000 L. 1.600.000 2% L. 1.700.000 L. 3.400.000 3% L. 1.800.000 L. 5.400.000 4% L. 1.900.000 L. 7.600.000 5% L. 2.000.000 L. 10.000.000 6% L. 2.200.000 L. 13.200.000 7% L. 2.400.000 L. 16.800.000 8% L. 2.600.000 L. 20.800.000 9% L. 2.800.000 L. 25.200.000 Esaminati tali prospetti, si puo' notare che i valori-punto per le micropermanenti vengono diminuiti dalla meta' fino ad oltre il 60%: non e' agevole giustificare tali significative decurtazioni (che rendono il risarcimento piu' apparente, che reale: una specie di "lustra") rispetto ai piu' accreditati e diffusi metodi risarcitori, a fronte di beni giuridici di rango primario, protetti direttamente da norma costituzionale. Soprattutto se si tiene presente che, fin dalla decisione n. 87 del 1979, la Consulta sottolineo' a chiare lettere che "... mentre rientra nella discrezionalita' del legislatore adottare discipline differenziate per la tutela risarcitoria di situazioni diverse, tale discrezionalita' e' invece esclusa allorquando vengano in considerazione situazioni soggettive costituzionalmente garantite. Per queste ultime, la garanzia costituzionale implica logicamente l'obbligo del legislatore di apprestare una tutela piena ed in particolare - ma non esclusivamente - una tutela risarcitoria. Tali osservazioni, riprese letteralmente anche nella sentenza n. 356 del 1991, sono state cosi' puntualizzate nella fondamentale sentenza n. 184 del 1986: "Il risarcimento del danno ex art. 2043 del codice civile e' la minima delle sanzioni che l'ordinamento appresta per la tutela di un interesse, sicche' il legislatore ordinario, rifiutando o limitando in alcun modo la tutela risarcitoria a seguito della violazione del diritto dichiarato fondamentale, non lo tutelerebbe affatto, almeno nei casi esclusi... La solenne dichiarazione della Costituzione si ridurrebbe ad una lustra ed il legislatore ordinario rimarrebbe arbitro della effettivita' della predetta dichiarazione". 2. - Violazione dell' art. 3 primo comma della Costituzione ad opera dell'art. 3.1 lett. a) del decreto-legge in relazione alla non derogabilita' da parte del giudice, con specifica motivazione, dei limiti massimi definiti da tale norma. Come gia' sopra anticipato, la Corte costituzionale nella nota pronuncia n. 184 del 1986, con cui ha collegato la lesione del danno alla salute all'art. 2043 del codice civile, ha sottolineato la pregnante esigenza di pervenire ad un sistema di liquidazione del danno alla persona che si potrebbe definire "non ingessato". Secondo tale insegnamento, risulta compatibile con i principi costituzionali solo un sistema che sappia coniugare l'esigenza della uniformita' pecuniaria di base, con l'adeguata valorizzazione "soggettiva" del caso di specie: esigenza, che e' ben nota agli operatori del settore, i quali hanno diretta cognizione di come percentuali di invalidita' assai diverse si riferiscano a casi tra loro assolutamente non assimilabili; e che rende inevitabile nei congrui casi la correzione "equitativa" del ristoro pecuniario derivante dalla semplice applicazione del punto tabellare. Il nuovo sistema introdotto dal decreto legge valorizza esclusivamente il primo profilo, quello dell'uniformita' pecuniaria di base, ed impedisce alcuna giustificata deroga nei congrui casi, sia pure entro limiti percentuali definiti. Diversa impostazione - piu' coerente con l'insegnamento del giudice costituzionale - era quella del progetto dell'ISVAP, il cui art. 3 secondo comma, dopo aver ancorato il risarcimento alla TIN, proseguiva dicendo che: "il giudice puo' con specifica motivazione correggere secondo il suo prudente apprezzamento la determinazione del risarcimento avuto riguardo a comprovate peculiarita' oggettive e soggettive del caso concreto. La correzione, in aumento o in diminuzione, deve essere contenuta entro una misura non superiore al terzo dell'ammontare determinato ai sensi del primo comma. In caso di eccezionale gravita' della menomazione il giudice puo' con adeguata motivazione valutare il danno secondo il suo prudente apprezzamento". 3. - Violazione del combinato disposto degli artt. 3 e 32 della Costituzione ad opera dellart. 3.1 lett. a) del decreto-legge in relazione alla misura fissa del valore-punto di invalidita'. La Corte di Cassazione, nel recepire i parametri di uniformita' e flessibilita' indicati dalla Corte costituzionale come cardini del sistema di liquidazione del danno alla persona, ha piu' volte convalidato tecniche liquidatorie che realizzavano il duplice obiettivo in esame attraverso valori economici progressivamente crescenti del punto di invalidita'. Tale impostazione e' conforme, d'altro canto, alle acquisizioni della medicina legale, secondo la quale le conseguenze menomative delle lesioni personali non hanno natura "lineare", ma crescono progressivamente in base al grado di menomazione funzionale. Lo stesso Consiglio dei Ministri aveva recepito tale impostazione nel disegno di legge approvato il 4 giugno 1999. Si prevedeva infatti che il valore monetario dovesse articolarsi "... sulla base dei valori monetari uniformi indicati dalla Tabella indicativa nazionale (TIN) di cui al successivo art. 4" (art. 3.1). E che quest'ultima dovesse essere redatta con l'osservanza dei seguenti criteri direttivi: 1) la tabella per il risarcimento del danno biologico deve basarsi sul sistema c.d. "a punto variabile" in funzione dell'eta' e del grado di invalidita'; 2) il valore del punto e' funzione crescente della percentuale di invalidita'. L'incidenza della menomazione sulla vita del danneggiato cresce in maniera piu' che proporzionale rispetto all'aumento percentuale assegnato ai postumi non solo in termini assoluti ma anche relativi.." (art. 4.1 lett. a) nn. 1 e 2). Ne discende la manifesta illegittimita' di un sistema, come quello introdotto dal decreto-legge, che fissa un unico valore monetario per ciascun punto di invalidita' compreso tra l'1 ed il 5%; come pure un identico valore economico di ogni punto di IP compreso tra il 6 ed il 9%, anziche' valori monetari progressivamente crescenti con il progredire del grado invalidante (quali quelli sopra riferiti, contenuti nella TIN o nella "tabella milanese").. In tal modo vengono parificati indiscriminatamente i valori economici relativi a punteggi di invalidita' diversi e per nulla omogenei, palese essendo che il 5% di menomazione funzionale permanente e' altra cosa, rispetto a postumi dell'1%; e che l'obiettiva menomazione funzionale collegata ad un'invalidita' permanente del 9% (e la relativa consapevolezza e sofferenza da essa indotta) e' cosa diversa, naturalisticamente e psicologicamente, da quella derivante dalla perdita del 6% della validita' totale. 4. - Violazione dell'art. 3 della Costituzione da parte dell'art. 3.1 lett. a) dello stesso decreto per disparita' di trattamento tra danneggiati di eta' diversa. Infatti la nuova normativa non prevede alcun adeguamento moltiplicativo che esprima la diversa incidenza dell'eta' del danneggiato, in rapporto alle sue menomazioni funzionali, sulla misura del risarcimento: e dunque non contiene alcun correttivo in relazione alla "qualita' della vita" residua del danneggiato. Anche in questo caso, appare particolarmente evidente l'arbitrarieta' della nuova disciplina, che finisce per parificare l'infante e l'ottuagenario, quasi che le categorie estreme (per eta') dei danneggiati fossero perfettamente sovrapponibili. E' quasi superfluo sottolineare che, di tutti i metodi liquidatori escogitati dalle diverse Corti italiane, non uno conteneva una tale irrazionale parificazione: tutti tali sistemi, con criteri diversi e talora assai sofisticati (vedi, per esempio, gli studi dell'apposito gruppo di lavoro CNR condotti sulle tavole di sopravvivenza aggiornate con i piu' recenti censimenti demografici, poi recepiti in talune decisioni di merito), avevano di mira e coglievano l'obiettivo di modulare il risarcimento in rapporto al prevedibile sviluppo e durata nel tempo della menomazione funzionale. Era lo stesso disegno di legge governativo a prevedere in proposito: "3) il valore del punto e' funzione decrescente dell'eta' del soggetto, sulla base delle tavole di mortalita' elaborate dall'ISTAT, al tasso di rivalutazione pari all'interesse legale, anche tenendo conto della maggiore longevita' della donna" (art. 4.1 lett. a) n. 3). 5. - Violazione degli artt. 2 e 32 della Costituzione da parte dell'art. 3.1 lett. c) del decreto-legge in relazione alla misura massima del danno morale. Dispone la lett. c) dell'art. 3 del Dl 70/2000: "c) a titolo di danno non patrimoniale, nei casi in cui questo e' risarcibile ai sensi dell'articolo 2059 del codice civile, e' liquidato un importo non superiore al venticinque per cento dell'importo liquidato a titolo di danno biologico". Si ritiene che anche questa disposizione violi fondamentali precetti costituzionali. La Corte costituzionale si e' ripetutamente espressa sulla non riconducibilita' del danno morale soggettivo (il "transeunte turbamento psicologico del soggetto offeso") alla tutela costituzionale dell'art 32 (vedi le sentenze nn. 356 del 1991; 37 del 1994; 293 del 1996): proprio l'assenza di protezione costituzionale giustificherebbe regimi risarcitori differenziati, vale a dire la limitazione del risarcimento ai casi tassativamente richiamati nell'art 2059 c.c.. Limitazione, che la dottrina da tempo stigmatizza e che ci si apprestava in sede legislativa a superare, come dimostrano i lavori preparatori dell'ISVAP ed il disegno di legge governativo del giugno scorso. Tuttavia, chiamata a definire i contorni del danno morale soggettivo, per distinguerlo dal danno biologico, la Corte aveva spiegato nella sentenza 184 del 1986 che: "Il danno morale subiettivo, che si sostanzia nel transeunte turbamento psicologico del soggetto offeso, e' danno-conseguenza, in senso proprio, del fatto illecito lesivo della salute e costituisce, quando esiste, condizione di risarcibilita' del medesimo". Da tale definizione, si desume che il danno morale soggettivo viene risarcito come riflesso soggettivo e psicologico dello stesso fatto menomativo dell'integrita' personale, ormai universalmente qualificato come "danno biologico": partecipa della natura di quest'ultimo nel senso che in tanto viene accordata protezione all'integrita' psicofisica della persona umana, in quanto nei casi che qui interessano l'art. 2059 c.c. e' posto a presidio di diritti inviolabili e fondamentali, che godono della tutela costituzionale degli artt. 2 e 32 della legge fondamentale. E' insomma difficile non cogliere, nella protezione risarcitoria del danno morale collegato ad un danno biologico, l'immediato riflesso della protezione accordata all'integrita' fisica ed alla dignita' morale della persona: un interesse riferibile senza difficolta' al catalogo dei diritti fondamentali della persona, riconosciuti e garantiti al livello costituzionale fin dalle sue disposizioni d'esordio. Questo "aggancio" costituzionale del danno morale ai valori protetti dall'art. 2 della Costituzione e' stato colto in effetti con particolare sensibilita' nella sentenza n. 10606 della Corte di Cassazione del 1996 (v. Resp. Civ. e Prev. 1997, 393). Vi si legge: "Aderendo all'invito della Consulta questa Corte ritiene che l'ambito di operativita' dell'art. 2059 cod. civ. debba essere considerato rapportando anche questa norma ai principi costituzionali e cosi' superando la inadeguata interpretazione tradizionale." Le ragioni della "costituzionalizzazione" del sistema di responsabilita' civile (gia' auspicate dalla Corte costituzionale nella nota sentenza n. 184 del 1986) derivano da precise esigenze di giustizia, accordando tutela diretta e giudiziaria anche nel settore dei rapporti privati, alle posizioni soggettive ed ai beni giuridici costituzionalmente protetti. Ripercorsa la vicenda giurisprudenziale del riconoscimento costituzionale del diritto alla salute, la Cassazione prosegue cosi': "Il danno morale si configura cosi', in questa nuova visione aperta ai valori costituzionali, come lesione della sfera morale della persona, di quel valore uomo che anche il danno biologico lede, come danno di quella qualita' essenziale della persona, che e' la salute. Pari dignita' di tutela per il danno alla salute (nel senso ampio dell'art. 32 della Costituzione e delle Carte internazionali recepite nel nostro ordinamento) per il danno alla dignitas personae, che il delitto ferisce nella sua integrita' etica, e tanto piu' gravemente, quanto piu' intensi sono i valori umani menomati. E' in questa direzione che puo' ricostruirsi la dicotomia perfetta tra danno patrimoniale e danno non patrimoniale, in un sistema coerente rispettoso dei diritti della persona. Sulle basi di questa distinzione, il rapporto di risarcibilita' del danno morale non e' solo pecunia doloris, ma pecunia lesae dignitatis, reintegrazione della dignita' umana offesa dal delitto". A questo punto, per il danno morale che discende da lesioni alla persona umana, e diviene accessorio di quest'ultimo, valgono le medesime considerazioni sopra svolte rispetto al danno biologico mediante il richiamo alle decisioni 87/1979 e 184/1986 della Corte costituzionale: il concreto risarcimento di tali valori non puo' essere meramente apparente, "una lustra" come efficacemente scriveva la Consulta nel 1979. E una lustra certamente risulta la misura massima del risarcimento accordabile per il danno morale collegato al danno biologico in base all'art. 3.1 lett. c) del decreto-legge in esame: fino al massimo di un quarto del danno biologico a cui accede. E' superfluo ricordare che la casistica che si offre quotidianamente agli interpreti presenta frequentemente casi in cui, a basse menomazioni psicofisiche, corrispondono pero' sofferenze e patimenti morali marcati (vedi, a tacer d'altro, i casi dei reati dolosi o delle colpe professionali). La percentuale massima ammessa dal decreto-legge in frazione del danno biologico appare decisamente mortificante, se si considera che nel piu' diffuso sistema di liquidazione del danno - le tabelle "milanesi" gia' piu' volte richiamate - la misura dell'indennizzo previsto per il danno morale varia da una percentuale minima del 25%, fino alla meta' del danno biologico. Ed anche nei progetti di riforma elaborato in sede ISVAP o di Consiglio dei Ministri, che tra l'altro si muovevano entrambi nella direzione del superamento dello scoglio della risarcibilita' del danno morale solo nei casi tassativamente indicati dalla legge, erano previsti adeguati correttivi per consentire al giudice - con onere di specifica e puntuale motivazione - l'adeguata personalizzazione della misura del ristoro del danno morale entro l'identico limite della meta' del danno biologico. Si rimanda in proposito all'art. 6 del progetto ISVAP, ed all'art. 4 dell'articolato governativo. Dove poi si toccano livelli economici irrisori, e' con riguardo al danno morale da invalidita' temporanea. Infatti il danno morale potra' essere liquidato nella misura massima di L. 12.500 per tutto il periodo dell'invalidita' temporanea totale, in cui notoriamente e' piu' acuta la sofferenza originata dal fatto lesivo (valore cosi' determinato: ÷ di L. 50.000 al giorno, misura fissa dell'invalidita' temporanea totale in base alla lett. b) dell'art 3.1 del decreto-legge 70/2000). Si raggiungono valori ancora piu' canzonatori nel danno morale da invalidita' temporanea parziale, che in caso di riduzione a meta' della validita' del soggetto, arriva alla soglia massima di 6250 giornaliere (determinate come segue: ÷ di lire 25.000 giornaliere, e cioe' della meta' della misura fissa dell'ITT, ridotta del 50% in rapporto al grado di invalidita'). 6. - violazione dell'art. 3 della Costituzione da parte dell'art. 3.1 lett. c) del decreto-legge in relazione alla coesistenza di diversi criteri per la liquidazione del danno morale da reato. Ulteriore profilo di violazione costituzionale, ravvisabile nella lett. c) dell'art. 3.1, si ravvisa tenendo presente che non tutte le liquidazioni del danno morale da reato sono sottratte all'equita' del giudice, ma solo quelle che si collegano al danno biologico. Tale distinzione e' priva di adeguata giustificazione, in relazione alla gerarchia di valori protetta dalla Carta costituzionale, tra i quali primeggiano certamente quelli della persona umana intesa nella sua stessa integrita' biologica e psicologica, sol che si consideri il seguente caso: il danno morale da ingiuria verbale, in quanto costituente reato, rimane assoggettato al precetto dell'art. 1226 c.c., e dunque rimane affidato alla valutazione equitativa del giudice. Mentre le sofferenze da lesione dell'incolumita' fisica della persona, anche di natura dolosa, che tutto lascia credere piu' dolorose specialmente quando si sostanzino in esiti invalidanti permanenti, vengono imbrigliate entro limiti risarcitori obiettivamente irrisori, quali quelli in precedenza considerati. Fatti tali rilievi sulla non manifesta infondatezza della questione di costituzionalita', si osserva che la rilevanza della stessa emerge in questa fase processuale, nella quale il decidente e' chiamato a rendere un provvedimento anticipatorio di condanna - sulla scorta dell'intero quadro probatorio raccolto nella fase istruttoria - che richiede il ricorso ai nuovi indici monetari contenuti nel decreto-legge per operare la quantificazione economica del debito da risarcimento del danno: criteri, che risultano obbligatori ed efficaci dalla data di pubblicazione del decreto-legge (il quale non contiene disposizioni transitorie). Nel merito, per cosi' dire, del computo liquidatorio, e' da notare che il danno biologico da invalidita' permanente patito dal Piterna sarebbe valorizzato in base al decreto-legge in L. 3.200.000 complessivamente, di contro alle somme di L. 6.592.000 e L. 7.600.000 previste per il medesimo grado di invalidita' rispettivamente dalla TIN e dalla tabella milanese: con una perdita lorda per il danneggiato superiore al 50% rispetto ai piu' diffusi ed accreditati metodi di calcolo del risarcimento del danno in esame; mentre il danno morale complessivo passerebbe da L. 3.181.000 a L. 1.175.000, con una decurtazione del 63%. Nessun impedimento alla sottoposizione della questione di cui sopra puo' venire dalla natura giuridica della fonte che contiene le nuove disposizioni: e' lo stesso art. 134 della nostra Legge fondamentale a prevedere la sindacabilita' degli atti aventi "forza di legge" da parte della Corte costituzionale.