IL TRIBUNALE
    Nella  controversia  n. 4649/1998,  in  materia  di  previdenza e
  assistenza  obbligatoria, promossa da: Zamboni Annamaria, residente
  in Genova ed ivi elettivamente domiciliata, in via Bartolomeo Bosco
  n. 57/1, presso lo studio dell'avv. Carlo Golda, che la rappresenta
  e difende per mandato in atti appellante;
    Contro  Banca  Carige  S.p.a.,  Cassa  di  Risparmio  di Genova e
  Imperia,  con  sede  legale  in Genova, in persona del Presidente e
  legale  rappresentante  pro-tempore,  elettivamente  domiciliato in
  Genova, via Bacigalupo n. 4/3, presso l'avv. Camillo Paroletti, che
  lo  rappresenta  e difende, in uno con il prof. avv. Fausto Cuocolo
  per mandato generale alle liti, in atti appellata ha pronunciato la
  seguente ordinanza.
    Con  ricorso  rivolto al pretore di Genova in funzione di giudice
  del  lavoro,  depositato  il  5 settembre 1996,  Zamboni Anna Maria
  esponeva:
        di  essere dipendente della Carige S.p.a. e di avere maturato
  il  requisito  di 25 anni di iscrizione al Fondo Aziendale, essendo
  stata assunta, altresi', prima del 31 dicembre 1983;
        di avere, quindi, maturato il diritto alla pensione aziendale
  diretta;
        di  avere chiesto, in data 1o febbraio 1996, di usufruire del
  trattamento  pensionistico, subordinate le dimissioni all'effettivo
  ottenimento della pensione;
        che  la  Cassa  aveva  risposto  negativamente in ragione del
  mancato  avveramento della condizione della previa liquidazione del
  trattamento  obbligatorio  -  per  il quale la ricorrente non aveva
  maturato  i requisiti - ex art. 18, comma 8-quinquies decreto legge
  124/1993, come modificato dalla 1egge 335/1995;
        che   tale   condizione,   se  ritenuta  esistente,  appariva
  incostituzionale  per  violazione degli artt. 38, 39, 41 e 3 Cost.,
  in quanto incidente sulla liberta' economica privata e in contrasto
  con  il  principio  di  parita'  di trattamento, sia in rapporto ai
  fondi  di  previdenza di cui alla legge 357/1990, per i quali fatta
  salva  dalla stessa legge 335 la liberta' di contrattazione, sia in
  relazione  a  quanto  previsto  dall'art. 1, comma 27, della stessa
  legge  335 quanto a regime transitorio dei dipendenti iscritti alle
  forme esclusive dell'A.G.O.;
        che,  tuttavia,  la  norma  si prestava ad un'interpretazione
  adeguatrice, giacche', se il riferimento letterale della norma alle
  forme  pensionistiche  che  "garantiscono  prestazioni  definite ad
  integrazione"  induceva  ad  escludere  dal  novero dei trattamenti
  interessati  sia quelli sostitutivi dell'A.G.O. (anche nell'ipotesi
  in  cui  il  trattamento  "integrativo"  sia  erogabile prima della
  maturazione  dei  requisiti  per  la liquidazione del trattamento a
  carico   dell'A.G.O.),   sia   quelli  di  fondi  che  non  erogano
  prestazioni  definite (in tale categoria rientrando necessariamente
  tutti  i  fondi di previdenza integrativi per lavoratori dipendenti
  indicati  dal  d.lgs 124/1993), dall'altro non era dato comprendere
  come potesse coordinarsi questa norma con il non modificato art. 7,
  comma  3, del d.lgs., il quale ancora consente ai fondi pensione di
  erogare trattamenti di anzianita' a condizione che sussista un'eta'
  non   inferiore  a  10  anni  rispetto  a  quella  fissata  per  il
  pensionamento   di   vecchiaia   nell'ordinamento  obbligatorio  di
  appartenenza;
        che   l'interpretazione   della   norma   data  dall'Istituto
  rappresentava,   per   i   lavoratori   gia'   iscritti   ai  fondi
  complementari,  una violazione dei diritti acquisiti con la propria
  anzianita' contributiva presso il fondo.
    Chiedeva,  quindi,  accertarsi  il  suo  diritto  a  percepire la
  pensione aziendale e condannarsi parte convenuta a corrispondere la
  stessa nella misura da liquidarsi in separata sede.
    Si  costituiva  la  Banca Carige S.p.a. eccependo preliminarmente
  l'inammissibilita'  del  ricorso per carenza di interesse ad agire,
  non   avendo   mai   la  ricorrente  reso  le  dimissioni,  nemmeno
  condizionate.
    Contestava  energicamente  che  qualsiasi prestazione erogata dal
  fondo   aziendale   potesse   dirsi  sostitutiva  e  non  meramente
  integrativa   dei   trattamenti   A.G.O.   e  assumendo  l'assoluta
  generalita'  del  divieto ex art. 18, comma 8-quinquies della legge
  n. 335,  tale da ricomprendere gli stessi pretesi "diritti quesiti"
  (che  peraltro  contestava  ricorrere nel caso di specie, in cui la
  ricorrente  non  aveva  nemmeno  maturato,  alla data di entrata in
  vigore della legge n. 335, i requisiti di anzianita' e contributivi
  per accedere alla pensione aziendale).
    Difendeva  la  legittimita'  costituzionale del divieto in quanto
  consono  alle  scelte  generali  di riforma di omogeneizzazione dei
  trattamenti  privati  e di blocco dei trattamenti di anzianita' per
  il risanamento dei trattamenti pensionistici.
    Nel corso del giudizio, le parti venivano autorizzate al deposito
  di note difensive.
    Parte  ricorrente  contestava  l'eccezione di interesse ad agire,
  facendo  rilevare,  alla  luce  della  costante  giurisprudenza, la
  ravvisabilita'   dell'interesse   nella   mera  sussistenza  di  un
  contrasto concreto ed oggettivo, quale quello insorto fra le parti,
  ne'  potendosi  pretendere  che la lavoratrice renda le dimissioni,
  perdendo   il   reddito   da   lavoro,   nell'incertezza  circa  la
  liquidazione della pensione. Ribadiva le ragioni della ritenuta non
  manifesta    infondatezza    della    questione   di   legittimita'
  costituzionale proposta e gli altri argomenti svolti in ricorso.
    All'esito della discussione, il pretore respingeva la domanda.
    Superata  l'eccezione di inammissibilita' del ricorso per carenza
  di  interesse  ad  agire  interpretando la missiva della Zamboni in
  data  1o  febbraio  1996  come  manifestazione  della  volonta'  di
  dimettersi   condizionatamente   all'erogazione   del  trattamento,
  affermava la natura ontologicamente "integrativa" delle prestazioni
  rese  da  tutti i fondi privati e riteneva che la stessa natura che
  le  prestazioni  del  fondo  aziendale  erogava  a integrazione del
  trattamento  A.G.O. fosse propria del trattamento "complessivo" che
  lo  stesso  fondo  eroga  sino  alla liquidazione del trattamento a
  carico INPS.
    Premesso,  quindi, che la prestazione in oggetto doveva ritenersi
  prestazione definita, in quanto parametrata da un certo livello del
  trattamento  obbligatorio,  rilevava  come  scopo della legge fosse
  quello,  di  pubblico  interesse,  di evitare che i Fondi potessero
  trovarsi nell'impossibilita' di erogare i trattamenti pensionistici
  a  coloro  che  avevano gia' maturato il diritto. A questo scopo si
  era  proceduto  ad un riallineamento delle condizioni di accesso ai
  trattamenti  rispetto  al quale potevano dirsi salvi i soli diritti
  acquisiti  di  coloro  che  gia'  avessero maturato, all'entrata in
  vigore   della   legge  n. 335/1995,  i  requisiti  precedentemente
  previsti dai rispettivi regolamenti.
    Avverso   tale  decisione  proponeva  appello  parte  ricorrente,
  evidenziando  come  l'incongruita' del divieto in discussione fosse
  stata  rilevata  dallo  stesso  legislatore: nell'ordine del giorno
  n. 21  approvato  dal  Senato  nella  seduta  del  3 agosto 1995 si
  sottolineava, in relazione alla norma in esame, come la stessa, non
  producendo  alcun  risparmio  per  la finanza pubblica, realizzasse
  un'ingiustificata limitazione della liberta' di contrattazione, per
  il  che si impegnava il Governo a ridefinirne i contenuti nel senso
  di  prevedere  la  possibilita'  di godere delle prestazioni, senza
  aggravio  alcuno  della  situazione  finanziaria delle gestioni, in
  presenza di accordi fra le parti.
    Riproponeva l'interpretazione adeguatrice della norma in oggetto,
  anche  in  relazione all'esigenza di tutela dei diritti quesiti, e,
  in   via   subordinata,   la  relativa  questione  di  legittimita'
  costituzionale per violazione degli artt. 3, 38, 39 e 41 cost.
    Sul  punto,  contestava  l'argomentazione  che  il  pretore aveva
  desunto   dalla   ritenuta   legittimita'  delle  norme  di  blocco
  temporaneo  delle  pensioni,  sia perche' non riferibili a fondi di
  pensione  del tutto privati sia perche' comunque giustificate dalla
  temporaneita'  ed  emergenza  delle situazioni che la normativa sul
  blocco mirava a fronteggiare.
    Resisteva  la  Banca  Carige S.p.a., assumendo la giustificazione
  del  divieto  nella  politica  legislativa  (sorretta da ragioni di
  ordine  pubblico)  di  riallineamento dei trattamenti previdenziali
  garantiti da fondi privati e di blocco temporaneo delle pensioni.
    Sentite  le  parti  all'udienza del 27 gennaio 1999, il tribunale
  ritenuta  la  rilevanza  e  la  non  manifesta  infondatezza  della
  questione di costituzionalita' prospettata dal ricorrente rimetteva
  gli atti alla Corte costituzionale.
    Quest'ultima  con  ordinanza n. 289 del 5 luglio 1999, dichiarava
  inammissibile  la  questione  sollevata  da  questo  Tribunale, sul
  presupposto   che   la   normativa  investita  dalla  questione  di
  costituzionalita'  (art.  18  comma 8-quinques del d.lgs. 21 aprile
  1993  n. 124,  nel  testo  introdotto  dall'art. 15, comma 5, della
  legge  8  agosto  1995  n. 335)  era stata modificata dall'art. 59,
  comma  3,  della  legge  27  dicembre  1997  n. 449,  e  che questo
  tribunale  aveva omesso ogni considerazione in ordine all'influenza
  o  meno  dello  jus  superveniens  nella  controversia posta al suo
  esame.
    Il tribunale, sentite le parti alla udienza del 24 maggio 2000.

                            O s s e r v a

    Prima  di  scendere  nel  merito  della questione di legittimita'
  costituzionale   e'   necessario  escludere  la  definibilita'  del
  giudizio  a prescindere dalla soluzione della questione stessa (sia
  pure  in  via  di  delibazione  e ai soli fini della valutazione di
  rilevanza  dei  dubbi  di  costituzionalita'  anche alla luce della
  ordinanza della Corte costituzionale richiamata in premessa).
    In  primo  luogo,  sembra  doversi  condividere  il  giudizio del
  pretore in merito all'ammissibilita' della domanda sotto il profilo
  della  sussistenza  di  un  concreto  interesse della ricorrente ad
  ottenere,  quanto meno, il richiesto accertamento del suo diritto a
  percepire la pensione aziendale.
    L'art. 18  comma  8-quinquies  del  d.lgs.  124/1993,  nel  testo
  introdotto  dall'art. 15  comma  5, della legge n. 335/1995, recita
  testualmente:   "l'accesso   alle   prestazioni  per  anzianita'  e
  vecchiaia  assicurata  dalle forme pensionistiche di cui al comma 1
  (forme  pensionistiche  complementari) che garantiscono prestazioni
  definite    ad    integrazione    del   trattamento   pensionistico
  obbligatorio,   e'   subordinato  alla  liquidazione  del  predetto
  trattamento".
    Come  ha  correttamente rilevato il giudice costituzionale, nella
  ordinanza  richiamata in premessa, il legislatore e' intervenuto in
  modo  incisivo  nella  materia  con  l'art. 59 comma 3, della legge
  n. 449/1997,  il  quale  recita  testualmente:  "a decorrere dal 10
  gennaio  1998,  per  tutti  i  soggetti  nei  cui confronti trovino
  applicazione  le  forme pensionistiche che garantiscono prestazioni
  definite   in   aggiunta   o   ad   integrazione   del  trattamento
  pensionistico obbligatorio, ivi comprese quelle di cui al d.lgs. 16
  settembre  1996,  n. 563  (379),  al  d.lgs. 21 aprile 1993, n. 124
  (377),  ed  al  d.lgs.  20  novembre 1990, n. 357 (384), nonche' le
  forme   pensionistiche   che   assicurano  comunque  ai  dipendenti
  pubblici,  inclusi  quelli  alle dipendenze delle regioni a statuto
  speciale e degli enti di cui alla legge 20 marzo 1975, n. 70 (381),
  e  successive  modificazioni,  ivi compresa la gestione speciale ad
  esaurimento  di cui all'art. 75 del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761
  (382),  nonche'  le gestioni di previdenza per il personale addetto
  alle  imposte di consumo, per il personale dipendente dalle aziende
  private  del  gas  e per il personale addetto alle esattorie e alle
  ricevitorie  delle  imposte  dirette,  prestazioni complementari al
  trattamento  di  base  ovvero  al  trattamento di fine rapporto, il
  trattamento  si consegue esclusivamente in presenza dei requisiti e
  con  la  decorrenza  previsti  dalla  disciplina dell'assicurazione
  generale obbligatoria di appartenenza".
    La  nuova disposizione ha sicuramente esteso ad altri soggetti il
  principio  gia'  affermato  con la legge n. 335/1995, in virtu' del
  quale  i  trattamenti  pensionistici  integrativi aziendali possono
  essere   erogati   solo   insieme   a   quelli  disciplinati  dalla
  assicurazione   generale   obbligatoria,   anche  quando  prevedono
  prestazioni   anticipate   rispetto   a   quelle   disciplinate  da
  quest'ultima.
    Rispetto  all'art. 18  comma  8-quinquies  del d.lgs 124/1993, la
  nuova  disposizione  ha altresi' una portata parzialmente abrogante
  per   incompatibilita'   ex  art. 15  delle  preleggi,  laddove  fa
  decorrere  il  nuovo  regime di differimento della liquidazione dei
  trattamenti  integrativi  aziendali  dal  1 gennaio 1998 invece che
  dalla data anteriore presupposta dalla legge n. 335/1995.
    Tale circostanza assume indubbio rilievo nella controversia posta
  all'esame del collegio, in quanto la Zamboni, in epoca anteriore al
  1o  gennaio 1998, ha maturato i requisiti contributivi e anagrafici
  per  accedere  al  trattamento integrativo rivendicato in giudizio,
  circostanza  questa  che  non  si  era  verificata in vigenza delle
  precedenti disposizioni.
    Tuttavia  la  Zamboni  non  si  e' dimessa dal lavoro entro il 1o
  gennaio  1998  (e neppure in seguito, risultando tuttora dipendente
  della societa' convenuta) e conseguentemente non si sono verificate
  tutte   le   condizioni   necessarie  ad  accedere  al  trattamento
  rivendicato,  il  quale  presuppone espressamente la cessazione del
  rapporto di lavoro per dimissioni.
    Si  deve  dunque  concludere  che, nel caso in esame, entro il 1o
  gennaio  1998  non sono maturate tutte le condizioni necessarie per
  l'erogazione  del  trattamento integrativo dedotto in giudizio, con
  la  conseguenza  che  la posizione soggettiva della Zamboni rientra
  nella  disciplina  di  cui  al  comma  3  dell'art. 59  della legge
  n. 449/1997,   il  quale  inibisce  alla  ricorrente  l'accesso  al
  trattamento  integrativo  rivendicato in via anticipata rispetto ai
  trattamenti disciplinati dalla assicurazione generale obbligatoria.
    Queste  considerazioni  dimostrano  la permanente rilevanza della
  questione  di costituzionalita' prospettata dalla Zamboni, rispetto
  al   jus   superveniens   costituito   dall'art. 59   della   legge
  n. 449/l997.
    Secondariamente,  deve affermarsi l'applicabilita' delle norme in
  discussione alla fattispecie in esame.
    Non  l'esclude,  infatti,  ne'  il  riferimento letterale a forme
  pensionistiche   "che   garantiscono   prestazioni  definite",  ne'
  l'operativita' del divieto per le sole prestazioni integrative.
    Sotto  il  primo  punto  di  vista, il fatto che l'art. 2 comma 2
  letera a) del d.lgs. 124/1993 preveda che, a far data dalla entrata
  in  vigore  di  quel decreto legislativo, possano essere istituite,
  per  i  lavoratori  dipendenti, esclusivamente forme pensionistiche
  complementari  a  regime  di  contribuzione definita ovviamente non
  esclude  -  ed, anzi, presuppone - la sopravvivenza di preesistenti
  regimi di previdenza integrativa a prestazioni definite anche per i
  lavoratori   dipendenti,   ai   quali   il   divieto  in  esame  e'
  specificamente diretto.
    Sotto  il  secondo  profilo,  che  mette in discussione la natura
  della  prestazione  per  cui e' causa, sembra al tribunale che essa
  debba   essere   considerata  integrativa  e  non  sostitutiva  del
  trattamento  a carico dell'AGO, con il quale concorre per garantire
  al  lavoratore un certo livello reddituale e che solo di fatto e in
  via  eventuale  lo  sostituisce, allorquando i diversi requisiti di
  accesso  all'una  e all'altra provvidenza portino alla liquidazione
  della  pensione  integrativa  in  assenza  di  pensionamento presso
  l'AGO.
    D'altra  parte il divieto di liquidazione della pensione a carico
  del   fondo   privato  prima  della  liquidazione  del  trattamento
  pensionistico obbligatorio sarebbe insuscettibile di applicazione -
  e  la  norma cadrebbe in un'insanabile contraddizione - ove venisse
  riferito  ai  soli  trattamenti  gia' "allineati", sotto il profilo
  delle condizioni di accesso, alle prestazioni dell'AGO.
    Cio'  considerato,  il  fatto  che le norme varate dal Parlamento
  utilizzino   un'espressione   diversa   da  quella  dell'originaria
  formulazione,  nella  quale  si  faceva  esplicito  riferimento  ai
  trattamenti  "anticipati", non e' certo sufficiente ad affermare un
  mutamento  non  della  sola  forma  bensi' anche della sostanza del
  divieto.
    Quanto  alla diversa previsione dell'art. 7 comma 3, dello stesso
  d.lgs.  124/1993,  che consente l'accesso a pensioni integrative di
  anzianita'  a condizione che sussista un'eta' non inferiore a dieci
  anni  rispetto  a  quella fissata per il pensionamento di vecchiaia
  nell'ordinamento  obbligatorio  di  appartenenza  -  potra'  essere
  oggetto   di   considerazioni   nell'esame   della   questione   di
  costituzionalita', proposta dall'appellante, ma non consente di per
  se'  un'interpretazione  della  norma  differente  da  quella fatta
  palese dall'inequivoco tenore letterale del divieto.
    E  nemmeno  assume  rilevanza la lamentata lesione di un presunto
  diritto  quesito:  alla  data  in  vigore  del  precetto  di cui si
  discute,  la  ricorrente non era titolare di diritto a pensione per
  non  essersi  dimessa  pur  avendo  maturato  i  relativi requisiti
  contributivi o anagrafici, e, comunque, una simile lesione potrebbe
  essere fatta valere quale motivo di incostituzionalita' della norma
  ma  non  quale canone interpretativo idoneo a vanificare la lettera
  della legge.
    Riconosciuta,   quindi,   la   rilevanza   della   questione   di
  legittimita'  costituzionale  dell'art.  18  comma  8-quinquies del
  d.lgs. 124/1993 e 59 comma 3 legge 449/1997, si tratta di valutarne
  la  non  manifesta  infondatezza, che il tribunale ritiene di dover
  affermare,  non diversamente da quanto ritenuto da altri giudici di
  merito.
    Appare  evidente che il divieto, del quale si tratta, limita, per
  il futuro, sia l'adottabilita' sia l'efficacia (se preesistenti) di
  clausole regolamentari dei fondi privati di cui allo stesso art. 18
  comma     primo     -    clausole    di    fonte    prevalentemente
  contrattual-collettiva   -   che   garantiscano   un   accesso   al
  pensionamento  "anticipato" rispetto a quello consentito dal regime
  dell'AGO.
    E appare altrettanto evidente che, nella misura in cui interviene
  su  preesistenti  assetti  negoziali,  ne  altera l'equilibrio (per
  esempio,   privando  di  causa  eventuali  rinunce  "corrispettive"
  rispetto   ai   vantaggi  rappresentati  dalla  garanzia  di  certe
  prestazioni di previdenza integrativa).
    Vero  e'  che,  specialmente  in  un settore di estremo interesse
  pubblico,  qual'e'  quello previdenziale, tale genere di intervento
  non   e'  precluso  al  legislatore,  quando  sia  giustificato  da
  superiori  esigenze  di  politica  sociale ed economica. Si tratta,
  peraltro,  di  verificare  che tali esigenze possano effettivamente
  ritenersi  sussistenti nel caso di specie: del che questo tribunale
  ritiene  di  dover  dubitare  in  termini  tali che giustificano la
  rimessione  alla  Corte  costituzionale della relativa questione di
  legittimita'.
    Innanzitutto,  il divieto di cui trattasi non sembra funzionale a
  ragionevoli    esigenze    di    "allineamento"   dei   trattamenti
  pensionistici.  Posto che, parlando di trattamenti integrativi, non
  ha  senso  ragionare  in  termini  di  loro  allineamento al regime
  dell'AGO  -  bensi',  al  piu',  di  un  riavvicinamento, questo se
  perseguito   dal   d.lgs.  124/1993  -  pare  al  collegio  che  la
  strumentalita'   rispetto   ad  un  fine  di  omogeneizzazione  dei
  trattamenti  pensionistici debba essere valutata, piu' logicamente,
  con    riferimento    alla   categoria   "omogenea"   delle   forme
  pensionistiche complementari.
    Ma, se si ha riguardo alla disciplina generale dettata per queste
  dallo  stesso decreto legislativo, non si rinviene alcuna norma che
  impedisca  la  liquidazione  di  trattamenti  di  anzianita' (quale
  quello di cui si discute) in assenza di pensione a carico dell'AGO:
  solamente  l'art. 7  comma 3 pone un limite "elastico" ai requisiti
  per   l'accesso   alle  prestazioni  di  anzianita',  che  dovranno
  contemplare  il  compimento di un'eta' anagrafica non piu' di dieci
  anni  inferiore a quella prevista per il pensionamento di vecchiaia
  nell'ordinamento  obbligatorio  di  appartenenza,  cosi'  dando per
  presupposta la possibilita' di pensione integrativa "anticipata".
    Ne'  si  puo'  obiettare  che  la  particolare  "severita'" delle
  condizione posta dalla norma in esame, rispetto al meno restrittivo
  regime  previsto  per  i  fondi  costituiti  o da costituirsi nella
  vigenza  della  nuova  disciplina,  sia  giustificata dal fatto che
  quella   norma   riguarda  le  forme  pensionistiche  complementari
  (preesistenti)  a prestazioni definite, laddove i nuovi fondi per i
  lavoratori dipendenti possono assicurare solo prestazioni in regime
  di contribuzione definita.
    Un limite uguale od analogo non e', infatti, previsto nemmeno per
  le   "nuove"  forme  pensionistiche  complementari  dei  lavoratori
  autonomi  e  dei  professionisti,  benche'  per  esse  sia  tuttora
  consentito   il  regime  di  prestazioni  definite  (art. 2  d.lgs.
  124/1993);  e  nel  diverso  trattamento  riservato alle une e alle
  altre  potrebbe  fors'anche ravvisarsi una violazione del principio
  di   eguaglianza.       Quanto   alla   ipotizzata   finalita'   di
  prolungamento   della   contribuzione  inerente  questi  pensionati
  "mancati",  anche  a  voler  attribuire  al  legislatore  un simile
  opinabile  scopo nel momento in cui varava il presente divieto, non
  si  potrebbe  che contestare la congruita' e l'idoneita' del mezzo,
  il  quale,  da  un  lato, sortisce l'effetto speculare di obbligare
  l'AGO   alla   successiva   liquidazione  di  maggiori  trattamenti
  pensionistici  (in relazione alla maggiore anzianita' contributiva)
  e,  dall'altro,  non tiene conto della possibilita' che il titolare
  di pensione "anticipata" a carico del fondo privato intraprenda una
  nuova   attivita'   lavorativa,   autonoma   o  subordinata,  cosi'
  garantendo comunque la continuita' della contribuzione.
    Nemmeno  pare sostenibile che la norma sia imposta da esigenze di
  tutela  della  finanza  pubblica  (e della stessa opinione parrebbe
  essere  stato  il Senato in occasione dell'approvazione dell'ordine
  del giorno del 3 agosto 1995, prodotto da parte appellante).
    Anche   a   prescindere  dalla  considerazione  fondamentale  che
  trattasi   di   fondi  schiettamente  privati,  per  gli  eventuali
  disavanzi dei quali non e' posto a carico dello Stato alcun obbligo
  di  intervento,  sembra  potersi  ritenere  che  strumento idoneo e
  sufficiente a tutelare i fondi dalle eventuali conseguenze negative
  di  bilancio  - in ipotesi derivanti dai riflessi della riforma del
  regime pensionistico obbligatorio - sia quello apprestato dal comma
  7  dello  stesso  art. 18  d.lsg.124/1993,  a  norma  del quale "in
  presenza  di  squilibri finanziari delle relative gestioni le fonti
  istitutive  di  cui  all'art. 3 possono rideterminare la disciplina
  delle  prestazioni  e  del  finanziamento per gli iscritti che alla
  predetta data non abbiano maturato i requisiti previsti dalle fonti
  istitutive medesime per i trattamenti di natura pensionistica".
    Si  noti  che  tale  possibilita' di intervento lascia integra la
  liberta'  di  autodeterminazione delle fonti costitutive e consente
  di limitare l'utilizzo dello strumento "cautelare" ai casi di reale
  squilibrio  (mentre  la  norma di cui si discute opera a priori e a
  prescindere  dalla  buona  o  cattiva "salute" dei fondi medesimi);
  casi in cui sarebbe presumibilmente utilizzabile anche lo strumento
  privatistico    della    risoluzione   per   eccessiva   onerosita'
  sopravvenuta.
    Vero  e' che, in altra occasione, e' stata ritenuta legittima una
  norma  limitativa dell'accesso alle pensioni di anzianita' in certo
  senso  analoga  a  quella  in  esame:  si  pensa  al "blocco" delle
  pensioni  di  cui  all'art. 1  comma  2-ter  legge  n. 438/1992 (di
  conversione  del  decreto legge n. 384/1992), che la giurisprudenza
  di  legittimita'  (v.  Cass., 6771/1995, cui si e' uniformato anche
  questo   tribunale)   ha   ritenuto  operante  anche  per  i  fondi
  integrativi    privati.   Ma   in   quel   caso   l'incisivita'   e
  l'"invasivita'"  dell'intervento  legislativo  si  collocava in una
  logica  dell'emergenza  (collegata  al  blocco  delle  pensioni nel
  regime  obbligatorio) e si connotava in termini di eccezionalita' e
  temporaneita'  che  sono  del  tutto  estranei alla prescrizione in
  esame,  con  la  quale  non  si  sospendono,  bensi'  si invalidano
  definitivamente   le   clausole   collettive   che  contemplano  le
  prestazioni vietate.
    Non  sembra  pertanto  manifestamente  infondata  la  prospettata
  lesione degli artt. 39 e 41 Cost. nonche' nell'art. 38 Cost., nella
  parte  in  cui tali norme precludono interventi limitativi e lesivi
  della   liberta'   di   contrattazione  collettiva,  di  iniziativa
  economica  a  di  assistenza  privata  che  non  trovino  razionale
  giustificazione  nelle  esigenze  di  tutela  di  altri, prioritari
  interessi.   Infine,   parte   appellante  prospetta  un  possibile
  contrasto della norma in oggetto anche con l'art. 3 Cost., sotto un
  duplice profilo.
    Il  primo, riguardante il diverso regime "transitorio" assicurato
  ai  lavoratori  dipendenti  iscritti  alle forme esclusive dell'AGO
  (per  i quali l'art. 27 comma 1 della legge n. 335 ha conservato la
  possibilita'   di   pensionamento   anticipato   rispetto  all'eta'
  pensionabile  nell'AGO, sia pure con le riduzioni di trattamento di
  cui  alla  tabella  D),  pretende  di  mettere  a  confronto  forme
  pensionistiche   complementari  ed  integrative,  quale  quella  in
  giudizio, con forme "esclusive" dell'assicurazione generale, per le
  quali  il  legislatore  ha  compiuto  un  autonomo  (e  logicamente
  diverso) intervento correttivo e parzialmente limitativo.
    Deve, quindi, escludersene la fondatezza. Non privo di fondamento
  appare,   invece,  l'altro  possibile  profilo  di  violazione  del
  principio  di  eguaglianza,  relativo  al  trattamento riservato ai
  fondi  integrativi  ex  legge n. 357/1990 (fondi, gia' sostitutivi,
  per  i  dipendenti  degli  enti  pubblici  creditizi).  Se e' vero,
  infatti, che questi fondi la legge n. 335 prevede l'assoggettamento
  allo  stesso  regime  delle prestazioni dell'AGO, e' anche vero che
  l'art. 3   comma   19  della  legge  consente  alla  contrattazione
  collettiva  di  derogare  a  tale  regime  senza  porre  limiti, in
  particolare,  sotto  il profilo dell'eta' di accesso ai trattamenti
  di anzianita'.