IL TRIBUNALE Sciogliendo la riserva sulla richiesta di esame, mediante il sistema delle contestazioni, avanzata dal p.m. nei confronti del coimputato Abbategiovanni Angelo Raffaele, sentita la difesa che si e' opposta O s s e r v a Gli odierni imputati Di Sarno Giancarlo, Cantone Raffaele e Pezone Domenico, vennero tratti a giudizio, in concorso con Abbategiovanni Angelo Raffaele, per rispondere dei delitti di cui agli artt. 416-bis, 110, 575, 577, c.p. 10, 12 e 14 legge n. 497/1974. Nel corso del giudizio Abbategiovanni Angelo Raffaele, che nella fase delle indagini preliminari aveva reso dichiarazioni contra se et erga alios, si avvaleva della facolta' di non rispondere, per cui il p.m. sollevava questione di legittimita' costituzionale dell'art. 513 c.p.p. nella parte in cui non consentiva la utilizzazione di tali dichiarazioni nei confronti degli altri imputati. L'eccezione veniva accolta dalla Corte che, con ordinanza del 30 ottobre 1996, disponeva, previa la separazione del processo, la rimessione degli atti alla Corte costituzionale mentre pronunciava sentenza a carico dell'Abbategiovanni. A seguito della decisione della Consulta, si e' proceduto alla rinnovazione del dibattimento ai sensi dell'art. 525 c.p.p., che e' stato dichiarato aperto con l'ordinanza di ammissione delle prove in data 16 febbraio 2000. All'udienza del 27 aprile 2000 la Corte ha ammesso, ai sensi dell'art. 507 c.p.p., l'esame di Abbategiovanni Angelo Raffaele, il quale ha riconfermato l'intendimento di avvalersi della facolta' di non rispondere e, di conseguenza, non essendovi accordo tra le parti per procedere alla lettura dei verbali delle dichiarazioni rese dal predetto nel corso delle indagini preliminari, il p.m. chiedeva di procedere alle contestazioni delle stesse, a norma dell'art. 513, comma 2 c.p.p., come modificato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 361/1998. A questo punto la difesa si opponeva alla richiesta formulata dal p.m. di procedere alle contestazioni, evidenziando profili di incostituzionalita' dell'art. 210 c.p.p. in relazione all'art. 23 e 111 della Costituzione, come modificato dalla legge costituzionale n. 2/1999, nella parte in cui consente al coimputato di avvalersi della facolta' di non rispondere sui fatti concernenti la responsabilita' di altri. Quanto premesso, la Corte ritiene che la soluzione della questione non possa prescindere da un vaglio di costituzionalita' non solo dell'art. 210 c.p.p., ma dello stesso meccanismo dettato dall'art. 513 c.p.p. nella portata precettiva scaturita dall'intervento della Corte costituzionale con sentenza n. 361/1998, per contrarieta' della norma ivi contenuta al principio di formazione della prova in contraddittorio, espresso dal nuovo testo dell'art. 111 Cost., che limita ad ipotesi del tutto eccezionali la possibilita' di deroga al confronto dialettico per l'assunzione nel processo delle dichiarazioni accusatorie contro l'imputato, tanto da generare la necessita' di sollevare d'ufficio la questione di costituzionalita' non solo dell'art. 210 c.p.p., ma anche di quest'ultima norma. Sotto il profilo della rilevanza basti considerare che i verbali di dichiarazioni di Abbategiovanni non sono mai entrati a far parte del fascicolo per il dibattimento in quanto gli imputati non prestarono il consenso alla loro utilizzabilita'. Prova ne e' che la Corte dispose la separazione del processo nei confronti degli odierni imputati e che il dibattimento e' stato rinnovato dinanzi al Giudice diversamente composto. Tali dichiarazioni, pertanto, non possono trovare ingresso nel dibattimento, posto che l'Abbategiovanni si e' avvalso della facolta' di non rispondere, ne' risultano elementi da cui desumere la sussistenza dei presupposti ex art. 111, comma 6 Cost., per l'acquisizione dei verbali utilizzati per le contestazioni, ossia per la formazione della prova in deroga al principio del confronto dialettico (consenso dell'imputato impossibilita' di natura oggettiva; provata condotta illecita). In ordine alla non manifesta infondatezza della prospettata questione, rilevasi che secondo la formulazione del nuovo art. 111 della Cost. sono del tutto processualmente inutilizzabili le dichiarazioni accusatorie rese contro altre persone nei corso delle indagini preliminari da chi, a dibattimento, si sottrae volontariamente al contraddittorio rifiutandosi di rispondere all'esame dell'imputato o del suo difensore. L'attenta valutazione di tale innovazione legislativa evidenzia in maniera chiara l'intento del legislatore costituzionale di rafforzare l'efficacia del principio del contraddittorio da intendersi non solo come possibilita' dell'imputato di spiegare le proprie ragioni al giudice e di contestare la concludenza e l'attendibilita' del materiale probatorio, ma anche come concreta possibilita' di partecipare direttamente alla formazione delle prove che potranno essere utilizzate per la decisione. L'efficacia di tale principio, tuttavia, deve necessariamente armonizzarsi con altri principi, di pari rilevanza costituzionale, quali quello del libero convincimento del giudice, della non dispersione dei mezzi di prova, della funzione conoscitiva del processo, dell'indefettibilita' della giurisdizione, dell'obbligatorieta' dell'azione penale, del principio di ragionevolezza (sicuramente violato con la sussitenza di soluzioni normative che privilegiano garanzie difensive anche quando non necessarie, come nei casi in cui l'imputato deve parlare difatti altrui.) Resterebbe, ancora, vulnerata la necessita' di evitare che il coimputato, o l'imputato di reato connesso o collegato, divenga arbitro del destino processuale delle persone da lui precedentemente accusate. Inoltre e' da evidenziare che, in base alla stessa attuale formulazione dell'art. 111 Cost., risulta evidente che il riconoscimento della facolta' di non rispondere sulle responsabilita' di altri si rivela eccezionale e come tale di stretta interpretazione. Tanto emerge sia dalle testuali esclusioni della regola della formazione della prova nel contraddittorio, analiticamente indicate dal comma 4 del citato art. 111 della Cost. (consenso dell'imputato; impossibilita' di natura oggettiva; provata condotta illecita), sia dal medesimo tenore lessicale impiegato o usato dal legislatore costituzionale per descrivere la condotta di chi si rifiuta di sottoporsi al contraddittorio. Infatti tale contegno viene definito in termini di sottrazione al contraddittorio, il che, da un lato, colora di sicuro disvalore la citata condotta e, dall'altro, induce ad inferire la previsione costituzionale di un vero e proprio obbligo giuridico di rispondere per chi, una volta operata la scelta di riferire sulle responsabilita' di altri, rifiuti di sottoporsi all'esame, per motivi diversi da quelli enunciati dal comma 4 dell'art. 111 Cost. (v. trib. Milano-sezione 4 penale, ord. 20 marzo 2000). Ne' potrebbe obbiettarsi, per quanto attiene alla richiesta del p.m. di procedere all'esame dell'imputato con il mezzo delle contestazioni, che l'art. 111 Cost. esprime una regola di valutazione della prova e non di divieto di acquisizione, il che porterebbe a ritenere non solo possibile, ma addirittura doverosa l'acquisizione delle dichiarazioni rese in sede di indagini al fine di una possibile utilizzazione in bonam partem, poiche' i concetti di acquisizione ed utilizzazione, secondo la disciplina datane dall'art. 513 c.p.p., come novellato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 361/1998, si pongono in rapporto di necessaria conseguenzialita', per cui l'uno non sarebbe ammissibile venendo meno il secondo. Non senza considerare che la regola introdotta dalla norma costituzionale non si limita ad esprimere un criterio di valutazione della prova, ma fissa il principio tassativo di formazione della stessa nel rispetto del principio del confronto dialettico tra le parti, sicche' l'acquisizione dei verbali di dichiarazioni rese nella fase delle indagini preliminari da chi si e' poi avvalso della facolta' di non rispondere, sarebbe addirittura illegittima per contrasto con il menzionato principio.