IL TRIBUNALE Alla pubblica udienza del 6 aprile 2000 ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento n. 20/2000 RG. trib. a carico di Pilo Saverio, nato in Menfi il 2 aprile 1954. Visti gli atti del processo a carico di Pilo Saverio, imputato del delitto di cui agli artt. 609-bis, 609-septies, quarto comma, ipotesi n. 2, 61 n. 5 c.p., nonche' del reato di cui agli artt. 572, 61 n. 11 c.p., commessi in Menfi sino al maggio 1998; Rilevato che all'udienza del 17 febbraio 2000, immediatamente dopo l'accertamento della regolare costituzione delle parti, l'imputato ha avanzato, ai sensi degli artt. 444 e ss. c.p.p., richiesta di applicazione della pena condizionalmente sospesa di anni uno, mesi due e giorni venti di reclusione, cosi' calcolata: pena base = anni sei, diminuita di due terzi per la minore gravita' del fatto ex art 609-bis u.c. c.p.= anni due, diminuita ex art. 62-bis c.p. ad anni uno e mesi otto di reclusione, aumentata ex art. 81 cpv. c.p. ad anni uno e mesi dieci, diminuita come sopra per il rito; Rilevato che in merito a tale richiesta il p.m. ha espresso il proprio consenso; O s s e r v a Del procedimento a carico del Pilo il tribunale si trova investito a seguito di decreto pronunziato dal g.u.p. in sede, ai sensi dell'art. 429 c.p.p., in data 22 giugno 1999. Lo stesso procedimento e', pertanto, pervenuto alla fase del giudizio in epoca successiva alla data del 2 giugno 1999. Non rileva, in conseguenza, nella fattispecie concreta la speciale disposizione transitoria contenuta nell'art. 224 decreto legislativo 19 febbraio 1998 n. 51 (il cui testo originario e' ancor oggi immutato), la cui portata applicativa e' circoscritta ai "giudizi di primo grado in corso alla data d'efficacia" dello stesso decreto, che, secondo l'art. 247, primo comma, cosi' come modificato dall'art. 1 della legge 16 giugno 1998 n. 188, e' certamente quella sopra menzionata del 2 giugno 1999 e non gia' quella del 2 gennaio 2000, per come del resto conferma il rilievo che in tale intervallo di tempo numerosi processi sono stati definiti in questa e in altre sedi giudiziarie proprio per effetto della eccezionale facolta' riconosciuta agli imputati nella predetta disposizione transitoria. L'istanza proposta dal Pilo va, dunque, valutata alla stregua delle norme ordinarie che disciplinano l'istituto del patteggiamento. Orbene, l'art. 446 c.p.p., nel testo introdotto dall'art. 33 legge 16 dicembre 1999 n. 479, prevede che nei processi che transitano per l'udienza preliminare la richiesta d'applicazione della pena deve essere avanzata non oltre la presentazione delle conclusioni di cui agli artt. 421 terzo comma e 422 terzo comma c.p.p.. Si e', dunque, profondamente innovato il precedente sistema che anche in quei processi consentiva, invece, all'imputato di formulare la richiesta in discorso fino alla dichiarazione d'apertura del dibattimento di primo grado. La disposizione che ha modificato l'art. 446 c.p.p, in quanto disposizione di natura processuale, e' d'immediata applicazione, si' da operare anche in relazione ai procedimenti in corso alla data d'entrata in vigore di essa. Se ne trae che, a tenore della legge di riforma, che non contiene alcuna norma di diritto intertemporale, anche chi, come il Pilo, sia stato rinviato a giudizio sotto il vigore del precedente regime (e successivamente alla data del 2 giugno 1999) non e' legittimato a formulare per la prima volta innanzi al giudice del dibattimento la richiesta d'applicazione della pena. Una richiesta di tal genere che venga, cio' nonostante, presentata non puo' non condurre, finche' sopravviva l'attuale apparato normativo, ad una pronunzia d'inammissibilita' o comunque di rigetto. Eppero', il citato art. 33 legge n. 479/1999, nella misura in cui ha precluso ai soggetti gia' rinviati a giudizio con decreto del g.u.p. alla data del 2 gennaio 2000 (ma in epoca successiva al 2 giugno 1999) la facolta' di avvalersi dell'istituto del patteggiamento, pur in processi con dibattimento non ancora aperto, contrasta, ad avviso del tribunale, con i principi costituzionalmente garantiti della eguaglianza e della inviolabilita' del diritto di difesa (artt. 3 primo comma e 24 secondo comma cost.). La disposizione in parola, infatti, crea anzitutto una discriminazione - inammissibile, perche' irragionevole - fra i soggetti che, rinviati a giudizio nel periodo compreso fra il 2 giugno 1999 e il 2 gennaio 2000, sono comparsi innanzi al giudice del dibattimento prima di tale ultima data e hanno potuto, se lo hanno ritenuto conveniente, patteggiare la pena, e i soggetti che, rinviati a giudizio nel medesimo periodo, si sono vista invece fissare l'udienza dibattimentale in epoca successiva al 2 gennaio 2000, cosi' incorrendo, per ragioni del tutto contingenti ed accidentali, comunque indipendenti dalla loro volonta', nella preclusione creata dalla nuova legge, che ha finito improvvisamente col sottrarre loro una facolta' sino a ieri riconosciuta dall'ordinamento. Ma viene, per tale via, profondamente inciso per i medesimi soggetti anche il diritto di difesa, che si esprime non solo nel complesso di garanzie che sono riconosciute all'imputato, ma anche nell'insieme delle facolta' che, a tutela della sua posizione, gli sono attribuite nell'ambito del processo e, di conseguenza, nella possibilita' di liberamente operare le proprie scelte in relazione a ciascuna di tali facolta'. E' di palmare evidenza che qualunque scelta operata dall'imputato nel processo e' indissolubilmente legata alla valutazione di tutte le altre opzioni che gli sono offerte dall'ordinamento, sicche' se, nel far ricorso ad una certa strategia, egli abbia tenuto conto della possibilita' di esercitare in prosieguo una determinata facolta', della quale sia successivamente privato dalla legge, non pare dubbio che vengano per tale via decisamente pregiudicati i suoi diritti difensivi intesi come sopra. Il che e', appunto, quanto avviene nell'ipotesi in esame nella quale l'imputato, nel momento dell'udienza preliminare, puo' essersi ben determinato nel senso di non far ricorso al patteggiamento, ragionevolmente confidando di poter invocare poi l'applicazione della pena in dibattimento, nell'esercizio di un diritto in quel momento riconosciutogli dalla legge e solo successivamente invece negatogli. Le considerazioni che precedono inducono il tribunale a sollevare d'ufficio, in quanto non manifestamente infondata, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 33 legge n. 479/1999 in relazione ai profili meglio sopra precisati, trattandosi peraltro di questione certamente rilevante, stante che il Pilo ha formulato - come si e' visto - espressa richiesta d'applicazione della pena, con riguardo alla quale e' per di piu' intervenuto il consenso del rappresentante della pubblica accusa, e stante inoltre che la richiesta in parola, ad una prima sommaria delibazione condotta con riguardo ai criteri previsti nel secondo comma dell'art. 444 c.p.p. non sarebbe suscettibile di rigetto nel merito, mentre certamente non e' dato ravvisare la ricorrenza in concreto delle condizioni per l'eventuale pronunzia di una sentenza ai sensi dell'art. 129 c.p.p.