IL TRIBUNALE

    Ha pronunciato la seguente ordinanza.     Con decreto di giudizio
  immediato  emesso  dal  g.i.p.  presso  il tribunale di Napoli il 7
  febbraio  2000,  Cascarino  Pietro  veniva rinviato a giudizio - in
  stato  di  detenzione carceraria - dinanzi al tribunale di S. Maria
  C.V.,  imputato  dei  reati di cui agli artt. 110, 629 capoverso in
  relazione al 628, n. 3 c.p. e 7 legge n. 203/1991.
    All'udienza  del  21  aprile  2000, il presidente - verificata la
  regolare  costituzione  delle  parti e la corretta composizione del
  fascicolo  processuale  ai  sensi dell'art. 431 c.p.p. - dichiarava
  l'apertura  del  dibattimento  e  dava  la  parola  al  p.m. per la
  illustrazione  della  richiesta  dei  mezzi di prova. Il p.m. ed il
  difensore,   ai   sensi   dell'art. 493,  terzo comma,  c.p.p.,  si
  accordavano  per  l'acquisizione  al  fascicolo per il dibattimento
  dell'intero  fascicolo  del  p.m.,  del  cui integrale contenuto il
  presidente  dava  atto  nella  ordinanza  ammissiva  resa  ai sensi
  dell'art. 495  c.p.p. (cfr. fol. 5 del verbale stenotipico). Quindi
  alcun  atto  di istruzione dibattimentale aveva luogo, in quanto le
  parti rinunziavano all'escussione dei testi indicati nella lista ed
  ammessi    dal   tribunale   e   rinunziavano   persino   all'esame
  dell'imputato,   presente,   che  aveva  espresso  la  volonta'  di
  sottoporvisi.
    Il  tribunale,  per la necessita' di esaminare gli atti acquisiti
  sull'accordo  delle  parti  e  per  valutare l'eventuale ricorso ai
  poteri  istruttori  di ufficio previsti dall'art. 507, comma 1-bis,
  c.p.p., disponeva il differimento del processo ad altra udienza.
    Ebbene,   ritiene   il  collegio  che  l'iter  processuale  sopra
  descritto,  rispettoso  della disciplina codicistica prevista dagli
  artt. 493,   terzo   comma,   e   495   c.p.p.,  ponga  rilievi  di
  costituzionalita'   in   relazione   agli   artt. 3   e  111  della
  Costituzione. Deve infatti evidenziarsi che il p.m. ed il difensore
  dell'imputato si sono accordati per l'acquisizione al fascicolo per
  il  dibattimento  dell'intero  fascicolo  del  p.m., comprensivo di
  tutti  i  documenti  che  ne  costituiscono abituale corredo (dalla
  copertina,  all'indice,  all'informativa  di  reato,  alle  note di
  trasmissione,  agli  avvisi  per l'indagato ed il suo difensore, al
  verbale   di   udienza  di  convalida  con  annesso  interrogatorio
  dell'indagato);   gli   stessi   hanno  poi  rinunziato  all'intera
  attivita' dibattimentale, chiedendo che non si procedesse all'esame
  dei  testi e, addirittura, all'esame dello tesso imputato che aveva
  accettato  di sottoporvisi. Puo' pertanto affermarsi che il p.m. ed
  il   difensore  di  fiducia  del  Cascarino  hanno  prospettato  al
  tribunale  una integrale rinunzia al contraddittorio, chiedendo una
  decisione  fondata sulle risultanze degli atti di indagine, offerti
  alla valutazione del giudicante.
    Il  collegio,  pur consapevole della possibilita' di integrazione
  di  tale  piattaforma  conoscitiva  attraverso  i  poteri  previsti
  dall'art. 507,  comma  1-bis, c.p.p., deve tuttavia rilevare che la
  rinunzia  al  contraddittorio  e'  avvenuta  fuori  dai presupposti
  previsti   dal  parametro  costituzionale  contenuto  nell'art. 111
  Cost., che al quinto comma recita "La legge regola i casi in cui la
  formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per consenso
  dell'imputato  o per accertata impossibilita' di natura oggettiva o
  per effetto di provata condotta illecita".
    Nel caso di specie, l'imputato Cascarino, pur presente in aula di
  udienza in stato di detenzione carceraria, non e' stato chiamato ad
  esprimere alcun consenso sulle modalita' di formazione della prova,
  prevedendo  la  norma  applicata  che  "le parti possono concordare
  l'acquisizione  al  fascicolo per il dibattimento di atti contenuti
  nel  fascicolo  del  p.m.,  nonche'  ..."  l'art. 493, terzo comma,
  c.p.p.).  Invero,  ha  ritenuto  il  collegio che l'interpretazione
  dell'espressione  utilizzata  di "parte" non lascia dubbi in merito
  alla  sua riferibilita' al difensore quale "parte in senso tecnico"
  piuttosto  che  all'imputato,  alla luce dell'art. 99, primo comma,
  che  attribuisce al difensore le facolta' ed i diritti che la legge
  riconosce  all'imputato,  a  meno  che  essi  non  siano  riservati
  personalmente   a   quest'ultimo,  esprimendo  una  riserva  che  -
  esplicitata  in relazione all'accesso ai riti semplificati previsti
  dagli artt. 438, 444 e 419, quinto comma, c.p.p. - non trova invece
  richiamo  nella  disciplina  dettata  dall'art. 493,  terzo  comma,
  c.p.p.  e  nella  previsione degli omologhi poteri illustrati negli
  artt. 431,  secondo  comma,  e  555, quarto comma, c.p.p. In alcuna
  delle  norme  da  ultimo  richiamate viene richiesto l'intervento -
  personale   o   tramite   procuratore   speciale   -  dell'imputato
  nell'esprimere la volonta' di rinunzia al contraddittorio, in vista
  dell'acquisizione  di  uno  solo  o  di  tutti  gli  atti  che sono
  contenuti  nel  fascicolo  del p.m. (il dato quantitativo non muta,
  ovviamente, i termini della questione).
    Resta  fermo,  tuttavia,  il  potere  dell'imputato  di  togliere
  effetto   al   consenso   prestato   dal   difensore  con  espressa
  dichiarazione  contraria,  ai  sensi  dell'art. 99,  secondo comma,
  c.p.p., prima che sia intervenuto un provvedimento del giudice: una
  insufficiente  salvaguardia  che,  intanto,  differisce  dal previo
  consenso in quanto richiede una attivazione spontanea dell'imputato
  che  prescinde,  ed anzi contraddice, il rapporto fiduciario con il
  suo difensore e che, inoltre, non esplica alcuna efficacia in tutti
  quei  processi  che  si  svolgono  in stato di assenza o contumacia
  dell'imputato   e  nei  casi  in  cui  la  difesa  sia  affidata  a
  "frettolosi"  difensori di ufficio. In tali ipotesi l'accordo sulla
  prova  finisce  per  realizzare  una  rinunzia all'accertamento con
  metodo   accusatorio   che  sfugge,  addirittura,  alla  conoscenza
  dell'imputato.
    Non  si  comprendono,  allora, le diverse garanzie che presiedono
  all'accesso al rito abbreviato, con cui l'iter processuale proposto
  dalle  parti  nel  presente  processo  presenta una forte analogia,
  risolvendosi   in   definitiva  la  decisione  richiesta  a  questo
  tribunale  in un giudizio allo stato degli atti. Ne' costituisce un
  serio  discrimine  con  il  rito  abbreviato l'eventuale ricorso ai
  poteri  di  cui all'art. 507 c.p.p., posto che i recenti interventi
  legislativi   hanno   profondamente   mutato  il  volto  del  rito,
  attribuendo  non  solo  al  giudice  ma  addirittura  alle parti un
  consistente   potere   di   modifica   della  iniziale  piattaforma
  probatoria.
    Nel  processo  in  corso,  come  nel  rito abbreviato, l'imputato
  (rectius  il  suo  difensore) ha consentito a sottoporre al giudice
  per  la  decisione  tutto  l'insieme  di elementi formati nel corso
  delle  indagini  ed  ha  rinunziato  al loro vaglio dibattimentale,
  offrendo  una "collaborazione processuale" (beninteso solo in punto
  di   speditezza  dell'approdo  processuale)  che  non  trova  alcun
  corrispettivo   nel  trattamento  sanzionatorio.  Infatti,  non  vi
  sarebbe  possibilita'  per il tribunale di riconoscere all'imputato
  Cascarino  (in  caso  di  condanna)  la riduzione di un terzo della
  pena, potendo solo valutarsi il comportamento dell'imputato ai fini
  dell'applicazione  dei  parametri previsti dagli artt. 133 e 62-bis
  c.p.
    Quest'ultima  considerazione  induce  il  collegio  a  sottoporre
  l'applicazione  delle  norme  in  esame  al  vaglio di un'ulteriore
  giudizio   di  resistenza  costituzionale,  rispetto  al  parametro
  indicato   dall'art. 3   della   Costituzione,   chiedendo  se  sia
  ragionevole  la disparita' di trattamento sanzionatorio a fronte di
  un'analoga forma di collaborazione processuale.
    In  definitiva,  il  ricorso alle norme che, correttamente, hanno
  trovato  applicazione nel presente processo (artt. 493, terzo comma
  e   495   c.p.p.)   consentirebbe  l'introduzione  di  un'ulteriore
  tipologia  di  giudizio  semplificato  (del  tutto  analogo al rito
  abbreviato),   mancante   del   consenso   dell'imputato  (espresso
  personalmente  o  a  mezzo  di  un  procuratore  speciale)  e della
  premialita'. Tuttavia, se quest'ultimo aspetto potrebbe trovare una
  ragione  sistematica nel piu' limitato effetto deflattivo derivante
  dall'attivazione,   oramai   compiuta,   della   fase   processuale
  dibattimentale,  alcuna  giustificazione  - a parere del collegio -
  puo'  sostenere  la  difformita'  dell'accesso al rito semplificato
  dibattimentale (che prescinde dalla volonta' diretta dell'imputato)
  ed  al  rito  abbreviato (che richiede il consenso espresso), posto
  che  in  entrambi  i  casi il processo si risolve in una rinunzia -
  parziale    o    totale   -   alla   metodologia   probatoria   del
  contraddittorio.  Risultano, pertanto, contemporaneamente violati i
  parametri previsti dagli artt. 3 e 111 della Costituzione.
    Le  considerazioni sopra rifrite danno conto della impossibilita'
  di  definire  il giudizio indipendentemente dalla risoluzione della
  questione  di  legittimita' sollevata, ai sensi dell'art. 23, terzo
  comma,  legge  n. 87/1953,  dal tribunale che ne ha ritenuta la non
  manifesta infondatezza.